Interamniae populus

Una piccola storia d’amore nel teatro di varietà a Teramo

Ho voluto dedicare il mio articolo ad una piacevole storia d’amore di primo Novecento, all’interno del teatro di varietà a Teramo. Prima occorre però aprire una doverosa parentesi sulle origini del teatro a Teramo. La prima rappresentazione teatrale in un teatro teramano, che a quel tempo era ubicato nel quartiere di San Leonardo, non lungi dall’ospedale di Sant’Antonio Abate e dall’omonima porta di accesso alla città. La sera di domenica 12 giugno 1768 andò in scena la prima rappresentazione in prosa in assoluto in città, dal titolo Amar da Cavaliere o sia la Doralice di Francesco Cerlone. Da lì in poi prese il via l’impresa teatrale in città, che ebbe vita per pochi anni nel teatro di Porta Sant’Antonio. Il teatro, intorno al 1775, era già cadente, quasi un rudere, abbandonato e ricoperto da spini, tanto che, nel 1776, il decurione e cittadino Don Pasquale Marozzi avanzò al Ministro della Real Casa Bernardo Tanucci, affinché la città di Teramo si dotasse di un nuovo teatro, per lo svago di tutta la cittadinanza. Ma il Tanucci rispose con fermezza che in precedenza, ovunque s’era permessa l’erezione di un teatro, erano giunti disordini. E così, la comunità teramana non potè fruire di un teatro pubblico per altri sedici anni, allorché il dottore in legge Pietro Antonio Corradi, coadiuvato dal cognato Camillo Gatti, elevò a pubblico il teatro privato di sua proprietà, sito nell’antica casa Catenacci, nel Quartiere di Santo Spirito. La struttura esterna del Teatro Corradi si mostra ancora ai nostri occhi nella centralissima via Vittorio Veneto, ed è l’unico edificio avente portico presente in tale via che, peraltro, nei secoli passati, ha assunto anche la denominazione di via del Teatro. 

Il Teatro Corradi venne solennemente inaugurato nel Carnevale del 1792, con la prima affidata alla talentuosa soprana bolognese Dorotea Monti, che fu la prima donna di teatro per la quale i teramani impazzirono. A lei furono dedicati inni e versi, sciolti e in rima baciata. Sotto le sue finestre si alternavano legioni di corteggiatori, le si inviavano fiori e messaggi. L’opera in cui la Monti dimostrò le sue doti fu La moglie capricciosa, dramma giocoso musicato dal veronese Giuseppe Gazzaniga (1743-1818). Da quel momento il teatro teramano continuò in un’ascesa irrefrenabile, sotto l’assiduo controllo della polizia borbonica, che aveva il compito di assistere alle singole rappresentazioni prima che venissero messe in scena di fronte al pubblico. Il Teatro Corradi vide anche delle sostanziali opere di restauro, messe in atto dall’ingegnere dell’Intendenza Carlo Forti, realizzatore di molteplici opere architettoniche in gran parte del territorio provinciale. Nel 1859, ad opera del noto architetto teramano e di famiglia patrizia Nicola Mezucelli, su di un terreno inutile di proprietà del farmacista dott. Camillo de Martinis, all’inizio di Corso San Giorgio, furono incominciati i lavori di erezione di un nuovo e grandioso teatro pubblico della teramanità, emulo dei grandi teatri di tutta la penisola, grande e bello, spazioso e sfarzoso. Nel settembre del 1868 la solenne inaugurazione del nuovo grande Teatro Comunale di Teramo. il Teatro Corradi, ormai vetusto, ospitato sin dall’inizio in un edificio cinquecentesco, era consunto dal tempo e quasi inutilizzabile. Al teatro lirico e di prosa, poi al cinematografo, che nel 1895 fece il suo ingresso in città all’interno di un salone di palazzo Rolli all’angolo tra Corso San Giorgio e via Carducci, già via del Burro, venne affiancato il teatro di varietà, che trovava sede errante in alcuni edifici privati di via del Pavone, che oggi si chiama via Nazario Sauro, parallela ad Oriente del corso principale. Via del Pavone era popolata da comici, artisti, illusionisti, maghi, tenori, tra i quali si ricorda il celebre baritono teramano Vincenzo Quintilii-Leone, caduto ahinoi nel dimenticatoio, di grande fama anche internazionale. Il teatro di varietà, per la sua estrema semplicità, trovava ampio consenso nel basso popolo. E la storia che mi accingo a raccontare d’ora in poi, tratta una relazione amorosa tra una teramana ed un illusionista cecoslovacco giunto a Teramo per allietare le donzelle nel primo dopoguerra. Storia d'amore tra un illusionista cecoslovacco e una teramana. 

A Teramo il teatro di varietà ha avuto il suo corso durante la Belle Époque. A livello nazionale, non fu di certo un'innovazione degna di prendere il posto del gran patrimonio della prosa che da sempre aveva affollato le platee di tutto il regno. Nel 1906 fu inaugurata una saletta nel Teatro Comunale di Teramo, con affaccio sul Corso San Giorgio, che assunse il nome de "La Cetra", i cui tendaggi furono raffigurati da Gennaro Della Monica in una scena d'improvvisazione di Giannina Milli a Firenze. La sala de "La Cetra" costituì il ridotto del Teatro Comunale di Teramo. Un ridotto più celebre lo avrà poi il Cinema Teatro "Apollo", con sede in via Delfico (sic!), dove, tra l'altro, furono ospitati Pasolini, la Ginzburg e, in tempi più recenti, il presidente Pertini. Il teatro di varietà spesso veniva ospitato nella sala della Cetra, ma sicuramente vi furono occasioni di ospitarlo nel palcoscenico principale del nostro Teatro. 

Nel primo dopoguerra, nel 1919, si aggiravano per le vie teramane diversi artisti, illusionisti, comici, che, per la vicinanza al teatro, prediligevano dimorare in via del Pavone (l'attuale via Nazario Sauro, parallela di Corso San Giorgio). Tra gli illusionisti si distingueva, per simpatia e destrezza, un cecoslovacco, Antonio Minář, nativo di Kroměříž, nell'odierna Repubblica Ceca, a poca distanza dal confine austriaco. Minář si esibiva nei teatri teramani con la sue doti di prestigiatore, e riscuoteva un gran successo, specie nelle donzelle della Teramo del tempo, reduci del primo conflitto, intimorite dalla povertà e dal cercar marito. Minář cercava in tutti i modi di coinvolgerle nei vari numeri, sicché il teatro di varietà, nel complesso, riscosse a Teramo un particolare successo. 

Tra le donzelle che desideravano mostrare le proprie doti di prestigiazione, se ne mostrava una, Elena Lanciaprima, classe 1901, orfana di madre e ultima di una ventina di fratelli. Viveva sola con il padre Orazio e la sorella Bianchina, accreditata ricamatrice della Teramo del tempo. Gli altri fratelli, maggiori per età, avevano abbandonato la propria città, chi alla volta di Genova, chi di Pesaro, chi di Torino, chi di Roma, chi di Verona e chi dell'Algeria. Solo altri due erano rimasti a Teramo accasandosi. L'illusionista Antonio Minář e la fanciulla Elena Lanciaprima instaurarono una relazione alquanto passionale, che si sarebbe dovuta però troncare, al momento della partenza di lui, che spesso e volentieri, sin da bambino, aveva già sperimentato i teatri parigini. Nel marzo del 1919 Elena, diciottenne, partorì un figlio, che non potè essere riconosciuto come loro figlio naturale, poiché non erano uniti in matrimonio. Il bambino fu preso in consegna dal Rag. Arduino Fraticelli, responsabile della ruota dei proietti del brefotrofio di Porta Romana. Al fanciullo fu assegnato il nome di fantasia di "Alcini Orazio". Antonio, il padre naturale, partì, doveva prestare servizio in altre realtà, anche internazionali, con la promessa però, che sarebbe ritornato a Teramo per celebrare le nozze con la sua Elena, e riconoscere legalmente il figlio Orazio, che nel frattempo veniva assistito dall'orfanotrofio di Porta Romana. Nel 1922 Minář fece ritorno a Teramo, e riprese ad esibirsi nei teatri teramani, per stare accanto alla sua amata. Il 19 luglio 1923 si celebrarono, al santuario della Madonna delle Grazie a Teramo, le nozze tra Antonio Minář, di Antonio e fu Filippina Roubinex, nato a Kromeříź (Cecoslovacchia), nel 1896 e domiciliato in Teramo, ed Elena Lanciaprima, di Orazio e fu Giovanna Palmarini, nata a Teramo nel 1901 ed ivi domiciliata. Al momento della presentazione dell'atto di matrimonio agli uffici comunali, con sentenza del Tribunale di Teramo, i coniugi riconobbero come proprio figlio naturale il proietto "Alcini Orazio", di anni cinque. E chissà se i neo-coniugi trovarono consenso nelle figure dei fratelli di lei rimasti a Teramo, Amedeo, sposato con Rosa Lauri [accasato in via dei Funari e padre di due figure della resistenza teramana, il Rag. Mario Lanciaprima, vittima dell'episodio di Bosco Martese, e l'Avv. Vincenzo, che aveva vissuto in Germania nei campi di internamento ed era stato liberato nel 1946, nonché di Rita, personalità di spicco della cultura a Teramo nel secolo scorso, e di Gabriele, buongustaio, che creò l'associazione "il Coppo", con sede a Teramo, in via Getulio], e Vittorio, nonché nella figura dell'adorata sorella Bianchina che, dopo la morte di mamma Giovanna, le aveva fatto un po' da madre. Antonio ed Elena con il figlio Orazio lasciarono Teramo e per un bel po' di anni si trasferirono in Algeria, proseguendo con l'attività illusionistica. I coniugi trovarono, nel secondo dopoguerra, una sistemazione stabile a Parigi, prestando servizio come portieri di un palazzo, per arrotondare all'attività di varietà che non mostrava più chissà quanto consenso. A Parigi, nell'età adulta, ospitavano i parenti teramani che vi si recavano in visita, ed Elena creava un itinerario per gli ospiti della metropoli, accompagnati dal figlio Orazio, che, stando agli ordini di "mammà!", così la chiamava, contrastava i cambi di programma con "ne peut pas fait!". 

Francesco Di Giuliantonio