Interamniae populus

Piazza Martiri della Libertà, la principale piazza teramana


Presso la civiltà ellenica l’agorà costituiva lo spazio pubblico per eccellenza, centro principale dell’urbanistica del tempo, nonché centro di fervidi scambi culturali, del commercio e della vita religiosa. Anche nei tempi odierni la piazza costituisce un vero e proprio punto di incontro, uno spazio ricreativo animato da ristoranti, punti di aggregazione, uffici pubblici, centri culturali ed edifici religiosi. A partire dall’epoca medioevale, nelle città italiane, la piazza, lo spazio più ampio dell’assetto urbanistico, veniva chiamato arengo oppure arringo, ossia un campo circolare utilizzato per giostre, palii o tornei.

 Nelle città di origine latina come Roma, lo spazio in epoca medioevale utilizzato per le competizioni, ha origine a sua volta da circhi di epoca romana, come nel caso di piazza Navona a Roma, che ha mantenuto la stessa ed identica forma del circo di epoca romana. A Teramo, sino al XVII secolo, esistevano tre piazze con due funzioni differenti: la piazza del Mercato, dove sin dal 1440 si svolgeva il mercato sabatino della porchetta e delle stoffe, la piazza delli Bovi, i cui sotterranei erano adibiti a cisterne per conservare il grano, e la piazza dell’Arringo.

La piazza delli Bovi e la piazza dell’Arringo successivamente si fusero in un unico spazio, denominato la piazza delli Bovi. La denominazione Arringo fu mantenuta i n una strada traversa, che è l’odierna via Delfico, parallela del Corso San Giorgio. Nel XVII secolo, in piazza si svolgevano le comunanze, le adunanze del popolo abbiente. L’antica piazza delli Bovi è oggi per i teramani Piazza Martiri della Libertà. 

La nostra piazza è sita nel quartiere San Giorgio, uno dei quattro quartieri storici della città, facente parte della Terra Nova, ovvero della zona fuori porta che si espanse soltanto dopo il 1155, data di uno dei più importanti avvenimenti per la storia della città, il rovinoso incendio provocato dal conte Roberto di Loritello, che distrusse l’intera città, conservando pochissimi edifici. I Teramani, sotto la guida del vescovo Guido II, ricostruirono la città espandendosi oltre il fossato, a partire dalla nuova Cattedrale Aprutina di Santa Maria Assunta e San Berardo, quasi una sorta di baluardo di difesa e per l’incolumità del vescovo stesso. 

La nuova cattedrale venne edificata sui resti di un tempio di epoca romana consacrato alla dea Venere, e sui resti di un anfiteatro di età Augustea, punti di accesso alla civitas romana. I vescovi che si avvicendarono nei vari secoli ampliarono sempre più il complesso ecclesiastico, edificando numerose cappelle, botteghe, locali, ed un palazzo vescovile, dotato di portici. Fu il vescovo Niccolò degli Arcioni ad effettuare il primo ampliamento al tempio, erigendo una nuova navata posta verso occidente, denominata nave arcioniana, che differiva dalla nave guidiana. 

Nella metà del XIII secolo sorse, non lungi dal Duomo, e sempre in Terra Nova, l’enorme complesso monastico con annessa chiesa degli Agostiniani, che fondarono in città l’Arciconfraternita dei Cinturati, che, nel 1262, organizzò per la prima volta la processione della Madonna Desolata, nel mattino del Venerdì Santo, la più antica processione d’Abruzzo in assoluto. Nel XVI secolo il vescovo Giacomo Silverio-Piccolomini concesse indulgenza a chiunque si mostrasse favorevole all’ampliamento edilizio del quartiere San Giorgio. Si andò così a formare il celeberrimo Corso San Giorgio, strada principale della città, anche per ampiezza. Nella piazza delli Bovi fu piantato un albero di olmo, abbattuto durante l’occupazione francese, e ripiantato nello stesso luogo nella metà del secolo scorso. Nelle sue immediate vicinanze sorgeva la casa del tiranno Antonello de Valle, scoperta grazie a dei lavori effettuati nel 1978, che presentava ancora l’antico pozzo e l’antica cisterna per conservare il grano. 

In piazza sorse, nel 1656, dopo una terribile epidemia di peste che colpì l’Abruzzo intero, la cappella di San Rocco, adiacente al Duomo, ex voto del popolo teramano. Le famiglie più importanti edificavano e restauravano le proprie dimore, erigendo anche delle torri, più per ostentazione che per difesa della casa stessa e della famiglia, dotata anche di portici, dove insistevano condizioni malsane ed assai fatiscenti. Testimonianze certe della presenza edilizia nella superficie ospitata dai portici alti, per molti teramani ancora oggi "Portici di Fumo", o del “Grande Italia” le si hanno dai primi del '600. Nel 1644, proprietari dell'immobile tra la strada reale di San Giorgio e la piazza Grande o "delli Bovi", erano tre uomini rilevanti per la Teramo dell'epoca, tutti proprietari terrieri. La parte superiore dell'edificio era di proprietà di Uliasso Verdecchio, di una famiglia teramana estinta. La casa era dotata, come per tutte le famiglie più abbienti, di una torre, di un cortile con pozzo, bregno (particolare tipo di cisterna per conservare l'olio), ed una caldara per cuocere il vino. 

Nello stesso quartiere di San Giorgio, il medesimo Uliasso Verdecchio, per le doti di sua sorella, sposa a Pier Antonio Bucciarelli, possedeva un'altra casa. Di sua proprietà erano anche: una casetta nel quartiere di Santa Maria, con 42 canne d'orto, e sei piedi di moro, all'incirca nei pressi di via San Giovanni (oggi via Stazio); un Forno con stanze e pozzo sulla Strada del Trivio, nel quartiere di San Leonardo, confinante con le proprietà Mezucelli. Tra i terreni di sua proprietà se ne enumerarono tanti, ed è giusto citarne qualcuno, anche per avere un quadro completo sulle contrade presenti fuori porta in quell'epoca, alcune delle quali ancora oggi hanno mantenuto la stessa denominazione. Verdecchio possedeva un canneto in Contrada della "Rischiera" fuori Porta S. Giorgio, e la "Rischiera", corrisponde oggi a via Rischiera, che percorre le pertinenze di viale Bovio prima della via dei Mulini, costeggiando l'Istituto Comi.

 Possedeva un'altra terra coltivata a viti in Contrada di San Venanzio, confinante con le proprietà Montani, una masseria a Piane del Vescovo (attuale Stazione), e tanti uliveti in Contrada della Petrosa, fuori Porta San Giorgio. Un altro suo forno si trovava a Poggio San Vittorino. Tornando alla casa di Piazza Grande, o Piazza delli Bovi (oggi Piazza Martiri della Libertà), Uliasso Verdecchio la condivideva con la facoltosa famiglia dei Ricci. I fratelli Matteo, Fabio, e Giovanni Antonio Ricci, possedevano tre locali all'interno dell'edificio, tutti e tre dotati di pozzo. Matteo Ricci risultava proprietari di sei piedi d'ulivi nella contrada di Ginibleto, vicino alle terre dei Falconieri. Il "Ginibleto", per fare chiarezza, era un pezzo di terra posto in quella che oggi viene chiamata "Terracalàte", tra la "Rischiera" e piazza Garibaldi. Esisteva, in questa Contrada, anche una cappella intitolata a Sant'Orsola. 

Il Palma, agli inizi del '700, in questa Contrada colloca anche i terreni di un Signore dell'Amatrice. Al "Ginibleto", nel '600, possedeva appezzamenti di terreni anche l'Università (antico comune) di Teramo. L'Università, oltre ad un palazzo in piazza del Mercato, sede del Regio Fisco, dotato anche di una cappella, detta "della Croce", era proprietaria anche di alcuni terreni, per l'appunto, nel "Ginibleto". In data 10 gennaio 1661, i fratelli D. Marcello e D. Giovanni Antonio Pompetti acquisirono la "casa turrita nel quarto di S. Giorgio" di proprietà di Uliasso Verdecchio, e dei fratelli Matteo, Dottor Fabio e Giovanni Antonio Ricci, e restaurarono i locali aprendo anche un portico al pianterreno. Nel quartiere San Giorgio va citata anche un'altra piazza oltre a quella "delli Bovi", e cioè "la Piazza delli Porci". La Cittadella era inclusa nel territorio di San Leonardo. Dai fratelli Giovanni Antonio e Marcello Pompetti, si diede vita a due rami distinti della famiglia. Il ramo di Giovanni Antonio si stabilì nelle case sul Corso, e quello di Marcello acquistò le case della famiglia Bucciarelli che insistevano sul vecchio Episcopio, acquistando giuspatronato sulla chiesa di San Getulio, che da lì si chiamò appunto "Sant'Anna de' Pompetti". Intorno al 1720 Tommaso Pompetti sposò Cecilia Delfico, zia di Melchiorre. 

Nel 1749 i coniugi Pompetti e Delfico ancora abitavano sulla piazza, assieme al loro figlio studente Giuseppe Antonio, detto "Pepp'Antonio". Nel corso dell'Ottocento la casa Pompetti sulla piazza non vide restauri, nel 1807 era di proprietà di Lelio, Gianfelice e Giuseppantonio Pompetti, e la parte sulla "Strada Toledo", oggi via Mario Capuani era di proprietà di tale Antonio Taraschi. Nel 1807 soltanto una loggia fu definita "impraticabile". Antonio Taraschi era proprietario di un forno e di una stalla al pianterreno del portico sulla piazza, già esisteva una taverna che il Sig. Lelio Pompetti teneva in affitto per annui ducati ventiquattro. Gianfelice Pompetti, inoltre, teneva in affitto una bottega ed un magazzino, quest'ultimo ad uso del Tribunale della Regia Udienza, ceduto "gratis". Nel corso dell'Ottocento si attesta la presenza del portoncino su via Capuani, che all'epoca era Via Garibaldi, e dal portoncino entrava la famiglia Trippetta, proprietaria del caffè omonimo. Anche la moglie di Trippetta, Lucia Pecorale "de Pettucce" proveniva dalla gestione di un'osteria lungo Corso Porta Reale. A fine '800 la loggia di casa Pompetti ospitò le taverne della "Sgarrona" e della "Sposetta", I Pompetti si alternavano, essendo anche proprietari di terreni estesi da Sant'Atto fino a Ripattoni, dove c'era una loro masseria. In quegli anni il porticato di casa Pompetti minacciava rovina, viste le ispezioni dell'Ing. Gaetano Crugnola. I coniugi Giovanni Pompetti ed Enrichetta de Sanctis, nel 1888, mossero protesta contro il comune, e, precisamente, contro i consiglieri Alessio de Berardinis e Giovanni Antonio Crucioli, che si erano mostrati sfavorevoli all'abbattimento di casa Pompetti. Le condizioni rimasero tragiche, e nel 1898 scoppiò lì un incendio, che, in parte, distrusse l'edificio, causando anche qualche decesso. 

Lo studente di ingegneria Carlo Pompetti, a Torino, osservando i grandi portici di piazza San Carlo, di ritorno a Teramo, volle riproporli al posto della diruta casa Pompetti, e in effetti i portici torinesi furono riproposti, i lavori si conclusero nel 1901, e furono intitolati al dott. Berardo Costantini, presidente della Congregazione di Carità, fratello del sindaco Settimio. Di fronte, intanto, più volte c'erano stati rimaneggiamenti. 

Nel 1644, gli edifici all'altro lato del Corso di San Giorgio, erano tutti di proprietà di Pietro Montani. Una casa con pozzo, cisterna d'olio, confinante con l'orto del notaio Iracinto. Pietro Montani, nel 1644, tra l'altro, possedeva un terreno coltivato a vigna in contrada della Gammarana. La famiglia Montani visse nella casa di via delle Orfane ad angolo con la piazza, ma nel '700 cedette una parte dell'edificio alla famiglia Bonolis, che era arrivata da Milano. Fino alla seconda metà del '700, come testimonia una veduta di anonimo, nella piazza delli Bovi esisteva ancora, dietro al Duomo, la cappella intitolata a San Rocco, con, al pianterreno, una bottega di un imbastaro, che produceva le selle. Risalendo il corso, oltre alle celeberrime case Marcozzi, Spagnoli, Schips e Flastella, c'erano anche casa Berarducci, nel 1644 di proprietà di Giovanni Aloisio Berarducci, venduta a fine '700 all'avv. Pompeo Mancini di Spoltore. L'avv. Mancini ebbe un'altra casa di sua proprietà confinante con il palazzo Rapinij, di proprietà del suocero Antonio. 

Lungo il Corso San Giorgio abitava anche il pittore Sebastiano Majewsky, in una casa che aveva ereditato dai fratelli Vannemarini, suoi cognati, poiché aveva sposato Cesarea Vannemarini, come da protocollo del notaio Febo di Febo. I fratelli Vannemarini cedettero al polacco, inoltre, dei terreni in contrada della "Fonte Bagliana", oggi Fonte Baiano, che nel '500 era addirittura chiamata contrada di "Nerete", in riferimento ad una rocca omonima che si ergeva sul colle. La Fonte Baiana esiste ancora, ma è poco meno di un rigagnolo. La fonte di cui si ha più antica notizia, è la fontana del Trocco, che oggi è chiamata familiarmente Picetta, ricostruita sulle terre della famiglia Piercecchi a Piane del Vescovo a fine '600. Villa Mosca è l'unione di due contrade: "Le Playe" e "Rivacciolo". Contrada Rivacciolo, nel '600, era un grande uliveto di proprietà della famiglia Michitelli. Sul Corso, la famiglia Thaulero arrivò a Teramo da Colonia, in Germania, ed unendosi con la famiglia De Federicis, edificò un palazzo oggi ancora in piedi. Casa Majewsky era poco discosta, così come la chiesa di Sant’Anna. San Giorgio era anche sede della storica famiglia dei Lanciaprima, proprietaria di una terra "vitata" a Ginibleto.

 Nel 1703 casa Lanciaprima fu venduta a Carmine Narcisi, da Giandomenico Lanciaprima. Vicino ai Lanciaprima c'era casa Nochicchia, abitata da Giovanni Antonio, che accolse la regina al pranzo della Fonte della Noce nel 1514. Ecco, la "Fonte della Noce" era un'altra Contrada molto frequentata, così come quella del "Ponte San Giovanni", di cui ancora si ammirano, in parte, le antiche vestigia. Una storia di quartiere, di contrade, di porte, di pozzi e di cisterne e di piazze, che mostra gli antichi fasti della nostra città, tra i luoghi dello struscio serale del sabato, di una pizza, di un caffè, della moda e del commercio. 

Francesco di Giuliantonio