Interamniae populus

La Teramo scomparsa


La Teramo scomparsa, attraverso la storia di un rione completamente irriconoscibile al giorno d’oggi, sventrata interamente dalle demolizioni dello scorso secolo. 

Con le demolizioni nel rione di cui si parlerà, si riportarono alla luce le rovine del Teatro Romano dell’Antica Interamnia.


Le rovine del Teatro Romano dell’Antica Interamnia, come oggi si conoscono (parte della cavea deve essere ancora riportata alla luce), sono frutto delle demolizioni che furono eseguite nel rione di San Bartolomeo nello scorso secolo. Fino all’immediato dopoguerra, tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50, le rovine del Teatro Romano erano occulte ai più, negli oscuri scantinati di case cinquecentesche. Oltre agli edifici cinquecenteschi sorgeva anche un piccolo slargo, chiamato “Spiazzo degli Urbani”, “platea della Concezione”, o “Largo di San Bartolomeo".


Fu sede di un antico Monastero, intitolato a Santa Chiara, eretto nel 1374 da Antonio di Podio e soppresso nel 1451, e le clarisse, per condotta immorale, furono trasferite nel Monastero di San Giovanni. Il monastero si dotava di una chiesa, che oggi sicuramente, addirittura corrisponde ad un piccolo edificio medievale che affaccia su via Muzii, di fronte casa Muzii, che ha una croce impressa nell’architrave. Soppresso il funzionamento del Monastero di Santa Chiara, lo stesso rimasero di civile utilizzo, sino all'anno 1629, quando la spagnola Donna Giovanna Caitani de la Serra, vedova di Don Didaco de Mendoza, nel suo testamento dispose che il suo corpo doveva essere seppellito in una chiesa ancora da costruirsi, chiamata "la Ss.ma Concenzione in Platea". Poiché la chiesa non era ancora stata eretta, Donna Giovanna dispose ancora il seppellimento del proprio corpo nella vicina Cattedrale, ed assegnò annui 20 ducati di regno su un capitale di 200 ducati a Giovan Cola e Giovan Battista Urbani di Teramo. Di lì a poco la costruzione della chiesa fu terminata, e il 23 febbraio del 1645, Giampietro Urbani dispose, nel suo testamento rogato dal Notaio Febo di Febo, di essere seppellito nella nuova chiesa "della Conceptione degli Urbani", anche se non esisteva ancora uno jus patronato (consisteva nella proprietà della chiesa direttamente ad una famiglia) sulla chiesa. Soltanto nel 1649, Giovan Domenico Urbani asserì in testamento di essere seppellito nel Duomo Aprutino, e lasciò tutti i suoi beni agli eredi, affinché gli Urbani costituissero uno jus patronato sulla chiesa. Il Vescovo Aprutino Giuseppe Armeni, il 22 giugno 1673, accompagnato dal cancelliere e dal vicario, visitò la chiesa della "Concezione in Platea, nello spiazzo degli Orbani", e ne riportò un'accurata descrizione. Visitò l'altare maggiore, a baldacchino e con l'immagine della Beata Maria Vergine e San Bartolomeo, trovò sei candelabri a croce ed un crocifisso in laterizio, un pallio e due tovaglie di velluto. All'epoca era una chiesa di piccole dimensioni. - Nel 1701 i rettori Nicola De Nonnis e Berardo Pierantoni di Teramo restaurarono la chiesa, e negli anni successivi vi si eressero quattro benefici, uno di questi dedicato a San Francesco di Paola. La chiesa ebbe molti rimaneggiamenti, ed è pervenuta illesa ai giorni nostri, con il titolo però di San Bartolomeo, e si affaccia sulle rovine dell'Antico Teatro d'Interamnia. Le strutture dell'antico Monastero di Santa Chiara, le celle, si possono ancora ammirare, stranamente, all'interno della casa dei sig.ri Giordani, attigua alla chiesa, e la chiesa corrisponde ad un portalino su via Muzii. La Platea di Santa Chiara, spiazzo della Concezione, era chiamata anche "spiazzo degli Urbani". E così si evince che l'area fu dimora della famiglia Urbani. La casa di Giovanni Domenico Urbani, che costituì lo juspatronato sulla chiesa vicina, era dotata di pozzo, di una grande cisterna d'olio, con le stalle al piano terreno. Egli possedeva una bottega nella piazza del Mercato, una casa sul Trivio, e numerosi terreni nella villa di Nepezzano, in Contrada Rivacciolo (oggi Villa Mosca), e a Piane del Vescovo (attuale stazione), condivise con Basilio e Pompeo Urbani. Le case di Basilio e di Pompeo Urbani erano pur sempre nello spiazzo della Concezione, entrambe di grandi dimensioni. Basilio Urbani, negli spazi contigui alla sua casa, aveva fatto edificare persino un trappeto a macine. Il 2 maggio del 1710, Maria Montani vedova di Rocco Urbani cedette il beneficio (il beneficio consisteva in una piccola cappella, ma anche in un semplice altare, su cui esercitava pieno diritto un proprietario terriero) di San Francesco di Paola nella chiesa della Concezione a Gaspare Bernardi, marito di Maria Antonia Delfico. - Il 24 ottobre del 1723, Giovanni Domenico Urbani vendette gran parte della propria casa a tal Girolamo Santacroce, che però già possedeva una casa sullo spiazzo. Girolamo Santacroce, marito di Eugenia Lupi, apparteneva ad un'antica stirpe aprutina, dotata di stemma gentilizio, scudo sannitico con banda doppiomerlata, accompagnata in capo da una stella a sei raggi in punta, da un crescente. Alla base dello scudo era posta la data "1483", e le iniziali in caratteri gotici di "L.P." Girolamo Santacroce diede inizio ad una raffinata bottega di oreficeria, unica nel capoluogo aprutino. Suo figlio Domenico Antonio, fu argentiere e cesellatore della ricca cornice barocca d'argento del celebre paliotto quattrocentesco di Nicola da Guardiagrele, e cioè l'Antependium, che impreziosisce il nostro Duomo. Egli non proseguì la discendenza della famiglia, e a proseguirla fu suo fratello Diego Santacroce, orefice, figlio di Girolamo e di Eugenia Lupi. Nato nel 1728, Diego Santacroce sposò Chiara Manoja, ed ebbe Francesco Saverio, Eugenia, Ignazio, Domenico Antonio e Cecilia. Morì nel 1812, nel quartiere di Santa Maria. Il figlio Domenico Antonio si sposò con una Naticchia di Frondarola. Cecilia Santacroce (1770-1857), non sposata, attribuì le iniziali "L.P." impresse nello stemma gentilizio al medico Pier Giovanni Santacroce, morto nel 1481, magistrato cittadino, ambasciatore a Napoli. Nel 1815 a Frondarola, da Domenico e Giuditta Naticchia nacque Diego Antonio Santacroce, sposo alla montoriese Gaetana Candelori, padre di Francesco Saverio Santacroce. La famiglia Santacroce decadde, ma non si estinse, abbandonò ben presto la raffinata tradizione dell'oreficeria, e si trasferì in una piccola abitazione in vico del Carminello. I discendenti dovrebbero tuttora esserci in città. - Lo spiazzo della Concezione degli Urbani non fu soltanto abitato dalle famiglie Urbani e Santacroce, ma anche dalla famiglia Forti. Giannascolo Forti, nel '500, accolse a pranzo nella propria casa il vicerè di Napoli, in visita a Teramo dopo la morte della regina Giovanna d'Aragona, regina consorte di Ferdinando I d’Aragona, Re di Napoli. Lo stemma gentilizio dei Forti consisteva in un leone rampante con stella a cinque punte. I Forti, tra l'altro, possedevano un'altra casa ancora in piedi in via Gabriele d'Annunzio, parallela di Corso San Giorgio, attigua alla Galleria "Novecento", dove si può ancora ammirare il bel leone rampante. L'ultimo proprietario di casa Forti a San Bartolomeo fu Giovanni Ascolo Forti, detto "Don Giannàscule", che fu immortalato dal celebre fotografo teramano Beppe Monti sulla soglia della sua bottega. - Furono edificate, a fine '800, le case Adamoli e Salvoni, dove abitò Luigi Savorini (una targa dedicata al bibliotecario e professore Luigi Savorini, nativo di Bologna, è posta nel corridoio del Liceo dove insegnò, proprio il nostro Liceo Classico Melchiorre Delfico) con la moglie, la pittrice Carlotta De Colli di Notaresco. Nelle case dei Giordani, ex Monastero di Santa Chiara, al primo piano abitava la famiglia Tripoti, e al secondo piano la famiglia Lucidi. - Nel 1904, nel largo di San Bartolomeo, fu costruito, su progetto dell’Ing. Gaetano Pignocchi, un gazebo adattato all’uso di pesceria, trasferita poi nella sconsacrata chiesa di Santa Maria a Bitetto, nella vicina via Stazio. - Le antiche vestigia del Teatro dell'Antica Interamnia erano nascoste negli scantinati di casa Santacroce, e le famiglie utilizzavano la scala romana per scendere a prelevare una damigiana. La chiesa di San Bartolomeo oggi sopravvive. I dipinti sono molto ammalorati, per non parlare di un bellissimo e piccolo organo ottocentesco, e delle tre campane. Nel 1959 fu edificato un grande condominio tra via Teatro Antico, via Muzii e via Paris, oggi sede di studi legali, di una pizzeria e di un negozio di elettronica. Per edificarlo furono alienati, il Vico della Nottola, il vicoletto Oscuro di San Bartolomeo, l'antica Rua Acquaria, e tante altre minuscole ruette. Iniziarono ben presto gli scavi che fecero riaffiorare buona parte delle rovine del Teatro dell'Antica Interamnia, e tutti gli edifici che vi insistevano, furono demoliti, ad eccezione della chiesa di San Bartolomeo.


Francesco Di Giuliantonio