Nigrum nuntium 

L'omicidio di Yara Gambirasio

Yara Gambirasio era una tredicenne come tante, con i suoi sogni, le sue passioni, le sue amicizie. Amava la ginnastica ritmica e si allenava con passione e dedizione. Tredici anni fa, però, la sua vita si è spezzata in modo tragico e misterioso. Sparì nel nulla il 26 novembre 2010 e non fece più ritorno, o almeno non come tutti noi speravamo, palpitanti e pieni di speranza di fronte al televisore. Il 26 febbraio 2011, infatti, la terra restituì il suo corpo tumefatto, freddo e senza vita. Di quella ragazzina sorridente non era rimasto più nulla, di quella Yara piena di speranze per il futuro.


La sera della sua scomparsa, Yara si era recata questa volta per motivi casuali al centro sportivo di Brembate di Sopra, piccolo comune bergamasco, che frequentava abitualmente, per riconsegnare uno stereo. Era arrivata in palestra alle 17:30 e si era intrattenuta con le sue compagne e le sue allenatrici. Poi, intorno alle 18:40, era uscita dal palazzetto e si era avviata verso casa. Le ultime notizie sui suoi spostamenti ci vengono fornite dagli agganci del suo cellulare alle varie celle telefoniche; questo accadde fino alle 18:55, orario dal quale la ragazza risulta scomparsa. Yara non arrivò mai a destinazione. Qualcuno la fermò, la costrinse a salire su un'autovettura, la portò in un luogo isolato e dopo averla colpita ripetutamente provocandole un trauma cranico la abbandonò, ancora in vita ed agonizzante, al freddo, lasciandola morire.

Per tre mesi, la famiglia Gambirasio e le forze dell’ordine cercarono senza sosta Yara, sperando di ritrovarla viva. Come si suol dire “la speranza è l’ultima a morire”; eppure alla fine il suo destino si rivelò crudele. 

Il suo cadavere fu rinvenuto da un pilota di aerei ultraleggeri, Silvano Formenti, in un’area agricola tra Brembate di Sopra e Chignolo d’Isola, vicino a un campo di mais.

La caccia all’assassino ebbe inizio e, con essa, una delle più complesse e travagliate indagini della storia italiana. 

Il 5 dicembre 2010 venne fermato Mohammed Fikri, operaio marocchino del cantiere edile di Mapello, dove i cani molecolari avevano fiutato le ultime tracce ematiche di Yara. In quel momento, Fikri era a bordo di una nave diretta a  Tangeri. Ad incriminarlo era stata un’intercettazione in cui l’uomo pronunciava la frase: الله يحميني. Alla fine l’operaio non venne mai arrestato perché si scoprì che l’accusa si fondava su un’errata traduzione di quanto detto dall’uomo. Infatti, quanto pronunciato in realtà significa “che Dio mi protegga”, e non “che Dio mi perdoni”, come avevano erroneamente supposto. L’uomo si rivelò totalmente estraneo ai fatti e si venne a sapere che il viaggio in Marocco era stato organizzato da prima della scomparsa di Yara.

Vorremmo soffermarci sulle condizioni in cui è stato trovato il cadavere, perché ci danno delle indicazioni importanti sul profilo psicologico, sul modus operandi e sul


movente del carnefice. Il corpo di Yara giaceva a terra, ancora vestito, con le scarpe slacciate e un lembo degli slip strappato e penzolante dai leggings. Questo dettaglio potrebbe farci pensare che la vittima sia stata violentata, e che il killer abbia agito con metodo per nascondere eventuali segni sul corpo, o forse per vergogna o rimorso.

L'autopsia ha rivelato numerosi colpi di un oggetto contundente, una ferita profonda al collo e sei ferite da arma da taglio. Non c'erano però segni di violenza sessuale, come a primo impatto si sarebbe potuto supporre, e nessuna ferita mortale. Da ciò deduciamo che a Yara la vita non fu strappata dal suo aggressore, ma dal freddo, dallo sfinimento e dagli stenti. 

Si potrebbe dedurre che il colpevole abbia agito per rabbia, gelosia, vendetta o frustrazione, senza un movente razionale o premeditato. Si potrebbe dedurre che abbia una personalità impulsiva, aggressiva, violenta e instabile, che possa soffrire di problemi psichici o dipendenze, che non abbia una particolare competenza o esperienza criminale; ed ecco spiegato il motivo per cui ha lasciato molte tracce sulla scena del crimine e sul corpo della vittima.


Il caso era sulla bocca di tutti, giornali e programmi televisivi ne parlavano continuamente e l’opinione pubblica era in fermento, la famiglia e l’Italia intera volevano un colpevole. Le indagini iniziarono e fin da subito risultarono inconcludenti; le autorità, pressate dai giornalisti, fecero di tutto per soddisfarli. 

Sui vestiti di Yara, a seguito di approfondite analisi, furono trovate tracce di sangue umano, che però non era suo, oltre a ben 11 DNA differenti, alcuni dei quali scartati in quanto riconducibili a conoscenti e amici. Il frammento di DNA sul quale si sono concentrati i genetisti forensi era stato rinvenuto su un lato delle mutandine e dopo queste prime analisi il DNA risultò di un soggetto sconosciuto alle forze dell’ordine e detto “Ignoto 1”.

Dopo molti mesi venne arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, muratore incensurato, grazie al rinvenimento nel cantiere in cui lavorava di fazzoletti sporchi di sangue. Bossetti soffriva di epistassi, come affermato durante i processi, dunque perdeva sangue dal naso piuttosto frequentemente. Per tutti il DNA era una prova schiacciante e il colpevole era necessariamente lui, se le indagini avevano portato al suo nome. 

Per giungere tuttavia al suo arresto ci furono una serie di intricate vicissitudini. Attraverso l’analisi dell’aplotipo Y del DNA di Ignoto 1 si pensò ad un uomo, assiduo frequentatore di una discoteca piuttosto vicina al luogo del ritrovamento del cadavere di Yara. Anche quest’uomo si rivelò estraneo ai fatti, ma l’analisi dell’aplotipo Y indica la paternità e su questa non ci potevano essere dubbi. Il padre di Ignoto 1 è Giuseppe Guerinoni, di Gorna, deceduto nel 1999. Tramite delle conoscenze, i poliziotti vennero a sapere da un confidente dell’uomo che Guerinoni, molti anni addietro, aveva avuto una relazione extraconiugale. Si è potuto, quindi, giungere alla madre di Bossetti, che nonostante cerchi di rimanere fuori dalla vicenda, sarebbe una signora di Terno d'Isola, Ester Arzuffi, che, con Guerinoni, ha avuto un figlio illegittimo, proprio Massimo. Infine, il collegamento tra la signora e Bossetti è stato fatto tramite l’allele 26, che, poiché non era stato rinvenuto nel DNA di Guerinoni, era stato ereditato dalla madre: questo allele viene anche chiamato “DNA mitocondriale”, ed ha la particolarità di venir ereditato invariato da parte di madre.

Alla luce di queste prove assolutamente schiaccianti e inconfutabili, la Corte di Cassazione decise che «Gli esiti dell'indagine genetica condotta sul dna [...] presentano natura di prova, e non di meno elemento indiziario» (è in realtà una dichiarazione del 2004, che rappresenta un precedente, elemento fondamentale in ambito giudiziario). 

A Bossetti venne confermato il mandato d’arresto e in sede di processo si è sempre dichiarato innocente, alibi che gli venne fornito da sua moglie che dichiarò che il marito era con lei la sera della scomparsa, l’ha dichiarato in tutti i gradi di giudizio ai quali si è appellato. 

Il processo era complicato, le prove erano poche e gli avvocati della difesa si appellarono a varie incongruenze, le stesse che molti estranei alla vicenda, esperti nel campo, fecero notare mentre seguivano da casa insieme al resto degli italiani le indagini. 

La difesa fu autorizzata solo a leggere i resoconti dei test genetici, ma non ad assistervi. Avendo solo un plico di verbali, gli avvocati cercarono approfonditamente e non ci misero tanto ad accorgersi che dai genetisti erano stati usati kit di reagenti scaduti. Quindi, non solo non avevano rispettato severi protocolli scientifici, ma avevano anche corrotto i risultati delle analisi. 

Altra incongruenza era che la traccia di materiale genetico rinvenuta sugli slip di Yara mancava del DNA mitocondriale che, ci teniamo a ribadire, fu la prova che portò all’arresto di Bossetti.

Qui le domande sorgono spontanee: tra tutte le tracce di ignoti rinvenute sui vestiti di Yara, come facevano i Carabinieri a sapere con certezza che la firma del colpevole fosse il frammento di Ignoto 1? Come è possibile che il DNA di Ignoto 1 si trovasse soltanto sugli slip di Yara, e non sui guanti, sul giubbotto, sotto le unghie di Yara o in qualsiasi altra parte del corpo? 

Ma soprattutto: come è possibile che nella traccia di DNA di Ignoto 1 non sia presente il dna mitocondriale, ma solo quello nucleare?

Posto che Ignoto 1 fosse effettivamente Massimo Giuseppe Bossetti, perché nessuno dei campioni aveva presentato un profilo del DNA mitocondriale compatibile con lui? 

La difesa ha richiesto più volte di ripetere l’esame del DNA, ma è stato impedito più volte. La motivazione inizialmente sembrava essere proprio il fatto che il materiale genetico risultasse “esaurito”.

Eppure, il Consulente Casari dichiarò, sotto giuramento in aula a Bergamo: «Avendo preso in carico tutti i dna, che abbiamo ancora in San Raffaele, quindi ovviamente questi sono a disposizione, li abbiamo ancora tutti, non abbiamo finito nessuna aliquota. […] c'è ancora materiale per ulteriori indagini, volendo». Si venne a sapere in seguito che i campioni furono impropriamente spostati dai laboratori del San Raffaele e che durante questo spostamento non furono rispettate le norme che consentono di mantenere invariato il DNA; ad esempio i campioni, che nei laboratori erano tenuti ad una temperatura di -80ºC, furono lasciati a temperatura ambiente. 


Le parole degli avvocati di Bossetti sembravano inutili e l’uomo è stato incarcerato, dichiarato colpevole di omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà; pena: l’ergastolo. Il carcere a vita gli sarà sentenziato a tutti gli appelli. Ma se l’autopsia ci dice che Yara è morta di stenti, perché il capo d’accusa è omicidio volontario? 


Da quel momento l’opinione pubblica, che ha giocato un ruolo non poco influente in questo caso, si è divisa. Nel corso degli anni continuarono ad uscire dettagli e nuove prove, ma Bossetti tuttora continua ad essere considerato il mostro che ha ucciso la piccola Yara. L’uomo dal carcere ha scritto una lettera, indirizzata al giornale Libero, dove dichiarava di sentirsi ancora pressato dai giornalisti. Effettivamente negli anni del processo i giornalisti cercarono così veementemente di interferire con le indagini che fu prodotto dai RIS, in accordo con la procura di Bergamo, un filmato che mostrava il furgone di Bossetti transitare davanti alla palestra di Yara. Ma se non c’erano telecamere per scoprire gli spostamenti di Yara, c’erano per riprendere Bossetti che la rapiva? Ed è una modalità di lavoro ortodossa per queste autorità?

La traccia biologica di Ignoto 1 potrebbe appartenere a Bossetti, così come a qualsiasi altra persona abitasse in zona e frequentasse un cantiere.

E ciò che confondeva anche i RIS era la natura della traccia di DNA nucleare rilevata sull'intimo della ragazza: non si sapeva se si trattasse di sudore, di saliva, di sangue; si sapeva solo che non fosse sperma. 

Come hanno potuto, dunque, affermare che la firma dell'assassino fosse proprio quella traccia di dna, se in primis emerse dall’autopsia che non si era verificata una violenza sessuale? Come può essere diventata una traccia di DNA incompleto la "prova regina"? 


Il caso di Yara Gambirasio è entrato nelle nostre case il 26 novembre 2010 e non ne è mai più uscito. Tutti abbiamo una nostra opinione a riguardo e l’abbiamo discussa con parenti e amici. Come capita sovente in questi casi, gli intrecci sono talmente tanti che forse non si giungerà mai alla verità oltre ogni ragionevole dubbio, ma per il momento, e forse da ora e per sempre, dobbiamo accontentarci della sentenza che vuole Massimo Bossetti come il colpevole. 

Lucrezia Di Filippo

Sofia Machetti

Lorenzo Zuccarini