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Sbarchi di migranti

Dall'inizio dell'anno, sono stati molti gli sbarchi di migranti. Arrivano sulle spiagge del nostro sud Italia, su dei barconi, affrontando un viaggio che forse li condurrà alla morte, per fuggire da una realtà di povertà, guerra o persecuzioni. Queste traversate, che vengono spesso affrontate di notte, partono principalmente dalle coste della Tunisia e della Libia. 

Tunisia

Gli ultimi mesi in Tunisia sono stati caratterizzati da disordine, proteste e malcontento popolare. La tabella di marcia annunciata l’anno scorso dal presidente Kaïs Saïed – incentrata su due tappe fondamentali: referendum costituzionale ed elezioni legislative – si è man mano concretizzata. Il capo di Stato è riuscito dal 25 luglio 2021, in meno di due anni, a concentrare sempre più potere nelle proprie mani e, al contempo, a eliminare dalla vita politica i partiti politici e gli oppositori presenti nel paese. Tuttavia, alcune decisioni hanno irritato fortemente la popolazione e hanno portato i principali sindacati a scendere in piazza e a manifestare contro l’attuale stato delle cose. A ciò si aggiunge la situazione migratoria: "Abbiamo bisogno di finanziamenti e di materiale", la richiesta, ancora una volta rinnovata, è del ministro degli Esteri tunisino, Nabil Ammar. 

La Tunisia è al centro dell'attenzione del governo italiano, che teme un aumento massiccio dei flussi migratori in estate e la conseguente gestione, con gli hotspot sovraffollati, nonché carenti di risorse umane e materiali.

Dal 2014 a oggi, il paese guidato da Kais Saied ha già ottenuto 162 milioni di euro dall'Europa “per sostenere le riforme” e altri 47 milioni per il controllo dei confini dal governo italiano. Il motivo principale addotto come giustificazione è che, come la Libia e la Turchia, anche la Tunisia si trova a "intercettare i migranti" che vogliono partire verso l'Europa: "La Tunisia ha ricevuto molti meno fondi europei per finanziare questa battaglia di altri paesi, come la Turchia", dice oggi Ammar. "Noi siamo un paese di passaggio, la maggior parte dei migranti arriva dai paesi subsahariani. Abbiamo imbarcazioni e mezzi operativi donati dall'Europa e dall'Italia stessa, ma non sono sufficienti e in certi casi ormai vecchi".

Per distogliere l’attenzione dai problemi economici, il governo di Kais Saied sta puntando su una campagna di odio razziale verso i migranti subsahariani, sostenuta su una presunta teoria di sostituzione etnica. È una modalità che va avanti da anni, ma che negli ultimi tempi sta attecchendo, tanto da sfociare in aggressioni xenofobe ai danni dei subsahariani nel paese. Il presidente autoritario Kais Saied ha denunciato l’esistenza di un fantomatico “piano criminale”, orchestrato per “organizzare una grande ondata” di migranti subsahariani nel paese e realizzare una grande sostituzione etnica. Le dichiarazioni di Saied, rilasciate durante una riunione con i consulenti per la sicurezza del paese, sono state pubblicate sul sito della presidenza tunisina e sono l’ultima trovata ultranazionalista che rientra nella deriva dittatoriale della sua presidenza. Menziona anche il rischio di una “trasformazione demografica” del paese per fare della Tunisia “un paese africano, senza alcuna affiliazione ai paesi arabi e islamici”. In Tunisia è in corso da tempo una campagna mediatica che interessa televisioni, giornali e soprattutto social network, dove si diffondono tesi razziste contro i migranti subsahariani.

Per Saied, la campagna di odio razziale è appunto diventata un espediente per distogliere l’attenzione da una situazione economica drammatica e dalle critiche dell’opposizione. Ora però la sua retorica ha raggiunto livelli pervasivi e riscuote consensi. “Purtroppo molti tunisini approvano le parole di Saied, ma davvero: il mio paese non è mai stato questo, nemmeno con Ben Ali”, spiega al Foglio Majdi Karbai, deputato tunisino del partito Corrente democratica, costretto all’esilio in Italia. Ma la teoria ultranazionalista alimenta ugualmente un clima di violenza nei confronti dei migranti. Alcune ong hanno denunciato oltre 300 arresti di immigrati subsahariani solo nell’ultima settimana, arresti che sarebbero stati compiuti nella totale assenza di assistenza legale. L’Italia è spettatore interessato di quanto avviene a poche decine di miglia dalle sue coste. Solo lo scorso anno i tunisini arrivati attraversando il Mediterraneo sono stati 32 mila, la nazionalità più rappresentata negli hotspot del nostro paese.

Secondo il deputato Karbai, l’Italia si è resa corresponsabile delle politiche discriminatorie nei confronti dei migranti perché finanzia in modo cospicuo il regime di Kais Saied: “Dopo l’accordo del 2020 concluso dai due paesi, l’Italia si è impegnata a versare 8 milioni di euro per fermare il flusso dei migranti nel Mediterraneo. Altri 30 sono attesi entro il 2023. La Tunisia è diventata la guardia di frontiera dell’Europa, ma all’Europa non interessa cosa succede alle persone respinte e che restano da quest’altra parte del mare”.

Libia

Nel loro ultimo rapporto presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, il gruppo di esperti della missione Indipendent Fact-Finding Mission on Lybia (Iffm) documenta «un’interminabile serie di violazioni dei diritti umani perpetrate sia contro i libici che contro i migranti», che evidenziano una «situazione terribile nel paese». «Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che siano stati commessi crimini contro l’umanità in Libia», ha affermato la commissione d’inchiesta. Dall’inizio del loro mandato nel 2020, gli investigatori hanno raccolto più di 2800 interviste a testimoni e vittime. «In questi tre anni le violenze si sono moltiplicate – ha spiegato Mohamed Auajjar, capo della Iffm – la missione ha documentato casi di detenzione arbitraria, omicidi, torture, stupri, schiavitù sessuale e sparizioni forzate, confermando pratiche diffuse e violenze in tutto il paese». Per la prima volta la missione aggiunge quello che 

molti migranti, soprattutto donne, riferiscono nei loro racconti all’arrivo in Italia o in altri paesi europei: la schiavitù sessuale che si aggiunge all’elenco delle violazioni dei diritti umani. «La missione si rammarica che queste vittime di crimini efferati siano state, oltre a uomini e donne, bambini e minorenni che hanno un disperato bisogno di protezione», ha affermato Auajjar. Secondo le testimonianze di numerosi migranti detenuti nei centri di Maya, Ayn Zarah e Gharyan, «la loro preoccupazione non era morire nelle acque del Mediterraneo, ma tornare nella prigione dove profughi e migranti sono oppressi e torturati dalle guardie». «Le donne migranti vengono regolarmente stuprate come prassi usuale nei centri di detenzione – ha spiegato Tracy Robinson, membro della missione – abbiamo riscontrato anche casi di schiavitù di persone vendute a soggetti esterni per svolgere vari servizi, con un’infinità di segnalazioni che non eravamo stati in grado di stabilire nei nostri precedenti cicli di monitoraggio». Le Nazioni Unite hanno, inoltre, documentato numerosi casi di collusione fra le autorità libiche, gruppi armati nominalmente integrati nelle forze di sicurezza e organizzazioni criminali perché «lo sfruttamento dei migranti è indubbiamente fra i business più lucrativi dell’economia di guerra della Libia».                                                                       Presentando il rapporto, Mohamed Auajjar ha affermato che l’assistenza dell’Ue alle autorità libiche, «ha aiutato e incoraggiato la commissione di questi crimini, compresi quelli contro l’umanità», visto che «molti migranti, alcuni dei quali avrebbero potuto ottenere asilo, sono stati fermati, detenuti e sbarcati in Libia con l’unico scopo di impedirne l’ingresso in Europa, a corollario della politica europea sull’immigrazione».                              Riguardo alla presentazione del rapporto la Commissione europea ha affermato di aver preso le accuse «molto sul serio», pur sottolineando che il lavoro in Libia è stato svolto in coordinamento con le agenzie delle Nazioni Unite, confutando le accuse secondo cui l’Ue pagherebbe pur di trattenere i migranti in Libia. Da parte sua il governo di Tripoli ha respinto il rapporto e, attraverso il ministero degli esteri, ha invitato «la missione delle Nazioni Unite a presentare alle autorità le sue informazioni sulle vittime di violenza e schiavitù sessuale o sulle accuse di connivenza con i trafficanti».






Rachele Malizia