Caro Joseph Arthur de Gobineau... le "razze" non estistono!!!

Eh sì…siamo tutti uguali anche se diversi.

Lo hanno dimostrato gli scienziati, attraverso studi genetici approfonditi: tutti gli esseri umani appartengono ad un’unica razza, hanno tutti lo stesso DNA; le differenti caratterizzazioni dei tratti somatici sono semplicemente sfumature nate per necessità evolutive, dovute al doversi adattare a particolari situazioni ambientali.

Come diceva il genetista Richard Lewontin, le razze esistono solo nella testa e nell’immaginazione di noi uomini e sono frutto di una classificazione mentale che si basa sul considerare “diverso” tutto ciò che non ci assomiglia.

Nel mondo certo ci sono svariate tipologie umane e nella vita quotidiana ci risulta semplice fare delle classificazioni: esse, tuttavia, devono servire unicamente a facilitare l’individuazione geografica di provenienza delle varie popolazioni e non ad affermare la “naturale superiorità” di un’etnia rispetto alle altre.

La diversità per me è un concetto semplice e “naturale”: tutti in fondo siamo diversi gli uni dagli altri.

Le differenze, esaltano le individualità ma possono anche unire, a patto che tutti ci impegniamo a capire che non c’è un modo giusto o sbagliato di essere o di comportarsi e che si può sempre imparare dagli altri.

Le differenze, esaltano le individualità ma possono anche unire, a patto che tutti ci impegniamo a capire che non c’è un modo giusto o sbagliato di essere o di comportarsi e che si può sempre imparare dagli altri.

Sicuramente le differenze possano anche spaventarci o metterci a disagio, perché ci costringono a confrontarci con qualcosa in cui non ci identifichiamo e che può far emergere le nostre insicurezze o debolezze. Tale confronto, invece, arricchisce le nostre conoscenze, aiutandoci a modificare o consolidare le nostre opinioni. La diversità, perciò, ci deve far riflettere e spingerci verso l’accettazione, la tolleranza, la collaborazione.

Ben diverso è il concetto alla base del razzismo e della discriminazione: essi strumentalizzano l’idea di diverso, facendola diventare il fondamento dell’allontanamento, dell’esclusione ed addirittura della persecuzione.

Vari sono gli esempi nella storia, ma anche nel quotidiano, di discriminazione verso persone, gruppi o addirittura intere razze da parte di soggetti che, credendosi superiori, pensano di poter imporre le proprie idee e le proprie abitudini anche con la forza, calpestando, umiliando e perseguitando gli altri sino a privarli, nei casi più estremi, addirittura del bene fondamentale della vita.

La discriminazione ha origini remote: la troviamo nell’Antica Grecia e a Roma, dove si poteva avere la proprietà di un altro essere umano; la troviamo nelle epoche delle grandi scoperte geografiche del XV e XVI secolo e del colonialismo/imperialismo del XIX secolo, nelle violenze compiute dai colonizzatori nei confronti dei popoli colonizzati, considerati inferiori perché primitivi e meno civilizzati.

Così come, successivamente, la ritroviamo nell’orrore dell’olocausto, dello sterminio del popolo ebreo durante la Seconda Guerra Mondiale.

La discriminazione ed il pregiudizio sono, invece, figlie della paura e dell’ignoranza: il pregiudizio induce le persone a distorcere, mal interpretare o ignorare la realtà quando questa è diversa da quella a cui si è abituati o che ci si aspetta.

Gli stereotipi non sono innati ma sono trasmessi dalla società in cui viviamo, dalla famiglia o dal gruppo di appartenenza; sono “scorciatoie” utilizzate per difendere il gruppo stesso. Proprio perché non basati su una conoscenza reale, i preconcetti diventano il principale ostacolo alla coesione ed alla scoperta del variegato mondo che ci circonda.

Ecco perché i bambini non emarginano, non escludono, giudicano secondo le loro idee libere e personali: a loro non importa chi nella società debba sentirsi il più forte e il colore della pelle è solo una diversa sfumatura di uno stesso colore.

Perciò mi auguro che, per una volta, gli adulti siano capaci di imparare dai bambini a “vedere” le differenze ma a non “catalogarle” nella mente come qualcosa da evitare, rifiutare o da cui difendersi, ma come qualcosa da scoprire, conoscere e magari da imitare.


                                                                             Giorgia D'Ambrosio