Quando si parla di aldilà, di defunti, di presenze sottili,
si entra in un territorio delicato.
C’è chi sente,
chi vede con l’occhio interiore,
chi percepisce parole, immagini, sensazioni.
Queste esperienze esistono da sempre e non vanno né ridicolizzate né idolatrate.
Ma sentire qualcosa non significa automaticamente sapere cos’è.
Nel lavoro interiore il punto non è stabilire se ciò che emerge sia “assolutamente vero” o “solo mente”.
Il punto è come ci si sta dentro.
Esiste un confine sottile tra ascolto profondo e illusione.
E quel confine è sacro.
Per questo, nel mio modo di lavorare, non cerco prove dell’invisibile
e non prometto contatti con i defunti.
Non forzo messaggi,
non evoco presenze,
non trasformo le percezioni in verità da affermare.
Ascolto ciò che emerge,
senza interpretarlo a tutti i costi.
Perché a volte ciò che arriva è simbolo,
a volte è risonanza,
a volte è memoria,
a volte è semplicemente un movimento del campo.
Il contatto autentico, quando accade,
non crea dipendenza,
non chiede di essere rincorso,
non consola a ogni costo.
Lascia spazio,
lascia quiete,
lascia integrazione.
Il centro del lavoro non è “là dove sono i morti”,
ma qui dove sono i vivi.
Accompagnare significa rafforzare chi è presente,
non trattenere chi è oltre.
Significa rispettare i confini,
perché anche il limite è una forma di cura.
Sentieri Interiori non offre certezze assolute
né alimenta illusioni.
È uno spazio di consapevolezza,
dove l’invisibile viene ascoltato
senza essere usato.
Perché non tutto ciò che si percepisce va spiegato.
E non tutto ciò che guarisce
ha bisogno di una definizione.