Ci sono lavori che non sono solo “faticosi”.
Sono pesanti in ogni senso: fisicamente, mentalmente, emotivamente.
Non è solo questione di alzarsi presto o di fare turni lunghi… è il carico che portiamo ogni giorno sulle spalle e dentro il cuore.
È il peso di un ambiente carico di tensioni.
Di colleghi nervosi, pazienti o clienti difficili.
Di carichi di lavoro che sembrano non finire mai.
È la stanchezza di dover sorridere quando dentro vorremmo solo respirare un momento di silenzio.
"E poi c’è chi, come me, lavora a stretto contatto con la fragilità e la malattia: odori forti, sangue, ferite, urine, feci. Malattie infettive che mi ricordano ogni giorno quanto il corpo umano possa essere vulnerabile.
Situazioni che non tutti possono immaginare, ma che diventano la quotidianità."
Molti restano in questi contesti anche per bisogno: lo stipendio fisso diventa la sicurezza che permette di andare avanti, mentre magari si coltiva nel cuore una passione diversa, un sogno che un giorno si vorrebbe trasformare in lavoro.
Eppure… proprio qui, tra queste prove, si nasconde un insegnamento prezioso.
La forza non è resistere a tutto stringendo i denti, ma trovare modi per non lasciarsi svuotare.
Proteggere il proprio spazio interiore diventa una necessità, non un lusso.
Un respiro profondo prima di entrare, per dirsi: “Porto luce, ma non mi lascio spegnere”.
Una barriera invisibile di luce che avvolge, per tenere lontane le energie pesanti.
Un rituale di scarico a fine turno: una doccia, una passeggiata, o anche solo lavarsi le mani con la consapevolezza di “lasciare andare” ciò che non appartiene.
E soprattutto, ricordarsi perché lo si fa: per dare dignità, per alleviare, per essere presenza quando serve.
Non tutti possono farlo. Non tutti vogliono farlo.
Ma chi lo fa porta dentro di sé una forza silenziosa, che forse non si vede… ma c’è.