La Takahashi si racconta (seconda parte)

Il nostro "viaggio autobiografico" si conclude con due interviste a Rumiko Takahashi rilasciate molto di più di recente per il pubblico francese. In occasione della vittoria del Grand Prix del Festival del fumetto di Angoulême, nel dicembre del 2019 una delegazione del Festival è giunta in Giappone per filmare un'intervista speciale, che è stata trasmessa in anteprima il successivo 30 gennaio per poi venire pubblicata sul sito della manifestazione. Traduzione di Akane83.

"Avevo due fratelli maggiori e spesso giocavamo insieme all'aperto", ricorda la Takahashi. "Ma, soprattutto, io adoravo disegnare. Ho l'impressione che non facessi che quello. Mio padre era un medico privato, e sui sacchetti dei medicinali che dava ai pazienti, lui disegnava dei Kappa (creature mitologiche giapponesi). Faceva questo genere di disegni e io cercavo di imitare quello che lui mi passava. Erano dei disegni molto semplici, per lo più tracciati con un solo tratto. Facile da comprendere per dei bambini, questo genere di disegni. I miei fratelli compravano dei manga e siccome ne avevano a casa, li leggevo. I manga di Fujio Akatsuka, Fujio Fujiko, o ancora di Osamu Tezuka, sono stati i primi che ho amato. All'epoca, avevo la sensazione che i disegni animati fossero qualcosa che avrei voluto vedere al cinema. Da parte mia, io leggevo soprattutto alcuni manga, e quelli di Osamu Tezuka erano i più numerosi. Sulla locandina del festival, ho messo molti dei personaggi del manga "Osomatsu kun" di Fujio Akatsuka. Ricopiavo spesso i suoi disegni. Infatti, imitavo gli autori che amavo."

Si dice spesso che i suoi mangaka preferiti siano Shinji Mizushima e Ryoichi Ikegami. Come li ha scoperti?

Da bambina avevo cominciato a leggere il settimanale Shonen Sunday, nel quale erano pubblicati Fujio Akatsuka, Fujio Fujiko e ancora Osamu Tezuka. È su queste pagine che ho scoperto Shinji Mizushima, quando si è aggiunto alla rivista. Ho quindi iniziato a leggere Ryoichi Ikegami e Shinji Mizushima. Un po’ più tardi, verso l'età di 10 anni, ho scoperto Ryoichi Ikegami sulla rivista Garo. Una copia girava nella sala d'attesa di un medico otorinolaringoiatra e, sfogliandolo, sono stata impressionata dal lavoro di Ryoichi Ikegami. All'epoca, quando ho cominciato a leggere i suoi manga, i suoi disegni mi sembravano, come dire… per esempio, quando disegna delle donne, la loro pelle sembra così dolce, e questo è reso semplicemente da un disegno a matita. La texture della pelle era bella, le storie sono assurde, ma sono stata sedotta dai suoi disegni. È per questo che compravo Garo, volevo leggere i manga di Ryoichi Ikegami. E dentro Garo, certamente, Yoshiharu Tsuge era geniale. Anche fuori Garo tutti lo conoscevano. Quando ero al college e al liceo, Go Nagai disegnava manga dai generi molto differenti. Ma ha sempre mantenuto il suo stile, lo stile Go Nagai, che si riscontrava sia nelle storie comiche sia in quelle serie. È una qualità che ammiravo. Anche io aspiravo a diventare una disegnatrice con uno stile unico, non importava il genere. I manga che disegnavo subito dopo le scuole primarie, e quelli dei miei inizi professionali, sono evidentemente molto diversi. Agli inizi disegnavo solo dei yonkoma (strisce verticali in quattro riquadri). Arrivata al liceo, ho proposto ad una rivista il mio primo vero manga narrativo. Il mio obiettivo era avvicinarmi il più possibile allo stile di Ryoichi Ikegami, anche se, alla fine, non ne aveva niente a che vedere. Ma il disegno se ne era ispirato. Più io disegnavo, più integravo influenze differenti. Allo stesso tempo, il mio stile ne è stato leggermente modificato, ma la base resta innegabilmente quella di Osamu Tezuka. Successivamente si è mischiato un poco con quello di Shotaro Ishinomori.


Il mangaka Testuya Chiba sembra averla ugualmente segnata. Ce ne può parlare?

Da quando ero piccola, io leggevo quasi unicamente i manga di Chiba, e li adoro. Quando ha radicalmente cambiato stile con "Ashita no Joe", sono stata sorpresa. I manga di Tetsuya Chiba non si indeboliscono nel tempo. Da bambina mi impressionavano, da adulta mi impressionano lo stesso. Il suo talento è sorprendente e lo rispetto profondamente.


Quando ha deciso di diventare una mangaka?

Deve essere stato durante le vacanze di primavera, tra la fine della scuola e l'inizio del college, che mi sono comprata per la prima volta una penna. È probabilmente in quel momento che ho considerato di diventare una mangaka. Era solo un sogno, tuttavia inviavo i manga che disegnavo a delle case editrici. È solo più tardi che mi sono veramente decisa a diventare una mangaka, quando ero al primo o secondo anno di università. Stranamente, penso sia il manga che ho inviato al liceo quello che ha determinato il mio destino.


Quando ha pubblicato le sue prime storie?

Tra il secondo e il terzo anno di università, durante le vacanze di primavera, ho disegnato un manga che ho inviato ad un concorso fumettistico ed è stato selezionato. È così che ho cominciato, o piuttosto, che mi hanno pubblicato per la prima volta. Per fortuna, il mio manga è apparso nel Shukan Shonen Sunday e le cose si sono incatenate a partire da lì. Siccome ero una studentessa, disegnavo parallelamente ai miei corsi all'università. Per Urusei Yatsura ho disegnato i primi 5 episodi durante le vacanze estive, perché era previsto che la serie si fermasse così. In ogni periodo di vacanza ne approfittavo per disegnare una bozza di una serie da 10 episodi, o delle storie brevi per il Sunday ad esempio. Mi organizzavo così. All'università andavo ai corsi al mattino, e lavoravo sui miei manga la sera. Questo poteva essere molto stancante. Lo avevo confidato ad un responsabile dell'editoriale del Shonen Sunday, a cui mostravo i miei intagli. Era un periodo stimolante, e non accusavo veramente la fatica. Si organizzavano per evitare ripercussioni sui miei studi, e io disegnavo ininterrottamente nei weekend e durante le vacanze. Con sorpresa, ho raggiunto i miei obiettivi. Non avevo bisogno di saltare i corsi, andavo bene all'università. Non mi è mai stato chiesto l'impossibile, la cadenza era ragionevole.


Come è nato Urusei Yatsura?

Ho frequentato il corso "Gekiga Sonjuku" di Kazuo Koike. E nel suo corso, uno degli esercizi consisteva nell'inventare una nuova trama a settimana. Ho anche accumulato numerosi scenari, che ho poi utilizzato per Urusei Yatsura. Ammiravo i romanzi di Yasutaka Tsutsui o di Kazumasa Hirai, autore della serie "Wolf Guy". Mentre leggevo, mi sono detta che sarebbe stato interessante combinare degli elementi di science fiction con altri del mondo contemporaneo. Mi sono detta, come dire… che sarebbe stato interessante adottare non solo un tratto manga, ma un disegno vicino a un gekiga (genere di manga con un disegno più realista e meno caricaturale). All'inizio volevo fare di Urusei Yatsura una serie di fantascienza, una sorta di sci-fi comico, ma leggendo la posta dei lettori ho capito che erano più interessati alle relazioni tra i personaggi, e allora ho sviluppato questo aspetto. Come è cominciata appieno la mia carriera, la serie si sarebbe dovuta concludere dopo cinque capitoli. Con stupore, il manga ha avuto più successo del previsto. Nonostante tutto, non mi è mai stato chiesto "Interrompi gli studi per disegnare". I loro discorsi erano piuttosto "Disegna quando puoi", "Ma se tu disegni, disegna Urusei Yatsura". Una volta conclusa l'università, io mi sono potuta consacrare totalmente al manga Urusei Yatsura e allora è divenuta una serie regolare. Quindi va bene. Quando Urusei Yatsura è divenuta una serie regolare, ho introdotto un nuovo personaggio, Mendo, per donare una nuova dinamica alla storia. È stato il mio editore ad avermi consigliato di introdurre un nuovo personaggio. Lo stile non è molto cambiato, poiché è una storia soprattutto del quotidiano, a cui si è aggiunto un elemento esterno. E così è rimasto Urusei Yatsura.

Urusei Yatsura è durato molto tempo per essere una prima opera. Quale esperienza ha ottenuto da questi 30 volumi?

Per essere onesta, disegnare Urusei Yatsura richiedeva apprendimento costante. Il mio editore mi ha insegnato molto. Per esempio insisteva molto sul carattere critico delle scene di apertura. Detto così sembra ovvio, ma non ne avrei potuto prendere coscienza senza questa spiegazione. Mi spiegava anche come fare evolvere l'ambientazione di una serie in corso d'opera, facendo intervenire nuovi personaggi che apportavano un'altra dimensione. Questo genere di dettaglio, o ancora la maniera con la quale sopprimeva le parti inutili alla storia, era un apprendimento quotidiano. E, poco a poco, ho trovato il mio ritmo. È una buona cosa che Urusei Yatsura sia durato nel tempo. Io penso che questo manga abbia giocato un ruolo importante nello sviluppo delle mie attitudini come mangaka.

Prima i manga raccontavano soprattutto delle grandi epopee, come quelle di Tezuka. Ma con il successo di Urusei Yatsura i manga centrati sui personaggi, che erano in minoranza, hanno incominciato ad essere di moda.

Dopo tanto tempo, i personaggi sono divenuti importanti nei manga. I manga comici, come quello di Fujio Akatsuka, si basano esclusivamente sui personaggi. È lo stesso per Osamu Tezuka, che ha sviluppato il suo star system, anche là i suoi personaggi sono centrali. Ci sono molti esempi di questo genere. La trama è importante, ma per me la reazione dei personaggi può esserlo ancora di più.


Non è stato inquietante lanciare un grosso progetto come Maison Ikkoku in parallelo a Urusei Yatsura?

Quando il responsabile secondario editoriale di Urusei Yatsura è stato cambiato, mi ha chiesto se fossi interessata alla nuova rivista che stavano per lanciare. In quel momento i miei studi toccavano la loro fine, e per diventare una professionista era giusto accettare il lavoro. È per questo che ho accettato. Siccome era una rivista per giovani adulti (seinen), ho immaginato un manga che si rivolgesse a lettori più grandi di quelli di Urusei Yatsura. Io volevo scrivere una storia che si svolgesse in un residence. Ho mostrato qualche bozza al mio editore e lui mi ha dato l'ok per cominciare. Siccome era una rivista mensile, all'inizio, il carico di lavoro supplementare non era così pesante. Dopo i miei studi la rivista è diventata bimensile, ma io continuavo a lavorare con il mio ritmo. Siccome i due manga erano differenti, ho trovato una forma di equilibrio. Lavorare su delle gag mi invogliava a disegnare una storia romantica come Maison Ikkoku, e viceversa. Era un ritmo privo di stress, un modo gradevole di creare.


Come le è venuta l'idea di questa pensione, l'Ikkoku-kan?

Dietro l'immobile della mia camera da studente, prima ancora che cominciassi la mia carriera, si trovava un edificio strano, simile alla Maison Ikkoku. Una finestra a vetri rotta lasciava intravedere delle pile di libri. Alla finestra situata sopra l'ingresso principale, c'erano spesso una maschera e dei guanti da kendo ad asciugare. Era strano. Mi sembrava fosse una residenza universitaria. Davanti a casa mia c'era un camino che era collegato ad una via che dava verso l'esterno. Dall'estremità di questa via con l'interno della residenza comunicavano con i walkie talkie. Si sentivano così distintamente che mi sono detta: "I walkie talkie non servono a niente!", "Non fanno che urlare". Era divertente.


Tutti i personaggi qui sono eccentrici. Quali sono le sue fonti d'ispirazione?

Onestamente non ci sono dei modelli. Sono dei personaggi che ho totalmente inventato da zero. Quando mi hanno domandato come li avessi creati, non sapevo davvero cosa rispondere. Mi sono detta che questo genere di personaggi potevano esistere, e ho provato ad immaginare le loro vite. Progettare il loro universo mi interessava. È il mio modo di creare personaggi. Quell'epoca era in piena transizione. Non sono ricchi, ma non sono più alla base della scala sociale. Il mestiere di alcuni rimane un mistero. Evidentemente una classe agiata non viveva in questo tipo di residenza, ma l'ambiente non è più così povero. A quell'epoca, la qualità della vita in Giappone andava migliorando rapidamente, ma mi dicevo che questo genere di vita potesse essere ancora possibile. Era quello che mi sembrava.

Qual è il suo personaggio preferito di Maison Ikkoku?

Amo tutti i personaggi. Ma è vero che apprezzo particolarmente l'eroina, Kyoko. Quando l'ho disegnata per la prima volta nello storyboard, ho realizzato che non era come me l'ero immaginata all'inizio. Ho provato qualcosa di particolare, era strano. Disegnandola, ho scoperto le diverse sfaccettature della sua personalità. Non è solamente la ragazza ideale e ammirata da tutti. È persino capricciosa. È una persona con i suoi difetti, ma è questo che la rende ancora più toccante. Volevo che i lettori la percepissero così, era quello che mi dicevo disegnandola. Ho quindi molto affetto per questa eroina.


Perché ha scelto una vedova come eroina?

Io volevo che l'amministratrice di questa residenza fosse una vedova perché questa situazione apriva a numerosi rimbalzi drammatici. In una prima versione, Kyoko aveva un carattere più deciso. A partire da lì, la sua personalità si è evoluta, ma il suo stato di vedova è rimasto.

Dà importanza ai nomi dei suoi personaggi?

I nomi sono importanti. Se non vanno bene, dare vita ai personaggi diventa in seguito molto complicato. Perché quando un nome è scelto, non lo si può più cambiare. Faccio quindi molta attenzione quando rifletto sui nomi, per non ingannarmi.


Che cosa ha appreso da questa prima serie per giovani adulti?

Nel caso di Urusei Yatsura ogni episodio era indipendente, e si susseguivano così. È anche il caso di Maison Ikkoku, ma rispetto a Urusei Yatsura la narrazione è più importante, proprio come la vita quotidiana dei personaggi. Volevo veramente privilegiare questo aspetto disegnando questo manga. Per questo ho cercato di comprendere a fondo le differenze tra queste due storie. Io penso che il manga shonen rappresenti il sogno, mentre il manga seinen è piuttosto dentro la realtà, o dentro al quotidiano, senza esagerazioni. Anche se il protagonista di Urusei Yatsura, Ataru, è così come lo conosciamo, ha comunque il suo ideale e la sua giustizia. Ma i colpi di scena che fanno trasalire il pubblico sono tipici degli shonen, con delle esternazioni esagerate. Ma per me tutto questo rappresenta il sogno. Facendo un confronto, Maison Ikkoku descrive bene una vita vera.


Con Ranma 1/2 ha cambiato completamente mondo e pubblico. Come mai?

Dopo tanto tempo, avevo voglia di disegnare un manga come Ranma dove la storia si svolgeva in una scuola con delle scene d'azione. Amavo molto il film "Drunken Master" di Jackie Chan, e volevo disegnare qualcosa di quel tipo. Volevo disegnare una sorta di manga kung fu comico. Poi, il cambiamento di genere di un personaggio. Combinando i due aspetti, questo espande il numero di possibili storie e permette di disegnare diversi costumi. Quando è lo stesso personaggio che può diventare uomo o donna, disegnare le differenze di genere è divertente. Se lui cambia di genere, anche se indossa gli stessi vestiti, come la forma del suo corpo cambia, anche il modo di portarli cambia. Quando ero alla scuola media o alle elementari, non ricordo quando esattamente, il mangaka Hikaru Yuzuki disegnava un manga su questo soggetto ed era molto divertente.


In Ranma 1/2 si osserva una certa forma di erotismo: lei non ha esitato a mostrare i suoi personaggi nudi e crudi...

C'era un romanziere che leggeva Ranma 1/2 con i suoi figli piccoli. E i suoi figli non comprendevano i momenti o i personaggi che cambiavano di genere. Se non si comprende questo, la storia non funziona più. È per questa ragione che ho dovuto disegnare le scene di nudo.

Quale scena l'ha maggiormente colpita, fatta ridere o commuovere in Ranma 1/2?

Io amo gli episodi ridicoli di cui nessuno si ricorda. In generale, mi divertiva veramente disegnare Ranma. Amo particolarmente l'introduzione dove spiego come le cose siano arrivate a quel punto. Penso di essere riuscita a rendere comiche queste spiegazioni. Quando riesco a mettere a punto una base, i personaggi si animano da soli. È così che lo sento.


Ha fin dall'inizio un'idea chiara di come si concluderanno le sue serie?

Quando comincio una serie, non penso mai alla sua conclusione. Questa domanda mi si presenta solo due o tre mesi, anche sei mesi prima della conclusione. Ma non ci penso all'inizio, perché capita a volte che una serie abbia un volume in più di quelli previsti e ci si arriva strada facendo.

Come mai la serie di Inuyasha ha intrapreso una nuova direzione?

Per Inuyasha sono partita da un genere di shonen che ammiro dall'infanzia, quelli che mettono in scena dei combattimenti con la sciabola e degli youkai (creature soprannaturali della mitologia giapponese), come Dororo di Osamu Tezuka. Ma in una recente intervista, al momento di rispondere, ho realizzato che più che Dororo, è stato Hakkenden (una saga di samurai classica) ad avermi colpito. Hakkeden mi ha ispirato di più. Era il genere di avventura che volevo disegnare. Fino ad allora, non avevo disegnato che delle commedie. Per Inuyasha non ho provato il bisogno di disegnare scene comiche e ne ero sollevata. Sono stata felice di utilizzare delle grandi tavole. Questo mi ha portato a riflettere sull'impaginazione. È uno stile di manga che mi piace veramente e che mi ha reso orgogliosa di provarci.


A proposito di questo stile, cosa ne pensa delle opere di Shigeru Mizuki?

Devo avere tutti i suoi libri, e li adoro. È Shigeru Mizuki che ha reso popolari gli youkai in Giappone. Io penso che quelli come me, che disegnano degli youkai al giorno d'oggi, non dovrebbero basarsi sulle stesse fonti. Mi sono sforzata di disegnare degli youkai che Shigeru Mizuki non avesse già rappresentato. Perché in Giappone ci sono molti libri che parlano di youkai, come delle antologie. E sul Jigoku Ezu ci sono queste tavole buddiste che rappresentano l'inferno. È da lì che ho tratto la mia ispirazione.


Rinne conserva il tema del folklore giapponese ma con un tono più leggero. Quale era la sua intenzione?

Sono tornata ad un registro più leggero perché Inuyasha era una storia seriosa. Piuttosto che continuare sulla stessa strada, ho voluto cambiare. E poi amo molto le feste legate ai cambi di stagione. Volevo fare di nuovo qualcosa di questo genere. La reincarnazione era non un concetto, ma piuttosto un punto di partenza. E poi volevo disegnare dei fantasmi vittime di morti insignificanti, gente sfortunata, niente di troppo serio. Volevo tornare ad una trama che si potesse leggere senza rifletterci troppo sopra.


La sua nuova serie, Mao, sta per uscire anche in Europa. Può presentarla brevemente?

La serie di Mao si sviluppa in differenti epoche della storia del Giappone. L'era Heian è la più antica, l'era Taisho che risale a centinaia d'anni, e il mondo contemporaneo. Numerosi avvenimenti hanno luogo in ogni epoca, o piuttosto degli enigmi, perché è un manga che fa crescere la suspence. Ho molto piacere a disegnarlo, ho disseminato qua e là degli enigmi, ma non ho ancora riflettuto sul seguito, questo mi fa focalizzare l'attenzione sui misteri. È divertente disegnare mentre rifletti alle risposte che bisognerà trovare. E siccome questo manga si sviluppa su più epoche, vario l'estetica, e anche questo mi piace. Di tutto cuore, mi piacerebbe che lo leggeste.

In quello stesso periodo la Takahashi rilasciò un'ulteriore intervista a Le Figaro, che abbiamo pensato di riportare di seguito, ad integrazione e conclusione di quest'approfondimento.


Intervista del 28 gennaio 2020 a cura di Valentin Paquot. Traduzione di Kuno Senpai.

Originale: https://www.lefigaro.fr/bd/rumiko-takahashi-je-vis-et-je-respire-manga-20200128


Rumiko Takahashi: il suo nome risuona con rispetto tra tutti i fan della nona arte giapponese, e non è stata perciò una sorpresa vederla consacrata con la vittoria del Gran Premio di Angoulême del 2019. È stato più sorprendente avere l'opportunità di intervistarla, con l'occasione della casa editrice Glénat (che ha già portato in Francia i manga di Ranma e Urusei Yatsura) la quale ha appena annunciato la pubblicazione di Mao a partire da luglio. Gli occhi le brillano e la Takahashi pone tante domande quante sono le risposte che dà, tradendo una curiosità insaziabile. Comprendiamo come mai la sua immaginazione sembri infinita. Per lei la vita è fonte di ispirazione e sapeva fin da giovanissima che sarebbe diventata una mangaka.

Cosa le ha fatto venir voglia di diventare una mangaka?

Da bambina leggevo molti manga, si potrebbe dire che vi ero immersa. Quindi è avvenuto tutto in modo molto naturale. Non è stata una rivelazione o uno shock, ma più un qualcosa che è maturato nel corso delle mie letture.


Nelle sue opere include spesso riferimenti ad altri manga.

Lo facevo spesso quando ero giovane e un po' meno frequentemente oggigiorno. In generale mi interessa citare frasi ed espressioni che siano riconoscibili da tutti, passaggi che hanno segnato i lettori. Mi piace interfacciarmi con i lettori tramite la loro cultura generale legata ai manga.


Quali sono le sue principali influenze?

Più che un'opera preferisco citare i seguenti autori, che costituiscono delle figure essenziali nel mondo dei manga: Osamu Tezuka, Fujio Akatsuka e Fujiko Fujio. Queste sono le maggiori influenze che ho avuto.


È consapevole di essere diventata a sua volta un punto di riferimento per i giovani autori?

Non riesco a posizionarmi allo stesso livello dei tre autori che ho citato. Sono delle divinità del mondo dei manga. Mi limito ad essere felice di far parte del loro stesso mondo, di poter lavorare come mangaka.


Ha la reputazione di rispettare sempre i tempi di consegna delle sue tavole. Qual è il suo segreto?

Innanzitutto il manga costituisce parte integrante della mia vita. Vivo e respiro manga. La mia vita quotidiana è scandita dal manga. Questa è la mia massima priorità. Inoltre amo disegnare e inventare storie, e lavoro senza avere l'impressione di lavorare, di dovermi sforzare in alcun modo. In un certo senso rispetto le scadenze senza farlo apposta.


Descriva la sua settimana tipica.

Per i primi tre giorni lavoro da sola sullo storyboard. Una volta terminato, chiamo il mio editore per discuterne assieme a lui. L'editore arriva intorno alle 23:00 mentre procedo con il mio lavoro serale, e approva lo storyboard oppure mi fa delle osservazioni. A questo punto proseguo fino al mattino e vado a dormire solo a giornata inoltrata. Poi seguono due giorni dedicati all'inchiostrazione e alla finitura delle tavole, ed è allora che le mie assistenti vengono nel mio studio. Di solito arrivano intorno alle 20:00 e lavoriamo fino al mattino. Io sono l'unica a lavorare sui personaggi: lo faccio durante il giorno, prima del loro arrivo. Le assistenti si prendono cura degli sfondi e di parte dell'inchiostrazione.


Lei disegna principalmente commedie romantiche. Preferisce la commedia o il romanticismo?

Anche quando realizzo delle storie serie, vi aggiungo degli elementi di amore e romanticismo. Quindi, se dovessi davvero scegliere tra amore e commedia, prevarrebbe l'amore. Ma per me sono entrambi essenziali.


È una fan di Shinji Mizushima e del suo Abu-san (serie manga sul baseball) ma anche di Mitsuru Adachi. Cosa le piace particolarmente delle loro opere?

Mizushima-sensei è uno dei pionieri del mondo dei manga sul baseball e sullo sport in generale. Mi sa di aver scoperto il baseball grazie al suo manga, prima ancora di vederlo in televisione. Quello che mi piace del suo lavoro sono i personaggi che sviluppa e la ricchezza dell'universo che vi costruisce attorno. Nel caso di Adachi-sensei, mi piace molto la morbidezza dei suoi personaggi e dell'universo che crea, da un punto di vista sia grafico che logico. Ha anche un talento incredibile per la gestione dei tempi, dei ritmi. Nutro una grande stima per questi due autori.


Parliamo di Urusei Yatsura. Lamù sarebbe dovuta comparire solo per un capitolo, ma ne è diventata rapidamente la protagonista a spese di Ataru.

In realtà la prima stesura del manga si sarebbe dovuta svolgere in soli cinque capitoli, e ne avevo abbozzato i punti-chiave con il mio editore. Nel primo capitolo ho fatto comparire Lamù, nel secondo ho raccontato una storia completamente diversa e lei non c'era; ma nel terzo capitolo ho avuto bisogno di coinvolgerla nuovamente perché la storia procedesse come volevo. Ho compreso che il suo personaggio era molto funzionale, perciò ho deciso di tenerla anche per il quarto e il quinto capitolo. A quel punto il mio editore mi disse che Lamù piaceva ai lettori e che sarebbe stato bene continuare ad usarla anche in futuro. E così ha finito per diventare l'eroina del manga.


Pur creata negli anni '80, la storia di Maison Ikkoku rimane ancora attuale. Al di là del carattere universale che contraddistingue le storie d'amore, come mai questo manga in particolare è diventato un racconto senza tempo?

Maison Ikkoku è un'opera dal forte carattere romantico. Già il titolo (letteralmente "la casa dell'attimo", n.d.r.) evoca l'amore a senso unico, le aspettative che si possono avere mentre si è innamorati, i silenzi e le delusioni amorose. È sotto questi aspetti che secondo me si può definire un'opera universale e senza tempo.


Ha creato Inuyasha con l'idea di realizzare un manga d'azione e di avventura. Perché?

In effetti volevo proprio disegnare un manga d'avventura, con tante scene di azione. Volevo che ci fossero scontri con le spade. Probabilmente è stato perché i miei due manga precedenti, Ranma 1/2 e Urusei Yatsura, erano delle commedie piene di gag. Volevo provare un genere diverso.


Passiamo a Mao. In questo manga si incontrano non solo due universi, ma anche due epoche diverse. Come mai questa discrepanza?

Perché crea un divario piuttosto visibile e interessante da mettere in scena. Come mai ho scelto di tornare indietro di cento anni, nell'era Taisho? Semplicemente perché è stata un'epoca molto movimentata per il Giappone. Il grande terremoto del Kanto, la crisi economica, il Paese che si avvia verso la militarizzazione e la seconda guerra mondiale... Ma è anche un periodo storico molto particolare per noi giapponesi, che appunto - essendo ambientato prima del periodo militarista, prima di questi drammi - conserva un forte fascino.


Come fa a piacere a diverse generazioni di lettori?

Ogni volta che inizio o finisco una serie, voglio indirizzarmi ad un nuovo pubblico. Non cerco di strizzare l'occhio ai miei lettori delle serie precedenti, intendo dire che non provo a replicare un tipo di storia che ha già funzionato con loro per limitarmi a soddisfarli. A mio avviso è questa esigenza di rinnovarmi continuamente che attira i nuovi lettori.


Ricorda un particolare episodio di feedback dei suoi fan?

Ho un ricordo molto nitido legato ai miei inizi. Nel nostro studio non avevamo una fotocopiatrice e così ero andata in una libreria locale per fare delle fotocopie delle mie tavole. E nel mentre un bambino vide quello che stavo facendo, indicò nella mia direzione e disse: "Oh, ma è Lamù!". Mi ha davvero toccato...