PART 14 - Rebirth

Ranma scrutò accuratamente il volto della vecchia amazzone. Molte erano le cose che stava scoprendo, mentre Obaba gli parlava. E le sorprese si accumulavano una dietro l’altra. L’ultima di queste l’aveva turbato non poco. Una minaccia. Legata al Rimedio Definitivo. E a quella… quella specie di storia sui mondi paralleli. Di cosa si trattava? Il giovane Saotome concentrò la propria attenzione, quasi dovesse apprendere una nuova tecnica di arti marziali.

“Vedi, ragazzo” disse Cologne “L’equilibrio delle cose è molto fragile, e nemmeno gli esseri superiori possono turbarlo oltre un certo limite. Così, semplicemente, lo Spirito-dragone, che pure è in grado di manipolare la materia a suo piacimento, non è onnipotente, in questo ambito, e nemmeno lui poteva spedirti in un universo qualunque. Infatti, devi sapere che qualcosa che fa parte di un mondo non può coesistere a lungo col proprio doppio dell’altra dimensione: se, in caso, essi venissero accidentalmente a contatto, si annullerebbero a vicenda o comunque qualcosa di simile. Questa è la minaccia riguardo ai mondi paralleli di cui ti accennavo e sta appunto a protezione dell’equilibrio delle cose.”

Saotome si ripeté mentalmente quelle parole, sperando di aver compreso.

“Dunque” accennò, per ottenere conferma “se io dessi, diciamo, un pugno ad un… un me stesso di un’altra realtà…”

“Sarebbe la fine per tutti e due. Almeno così credo: non è mai successa una cosa del genere, che io sappia” ridacchiò l’altra, rilassando leggermente le abbondanti rughe. “Ora, nei tanti universi possibili la nostra essenza si ripete nelle forme più varie. Gli eventi si possono concatenare secondo innumerevoli combinazioni, cosicché non esiste una realtà perfettamente identica ad un’altra. Simile, semmai. E credo che questo sia il tuo caso: poiché, se sei a conoscenza dello Saishuu Shiyou Rei-ryuujin, tanto da averlo sperimentato sulla tua pelle, ciò non può che confermare il fatto che tu fossi già entrato in contatto col villaggio delle donne di polso. Sbaglio?”

Ranma scosse la testa. “Dici il vero, vecchia. Nella realtà da cui provengo, tu mi conosci. Questo mondo è molto simile al mio… salvo il fatto che qui non esisto e le cose collegate con la mia esistenza – beh, quelle invece si sono svolte in modo completamente differente.”

“Bene. Un mondo molto simile al tuo. Ma non credere che gli altri mondi siano tutti così. In verità, l’unica cosa che normalmente non cambia è la nostra presenza in ciascuno di questi universi. Questa, però, lo ripeto, non assume sempre la medesima forma.”

Il ragazzo con la camicia cinese si grattò la testa, stordito. Una tecnica di arti marziali era sicuramente più facile da apprendere. Si voltò, cercando istintivamente con lo sguardo la guida come per avere un aiuto. Ma il cinese era intento a soffiare sul suo tè caldo.

“Voglio solo dire” si spiegò Cologne “che in un’altra realtà ci sarà un te stesso completamente calvo, in un’altra un te stesso quattrocchi e topo di biblioteca… o più presumibilmente, esisterà un tuo doppio che non è caduto affatto nelle Sorgenti Maledette. Te l’ho già spiegato, nessuna realtà può essere uguale ad un’altra, dato che pure l’evento più insignificante può portare ad un effetto a catena: paradossalmente, anche il ronzio di una mosca può provocare un terremoto.”

Ranma sussultò. Ecco spiegato perché l’Akane di questa realtà non era esattamente quella che conosceva lui. Si chiese se per caso le sue continue interferenze con la dimensione in cui si trovava non rischiassero di stravolgerla. Forse era già successo. Pensò improvvisamente che, proprio a causa sua, quell’Akane non avrebbe più potuto far conto nemmeno su Kuno per riottenere l’insegna della palestra Tendo. Forse persino un idiota come il senpai sarebbe riuscito a sconfiggere il dojo yaburi. Ma ora anche quell’ultima speranza era morta. Il giovane Saotome dubitò di aver mai combinato qualcosa di giusto, da quando si era recato a Yakuzai.

“Chiaro fin qui?” riprese l’amazzone. “La nostra essenza, di solito, si ripete, pur con le sue differenze, in ciascuna realtà. Tuttavia, questa la cosa importante, per ognuno di noi esiste un’eccezione.”

“Un mondo dove non siamo nati?” provò ad anticiparla Ranma.

“Non solo” precisò Obaba. “Un mondo dove non siamo nati né mai verremo ad esistere, sotto alcuna forma: un mondo, in altre parole, privo della nostra essenza. Questo è un caso più unico che raro, certo: ma l’imprevedibilità delle variabili comporta per forza anche l’eccezione alla regola.”

“E tutto questo è per dirmi…” accennò il giovane col codino.

“Per dirti che lo Spirito-dragone, una volta evocato, è stato incaricato di mandarti in un mondo parallelo al tuo. Dato, però, che nemmeno lui può andare contro natura, era tenuto a spedirti in uno solo degli universi paralleli possibili, cioè questo. Un mondo privo della tua essenza. Tutto ciò per mantenere l’equilibrio delle cose ed evitare che tu rischiassi di incontrarti con un tuo doppio. Ecco perché ti trovi qui.”

Rimasero tutti in silenzio. Ranma si aspettava che la vecchia aggiungesse qualcosa, restò in attesa per qualche secondo ma poi si spazientì.

“E… non hai altro da dire?!” domandò ad Obaba.

“Oh, sicuro. Un’ultima cosa ancora” fece lei.

“Sarebbe?”

“Che vorrei anch’io un po’ di tè. Tutto questo parlare mi ha seccato la gola.” Scavalcando un Saotome piuttosto deluso, si avvicinò alla guida e si fece versare da bere.

Mentre dunque la coppia di cinesi prendeva il tè, Ranma riordinò i pensieri. Eccola, la verità dei fatti. Un mondo parallelo. Questo spiegava perché lo Specchio Greco non aveva funzionato: ovvio, non poteva certo spedirlo in un’altra dimensione.

Ma allora…

Lui esisteva! Ed esistevano ancora anche gli altri, così come li conosceva lui: nella sua realtà, a Yakuzai, le cose si svolgevano normalmente – e laggiù, era con tutta probabilità Ranma stesso, ad essere dato per scomparso. Questo, intendeva Shingo, dicendogli di tornare. Non era una metafora. Il suo mondo lo stava aspettando.

Tuttavia – come tornare?

“Spero di essere stata abbastanza chiara” disse Cologne. “Il medaglione, tu l’hai visto al collo di questo Shingo perché Shingo, evidentemente, non appartiene a questa realtà.”

“Capisco” annuì Ranma. “E, siccome ha ammesso lui stesso di avermi osservato a lungo, in questi ultimi tempi, molto probabilmente proviene dalla mia realtà: è lì che si è impadronito del medaglione ed è per mezzo di esso che ha potuto raggiungermi in questo mondo.”

“Con tutta probabilità è così: quel medaglione è come se contenesse i poteri di migliaia di dragoni, e neutralizzare gli effetti delle fonti di Jusen è solo una minima parte delle sue potenzialità.”

“Allora” propose Ranma “posso tornare nel mio mondo indossando il medaglione di questa realtà!” Fu bastonato per l’ennesima volta.

“Sei proprio cocciuto! Un semplice essere umano non può indossarlo” lo rimproverò Obaba.

Già, non un semplice essere umano, si ripeté Ranma. Ma allora quello Shingo? Chi era mai? O cosa era?!… Già. A proposito del tizio del mistero.

Shingo voleva che tornasse, questa era forse l’unica cosa che poteva dare per sicura. Ma allora l’amichetto col medaglione avrebbe potuto usare i suoi poteri su di lui. Se non l’aveva fatto, voleva dire che doveva pur esistere un sistema alternativo: forse si attendeva che lui lo trovasse, forse si trattava di un’altra prova. Shingo pareva divertirsi un mondo a metterlo alla prova. Dunque il modo c’era. Ma quale?

Poi, un lampo. E capì.

Pensò a Shampoo che evocava lo Spirito-dragone per sbarazzarsi di Akane. Per via della rievocazione di Shingo, ricordava ogni parola: soprattutto quelle pronunciate dalla cinesina mentre compiva l’incantesimo. Una lunga tiritera in lingua cinese… e da qui non avrebbe potuto trarre niente di utile. Ma dopo… Dopo, Shampoo aveva chiaramente ordinato al dragone di… qualcosa come purificare la sua casa… e… sbarazzarsi dei propri nemici. No, non sbarazzarsi. Aveva parlato di eliminare. Se fosse stato riferito alla propria essenza? Allora la sua idea aveva un senso.

“Vecchia” disse. “Mi hai raccontato che lo Saishuu Shiyou Rei-ryuujin funziona una ed una sola volta, per un’unica persona.”

“Vero” confermò quella.

Ranma accennò un sorriso. Se, nella sua realtà, il manoscritto del Rimedio Definitivo apparteneva ad Obaba e Shampoo l’aveva trovato, come detto da lei stessa, solo per caso – allora, probabilmente, anche in questa realtà…

“Se ho ragionato bene” continuò “in questa realtà, al Rimedio Definitivo non è mai stato fatto ricorso: non ho forse indovinato?!”

Obaba annuì.

“E’ come hai detto. Ma cos’hai in mente?”

“Ebbene” formulò deciso “se sei in possesso del manoscritto, fa’ tu ora l’incantesimo… su di me!”

La guida saltò in piedi come morsa da una tarantola, facendo volare in aria il pentolino così che il tè ormai freddo si rovesciò completamente addosso a Ranma.

“Aiya! A te manca più di una rotella!” esclamò l’uomo tutto vestito di verde.

“E invece no” lo fece tacere Obaba; quindi si rivolse alla rossa, bagnata da capo a piedi: “Credo di aver capito a cosa pensi: dal momento che, ora, l’unica realtà priva della tua presenza è proprio quella da cui provieni, sostieni che lo Spirito-dragone non potrebbe spedirti se non là.”

“Almeno lo spero. Del resto, non mi rimane altro da tentare” disse Ranma-chan, strizzandosi la giubba tutta fradicia. “Posso contare sul tuo aiuto, vecchia?”

Cologne corrugò la fronte. Prima di quel giorno, pur custodendo gelosamente la pergamena del Rimedio Definitivo, non aveva creduto sul serio che l’incantesimo potesse funzionare. Ed ora, ecco questo mocciosetto cambia-sesso che affermava di esserne rimasto vittima. L’età le aveva insegnato da tempo a leggere negli occhi degli uomini, e quelli del ragazzino le confermavano che lui le stava dicendo la verità.

Era, però, sospettosa. Perché mai un membro della famiglia amazzone, forse la lei stessa dell’altra realtà, aveva compiuto un incantesimo tanto radicale su quel ragazzino? Non sembrava pericoloso, né malvagio. Eppure, qualcosa nell’aura che lo avvolgeva le diede da pensare. Quella persona era particolare. Il suo destino lo conduceva verso una strada molto diversa da quelle degli altri. La sua caduta nella Niang Nichuan forse non era un caso.

Eppure doveva fare una considerazione ancora più importante di questa. Il fatto che qualcuno si fosse impadronito del Tai-ma no Mamori la rendeva molto inquieta: la storia di quello Shingo non era da prendere sottomano e in tutto ciò avvertiva un pericolo ancora maggiore. Cologne aveva già una mezza idea su come operare. “Sì, ti aiuterò” disse “anche se…”

“Cosa?” domandò la rossa.

“Non è certo in assoluto ciò che sostieni” si affrettò ad aggiungere l’amazzone. “Nessuno ci assicura che il dragone ti riporterà indietro. Nel tuo mondo adesso non esisti, giusto, ma sei esistito, sebbene la tua essenza sia stata indubbiamente strappata da lì a forza. Per quanto, è comunque piuttosto probabile che lo spirito ti spedirebbe nella dimensione da cui giungi, piuttosto che in altri mondi pieni della tua presenza: il suo stesso precedente incantesimo, lo squarcio della materia già da lui provocato, potrebbe agire come una calamita e attirarvelo.”

“Allora è deciso!” esclamò Ranma-chan, battendo le nocche sul palmo dell’altra mano.

“Però c’è un’altra questione” replicò l’altra. “Lui ti conosce: e un dragone non è come un animale domestico cui dare ordini, potrebbe rifiutarsi di trasportarti una seconda volta – o peggio.”

“Cioè?”

“Stizzito, potrebbe decidere di distruggerti.”

La fanciulla con la treccia deglutì a fatica. Il rischio era grande. Decise, intanto, di ritornare uomo. “Proverò comunque” affermò determinata. “E tu, vedi di scaldarmi altra acqua” aggiunse, rivolgendosi alla guida. Ma Obaba s’interpose.

“Aspetta, ti conviene prendere tempo prima di una decisione tanto importante” disse. “E ho deciso invece io che il mondo non crollerà, se rimarrai nel mio villaggio per una notte. Ovviamente, in questo caso, dovrai tenere il tuo aspetto femminile: non è permesso a uomini non del posto di pernottare a Joketsuzoku.”

Ranma annuì. Pensò che anche questa Obaba, come quella del suo mondo, dovesse averlo preso in simpatia, dato che per lui stava infrangendo un paio di regole – e sapendo bene quanto fossero severe le regole delle amazzoni cinesi.

“Ed io?” chiese la guida.

“Dato il tuo ruolo importante di custode del campo Jusen, non hai bisogno di permessi speciali” rispose Cologne. “Ma gradirei che stanotte tu facessi compagnia alla signorina” aggiunse, indicando Ranma col bastone. La rossa sbuffò, evidentemente non aveva conquistato appieno la fiducia della vecchia.

“Domattina” disse Cologne a Ranma prima di ritirarsi “mi dirai cos’hai deciso. Nel caso, avrai il mio aiuto. Ma ricorda, la scelta è solamente tua.”

Notte fonda. Ranma-chan, coricata sul pavimento e avvolta in un paio di coperte, non riusciva ancora a chiudere occhio, e questa stava diventando ormai un’infelice abitudine. Il sonno c’era, aveva camminato parecchie ore quel giorno. Il pavimento non era troppo scomodo, non costituiva un problema essere una ragazza e, tutto sommato, non lo costituiva nemmeno il freddo – che pure sentiva ancora di più, poiché aveva messo in un angolo camicia e pantaloni ad asciugare… merito di quell’imbecille di una guida! La guida. Il problema era proprio lui, che lo sorvegliava con dedizione… russando molto rumorosamente e non dando così a Ranma un momento di tregua. Ma non era proprio buono a niente?! Capì perché la famiglia di lui non gli facesse compagnia nella sua piccola dimora a Jusen, né nell’una né nell’altra realtà. Pensò anche che Obaba volesse divertirsi a sue spese, tanto per ripagarlo del disturbo che le aveva dato.

Passò a pensieri più seri. Cosa fare riguardo il Rimedio Definitivo gli era chiaro. La notte porta consiglio, ma a lui non aveva nessun consiglio da portare: non aveva riconsiderato nemmeno per un attimo la propria decisione. Piuttosto, quello Shingo. Come aveva fatto ad impadronirsi del medaglione? Com’era venuto a conoscenza del suo potere? L’unica che avrebbe potuto illustrarglielo era Obaba. E, certamente, anche la guida avrebbe potuto. Che Shingo fosse stato a Jusenkyo? Ma il custode delle sorgenti, che motivo mai avrebbe avuto per fare il chiacchierone?

Se Shingo fosse caduto in una delle fonti? Ma la spiegazione, pensò Saotome, non pareva reggere in piedi. Anche lui era caduto nelle Sorgenti Maledette. E così Ryoga, Mousse, Shampoo… e la guida non aveva fatto la minima parola di quel medaglione che avrebbe potuto risolvere i loro problemi. Poi. Shingo non sembrava sopraffatto dalla divinità dell’oggetto: forse non era un semplice umano. Ma in quel caso, come sarebbe mai potuto cadere in una delle fonti?… Troppe domande. E troppe poche informazioni per potervi dare una risposta.

Tutti quegli interrogativi conciliarono finalmente il sonno di Ranma, a dispetto del sottofondo non propriamente melodico. Saotome non poté dunque accorgersi di una figura dai lunghi capelli, che affiorò dal buio della camera. Si avvicinò ai vestiti del giovane col codino ed inserì qualcosa nella tasca dei pantaloni. Quindi tornò nell’oscurità. La guida mormorò nel sonno alcune parole incomprensibili, si grattò la fronte, si girò dall’altra parte. E riprese a russare più forte di prima.

Il sole era spuntato da non troppo tempo e già, filtrando tra gli alti e impervi monti che chiudevano Joketsuzoku, pareva aver dissipato le nubi, che pure per tutta la notte avevano continuato a versare la loro furia sulle vicende degli uomini. L’acqua gocciolava ancora dai tetti delle modeste abitazioni del villaggio, alimentando le pozzanghere presenti. I campi erano vistosamente bagnati e l’erba impregnata d’umidità diffondeva il suo particolare profumo nell’aria, facendo ulteriormente risaltare l’aroma del muschio di qualche albero distribuito nella rarefatta vegetazione del luogo.

“Dunque?” domandò la donna anziana a quella giovane.

“Ho deciso, vecchia: rischierò!”

“Me l’aspettavo… andiamo, allora: c’è una caverna nelle vicinanze che fa proprio al caso nostro.”

Ranma-chan accennò a seguire Obaba che usciva dalla capanna.

“Quel tè caldo?” disse alla guida. “Penso che adesso potrò tornare uomo.”

“Caffé ti va bene lo stesso?” chiese lui, col volto assonnato, uscendo per ultimo. “Questo ho preparato per me: non riuscito a chiudere occhio, io, stanotte…”

“Non ancora.” Cologne, con un movimento del bastone, fece cadere a terra la tazza che la guida stava porgendo a Ranma.

“Che ti prende? Sei impazzita?!” gridò la ragazza col codino.

“So quello che faccio” disse la vecchia. “La maggior parte delle amazzoni che vivono nel villaggio è in età da prendere marito: prendere marito, qui, significa sfidare qualche artista marziale sperando che sia più forte di loro, in grado di sconfiggerle. Tu, mocciosetto, si vede lontano un miglio che pratichi le arti marziali: se qualcuna se ne accorgesse, addio pace per tutta la mattinata. Noi abbiamo fretta, e come donna darai meno problemi.”

Effettivamente la mini-comitiva composta da Cologne, Ranma-chan e la guida poté uscire dal villaggio quasi indisturbata. Unica eccezione fu l’incrocio con due adolescenti del posto. Lui, contraddistinto dalle spesse ed opache lenti degli occhiali, rincorreva lei, distinta dai lunghi capelli color lavanda, che cercava di ignorarlo. Tutto uguale, pensò Ranma. Eccetto per il fatto che non si trasformavano in un’anatra e in una gattina con un po’ di pioggia. Altri due maledetti in meno, senza la sua presenza.

“Lascia stare la mia nipotina, Mousse” disse Obaba in cinese. “Non ti è permesso di sposarla, lo sai bene: ti ha sconfitto quando avevi tre anni e le regole di Joketsuzoku sono tassative a riguardo. L’unico modo, per rilegittimarti a suo potenziale pretendente, sarebbe sconfiggerla a tua volta: ma non credo ne sarai mai capace.”

Infatti, mentre Obaba diceva queste parole, la cinesina spediva l’altro a terra con un calcio. Quello, però, non desisteva: nonostante i suoi occhiali si fossero rotti nella caduta, si lanciò con un mazzo di fiori per fare la sua dichiarazione. La fece, ma alla guida, che obiettò il fatto di avere già moglie e figlia. Cologne non pensò oltre prima di mandare Mousse in orbita con un colpo del bastone.

Ranma-chan provò un sospiro di sollievo quando Shampoo si allontanò senza averla nemmeno degnata di uno sguardo. L’avevano ignorata entrambi. Essere una donna aveva veramente evitato il sorgere di nuovi problemi. Adesso, comunque, bisognava risolvere quelli vecchi. Pensò distrattamente che proprio Shampoo aveva un ruolo importante, se non determinante, nell’intera vicenda. Se fosse riuscito a tornare, molte cose avrebbero dovuto spiegargli, lei e Ukyo, ma soprattutto la cinesina. Anche se sapeva già che non avrebbe dato retta ad alcuna giustificazione.

In una grotta poco distante dal villaggio, buia e profonda come richiesto dall’incantesimo, Cologne srotolò l’antica pergamena che portava con sé. Ranma, potuto tornare finalmente uomo, si avvicinò all’amazzone.

“Sei ancora deciso?” chiese lei.

“Naturale” disse deciso lui.

Visto un crepaccio, il posto ideale per l’incantesimo, Obaba si avvicinò all’orlo, mentre la guida le faceva luce con una torcia. La vecchia pronunciò la formula arcaica, scandendo lentamente e con precisione ogni singola parola. Ranma ascoltava con attenzione. La guida soffocò uno sbadiglio. Dopo l’ultima parola, la torcia si spense. Fu buio totale, ma Saotome non ebbe il tempo di abituare la vista che già poté scorgere un lumicino pallido farsi lentamente strada nell’oscurità. E farsi via via più grande finché squarciò le tenebre, materializzandosi in un possente vortice.

“Ora lasciati risucchiare dallo Spirito, farà tutto lui” raccomandò Cologne a Ranma, prima di allontanarsi. Il vortice divenne incandescente, mentre la guida impaurita si portava a distanza di sicurezza, raggiungendo l’amazzone.

Ranma osservava sbigottito la scena. Uguale all’altra volta, e questo nell’intimo lo terrorizzava. Il vortice andò prendendo una forma sempre più distinta, fino a che lui poté riconoscere i contorni del dragone. Netti e marcati, più del resto, erano i suoi occhi: rossi come il sangue, sembrarono scrutarlo attentamente, e Ranma temette che quello l’avesse riconosciuto e stesse per riservare la propria ira contro di lui. Lo spirito dunque gli si fece incontro, spalancando la gigantesca bocca. Saotome dubitò delle buone intenzioni di questo. Ma era troppo tardi per tornare indietro.

Lo spirito inglobò lentamente il suo corpo nelle enormi fauci, solo apparentemente infuocate. Le fiamme non bruciavano, pensò un attimo prima di venire risucchiato in… dentro… diamine, quel coso l’aveva inghiottito! Cominciò una discesa rapidissima, e Ranma non voleva neanche figurarsi verso dove. Poi un’esplosione di colori. E di rumori. Il caos. Ogni suo senso gli comunicava tante cose, troppe cose. Superando il limite di sopportazione.

Credette di distinguere un corridoio di luce, e lui nel mezzo: lo percorreva ad una velocità inimmaginabile, mentre l’uscita si faceva sempre più vicina. Tanto che infine scorse una specie di finestra, che sembrava dare al mondo circostante. E lui si avvicinava. Gli pareva di ricordare queste cose, forse le aveva già vissute nel viaggio d’andata. La distanza era sempre minore. Ranma fu sicuro di poter toccare quell’ingresso solo allungando il braccio.

Mentre strinse la mano, come per afferrarvisi, la finestra si chiuse. Guardando il suo palmo vuoto, gli parve di aver lasciato cadere Akane un’altra volta, nell’abisso più nero. Non fu in grado di reggere questa opprimente sensazione. Accanto a lui, tutto tornava buio. Come all’inizio del suo incubo.

Solo buio. E silenzio. E poi una voce.

“HAI FALLITO!” la voce di Shingo. “Mi hai profondamente deluso, Ranma Saotome… Hai perso anche la tua ultima opportunità: la prova non è stata superata – e purtroppo per te, non sono previsti ulteriori appelli!”

Quindi avvertì un dolore allucinante, in ogni punto del corpo. Non c’era alcun dolore, nel suo ricordo. Si sentì stretto in una morsa invisibile, che gli troncava il respiro. Pensò che fosse arrivata la sua fine. E lo prese ancora il dolore, più acuto di prima, ma stavolta localizzato attorno all’anca. Come se qualcuno lo stesse pungolando. Come se…

Riaprì lentamente gli occhi, lo sguardo che vagava nell’indefinito, come in un dormiveglia agitato in cui il ricordo del sogno si confonde ancora alla coscienza della realtà presente. La prima cosa che percepì distintamente, fu di essere ancora vivo. Vivo. Se era così – allora forse le ultime vicende le aveva solo immaginate, e poteva avercela fatta. Poi percepì la seconda, cioè che il dolore era reale.

Cercò di distinguere le immagini confuse davanti a lui. L’azzurro luminoso del cielo, disturbato solo da poche, solitarie, nuvole. Si trovava di nuovo sdraiato sul suolo. E qualcuno gli stava chinato accanto.

*A…akane…?*

No. Non era Akane. Mise finalmente a fuoco dei capelli lunghi e grigi, degli occhioni enormi, e rughe, rughe in ogni parte dell’esile vecchio corpicino.

*NO!* si alzò di scatto, furioso. Il dragone lo aveva risparmiato. E allora – “PERCHEEEE’?! PERCHE’ NON HA FUNZIONATO?!” gridò, sfogando tutta la propria rabbia.

Obaba smise di pungolargli l’anca col nodoso bastone, constatando che finalmente aveva ripreso i sensi: lo fissò e sbatté le ciglia, perplessa.

“Come?” domandò. ”Cos’è che non avrebbe funzionato, consorte?”

Avvertì la sua presenza. Bene, il palcoscenico era pronto. Gli attori, pure. Mancava solo lui, ma il suo arrivo era pressoché imminente.

“Che comincino le danze!” proclamò a gran voce. E per i presenti si scatenò l’inferno.