PART 03 - Revelation

“Ryoga…”

Non credeva alle proprie orecchie. Il suo più grande avversario – ma anche, in un certo qual modo, l’amico migliore che avesse – non lo riconosceva. Aveva perso la memoria. Così sembrava. E questo avrebbe spiegato parecchie cose. Anzitutto, il fatto che fosse così debole rispetto al solito. Inoltre, il motivo per cui non aveva usato contro di lui il Bakusai Tenketsu: ovvio, dimenticato pure quello.

Bene. Anzi, per niente! Come mai Ryoga non si ricordava più di lui? Il motivo, evidentemente, doveva essere lo stesso per il quale anche il giovane col codino si era ritrovato senza ricordi. Ma Ranma, perlomeno, lo riconosceva ancora, il suo P-chan – anzi, ex P-chan, dato che era guarito dalla maledizione. Altro dubbio che lo tormentava. Perché Hibiki era tornato ad essere uomo per intero… e lui niente affatto? Era forse implicata in qualche modo la succursale della Sorgente della Volpe Rossa? Certo che era così! Cos’altro, se no?

“Senti” riprese il ragazzo che gli stava di fronte. “Non so come tu faccia a conoscere il mio nome: rimane però il fatto che io non conosco te, dunque ti pregherei di smetterla di tormentarmi e, prima di tutto, di spiegarmi come è stato possibile ciò che ho appena visto!”

Si stava naturalmente riferendo alla trasformazione di Ranma. Il ragazzo col codino socchiuse gli occhi. Non ricordava, più che evidente, neppure di averla avuta, una maledizione. Ma, si chiedeva, a quanto tempo indietro risalivano, i ricordi che Ryoga aveva perduto? E a quanto risalivano i suoi? Magari era in quel bosco – il bosco di Yakuzai, a questo punto gli sembrava chiaro – da settimane, forse ancora di più. Forse i Tendo erano in pensiero per lui. Così pure Ukyo e Shampoo. Se le cose stavano però in questo modo, come mai allora non c’era più nessuno, e tutti si erano invece dileguati nel nulla? Che fosse successo loro qualcosa?!… Un lampo scattò nell’inconscio dell’adolescente con la camicia cinese, quelle parole soltanto pensate gli avevano risvegliato sensazioni fastidiose – meglio – nauseanti. Scosse il capo, come se fossero state degli impedimenti fisici e avesse potuto così scrollarsele di dosso. Ma il nemico non era corporeo, e Ranma capì presto che si trattava di quell’unico nemico che lo sconfiggeva ogni volta, regolarmente, con calma, senza alcuna fretta – lento ed implacabile.

“Allora?” Hibiki lo incalzava.

“Il fatto che mi trasformi in ragazza se vengo a contatto con l’acqua fredda?” Ranma aveva ripreso temporaneamente il controllo delle proprie emozioni. “Dovresti conoscerlo, il motivo… Non ti viene in mente nulla, se ti dico il nome Jusenkyo?”

Quello con la bandana rimase immobile. Saotome cercò di scorgere in lui anche il minimo sussulto, fosse pure un respiro impercettibilmente più affannoso, un batter di ciglia, una pupilla che si stringeva. Niente di tutto questo.

“Mi viene in mente solo” rispose, dopo qualche secondo “che tu sei matto da legare! Devo però ammettere che mi stai incuriosendo, vai un po’ avanti con la tua storia!”

Ranma sbuffò rassegnato. Ormai non gli rimaneva altro da fare. E sperare che l’ex suino ricordasse. Anche se non ci credeva più nemmeno lui stesso.

Il fuoco scoppiettava con vivacità, l’adolescente col maglione giallo tirò fuori un altro paio di ciocchi e lo ravvivò ancora di più. Faceva freddo, d’intorno. Si sentiva che l’estate era definitivamente morta.

“Incredibile” mormorò a denti stretti Ryoga. “Non mi era mai capitato di sentir raccontare cose del genere. Pare che la tua vita sia piuttosto movimentata, Tanma!”

Ranma, non Tanma!” lo corresse l'altro, seccato. Si voleva decidere a tenere a mente perlomeno il suo nome?! Gli aveva detto praticamente ogni cosa. Dei suoi anni di addestramento col vecchio, della caduta nella sorgente maledetta, del fidanzamento imposto, di alcune delle sue pazze avventure: il primo scontro con Kodachi la Rosa Nera, la sfida di pattinaggio marziale con Azusa Shiratori e Mikado Sanzenin, il loro scontro tra le montagne, l’allenamento speciale di quello, con Obaba che gli aveva insegnato il Bakusai Tenketsu – insomma, le vicende in cui un ragazzo con una scarsa propensione all’orientamento, chiamato Ryoga Hibiki, aveva recitato un ruolo più che importante. Risultati: zero. Gli aveva raccontato anche di come si fossero conosciuti, di come da ragazzini Ranma gli avesse fregato sempre i panini che davano alla mensa della loro vecchia scuola. Della loro sfida, dei tre giorni che lui aveva aspettato inutilmente, mentre poi quell’idiota si era presentato il quarto. Di Hibiki che lo aveva inseguito fino in Cina, che era caduto nella Heito Uen Nichuan, si era trasformato in un ridicolo porcellino nero, ed era stato infine adottato da una stupida ragazzina senza un briciolo di fascino. Di come avesse in seguito conquistato il cuore di un’altra ragazza, che i maiali li adorava. Qui, però, l’altro si era messo addirittura a sghignazzare.

“Ne hai, di fantasia!” aveva esclamato, dopo che finalmente le risate erano abbastanza diminuite da permetterglielo. Non aveva creduto ad una sola parola. Forse lo riteneva solo un povero pazzo.

“Hai finito?!” aveva ribattuto il ragazzo col codino, piuttosto innervosito dalla situazione.

“Non mi divertivo” continuava l’Eterno Disperso, come se non avesse sentito “non mi divertivo così da tanto di quel tempo…” Aveva abbassato lo sguardo. “Forse la verità è che non mi sono mai divertito, in vita mia…”

Ranma aveva appena finito di ripensare a quella stramba serata. Le fiamme adesso avevano preso a scemare. Il buio di quella notte senza stelle stava inglobandosi, poco alla volta, tutto quanto. Hibiki si voltò verso di lui.

“Sai, Tanma, mi sei simpatico!” Gli diede una vigorosa pacca, non molto gradita, sulla spalla. L’altro aveva aperto la bocca per replicare: finì per liberare, invece, un grosso sbadiglio. Il sonno, forse la noia. Perché si era stufato, a che serviva? Non c’era speranza. Doveva pensare a cose più importanti. Trovare la caverna e tornare un ragazzo normale, ad esempio. Ma chiederlo a quello scemo era un’impresa. Inoltre, anche se per miracolo si fosse infine ricordato di esservi stato – quando mai Ryoga sarebbe stato in grado di condurlo in quel posto?! No, si sarebbero ritrovati ad Aomori, molto più facile.

“Oggi mi sento bene” riprese Hibiki.

“Mh? Che intendi?” gli domandò Ranma.

“Era da moltissimo tempo che non stavo tanto a lungo a contatto con un’altra persona” spiegò lui. “Vedi, i miei genitori non sono mai in casa. Per questo mi sono messo in continuo viaggio, sperando di sfuggire alla solitudine delle pareti domestiche.”

Le pupille grigio-blu del ragazzo col codino si erano dilatate vistosamente, e lui rimase come catturato dalle parole dell’amico-nemico.

“Ciò non è bastato, purtroppo. Sai, sono un tipo piuttosto introverso: mi riesce molto difficile farmi degli amici e, a dire il vero…”

Chinò il volto in basso, giocherellando nervosamente con le dita.

“A dire il vero, non me ne sono mai fatto uno.”

Ranma sussultò.

*Oh Ryoga, è naturale che tu sia sempre stato così solo: da anni non fai altro che rincorrermi e sfidarmi di continuo, non hai altri pensieri per la testa. Ma così ti sei rovinato la vita.*

Si sentì in colpa. Mentre Hibiki proseguiva:

“Niente amici! E nessuna ragazza da amare, per cui vivere, per la quale persino struggermi… tuttavia io pagherei, per trovare l’amore, sia pure non corrisposto… meglio quello, che questo insopportabile nulla!”

Il giovane Saotome lo fissava perplesso.

*Ma cosa dici, scemo?! Possibile che tu non riesca a ricordare nemmeno lei? O Akari?!*

“Forse è proprio – proprio per colmare questo vuoto, che mi sono dedicato anima e corpo alle arti marziali” disse l’adolescente con i lunghi canini. “E poi mi sono messo in ricerca di un avversario degno, qualcuno forte quanto o più di me, tale da spronarmi a migliorare volta dopo volta, per poterlo affrontare nuovamente e confrontarmi ancora e perfezionarmi sempre di più. Insomma, uno scopo per la mia vita.”

Sospirò.

“Questa persona non l’ho mai incontrata.” Rialzò lo sguardo, incrociando quello del proprio interlocutore, ed abbozzò un sorriso. “Almeno, non fino ad oggi.”

Il fuoco si era appena spento del tutto.

“Si è fatto tardi” si stiracchiò vivacemente, dunque si alzò in piedi. “Sarà bene andare a dormire.”

Correva. I cunicoli s’intrecciavano tra di loro senza sosta, tutti i passaggi aperti nella roccia apparivano assolutamente identici. Ma lui sapeva che uno solo era quello buono, quello da percorrere. Quale? Qui stava il problema. Ne scelse uno a caso e vi si avventurò. Passo dopo passo, l’ombra avvolgeva ogni cosa. Tutto ciò che riusciva a scorgere erano i suoi piedi. Eppure non andava a sbattere contro alcun ostacolo, sembrava che il percorso in cui si era addentrato fosse perfettamente rettilineo. Accelerò ulteriormente il passo, fin dove le forze rimaste glielo permettevano.

Correva, correva. Buffo, non sentiva il rumore prodotto dai propri passi. In verità, non avvertiva nessun suono. Solo il silenzio. Quello assoluto. Una sensazione insopportabile, il presentimento orribile di trovarsi di fronte alla proverbiale quiete prima della tempesta. Ed un momento dopo, eccola! La tempesta!

“Raaaanmaaaaa!”

D’un tratto, una luce in fondo a quell’interminabile corridoio. Ed era da quella luce, che proveniva la sua voce. Presto, doveva fare in fretta! Ecco, si avvicinava! Il chiarore s’ingrandiva ancora ed ancora, si faceva sempre più potente, sconfiggeva poco a poco l’oscurità di cui era avvolto! Ma le lancette giravano. Il tempo gli era nemico. Correva – dai! – su! – Un altro – un altro sforzo! – Uno solo! – e sarebbe arrivato da lei, l’avrebbe salvata come sempre: e sarebbe tornato tutto come prima, sarebbero ritornati alla loro vita… monotona?! No, la verità era che, da quando lui aveva invaso la sua vita, nulla era più monotono! Un continuo di avventure folli. E rischiose. E lei ci andava di mezzo. Come sempre. Se solo lui non…

Eccola! La Luce! Le si tuffava incontro. Ora avrebbe saputo. Se aveva fatto in tempo. O se…

Si alzò di scatto. Respirava con affanno. Dov’era? Ancora buio, attorno a sé: ma stavolta, quello ben più rassicurante della notte. Già, doveva essere notte fonda. E lui si trovava nel sacco a pelo che gli aveva gentilmente offerto Ryoga, il quale dormiva profondamente a pochi metri da lui, entrambi al riparo dal freddo settembrino, nella mini-tenda da campeggio dell’amico-nemico. Un sogno, meglio, un incubo. Questa volta ricordava ogni particolare. E così, per collegamento, gli era tornato alla memoria di averle già avute, quelle angoscianti visioni oniriche. Uguali. Identiche. Cosa volevano mai dire? Erano solo frutto della sua fantasia? Oppure c’era qualcosa di reale, alla loro base?

Uscì dalla tenda. Il sonno l’aveva perso, decise dunque che una passeggiata all’aria aperta gli avrebbe forse schiarito le idee. Fresca, l’aria. Ma il brivido improvviso che gli aveva attraversato tutta quanta la schiena non era causato dal freddo.

*C’è qualcuno, qui.*

Si guardò intorno. Solo i rumori della natura. Se il nuovo arrivato credeva di ingannare un artista marziale esperto come lui, si sbagliava però di grosso.

“Avanti, fatti vedere!”

Apparve sul ramo di un albero, proprio come l’altra volta. Il medaglione in bella vista gli permise di riconoscere in quel tipo la figura misteriosa della mattina passata.

“Vieni qui! E dimmi chi diavolo sei!” ringhiò Ranma. Al vento.

Svanito. Dileguato nel nulla. Proprio come allora. Ma il ragazzo col codino scattò dallo spavento, quando sentì una gelida mano poggiarsi sulla sua spalla. Era dietro di lui. Come aveva fatto?

“Vuoi sapere il mio nome?” sogghignò. “Chiamami pure Shingo.”

Il giovane Saotome si girò di scatto, per assestargli un potente calcio. Quello, per nulla sorpreso, lo schivò come poca cosa.

“Impulsivo come sempre, vero, Ranma Saotome?” gli mormorò.

“Ma... ma tu come fai a…”

“Una cosa per volta” lo anticipò Shingo. “Prima di tutto – dove stai scappando?”

L’adolescente con la giacchetta cinese fu colpito nel vivo. Scappare? Lui?!

“Sei scemo?! Ti sembra forse che io ti fugga?!” scagliò un pugno contro l’avversario.

“Non da me, sciocchino” trattenne una risata, mentre schivava facilmente pure questo. “Tu stai scappando da te stesso.”

Rimase come impalato. Perché aveva la tremenda impressione che quel tizio davanti a lui avesse colto nel segno?

“Una splendida notte, per sognare. Non trovi?” ricominciò Shingo.

“Beh, ora ti metti a fare il poeta?!” replicò seccato Ranma.

“Sempre che il tuo” continuò l’altro “sia stato veramente un sogno.”

“Non ti capisco!” Quel tipo era un enigma, non lo sopportava più.

“Testardo, eh?” squadrò Saotome dalla testa ai piedi. “Eppure l’incontro con Ryoga avrebbe dovuto fartelo capire, quello che è successo."

“Tu sai – sai cos’è avvenuto? Dimmelo, se lo sai! Perché Ryoga ha perso la memoria? Perché anch’io non ricordo parecchie cose? E dove sono gli altri? E dov’è…”

Gli mise una mano sulla bocca, per zittirlo.

“Calma, calma. Troppe domande in una volta. Inoltre, testimoniano che non hai capito proprio niente, Ranma Saotome! L’unico che non ricorda, sei tu!”

Fu agghiacciato da quell’affermazione. Shingo rincarò la dose.

“Sei tu, quello che non ricorda. E sai come mai? Perché non vuoi ricordare!” sorrise, con l’aria della madre che scuote affettuosamente la testa dinanzi al figlio che le rivolge delle domande ingenue. “Scomodo, a volte, ricordare. Molto più facile, l’oblio. Ma serve a poco, sai? La verità viene sempre a galla, prima o poi.”

Ranma si voltò e cominciò a correre. Stava scappando. Come un coniglio. Lui, Ranma Saotome, della Scuola di lotta indiscriminata Saotome, futuro erede della palestra Tendo. Ma non importava – non gliene importava proprio nulla. L’unica cosa che contava, adesso, era correre. E non sentire.

“Tentativo inutile” Shingo, comparso improvvisamente davanti a lui, l’aveva immobilizzato per le braccia. “Non serve a niente, l’oblio.”

Ranma tremava, pareva in preda alle convulsioni. Il sudore gli colava da tutto il corpo. E quello continuava, insensibile.

“Tu devi – devi ricordare – di aver provocato la fine – di Akane Tendo!”

Lampi. Immagini che tornavano in tutta la loro violenza. Un dragone come di fuoco. Akane che precipitava nell’abisso, nelle sue fauci. Lui che poteva solo guardarla, la scena, da spettatore immoto.

Si era accasciato a terra, gli occhi spalancati come quelli di un pazzo. Shingo gli pose una mano sulla fronte. E Ranma, per incanto, cominciò a rivivere quei momenti. Ed il suo incubo diventava realtà.