Wedding Night

di Bridget E. Wilde


Originale: http://web.archive.org/web/20050309234022/http://www.gci-net.com/users/w/wildeman/Wedding.txt

Sito internet: http://web.archive.org/web/20050305142214/http://www.gci-net.com/users/w/wildeman/bridget.htm

Tradotta da Eugenia di Manganet ed editata da Tiger Eyes per Seshat


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Akane appese attentamente il suo abito da sposa sulla gruccia imbottita.

Il pizzo del corpetto si muoveva tra le sue dita, mentre chiudeva in maniera metodica ogni bottone di perla sulla schiena e sistemava le maniche. Mise il vestito in una borsa di vinile grigia con una finestra di plastica e una chiusura lampo pesante che ringhiò rumorosamente mentre la tirava su. I fiori sulla spalla del vestito sembravano sbiaditi e invecchiati attraverso l'apertura. D’impulso, l'aprì di nuovo e passò la mano sulla seta bianca della gonna, chiudendo gli occhi. C'era qualcosa di esotico in un vestito di seta in stile occidentale, come se appartenesse a una fiaba: chi lo indossava era destinata a essere portata via da un bel principe... la sua mano toccò un punto stranamente ruvido e gettò uno sguardo verso il difetto: una riga di cenere nera, polverosa, su uno strappo di fili tirati.

Sorrise amaramente mentre lo comprimeva di nuovo nella borsa. La lavanderia probabilmente passerà ore su questa macchia, giorni sul vestito e anche così non riguadagnerà mai la gloria bianca di una volta.

Poi prese il velo: la rifinitura di fiori scendeva a cascata sul pavimento. L’avvolse nella carta crespa bianca, sistemando con cura il tessuto leggero in pieghe simili a nastri di candide caramelle e lo mise nella scatola di cartone dorato. Poi la collocò sulla scrivania, una strana compagna per la lampada da tavolo e i libri.

Fece scivolare i vestiti di ogni giorno a un lato dell'armadio per fare spazio alla grossa borsa grigia. Il vinile liscio sibilò piano sotto le sue dita mentre metteva la gruccia sull’asta di legno.

Ma era troppo lunga per l'armadio: curvava goffamente fuori e strusciava sul pavimento. La fissò intorpidita per un momento, poi sospirò avvertendo il peso della serata. Doveva trovare un altro luogo per appenderla.

Comunque non la voleva nel suo armadio. Non voleva vederla ogni mattina quando tirava fuori la sua uniforme scolastica od ogni sera quando metteva via i vestiti. Voleva bruciare il vestito, bruciare ogni perlina e bottone e merletto, finché non ne fosse rimasto nulla. Ma era stato troppo costoso: non poteva permettersi di distruggerlo. Quindi prese la borsa e la scatola del velo e uscì dalla stanza.

La casa era ancora silenziosa e quieta; il caos era terminato ore prima.

Quando era divenuto ovvio che non ci sarebbe stato un matrimonio, tutti erano andati via rapidamente, sebbene in alcuni casi fosse stata necessaria una spinta da parte dei padroni di casa. Quando ognuno se ne fu finalmente andato e nel dojo ebbe echeggiato solo un silenzio arcigno, la famiglia aveva fissato il disastro e convenuto che sarebbe stato meglio pulire il giorno dopo, quando sarebbero stati tutti più riposati. Beh, furono tutti d'accordo a parte Ranma; era ancora svenuto, ma Akane pensava che avrebbe avuto la stessa opinione se fosse stato sveglio. L'aveva lasciato disteso nel cratere del pavimento del dojo ed era salita nella sua stanza.

Seduta alla scrivania, aveva ascoltato i suoni della famiglia che si preparava per andare a letto. Acqua che scorreva nel bagno distante. Chiusura di porte. Passi sui gradini. Voci. L'ultimo rumore che aveva sentito era stato lo schianto della porta di Nabiki nella stanza vicino, poi un sospiro soddisfatto mentre si addormentava. Akane era rimasta seduta. Finché la luna aveva fatto capolino sull'orlo della finestra e spedito raggi pallidi, solitari, a carezzare le sue guance umide, quando alla fine aveva deciso di togliersi il vestito.

La porta interna del dojo era malconcia ma intatta, così si poteva chiudere. L'aprì completamente, entrò dentro e la chiuse dietro di sé. Le grandi porte doppie del muro di fronte erano sfondate, si vedeva la luna attraverso il buco. Vide un'altra voragine nel tetto, attraverso la quale splendevano le stelle. Tre stelle del Grande Carro, versate dalla Via Lattea. Inconsapevolmente, strinse a sé il vestito mentre le fissava. In qualche modo, il disastro sembrava meno brutto al chiaro di luna, come se ci volesse poco per sistemarlo.

Ma sapeva che nulla l’avrebbe mai potuto mettere a posto.

Gettò uno sguardo al cratere nel pavimento del dojo. Ranma se n'era andato, probabilmente stava dormendo come un sasso di sopra. L’insensibile. Perché mai aveva voluto sposarlo... Non che lo desiderasse chiaramente, ricordò a se stessa, poi sospirò rassegnata. Quella sera non poteva mentire a se stessa, non più.

Mise la borsa dell’abito e il velo inscatolato sul pavimento, sedette e si inclinò per guardare le stelle. Erano così distanti.

Probabilmente, nella propria notte di matrimonio, era previsto che ci fossero le stelle.

Stelle nei tuoi occhi, mentre guardi negli occhi dell'uomo dei tuoi sogni. Le stelle dei flash mentre tagli la torta, balli il tuo primo ballo, mangi l’uno dalle dita dell’altra. Stelle che brillano dalle fedi mentre vi tenete la mano. E poi più tardi, quando siete da soli, è previsto che tu veda le stelle, forse raggiungendole nel loro ballo infuocato attraverso il cielo...

Scosse la testa, chiudendo gli occhi. Quella era solo una stupida fantasia da romanzo. Inoltre, il solo che aveva visto stelle quella notte era Ranma, quando aveva perso i sensi.

Avvolse le braccia intorno alle gambe, fissandosi le ginocchia. Fantasia da romanzo stupida o no, lei aveva desiderato quelle stelle. Aveva desiderato che Ranma le prendesse dal cielo e gliele desse. Ma evidentemente lui non aveva voluto. Lo stupido.

Si alzò e camminò verso le porte per guardare nel giardino. Era sereno nel chiaro di luna gentile, ogni foglia sfumata d’argento. Desiderò di poter essere così, calma e tranquilla. Kasumi lo era e anche Nodoka. Ma lei non poteva. Aveva tentato di essere gentile quel pomeriggio, ma alla fine non c’era riuscita. Nemmeno per Ranma. Forse perché lui non voleva. L'idiota.

Sentì la porta aprirsi dietro di lei e si girò sorpresa.

Là, all'entrata, c’era Ranma; indossava boxer e maglietta. In mano aveva un secchio riempito con qualcosa che sembrava roba per pulire. Quando la vide si gelò e la fissò. Anche lei lo fissò per un lungo momento, poi si girò di nuovo a guardare fuori attraverso il buco nel muro. La porta si chiuse piano e lei sentì i suoi passi avvicinarsi.

"Cosa stai facendo qui?", sibilò adirata. Sentì il secchio mentre veniva messo sul pavimento.

"Volevo solo fare un po’ di pulizia. Ce n'è sicuramente bisogno".

"Abbiamo deciso di aspettare fino a domani mattina". Non riusciva a girarsi e guardarlo, non poteva.

"Sì, me lo immaginavo. Erano andati tutti via quando mi sono ripreso. Ma non riuscivo a dormire, così... ". Camminò passandole oltre e guardò fuori, verso il giardino, mettendosi le mani in tasca. Girarsi dall’altra parte per non vederlo sarebbe apparso troppo ovvio, gli avrebbe fatto pensare che a lei importava, allora guardò adirata verso la sua schiena immobile.

Lui si tese come un leopardo, sospirando rumorosamente, poi si girò a sbirciare da sopra la spalla in maniera troppo casuale per essere vera. "Sei arrabbiata, non è vero?".

Questo le diede una scusa per girargli di nuovo la schiena; fece così, ridendo leggermente. "Arrabbiata? Perché dovrei essere arrabbiata? Solo perché mi hai abbandonato all’altare?".

"Ehi, io non ti ho abbandonato all’altare". Fece una breve, scomoda pausa. "Non siamo mai arrivati a quello".

"No, mi hai fatto sapere in anticipo cosa ne pensavi sul fatto di sposarti. Invece volevi la tua cura". Poteva sentire la propria voce dire quelle dure parole e sputare fuori quella frase bruscamente, mentre guardava impotente il cratere nel pavimento.

"Bene, scusami per la mia maledizione. Non ero consapevole che o fosse l’una o l'altro. Inoltre tu volevi che io fossi normale, non è vero? Sei diventata così ansiosa di sposarti solo quando stavo per guarire. Non vado abbastanza bene con la mia maledizione, vero?".

"No! Questo non centra niente!". Quello stupido stava tentando di girare il discorso contro di lei per giustificarsi, mentre era lui quello da biasimare.

"Oh, davvero? Allora perché hai deciso improvvisamente di sposarti?".

"Me lo hai già chiesto. Pensavo che tu mi amassi. Ora so la verità, quindi credo che non sia più necessario". Lo guardò da sopra le proprie spalle, sfidandolo.

Lui sembrò ritirarsi leggermente alle sue parole e stette in silenzio per un momento. Poi ricominciò, la voce bassa e intensa, con qualcos’altro oltre la rabbia. "No, Akane. Questo non basta. Tu non sposi qualcuno perché quello ama te. A meno che tu non stia progettando di sposarti Kuno domani?".

"Certo che no!". Si girò di nuovo dall’altra parte, furiosa.

"Allora perché?". La sua voce era ancora bassa, come un battito cardiaco che echeggiava attraverso il silenzio. Le si avvicinò da dietro, mettendole la mano sulla spalla. Tentò di allontanarlo ma lui si rifiutò di cedere.

"Perché? Lo hai fatto perché io potessi avere l'acqua per guarirmi?". Ancora silenzio, poi si rispose da solo, con una voce quasi colloquiale. "No, questo non può essere. Avrei potuto prendere comunque l'acqua. Quindi cosa volevi fare?". Strinse leggermente la mano.

Lei si girò, schiaffeggiandola via. "Ho solo cercato di farci entrambi felici!". Le lacrime stavano cominciando a rotolare sulle sue guance; le asciugò con furia.

"Entrambi?". Il suo tono era d'improvviso gentile, come l'oceano quando è calmo.

"Posso capire perché pensavi che la cura mi avrebbe fatto felice, ma come ti potrebbe rendere felice sposarmi?". Fissò costernata il suo volto che la guardava onestamente poi si girò di nuovo dall’altra parte, avvolgendosi le braccia intorno.

"Akane... volevi sposarmi?".

"Stavo indossando il vestito da sposa, no?".

"Ma volevi?" Ora la sua voce era quasi un bisbiglio. Lei camminò di nuovo verso le porte aperte e guardò la luna. "Akane?".

"Sì", disse senza espressione, vedendo la luna sfocarsi. "Sì, io volevo sposarti". Le sue spalle cominciarono a tremare e si coprì la faccia con le mani. Odiava piangere. Piangere la faceva sentire debole e indifesa e lei aveva bisogno di essere forte.

Sentì le mani di Ranma sulle spalle, rassicuranti e calde. Le scosse via. Non voleva che la toccasse, non così, come se le volesse bene. Voleva odiarlo e quando lui la toccava così... doveva odiarlo.

"Akane, guardami". La sua voce era bassa e disperata. Bene. Lei lo odiava. Ora poteva sentirlo dietro di sé, sentiva il calore che arrivava dal suo corpo; maledisse quella consapevolezza di lui, della sua vicinanza. Probabilmente stava sorridendo furbamente, ridendo del suo disagio. Come le sarebbe piaciuto togliergli quel ghigno soddisfatto dalla faccia!

"Ragazzi... ". La sua voce suonava disgustata. "Non sei per niente carina".

Questo era troppo. Si girò, alzando entrambe le mani per colpirlo. Ma era più vicino di quanto si aspettasse e, mentre tentava di picchiarlo, lui le afferrò i polsi tenendoli lontani.

"Stai attenta", disse. Questo la fece sbilanciare in avanti di un po’ prima che potesse riguadagnare l’equilibrio.

Ora erano lì, naso a naso; non riusciva ad allontanarsi con le braccia tenute così, quindi lo guardò. Sarebbe dovuta essere un’occhiataccia, ma in qualche modo i suoi occhi traditori godevano alla vista della curva della guancia, della linea diritta del suo naso. Era così vicina che poteva vedere la luna splendere nei suoi grandi occhi, non più compiaciuti; vi poté vedere il proprio volto tremante. Lui deglutì, il suono leggero le parve forte come un colpo d'arma da fuoco. Le dita erano strette intorno ai suoi polsi e sentì il suo respiro sulle proprie labbra. Di riflesso se le leccò, mentre Ranma improvvisamente chiudeva la distanza tra loro.

Le sue labbra erano più morbide di come le aveva sognate: adesso che stava accadendo, doveva ammettere che se lo era immaginato, il loro primo vero bacio. Era stato breve, appena una sfiorarsi incerto; poi lui si fermò, con gli occhi che la fissavano interrogativi. Quando aveva cominciato a respirare più velocemente? Non poteva pensare a questo adesso. Si doveva ricordare che odiava Ranma. Lo odiava.

Poi la sua mano destra le lasciò il polso e si posò sulla guancia bagnata dalle lacrime. Si avvicinò di nuovo e lei si perse nella sensazione delle sue labbra. La mano sinistra le circondava ancora il polso ma aveva allentato la presa e mentre il bacio continuava - Cielo, come continuava! - lo lasciò completamente e la fece scivolare per intrecciare le sue dita. C'era sicurezza in quella mano e lei la strinse, l'altra salì a coprire la sua sulla propria guancia, mentre chiudeva gli occhi. Il bacio finì con un sospiro: Akane tolse la mano di Ranma dal viso e la passò dolcemente sulle proprie labbra, nel centro del palmo, assaggiando il sale delle proprie lacrime. Lo sentì prendere un respiro improvviso e si chiese se quell’anelito fosse per lei. La spaventò e la divertì allo stesso tempo, poi nascose la faccia nella sua spalla.

Ranma le circondò delicatamente la vita, poi d'improvviso la strinse come per proteggerla, seppellendo il viso nei suoi capelli. Poté sentire il cuore che gli batteva in maniera irregolare sotto la guancia e il respiro che le scaldava la cima dell'orecchio.

Si stava aggrappando così ermeticamente a lui che dimenticò di pensare.

Ma le sue braccia erano di nuovo vuote e lei aprì gli occhi preoccupata.

Ranma era in piedi, con le proprie lungo i fianchi. Il suo viso era nell'ombra della porta; la sola cosa che Akane poteva vedere al chiaro di luna era la punta del naso e un po’ del labbro inferiore.

"Mi dispiace", disse con una voce sottile, assolutamente non da Ranma. Quella voce la gelò e lei lottò contro il freddo nella sola maniera in cui era capace, infuriandosi.

"Dispiaciuto di avermi baciato? Dispiaciuto di baciare un maschiaccio come me?".

"Non era quello che volevo dire!". Fece un passo in avanti e poté vedere tutto il suo viso mentre aggrottava le sopracciglia, frustrato.

"Allora cosa volevi dire?". Incrociò le braccia, sfidandolo a rispondere.

Lui guardò a terra, agitando le mani di fronte a sé. "Volevo dire... che mi dispiace per... aver approfittato della situazione. Non dovevo...".

"Approfittato della situazione? Cosa pensi, che non avrei potuto fermarti?". Lo stava forzando e lo sapeva, ma non avrebbe mollato adesso.

"No, io...".

"Non pensi che io possa prendere le mie decisioni?".

Capì che si stava irritando. "Beh, non è che tu lo abbia mai fatto. Non avresti mai deciso di sposarti autonomamente".

Lei si mise le mani sulle anche, bellicosa. "Come fai a saperlo? Non è che anche tu abbia mai preso decisioni. Non riesci nemmeno a scegliere una fidanzata! Ci tieni lì sospese, senza mai scegliere una di noi. Stupido!".

"Stupido, eh?". Erano vicini l’uno all’altra, guardandosi negli occhi.

"Sì! Un grande stupido! Per tua informazione, posso decidere da sola chi baciare e chi no! Potrei baciarti adesso se volessi!".

"Ah! Gradirei proprio vederlo!".

"Forse lo voglio!".

"Prego!".

"Va bene!". Gli si avvicinò, avvolgendogli le braccia intorno al collo e schiacciando le labbra contro le sue. Lui alzò le proprie automaticamente, per non perdere l’equilibrio e per un momento camminarono con passo malfermo, poi d'improvviso la strinse forte e furono completamente uniti: spalle, gambe, ginocchia.

Sentì una mano affondarle nei capelli, le dita che le sfioravano la nuca, mentre l'altra pigiava contro la base della spina dorsale. Gli aveva allacciato le mani dietro alla testa per tenerlo, ma poi fece scivolare a sua volta le dita tra i suoi capelli, in mezzo alla treccia. L’altra rimase lì per un momento, esitando, poi scivolò sulle scapole finendo sulla schiena, dove la maglietta si era alzata lasciandogliela nuda.

I suoi capelli erano morbidi e spessi, la pelle della schiena era calda e liscia sotto i polpastrelli. Anche la sua bocca era calda, calda e dolce, pigiata sulla propria. Non avrebbe mai pensato che potesse essere così caldo.

La mano di Ranma sulla sua schiena aveva cominciato a scendere sempre più in basso, sempre di più, attirandola con forza verso di sé. Si accorse che la propria mano mimava le sue azioni, toccando dolcemente la spina dorsale sotto la maglietta. Poi giunse alla cintura dei suoi boxer, giocherellando sull'orlo scivolò appena di un pollice. Le punta delle dita toccò la pelle calda.

Entrambi sobbalzarono, non riuscendo a staccarsi nonostante avessero perso l’equilibrio. Akane vide la faccia rossa di Ranma balenare nel chiaro di luna mentre precipitava all’indietro, tirandola con sé. Caddero per terra. Mise la mano dietro di lui per attutire la caduta e affondò completamente nei resti della torta nuziale. Ranma sbarcò nel mezzo della confusione con un forte splash, Akane sopra di lui. La glassa volò da tutte le parti.

Si fissarono l'un l'altra per un lungo momento, arrossendo. Poi cominciarono a ridere, all’inizio leggermente, poi così forte da avere le lacrime agli occhi. In qualche modo, nel bel mezzo di tutto ciò, le loro labbra si trovarono di nuovo, dissolvendosi in un altro bacio che si fuse con la risata.

Quando alla fine riguadagnarono... non la calma, ma qualcosa che le assomigliava, Ranma si alzo sul gomito, raccogliendo della glassa con il dito indice. "Ne vuoi?", disse mettendole il dito nella bocca prima che potesse rispondere. La glassa era fresca, dolce e fusa leggermente dal calore del suo dito. Era buona, Kasumi era sempre la migliore; il dito di Ranma era una storia diversa, ma... un piccolo rumore proveniente da lui la portò a guardarlo di nuovo: la sua bocca era ancora sul dito. Lui aveva un cipiglio stranamente intenso sulla faccia e lo guardò affascinata mentre le toglieva lentamente il dito della bocca, portandolo sulla guancia e sull’orlo dell'orecchio. Rabbrividì in un modo che non capiva completamente, in un modo che le faceva desiderare di nascondersi; e si nascose, dietro a un sorriso allegro.

"È il tuo turno!". Rise scioccamente, tirando fuori la mano sprofondata nella torta. Ranma sembrava aver smesso di respirare mentre gli avvicinava la mano al viso, portandola in maniera allettante alla sua bocca; poi gli mise un po’ di glassa sul naso. Lui la guardò di traverso.

"Come faccio adesso?".

"Ci penserò io". Si inclinò in avanti e tolse la glassa dal suo naso, leccandola con le labbra. "Ora è pulito".

"Non è giusto", disse lui con una voce grezza, debole. "Io non ho avuto la torta...". Ci fu un momento di nervosa indecisione nei suoi occhi, come se fosse sul punto di saltare da una rupe, poi le dita le circondarono il polso e si portò la mano alla bocca; incontrò gli occhi di Akane mentre faceva scivolare il suo pollice coperto di glassa tra le labbra.

Lei sospirò lentamente e smise di ridere quando sentì la lingua ruvida che circondava il suo dito. Socchiuse gli occhi, mentre il pollice veniva scaldato dalla bocca di Ranma. Avvertì la propria che si apriva leggermente, le labbra che si asciugavano.

Passò al dito indice, succhiando piano la glassa mentre il pollice si raffreddava nella brezza. Il dito medio venne mordicchiato dolcemente; Akane vide i suoi denti bianchi luccicare.

L’anulare. Gli incisivi raschiarono in modo gentile la nocca prima che si raffreddasse.

Il mignolo.

Il lato della sua mano.

Il palmo. I suoi occhi non smettevano mai di guardarla.

Con un ultimo bacio, tra le linee dell’amore e della vita, si schiacciò infine la mano contro il torace. Le loro labbra si incontrarono di nuovo in un scambio caldo e dolce che sapeva di vaniglia, zucchero e crema di burro.

Lei non riusciva a pensare - oh, Cielo, aveva bisogno di pensare - e ruppe il bacio, tenendosi la mano sulla guancia, ansando. Il battito cardiaco si era calmato, ma poteva ancora sentirne la vibrazione nel silenzio del dojo. Con la mano libera si accarezzò i capelli, appiccicosi a causa della glassa: sembravano fatti di vetro; si rilassò leggermente e con l'altra prese a tracciare dei disegni immaginari sulla spalla di lui.

Passata la spalla, vide la cima della torta, poco di lato. Bilanciate sull’ultimo strato, quasi a prendersi gioco di lei, c’erano le piccole figure di plastica della sposa e dello sposo. Le loro facce avevano due sorrisi uguali; lo smoking nero dello sposo era stato dipinto un po’ storto, quindi un lato del suo collo era nero, mentre sull'altro un po' della spalla era nuda. Ranma aveva indossato un smoking bianco che gli andava benissimo. Come avessero trovato la taglia giusta non l'avrebbe mai saputo; non avrebbe mai permesso di farselo misurare. Lei e Ranma sorridevano così? Anche quello della coppia sulla torta era un matrimonio combinato?

Ranma si mosse sotto di lei. "Uhm, Akane?".

Tenne il viso rivolto in basso. "Sì, Ranma?".

"Possiamo alzarci? Questa torta è un po’ scomoda". Sembrava addolorato, ma forse era una finta. Non poteva esserne sicura, non poteva mai essere sicura con lui. Strisciò un po' indietro e si alzò in piedi, offrendogli la mano. Insieme osservarono il danno.

Akane era poco sporca, solo la mano (arrossì ripensandoci) e alcuni schizzi sul pigiama. Ranma era completamente ricoperto di torta. La maglietta e i boxer erano incrostati di bianco per tutta la lunghezza della schiena. "Faresti meglio ad andarti a cambiare", disse lei riluttante.

"Sì, penso di sì". Ma non fece nessuna mossa per andare via. Akane si abbassò e prese la sposa e lo sposo dalla torta, guardandoli di nuovo.

Forse non erano poi tanto male. Tracciò la linea dello smoking di lui.

"Bene, uhm, allora penso che andrò a cambiarmi...". Ranma si avviò verso la porta e fece per andarsene.

Appena giunse sulla soglia, Akane si sentì dire: "Aspetta, Ranma".

Lui si fermò, guardandola da sopra la spalla. "Cosa c’è?".

Akane sentì le guance arrossire furiosamente. "Hai... hai messo il tuo smoking a posto? Io solo... volevo vedertelo di nuovo addosso. Solo un’altra volta".

"Adesso non è davvero una bella vista", disse lui con una misto di curiosità e imbarazzo. "Dopo l'acqua fredda, gli okonomiyaki esplosivi e gli Happo Daikarin, potrò capire se la società di noleggio non farà più affari con qualcuno di noi".

"Lo so che è strano, ma...". Si guardò i piedi, poi lanciò uno sguardo dietro la schiena, agli sposi della torta.

Ranma stette in silenzio per un lungo momento prima di alzare di nuovo gli occhi.

"Andrò a metterlo. Ma c'è una condizione". Si girò e fissò la porta un po' sulle spine. "Devi metterti il tuo vestito. Altrimenti mi sentirò stupido". Akane fissò la sua schiena, incapace di leggere i sentimenti del ragazzo, poi diede a bassa voce il suo assenso. Ranma sorrise debolmente e uscì.

Akane rimase in quella posa per molti battiti cardiaci, automaticamente alzò la mano e si sfiorò le labbra. Lui aveva... e lei aveva... oh mio…. Le labbra formicolavano ancora per la pressione di quelle di lui, poteva ancora sentire un leggero sapore di glassa; un brivido la attraversò dalla punta delle dita fino allo stomaco. Doveva essere imbarazzata, sapeva che doveva esserlo, ma quello che provava era solo un sentimento di curiosità. Non aveva mai pensato che baciare Ranma sarebbe stato così, così caldo ed emozionante e... tenero. Sì, tenero, come se la tensione che c’era tra loro dal primo incontro, si fosse strappata come un elastico.

Era stata colpa del chiaro di luna. Del chiaro di luna e dello stress delle settimane passate, forse anche un po' delle sue speranze distrutte. Non c'era alcun’altra spiegazione per il loro improvviso... desiderio. Non che loro si volessero bene...

Scosse la testa bruscamente, come se stesse evitando una zanzara. Non poteva più mentire a se stessa. Lei voleva... bene a Ranma. Forse... forse lo amava. Era solo così confusa...

Se Ranma era confuso quanto lei, probabilmente non sarebbe tornato. Sentì le mani che si stringevano in un pugno a quel pensiero. È probabile che tenti di scappare, che vada a letto, o sul tetto...Quel pensiero le bruciò nel torace. Avrebbe fatto meglio a tornare. Non voleva perdere quella sensazione confortevole tra loro. E se non fosse stato nulla più del chiaro di luna... bene, sarebbe stata comunque notte per molte ore. E se fosse stato qualcosa di più...

Si diede mentalmente un calcio, avvicinandosi alla borsa del vestito e aprendola con decisione. Non voleva che lui la trovasse ancora in pigiama quando fosse tornato. Se non fosse tornato, beh, allora avrebbe avuto la sua risposta.

Si tolse il pigiama, sentendo la fresca brezza serale che le carezzava lo stomaco, poi indossò rapidamente il vestito. Le braccia scivolarono facilmente nelle maniche e aggiustò il corpetto con attenzione. La seta del vestito era fredda e liscia contro la sua pelle nuda e senza capire perché, pensò a come era caldo Ranma, come erano calde le sue mani e sospirò.

Camminando lentamente verso il buco nel muro, cominciò a chiudere i bottoni dietro la schiena. Una ventata arruffò le foglie dell'albero; poteva sentire un cane che abbaiava in lontananza, un gatto che miagolava. Ancora più distante, c'era della musica che arrivava con il vento.

I quattro bottoni in cima furono facili ma, mentre si avvicina al quinto, le sue dita cominciarono ad annaspare. Quella mattina l’aveva aiutata Kasumi, il viso gentile brillava mentre parlava del cibo che aveva preparato per il ricevimento. E togliersi il vestito non era stato così difficile. Perché mettere bottoni così piccoli? Ignorò l’odiosa voce dentro di sé che le diceva che non era previsto che dovesse farlo da sola; prima del matrimonio era compito delle damigelle d'onore e dopo il matrimonio... si maledisse a bassa voce e lottò con il sesto bottone.

Le sue dita vennero allontanate e sentì le mani di Ranma sulla schiena nuda che chiudevano tutti i bottoni, uno alla volta. Si bloccò, ogni nervo concentrato su quelle dita. Passarono tra le scapole, poi in giù sulla vita, poi più in basso alla fine della fila di bottoni. Le mani si bloccarono, quindi toccarono il corpetto sui fianchi, dove si fermarono definitivamente. Quelle dita leggere, così leggere che poteva sentirle appena, erano l'unico punto di contatto tra loro, ma poteva sentirlo dietro di sé, a non più di pochi centimetri; il suo respiro irregolare le scaldava i capelli e poteva sentire il fruscio della gonna contro i suoi pantaloni di lino. Sospirò e si inclinò verso di lui.

"Sei tornato".

Le sue braccia le scivolarono timidamente intorno alla vita, circondandola. "Ho detto che lo avrei fatto". La sua voce le passò attraverso il collo, facendole vibrare i capelli.

Gli coprì dolcemente le braccia con le proprie, stringendole un po’. Il lino delle maniche era macchiato e strappato; aveva risentito del caos molto più di lei. "Lo hai fatto". Chiuse gli occhi e si rilassò contro di lui, la testa appoggiata sulla sua spalla. Il cuore sembrava andare all’unisono con il suo.

"Akane...".

"Shh...".

La resistenza delle sue braccia mentre respirava era una novità e si accorse di inspirare più profondamente solo per sentire quella pressione sulle costole. Ranma invece non sembrava stesse respirando: il suo torace era rigido contro la schiena; poi ci fu un leggero calore attraverso i capelli e lui si rilassò, la testa si abbassò finché la sua guancia toccò la propria.

Ora lui stava respirando davvero: poteva sentire ogni ansito, più veloce del suo, sul collo e le venne la pelle d’oca. Le sue braccia la stavano stringendo di più, i palmi delle mani le premevano sullo stomaco, così si sentì protetta nel suo abbraccio.

Il tocco gentile delle sue labbra sul collo la fece sospirare.

Immediatamente lui balzò indietro. "Scusam...".

"No". Tirò di nuovo le braccia intorno a sé, raccogliendo il coraggio. "F... fallo di nuovo".

Non poté impedirsi di sospirare ancora quando lui lo rifece e ancora un’altra volta, e poi ancora. Le dita lo stringevano sulle maniche; lo notò appena, concentrata sulle sue labbra incerte, il naso che le sfiorava il contorno del viso, la sensazione calda di ogni respiro. Inclinò il mento per permettergli di baciarla sulla gola, poi gli porse la mascella per una serie di baci, indietro verso il suo orecchio che, con sua sorpresa, lui sfiorò; poi si girò verso di lui e gli pose le mani sulle spalle.

I suoi occhi erano spalancati come per uno shock e lei chiamò a raccolta il proprio coraggio per mettersi in punta di piedi e premere le labbra sul suo collo. Fece scivolare la guancia in giù, lungo di esso, per poi poggiarla sulle proprie mani, mentre lui la stringeva di nuovo ed entrambi lottavano per respirare.

Akane pensò che probabilmente non avrebbe respirato mai più normalmente e ridendo si girò, fuori dalla presa di Ranma, sollevando la gonna macchiata. "Come sto?", chiese allegramente.

Poi guardò meglio Ranma.

Il suo primo pensiero fu che non scherzava quando parlava dello smoking. Tutto il vestito era completamente coperto di fuliggine, bruciature e piccoli buchi creati da scintille erano sparsi come una costellazione lungo la spalla. Il lino era completamente raggrinzito e sembrava essersi ristretto in maniera ineguale in alcuni punti; la manica sinistra era un po' più corta e la gamba destra dei suoi pantaloni era stranamente stretta all’altezza del ginocchio. La camicia dello smoking sembrava stesse perdendo un bottone o due e il polsino sinistro era aperto: il gemello era andato perso. I suoi piedi erano nudi. Il tutto rifinito dalla cravatta, che era riuscito in qualche modo a mettersi diritta; ma serviva solamente ad accentuare la confusione del vestito di Ranma.

Lui corrugò le sopracciglia alla sua ilarità. "Ehi, ti avevo detto che non sarebbe stata una bella vista. Non ridere". Si sbatté il colletto, drizzando la giacca, sulla difensiva.

Akane si calmò con un notevole sforzo e si avvicinò di nuovo a lui, lisciandola a sua volta con le mani. "Mi dispiace. Sono solo... sorpresa". Tirò le spalle, poi fece scivolare le mani sulle maniche. Doveva ammettere con se stessa che amava toccarlo, anche se in un modo così superficiale; era una di quelle piccole cose che una moglie poteva fare, così intima nella sua casualità. Una delle sue mani si fermò sul torace, l'altra si trascinò dolcemente sulla cravatta. "L’hai allacciata tu?".

"Beh, più o meno". La sua voce era grezza, gli occhi oscurati da qualcosa che sembrava tenere sotto controllo a fatica. "Me la sono messa. È pre-allacciata, devi solo metterla intorno al collo. Sembra una vera cravatta, ma non lo è".

Le sue mani le scivolarono delicatamente intorno alla vita, allacciandosi dietro la schiena.

Si sollevò verso il colletto, osservando il piccolo fermaglio della cravatta. "Vedo". Lo guardò, schiaffeggiandogli leggermente il torace. "Imbroglione".

Lui aggrottò di nuovo le sopracciglia. "Non ho imbrogliato. È come... usare una calcolatrice in un test di fisica. Puoi fare senza, ma ti ci vorrà di più".

Akane rise di nuovo. "Alcuni di noi potrebbero farlo a mano... ".

"Forza, finiscila". Cominciava a sembrare davvero irritato e lei si calmò rapidamente.

"Mi dispiace. È un'abitudine, penso". Sfiorò ancora la sua cravatta, poi si mise di nuovo in punta di piedi, entusiasmata dalla propria audacia mentre gli baciava il pomo d’Adamo, poi un po' più in basso, alla base del collo, proprio sopra la cravatta.

"O... ok". La sua voce sembrava di nuovo debole e Akane fu presa da un impulso improvviso. Avanzò ulteriormente per vedere meglio il suo viso.

"Balla con me", disse piano.

"Ballare?". Sembrò spaventato, per un momento. "Come, non so, la macarena?".

"No", disse esasperata. "Il valzer".

"Oh... ". Giocò col polsino sciolto, girando lo sguardo di lato.

"Io, uhm... io... ", mormorò qualcosa sottovoce. Restringendo di occhi, piegò le braccia.

"Cosa, Ranma?".

Lui la guardò con un ghigno timido. "Io... io non ho mai ballato il valzer prima d'ora".

"Oh". Pensò per un momento, poi gli disse sorridente "Te lo insegnerò".

"Ora?".

Lei sospirò. "Certo, adesso! Senti, se puoi imparare tutte le tecniche di combattimento in pochi secondi, puoi imparare a ballare il valzer". Lo fissò con uno sguardo di sfida.

"Anche io posso ballare il valzer".

"Beh... ".

Poteva dire di aver fatto appello alla sua natura competitiva e fece la mossa finale.

"O hai troppa paura per tentare?".

Lui aprì la bocca. "Questo è un colpo basso".

"Lo so". Si avvicinò a lui. "Ma ora lo farai, non è vero?".

"... Forse".

"Allora guardami". Si allontanò di alcuni passi, il cuore le batteva nervosamente. Non aveva mai ballato per un pubblico; ma questo non era un pubblico qualsiasi, questo era Ranma, il suo sguardo fisso studiava, assorbendola, ogni mossa.

I suoi occhi la stavano scottando e lei parlò, in parte, per allontanarli.

"Devi tenere la mia mano così e l’altra mano va... intorno alla mia vita". Deglutì, la sua bocca era improvvisamente asciutta. "La mia mano sulla tua spalla... così...". Allargò le braccia e cominciò a ballare di fronte a lui nel chiaro di luna.

I suoi primi passi erano esitanti e incerti sotto il peso del suo sguardo, ma presto stava girando intorno al dojo con gli occhi semichiusi e focalizzati sulla figura nello smoking logoro. Fece una giravolta, poi gli tornò di fronte facendo un goffo inchino.

"Sei pronto per provare?".

Lui accennò col capo in silenzio e avanzò, prendendo esitante la sua mano e avanzando in un mezzo abbraccio. Akane mise quella mano tremante sulla sua spalla e prese un respiro profondo.

"Bene... UN due tre, DUE due tre... ". Cominciarono a ballare.

Dopo pochi passi, lui aveva preso il ritmo e lei gli sorrise per incoraggiarlo. Poco più tardi, li controllava perfettamente.

Ballava come un artista marziale: la trasportava con forza e con una grazia felina e predatrice che non faceva movimenti estetici superflui, ma che era comunque affascinante. Non come le volte in cui, durante le superiori, lei e Nabiki avevano riso scioccamente mentre ballavano, pensando trasognate ai balli futuri quando il partner non sarebbe stato una sorella. Lei si era immaginata un Fred Astaire o un Baryshnikov che avrebbe volato attraverso i passi come danzando in aria, sulle nubi.

I piedi nudi di Ranma erano silenziosi come i propri, ma poteva ugualmente sentire il modo in cui prendevano energia dal liscio pavimento di legno, dalla terra sotto di lui. Poteva sentire la vita che fluiva attraverso ogni movimento, una vita che era immediata, potente e innegabilmente vera; nel momento in cui i suoi piedi lasciarono il pavimento mentre la alzava in una giravolta con particolare energia, rimase bloccata fra le sue braccia.

La mano la teneva solo un poco troppo forte ed era calda e sudata sebbene stessero ballando solo da qualche minuto; la brezza proveniente dal giardino era praticamente fredda. Le piacque che la sua presa fosse stretta, che lui ballasse come Ranma e non come un angelo; poteva capire, da queste piccole imperfezioni, che la notte era vera e se la notte era vera, allora anche lo sguardo negli occhi di Ranma, il tocco gentile delle sue labbra erano stati veri.

Si stavano muovendo in una spirale e ricordò il suo attacco più potente, lo Hiryu Shotenha: attirava il suo avversario in una spirale che si restringeva, mantenendo il proprio corpo freddo fino colpire nel centro, usando il calore dell' oppositore contro di lui... Ma Ranma ora non era freddo: era caldo sotto le sue mani, come lei... Stava diventando più caldo ogni secondo che passava o forse lo era solo perché erano insieme, più vicini, i toraci che si sfioravano a ogni passo, la mano che carezzava la sua nuca, mentre quella di lui scivolava giù sulle anche, premendola per avvicinarla. Si sentiva come se stesse per cadere...

In effetti stava cadendo, capì, nel cratere del pavimento del dojo. Ranma se ne rese conto nello stesso momento; sussurrò una maledizione e si girò per ricevere l'urto dell'impatto. Akane cadde sopra di lui con un lamento, una mano strusciò dolorosamente contro il terreno.

"Stai bene, Akane?". Ranma si mise seduto, mettendo con attenzione Akane a sedere sul suo grembo. Lei prese alcuni respiri profondi.

"S... sì...". Si guardò la mano, rossa e rigata di sporco. "Più o meno".

"Fammi vedere". Gliel'aveva presa prima che potesse rispondere, dolcemente, pulendo la polvere col suo polsino sciolto. "Non sembra troppo grave, ma dovresti metterci del disinfettante... ". Tracciò una linea con un dito, delicatamente. Le pizzicò un poco, ma il tocco era lo stesso piacevole.

Desiderò che lui la baciasse. La mano tremò al pensiero, mentre il suo dito si muoveva delicatamente lungo il palmo arrossato; fece adagiare la testa sulla sua spalla e guardò le mani di Ranma nelle proprie.

"Anche... tu stai bene?". Disse alla fine, pigiando la fronte contro il suo collo. "Sei caduto abbastanza duramente".

"Non è nulla", disse bruscamente, tenendole ancora la mano mentre muoveva il dito.

"Bene". Akane si spostò di nuovo in modo da poterlo vedere in viso; le stava ancora guardando la mano, perché non l’aveva baciata e quando si sarebbe deciso a farlo?

Era stanca di aspettare. La tolse dalla sua presa e gliela mise contro la guancia, ignorando il dolore. Le ci volle una piccola pressione per girare il volto verso di sé e nessuna mossa per convincerlo a chiudere lo spazio vuoto fra le loro labbra.

Non era del tutto pronta alla fervente risposta di Ranma, il modo in cui le sue braccia la circondarono e la strinsero velocemente, ma non si voleva certo lamentare. Era assorbita dal baciarlo, affascinata dalle varie possibilità di bacio disponibili. Non aveva mai immaginato che baciandolo così sul lato del collo lo avrebbe fatto vibrare, o che lui si sarebbe inclinato verso il suo orecchio, e... oh, Cielo, quella era la sua lingua? Non poteva più dire quali sospiri fossero i propri e quali quelli di lui, c’erano così tante cose su cui concentrarsi! Le sue mani ruvide che si muovevano sulla sua schiena. La sensazione esotica del suo torace duro contro il seno, lo scivolare della seta contro il lino grezzo a ogni movimento. Ma soprattutto, le sue labbra che creavano piste ardenti attraverso il suo viso e il collo, stuzzicando il bordo del suo colletto alto, calde attraverso il merletto che le copriva le spalle.

Il mondo si stava inclinando; ma no, era Ranma che si stava stendendo e la stava portando con sé, finché il suo sguardo non incontrò quello di lui, la gonna le si aggrovigliò sulle gambe. Non era una cattiva idea, pensò mentre gli baciava di nuovo il collo. Stare dritti comportava molto dispendio di energia, energia che poteva essere spesa meglio facendo scorrere le mani sulle sue spalle. Un momento più tardi si rese conto di un altro vantaggio: quelle di Ranma cominciavano a scendere più in basso, oltre la vita, carezzando le sue anche in un modo affascinante.

Tuttavia sarebbe stata più comoda se non avesse avuto l’osso del suo fianco conficcato nello stomaco. Si spostò da un lato, poi si gelò.

Quello non era il suo fianco.

Con un squittio avviluppato si allontanò, cadendo a terra. Ranma si mise di nuovo seduto, i suoi occhi erano selvatici.

"Cosa? Cosa ho fatto? Mi dispiace!".

Akane sentì la faccia diventare rossa. "Io... uh... tu sei... ". Non riusciva a smettere di fissare... "Lo sai".

"Sapere che cosa?". Seguì la direzione del suo sguardo, poi avvampò "... oh".

Finalmente riuscì a staccare gli occhi, concentrandosi sulle dita del piede che sbirciavano fuori dall'orlo del vestito. Le strusciò per terra. Baciarsi lo poteva fare, baciarsi era davvero bello, ma... non era pronta per il prossimo passo. Nessuno le aveva mai detto che era così facile passare dall’uno all'altro.

Il dojo era silenzioso mentre si fissava il piede. Finalmente, guardò di nuovo Ranma.

Si era girato di spalle e stava guardando il cielo attraverso il buco nel tetto. Si chiese a cosa stesse pensando.

Forse si era pentito di essere entrato nel dojo. O forse... forse si stava sentendo come lei, bloccato e un po’ spaventato, ma ancora terribilmente...

Akane si mise a sedere accanto a lui, seguendo il suo sguardo. Le stelle si erano spostate e lei si concentrò un momento per tentare di identificare la costellazione. Forse Cassiopea? In realtà non importava.

La propria mano era vicino alla sua; era facile, essendo così vicino, farvela scivolare stringendola dolcemente. Perché ci doveva sempre pensare così tanto?

"Mi... dispiace, Ranma", disse alla fine. "Io ero solo... un po’ spaventata".

Ranma stette in silenzio per un momento eterno, poi sospirò. "Anche io", ammise quietamente. La mano si spostò, afferrando la sua. "Ma non lo dire a nessuno".

"Non lo farò". Inclinò la testa contro la sua spalla. "Sarà il nostro piccolo segreto".

Sedettero lì fino a che un nuovo gruppo di stelle si mosse nella loro fetta di cielo, un cielo che si stava cominciando a illuminare. Ranma si alzò in piedi con un enorme sbadiglio, tirando Akane con sé.

"Kasumi si alzerà presto. Faremo meglio a prenderci cura della tua mano". Le sorrise come se quella notte non ci fosse mai stata. Si ritrovò a sorridere anche lei.

"Ok".

Questo non li fermò dal baciarsi cinque volte mentre camminavano in silenzio verso il bagno, altre due o tre volte mentre Ranma insaponava dolcemente e lavava, fregando, la sua mano e ancora una volta quando il bruciore del disinfettante fece spuntare le lacrime negli occhi di Akane.

"Sei una tale piagnucolona", la stuzzicò guadagnandosi un altro bacio.

"Stupido". Akane sorrise, inclinandosi verso di lui solo un’altra volta...

La mattina dopo non avrebbe davvero avuto quell'opportunità.

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"Onestamente, sei un tale... ".

"È stata tutta colpa tua!".

Kasumi aveva commesso l'errore di mettere in evidenza il fatto che il dojo era veramente messo male, si aspettava che tutti aiutassero; e come era possibile che Akane avesse sporcato così tanto il suo vestito?

Non era pronta per dirglielo.

Non fu facile non lanciarsi su Ranma e baciarlo, perché quello era davvero l'unico modo che aveva trovato per zittirlo. E lui era sicuramente in forma smagliante quel giorno.

Soun stava parlando da un po’ di tempo; pensò che forse le sarebbe bastato per smettere di pensare a baciare Ranma in quel particolare momento, quindi decise di ascoltare il padre cercando di non distrarsi.

"E così... ", stava dicendo monotono, "... finché non abbiamo le finanze sotto controllo, dovremo aspettare un po’ per il matrimonio... ".

Cosa aveva detto?

Akane gettò un sguardo innocente a Ranma che la stava guardando pensieroso. Gli sorrise.

Sperò che non dovessero aspettare molto a lungo.