Epilogue

Ranma sbuffò, mentre finiva di tornare sui propri passi. Essendosi fatto tardi ed avendo ancora fame, suo padre aveva pensato bene di svignarsela, dichiarando ad alta voce che sarebbe tornato per primo al ryokan, padre tanto generoso da permettere al sangue del suo sangue di trascorrere un po’ di meritata intimità con la propria fidanzata. Si credeva pure spiritoso! Ma il ragazzo con il codino aveva deciso di rinunciare all’inseguimento. Tanto, sapeva che al vecchio l’avrebbe fatta pagare una volta tornato. Come al solito.

Già, proprio come al solito. Ranma si fece più serio. Com’è che aveva detto la vecchia?

Era cambiato tutto e non era cambiato niente.

Proprio vero. Nonostante quello che avevano passato, l’equilibrio, solo apparentemente sottile, che legava le persone che si rapportavano a lui, in sostanza non si era modificato. Perfino Shampoo sarebbe tornata presto in Giappone, pensò. E la sua vecchia bisnonna avrebbe escogitato qualche nuovo stratagemma per incastrarlo, senza dubbio. Tutto come sempre. In quel modo, gli interrogativi che lo torturavano dall’inizio dell’intera vicenda non si erano per nulla sopiti, ma, al contrario, parevano essersi alimentati di nuova linfa vitale per tornare a martellarlo, più insistenti che in precedenza.

Aveva rimpianto di essere penetrato a forza nelle loro vite. Nella sua vita. Poteva biasimarsene ancora? Dopotutto, aveva sperimentato sulla propria pelle cosa fosse un mondo senza di lui. Nemmeno lì, le cose andavano come voleva, tanto che erano state, paradossalmente, proprio le sue continue interferenze ad aggiustare qualcosa. Ma allora? In definitiva, cos’avrebbe dovuto fare, lui?

“Ranma…”

La voce di Akane lo riscosse dai propri pensieri. Si rese conto di essere rimasto veramente solo con lei, suo padre dunque non scherzava. Che fine avevano fatto Ryoga e Ucchan? Guardò la fidanzata, con aria confusa e allo stesso tempo curiosa. In effetti, non si erano più scambiati una sola parola da quando erano usciti dalla caverna.

“Obaba, prima, ha raccontato, a me e agli altri, di quello che è successo nella grotta con Muchitsujo.” disse la minore delle Tendo, quieta. “Beh… direi che ci è andata bene. Siamo stati fortunati, vero?”

Ranma ebbe l’impressione che non fosse questo l’argomento di cui lei intendeva parlare. Sembrava voler aggiungere qualcos’altro. Cosa, dunque?

E d’un tratto, si ricordò.

“E’ da molto tempo che volevo dirti… che…”

Avvampò all’istante e sperò che Akane non se ne fosse accorta. Per qualche strana ragione, adesso che non si trovavano più in pericolo di vita e ogni minaccia era definitivamente cessata, il giovane con la treccia non sentiva più la pressante esigenza di concludere quel discorso. Né lei, ora, l’avrebbe potuto costringere. D’altronde non aveva nessuna prova, riguardo ciò che voleva dirle… giusto…?

Dannazione! Ecco che ci ricadeva! Eppure, dopo l’esperienza nel mondo alternativo, lui credeva di essere cambiato… almeno un po’. Aveva fatto maggiore chiarezza riguardo ai propri sentimenti. E allora, perché continuava ad esitare?

Forse perché… Perché aspettare era facile. Molto più facile. Ma quanto sarebbe potuto durare?

“Scusami.”

Non appena udì Akane aprire bocca, scattò in lui la molla. “Non so di cosa tu stia parlando!” si sbracciò Ranma, scattando come morso da una tarantola. “Guarda che non ho detto, assolutamente, categoricamente, nulla del genere e… c-come?” afferrò solo allora ciò che aveva proferito la fidanzata.

“Mi riferisco a poco fa, nella grotta.” Si spiegò Akane, che parve non aver fatto caso alla reazione del fidanzato. “Se non fossi tornata, nonostante quel che avevi detto, e Shingo non mi avesse preso di mira, sarebbe stato tutto più facile, penso. Forse… forse io non dovrei nemmeno essere qui…”

Si tranquillizzò. Non era l’unico con i sensi di colpa. Ma lei non aveva motivo di farsene. Volle farglielo comprendere e pensò che, una volta tanto, doveva dirle qualcosa di gentile.

“Ma dai!” fece. “Eppure l’hai capito, che prima non parlavo sul serio! Cosa vuoi che me ne importi delle fesserie che fai senza pensare?! Ne combini così tante che ci sono abituato, quale sarebbe la novità?” sdrammatizzò, con un grosso ghigno stampato in bocca. Per poi indietreggiare di un passo, al repentino mutare dell’espressione della ragazza, che aveva assunto uno sguardo a dir poco omicida. Forse, a ben pensarci, non era stato abbastanza gentile. Avrebbe fatto meglio a spiegarsi al più presto, per il loro – e per il suo stesso bene.

“V-volevo dire che, se tu non avessi fatto quella fesseria… no, cioè” aggiustò subito la frase “se non fossi intervenuta, forse non avrei fatto in tempo a scagliare l’Hiryu Shotenha contro Shingo.”

“Non è solo questo.” Akane si era ricomposta. “Se Shampoo non avesse cercato di sbarazzarsi di me, tutto ciò non sarebbe accaduto. E’ stato per me.”

“Che?! Non dire assurdità!” sbottò Ranma. Non doveva sentirsi in colpa lei. Per una cosa della quale, in fondo, la colpa era piuttosto di lui che non aveva mai voluto fare chiarezza con le fidanzate. Proseguì, con tono più dolce: “Oggi mi hai salvato la vita… e nemmeno questa, del resto, è una novità…”

“Ranma…” disse lei di nuovo, colpita da quell’inatteso seguito del discorso.

“Certo, so di averti troppe poche volte ringraziato veramente per tutto quello che fai per me… il fatto è che sono maldestro, con le parole.”

“Sì, lo so.” Akane sorrise, ripensando alle diverse cose, oltre a questa, che lui le aveva confidato nell’altra grotta, quella di Jusendo: cioè che non aveva mai inteso farla arrabbiare sul serio, o ferirla; che ciò succedeva quando tentava, senza successo, di dirle quello che provava veramente. Da allora era divenuta più sicura, perché aveva inteso che Ranma sentiva qualcosa nei suoi confronti. Ma temeva, ancora, lei stessa, di approfondire l’argomento. Non riusciva a compiere quell’ultimo passo: guardare in faccia, anche lei, i propri sentimenti ed esporsi.

“Se è per questo” sussurrò la minore delle Tendo. “Nemmeno io sono brava con le parole… e neanch’io credo di averti saputo ringraziare per tutte le volte, compreso oggi, in cui sei stato tu a salvarmi…”

“E’ vero che non dovresti essere qui.” riprese Ranma, scuotendo la testa. “Perché non dovresti essere tu a correre tanti rischi. Perché, se è vero che ti salvo dai pericoli, il più delle volte, quando ti trovi in pericolo, è proprio… per tirare me fuori dei guai.”

Il ricordo del monte Hooh, il più recente prima di quel giorno e, contemporaneamente, il più atroce, lo assalì di nuovo in tutta la sua brutalità. Akane era quasi morta, per aver girato quel dannato rubinetto della Fenice salvandolo dai filamenti di Safulan. Così anche questa volta, non aveva ripetutamente rischiato la vita, gettandosi nel varco e combattendo Shingo, sempre per lui? Quello che Ranma aveva cercato in ogni guisa di evitare, persino scacciando la fidanzata da sé in malo modo. Senza successo.

E lui forse ne conosceva il motivo. Ecco perché doveva agire e cambiare qualcosa.

“Come posso permettertelo ancora?” continuò. “Non deve più succedere. Per questo, tra noi, non voglio che… che le cose continuino in questo modo.”

Akane lo guardò attentamente.

“Dunque… mi vuoi lontano dalla tua vita?” Non lo chiese con risentimento, anzi. Sembrava essere avvolta da una strana lucidità. Era evidente che entrambi sentivano il desiderio che qualcosa cambiasse, tra loro. Ma temevano, allo stesso tempo, che ciò avrebbe solamente complicato ancor di più le loro esistenze. Ranma era un artista marziale, più passava il tempo e più avversari trovava sulla sua strada. Sempre più pericolosi. Il fatto, poi, che, come le aveva raccontato Obaba, l’anima del fidanzato fosse intrisa di Caos, questa era un’ulteriore promessa riguardo nuovi futuri nemici e nuove future minacce. Poteva permettersi di dargli il peso ulteriore, in questi scontri, di dover anche… pensare a lei?

“NO!” replicò con decisione Ranma. Akane sgranò gli occhi, prima di intendere che la negazione era riferita alla prima domanda, quella che gli aveva rivolto ad alta voce. “Stai sempre a fraintendermi! Non volevo dire questo!”

”Allora… che volevi dire? Come vuoi che continuino, le cose?” domandò lei, con recuperata calma.

Non avrebbe frainteso, stavolta. Voleva solo ascoltare. La verità. E Ranma lo capì. Ma qual era la verità?

“Io… io non lo so.” disse, girandosi nervosamente i pollici. Si sforzò di continuare, ma le parole gli morivano in bocca.

“Capisco.” Akane sorrise amaramente, mordendosi il labbro, quindi si voltò di spalle.

Attese qualche secondo, ma il silenzio del fidanzato fu la risposta che ritenne più eloquente. Alzò lo sguardo al cielo. Le prime stelle della sera stavano affacciandosi nel firmamento. La giornata stava volgendo alla conclusione. Forse non solo quella. Si avviò.

“Sta facendosi buio.” mormorò. “Io torno al ryokan.”

A quello, Ranma si sentì il cuore in gola. Non poteva perdere anche quest’occasione!

Maledizione, perché non riusciva a parlare? Perché doveva essere tutto sempre così difficile?! Ripensò a Saitoki, che non si era fermato di fronte ad ostacoli ben più gravi. Poteva lui essere da meno? Se era vero che le cose non erano cambiate, sapeva che era altrettanto vero che lui stesso avrebbe potuto, in quel momento, cambiarne una.

La più importante.

E lo fece. Cinse Akane da dietro con entrambe le braccia, trattenendola. Non si accorse che la ragazza aveva sussultato, al suo tocco. Il ragazzo col codino prese un lungo respiro, per scuotersi di dosso l’agitazione che l’aveva sconvolto da capo a piedi per quel solo gesto.

Riprese a parlare.

“Non lo so… non so quello che ci riserverà il futuro. Diamine, non so nemmeno quale assurdità ci potrebbe capitare domani stesso! Ma voglio avere una sicurezza in più.” aggiunse. “Me ne basta una sola. Io… non ti sto chiedendo di non essere qui. Però voglio dovermi preoccupare il meno possibile per quello che combini. Voglio essere nella condizione di poter controllare che tu non faccia niente di azzardato. Voglio che tra noi non ci siano più incomprensioni. Voglio… non rimanere solo.” Imprecò silenziosamente contro la timidezza che voleva impedirgli di proseguire e spiegarsi meglio. “Quello che sto cercando di dire è che… voglio essere...”

Il tempo si fermò un istante per entrambi, prima che lui, guardandosi le scarpe, trovasse la forza di concludere.

“…con te.”

L’eco di queste parole si confuse col battito accelerato dei loro cuori. “Ra…” ebbe appena modo di accennare la giovane con i capelli corti, mentre lui, lasciandosi guidare completamente dal proprio istinto – che non aveva mai fallito, non cominciasse proprio ora! – cercava le sue mani e gliele stringeva, spingendola a girarsi.

I loro sguardi si incrociarono, finalmente. Ranma era adesso incapace di pronunciare qualunque altro suono, rapito dalla bellezza di lei. Ma non ce n’era bisogno. I loro occhi si specchiavano ciascuno in quelli dell’altro. E si dicevano tutto quello che non erano in grado di esprimere con le parole.

Avvicinò lentamente il proprio viso al suo, le gote di entrambi che arrossivano ogni secondo che passava. Si arrestò quando i loro nasi quasi si toccavano, attendendo un qualunque consenso della fidanzata.

Akane si sentì invasa da una sensazione di gioia pura.

Ranma stava per baciarla.

Ranma voleva che loro fossero insieme.

“Anch’io…” gli sussurrò inavvertitamente, levandosi in punta di piedi, sorridendogli e sciogliendo così le ultime resistenze di entrambi, dettate dalla timidezza e dall’orgoglio. Inclinò leggermente il capo e chiuse gli occhi.

Ranma la imitò subito dopo.

Il ragazzo con il codino pensò, un’ultima volta, all’altra Akane. Pensò a come si fosse sentito colpevole per averla lasciata sola. Adesso era però tornato dalla sua Akane, nella sua realtà. Lei, non l’avrebbe mai abbandonata, per nulla al mondo.

Ricordò ciò che si era ripromesso quel giorno, al parco.

Non aveva alcun dubbio.

*E’ qui, che voglio che avvenga!*

Fu l’ultima considerazione razionale. Mentre le loro labbra si accingevano a toccarsi reciprocamente, dando vita al loro vero primo bacio, Ranma non pensava più a nulla, tanto meno all’avvenire. Akane era il presente e lui sapeva di non desiderare altro.

Qualunque cosa il futuro avesse avuto in serbo per loro, avevano entrambi una certezza in più.