PART 08 - Interlude

L’istituto superiore Furinkan. L’orologio posto al centro dell’imponente struttura segnava l’orario della fine delle lezioni. Ed il cancello si aprì, mentre la campanella aveva cominciato, puntuale, a suonare.

Era ora, non ne poteva più di tutta quell’attesa! Sarebbe potuto entrare facilmente nell’aula dell’ultimo anno, saltando di albero in albero. Ma non voleva attirare su di sé troppa attenzione. Ancora stava tormentandosi per il modo così ingiusto in cui era stato cacciato fuori di casa Tendo da Kasumi: quel vero e proprio evento bruciava più di una ferita in un animo come il suo, già normalmente tanto tempestoso ed ora tale più che mai. Non aveva commesso niente di sbagliato. Eppure aveva fatto adirare Kasumi. Rifletté. Questo era successo dopo che le aveva rivelato di essere un artista marziale e, di conseguenza, fatto cenno alla scuola di lotta indiscriminata. Già, la palestra. L’insegna della palestra era scomparsa, probabilmente le due stranezze erano collegate: e Ranma voleva assolutamente scoprire cosa fosse avvenuto… ma allo stesso tempo era ben consapevole che non sarebbe dovuto incorrere negli stessi errori di prima, per di più, stavolta, davanti ad una persona acuta come Nabiki Tendo. Le avrebbe dunque nascosto in ogni modo di praticare le arti marziali. Non doveva fare passi falsi. Con lei sarebbe stato ancora più difficile. Ma poco importava. Lei era la sola. L’unica persona che gli potesse spiegare cosa fosse accaduto.

Entrò finalmente nel cortile. Quindi si lasciò sfuggire una smorfia di disgusto. Orrendo, lo spettacolo che gli si era parato dinanzi.

Palme dappertutto. E ritratti del preside. Dovunque. Statue raffiguranti il suo stupido volto sghignazzante. Statue che lo raffiguravano nelle pose delle opere d’arte più famose. Già disgustosa appariva la versione del Discobolo con la sua faccia e un ananas al posto del disco. Ma la testa di Koccho Kuno inserita nel busto della Venere di Milo – beh, questo lo fece nauseare più di ogni altra cosa.

Ranma si inoltrò maggiormente, mentre i primi ragazzi cominciavano ad uscire dall’edificio. Superò alcuni capoccioni raffiguranti una facciona sorridente ed abbronzata, modellati su quelli ben più solenni dell’Isola di Pasqua. Al centro esatto del cortile troneggiava un’enorme pseudo-Statua della Libertà con indosso gli occhiali da sole ed una camicia hawaiana. Happosai non era, evidentemente, l’unica persona a profittare della sua assenza da Nerima. Proprio in quell’istante, due puntini rossi illuminarono le lenti degli occhiali del monumento ed una telecamera nascosta entrava in azione.

*Mmh, percepisco una minaccia.*

Il sesto senso non tradì Ranma nemmeno questa volta. Una piccola palma sbucò dal capo di un’altra statua, questa volta a grandezza naturale. E che si svelò non essere affatto una statua, dal momento che si stava lanciando contro al giovane Saotome, attaccandolo con un affilato rasoio.

“No, no, no! Very, very bad! Quel tuo lungo codino non è ammesso nella mia school, non le conosci le regole?”

“Maledetto!” si rivolse lui a quella sottospecie di un preside. “Guarda che non sono affatto uno dei tuoi studenti… almeno non più.”

“Non c’entra, sei diventato un mio student nel momento stesso in cui hai messo piede qui: now preparati ad un beautiful scalpo!”

“Questo è quello che vedremo!”

Cominciarono a combattere. Ranma schivò facilmente il rasoio del preside del Furinkan, quindi lo spedì in aria con un potente calcio. Il tutto in pochi secondi.

*Più facile del previsto* convenne, soddisfatto di sé.

Non aveva, però, previsto un particolare. Una gran folla di studenti si radunò velocemente attorno a lui e lo applaudì festosa. Mentre, al contrario, un gracile ragazzo dall’aria furtiva andava in tutt’altra direzione.

Ranma si maledisse. E sì che non doveva attirare su di sé l’attenzione degli altri… il proposito non aveva avuto un grande successo.

*Accidenti, adesso come devo comportarmi?*

Un altro pensiero finì poi per prendere il sopravvento. I suoi compagni… ex compagni di scuola… Com’erano conciati?! Fissò con meraviglia le teste rasate a zero degli studenti maschi, e le capigliature cortissime delle ragazze, tipo quelle di Akane e Nabiki. Si ricordò di come aveva trovato Hiroshi e Daisuke, quella mattina.

“Perché siete combinati così?” chiese ad uno studente.

“Colpa di una disposizione del preside” rispose quello. “Ci ha obbligati, a meno che non avessimo trovato una dispensa speciale, mostrandoci meritevoli della sua stima.” Si massaggiò il capo. “Ma, come vedi, non ci siamo mai riusciti.”

Ora tutto era chiaro. E la mente del giovane Saotome rievocò il malaugurato giorno del ritorno del preside dalle Hawaii: la dispensa, in effetti, l’avevano trovata e dopo non poche difficoltà lui e Akane… Akane! Anche lei portava i capelli corti, eccone il motivo – ma possibile mai che si fosse sottomessa alle folli disposizioni del degno padre di Kuno e Kodachi?! Strano! No, questo non era da Akane…

Non poté continuare le proprie riflessioni. Il pazzo vestito all’hawaiana era tornato alla carica.

*Ecco, era appunto troppo facile* sbuffò Saotome.

Gli studenti si sparpagliarono per il cortile, mentre il preside cominciò a lanciare i suoi ananas esplosivi. Ranma schivò anche questi, balzando all’indietro più volte.

Il ghigno del preside si allargò ulteriormente.

Very good! Sei proprio dove ti volevo.”

L’adolescente con la camicia cinese sentì appena queste parole. Mentre il preside premeva il bottone di una specie di telecomando, il pavimento ai suoi piedi cominciò a tremare vorticosamente.

Do you know cosa si trova sotto di te?”

Ranma non fece in tempo a spostarsi.

“Se your answer era: le tubazioni dell’acqua, allora hai indovinato! Ha ha ha!”

Il disgraziato fu travolto in pieno da un potentissimo getto d’acqua.

You see, questo è il metodo usato alle Hawaii per raffreddare i bollenti spiriti delle teste calde come la tua.”

Ranma-chan fu balzata in aria. Ed atterrò fortunosamente sopra una delle decine di palme finte che riempivano il cortile. Bene così. Non era il caso di mettere ancora una volta tutta quanta la scuola a conoscenza della propria maledizione. Ma come avrebbe fatto ad affrontare il preside senza far capire agli altri che le sue forme adesso erano diverse?

“Cos’è tutto questo trambusto?” chiese un ragazzo dai vestiti antichi, dalla folta capigliatura e dal portamento elegante, attorniato da quella cerchia dei membri del club di kendo che costituivano i suoi fedeli.

“Non sappiamo, Kuno senpai” rispose uno di costoro.

“Bene, che aspettate? Andate a vedere e quindi informatemi.”

Non ce ne fu, però, bisogno. Un giovane dall’aspetto pallido, smilzo quasi da parere denutrito, marcato dalle profonde occhiaie che gli rigavano il volto, stava infatti accorrendo dalla loro parte. Nascosti solo all’ultimo momento in tasca i feticci per le maledizioni raffiguranti le sembianze di Tatewaki, con tanto di spilloni già infilzati, si preparò a raccontare gli ultimi sconcertanti eventi.

“Senpai, è incredibile!”

“Cosa è incredibile? Spiegati!”

“Ecco, il preside del nostro istituto” disse Gosunkugi “sta venendo proprio in questo momento messo in seria difficoltà da un nuovo arrivato.”

“Un nuovo arrivato?” ripeté Kuno.

“Proprio così. Non dev’essere di questa scuola, almeno io non l’ho mai visto prima: veste strani abiti, porta un lungo codino e, proprio per questo motivo, il preside lo ha attaccato con i soliti rasoi. Solo che – insomma, sembra sia stato sconfitto!”

I membri della squadra di kendo avevano preso ad alimentare un fastidioso brusio generale di voci. Il loro capitano deglutì a stento, capiva l’importanza che potevano assumere quegli eventi. E già osservava intorno a sé il proprio prestigio cadere in declino.

“Questo è inammissibile” si affrettò a gridare, sovrastando i compagni. “Nessuno può permettersi di combattere contro il preside dell’istituto superiore Furinkan, eccetto il sottoscritto: Tatewaki Kuno, altrimenti noto a tutti come il Tuono Blu.”

“Eppure qualcuno lo sta facendo” replicò con tono indolente una giovane studentessa, portandosi stancamente una mano ai propri capelli a caschetto.

“Taci, i tuoi modi arroganti non mi toccano affatto” ribatté Kuno. “Sono io il più forte qui, mi sembra fuori di dubbio.”

“E allora perché non sei ancora riuscito a sistemare il tuo paparino, finora?” fece lei, socchiudendo le palpebre.

Kuno esitò un istante. Dunque si avvicinò alla ragazza, finché non vi fu a quattr’occhi.

“Nabiki Tendo, ti odio con tutta l’anima.”

“Il sentimento è reciproco” disse l'altra, senza scomporsi.

Ridicolizzare quell’idiota vestito da samurai era il suo passatempo preferito. Certo, badava a non calcare troppo la mano. Dal momento che Kuno costituiva, d’altro canto, una delle sue maggiori fonti di guadagno.

Sebbene, mai come quell’altro giovanotto incontrato da poco tempo…

“Comunque il migliore sono io!” riprese intanto Tatewaki. “Chiaro?!”

Puntò il bastone da kendo verso il cuor di leone del gruppo: il quale non poté che assecondare il suo interlocutore.

“Ma certo, Kuno senpai!” esclamò Gosunkugi. “Lo sappiamo bene che sei tu.”

“E non dovete dimenticarlo” ringhiò lui. “Da quando quel meschino individuo è tornato dal suo viaggio alle Hawaii, io solo sono stato risparmiato dal suo losco piano di rasare a tutti le teste a zero: segno che quell’uomo mi teme, si è reso subito conto con chi ha a che fare. Ragion per cui, è su di me – solo su di me, che dovete fare affidamento.”

Nabiki celò un sorriso sprezzante. Lei lo conosceva bene, il vero motivo per cui la nobile chioma del Tuono Blu era rimasta al proprio posto. Per non far prendere ancora più freddo a quel testolone già pieno di spifferi, vuoto e bucherellato com’era al suo interno. E, soprattutto, per celare la dispensa tatuata sul suo cranio, che avrebbe esonerato tutti quanti da quegli assurdi tagli di capelli. Bella informazione, questa. Che avrebbe venduto ad altissimo prezzo, non appena avesse giudicato essersi verificate le condizioni migliori per ricavarne il miglior profitto possibile.

Kuno si avviò verso il lato opposto del cortile, quello che a detta di Gosunkugi costituiva l’improvvisato campo di battaglia. Bene, avrebbe ancora una volta dato sfoggio del proprio indiscusso valore. Il cocchio sfolgorante dell’astro diurno, illuminando ogni cosa viva e non, avrebbe dato adito ai pochi fortunati di ammirarlo all’opera. E costoro si sarebbero presto dimenticati dello sconosciuto che si era preso la briga di sfidare quel degenerato di un preside, cui lui stesso era, purtroppo, indissolubilmente legato da un vincolo di sangue e la qual cosa gli aveva sempre impedito – quale animo generoso nonché magnanimo! – di umiliarlo una volta per tutte in pubblico. Già, nonostante un tale padre, si poteva affermare tranquillamente che egli, Tatewaki Kuno, era pressoché perfetto.

Eppure, eppure non era soddisfatto. Era certo il miglior spadaccino del mondo. Era ricco, nobile, fortunato e di bell’aspetto. Fragili e delicate donzelle smaniavano solo per potergli portare i libri, i loro ingenui cuoricini portati ad amarlo con tutta l’intensità e la passione di quell’effimera stagione della vita che è la giovinezza. Eppure… Chi l’avrebbe detto che lui, il Tuono Blu, era in verità infelice ed insoddisfatto?! Difficile a crederlo, ma era così.

Una cosa gli mancava. A lui! L’amore. Il vero amore. E dire che pensava di averlo trovato, credeva di avere individuato definitivamente la fanciulla che faceva al suo caso. Un fiore dolce e delicato. E nello stesso tempo forte e indomabile, con le sue spine. Ma lui era pronto a pungersi per l’eternità.

Waga ro-zu aka-ne..." mormorò con un lieve sospiro.¹

La sua rosa rossa. La sua rosa Akane. Unica, quella ragazza. E così solare.

Peccato. Peccato davvero, per quell’incidente. Anche i fiori più belli finiscono per appassire, pensò mentre aveva ormai raggiunto il centro del cortile.

Dove una figura nascosta tra le palme finte stava lanciando delle noci di cocco lì sopra appese, e queste vere, contro il preside. Era l’unico modo di attaccarlo senza farsi vedere. Ma le munizioni erano piuttosto limitate. Cavolo, possibile che, avendo l’incredibile opportunità di ricominciare daccapo una nuova vita, si stava ritrovando praticamente in tutte le situazioni di quella precedente?! Ranma sbuffò, un momento più tardi dovette schivare l’ennesimo frutto esplosivo lanciato dal basso. Il preside non desisteva. Come far cessare quell’assurda e ridicola battaglia?

“Fermi tutti!”

Il tono imperioso di Kuno sovrastò ogni rumore presente. Ma i due contendenti sembrarono ignorarlo. “Taglia taglia taglia” aveva preso a fare il preside, spezzando lentamente la base della palma con una sorta di scure. Si interruppe al suono di una sveglia da polso.

“Ho-ho! Break-time” proclamò, mentre aveva cominciato a sorseggiare una tazza di caffé bollente, tirato fuori da un termos.

“Vuoi fare la persona seria, per una volta, idiota?!” gridò una voce spazientita il cui timbro parve agli studenti del Furinkan un po’ diverso da poco prima. Femminile, avrebbero potuto azzardare alcuni.

“Ok, ok! Don’t get angry! Fine della pausa pranzo” e riprese ad armeggiare con la scure.

“Statemi a sentire” continuò imperterrito il Tuono Blu. “Io Tatewaki Kuno vi ingiungo di…”

In quel preciso istante la palma crollò. Kuno fece appena in tempo a schivarla e non finirvi sotto. Ma non fu abbastanza veloce per evitare la ragazza dalla chioma fulva che gli stava balzando addosso, con qualcosa nel palmo della mano. Ebbe appena il modo di scorgerla.

*Una ragazza con una noce di cocco?!* pensò sbalordito, mentre rimaneva abbagliato dalla luce solare di cotanta visione. Un secondo più tardi, al contrario, vide le stelle.

Ranma-chan usò Kuno come trampolino: con un nuovo balzo andò verso il preside, a quel punto gli lanciò la noce di cocco che stringeva in mano disarmandolo. Approfittò del momento per versarsi addosso quello che era rimasto del caffé bollente e tornare uomo. Quindi, con un pugno deciso sferrato verso l’alto, spedì nuovamente il preside nella stratosfera. Tutto questo in nemmeno due secondi, non permettendo a nessuno di rendersi conto della sua trasformazione.

Gli studenti del Furinkan ripresero ad applaudirlo. Si guardò intorno. Scorse tutti quelli che conosceva. Anche Yuka e Sayuri, le quali si erano molto avvicinate a lui con gli occhi sfavillanti di ammirazione – nulla da dire, il suo fascino colpiva sempre, in qualunque realtà. Tutti quelli che conosceva. Tranne…

“Cerchi mia sorella? Lei si trova ancora dentro e vi rimarrà parte del pomeriggio, è il suo turno di fare le pulizie.”

Ma che diamine! Gli aveva fatto prendere un bel colpo. Pure lei si dilettava a leggergli nel pensiero, ora?! Era veramente così prevedibile, come gli aveva detto Shingo?… Dopo qualche istante di balbettamenti vari, si ricordò che era giunto al Furinkan apposta per incontrare lei. E non Akane. Per quanto, non riuscì a non volgere lo sguardo, per una frazione infinitesimale di secondo, verso la finestra che dava alla loro aula.

“A dire il vero” si ricompose. “Cercavo proprio te, Nabiki Tendo.”

La ragazza non si sbalordì affatto. Non si aspettava che quel forestiero conoscesse il proprio nome, ma ciò dopotutto non poteva significare altro se non il fatto che la sua fama stava estendendosi velocemente e ben oltre i confini di Nerima. Molti la cercavano. Anche se, dopo quell’incidente

Furono interrotti dal ruotare vorticoso di un nastro da ginnastica ritmica.

Che lanciava per tutto il cortile petali di rosa nera.

Ed una pazza con indosso la divisa dell’istituto superiore femminile Saint Hebereke piroettava allegramente per la scuola.

“Uffa! Ecco che ci risiamo!” mormorò rassegnata Yuka.

“Oh oh oh oh oh oh! Gli studenti compiono il loro dovere quotidiano, consci e fieri della loro ignavia” civettava una voce stridula ben nota. “Ma eccomi, quale imprevisto momento di caos atto a rendere eccitanti le loro squallide esistenze, raggio di luce teso a squarciare le nubi grigie che ottenebrano le loro insulse vicissitudini.”

Detto questo, ricominciò a saltellare stupidamente da una parte all’altra della scuola, lanciando vapori paralizzanti contro degli impotenti liceali.

“Cosa vuol dire?!” domandò Ranma.

“Quella che vedi” spiegò Sayuri “è Kodachi Kuno, detta la Rosa Nera: viene qui ogni giorno alla fine delle lezioni, per celebrare la sua grande vittoria nei confronti della nostra scuola: nel torneo di ginnastica ritmica marziale che si è tenuto più di un anno fa. Contro la nostra rappresentante, Akane Tendo.”


¹ “Waga ro-zu aka-ne” tradotto suona “la mia rosa rossa”. Ma mi sono permesso di giocare sul doppio senso della parola “akane” (sia nome proprio di persona, sia traduzione della parola “rosso”).