PART 15 - Before the Storm

Consorte? Era così che la vecchia mummia lo aveva appena chiamato, ne era sicuro. La scrutò con maggiore attenzione, che non fosse la stessa amazzone che aveva evocato il dragone poco prima? L’altra non avrebbe mai potuto chiamarlo con quell’appellativo. Se così stavano le cose, forse… Riprese a sperare.

“Tu… perché mi hai chiamato consorte?” domandò Ranma, titubante, facendo presa sulle braccia per sistemarsi in una posizione più diritta. Notò che il sole era ormai alto nel cielo, nonostante la luce filtrasse solo in parte, ostacolata dalle fronde degli alberi.

“Oh ma è semplice” rispose Cologne, strizzando un occhio e portando sensualmente all’indietro una ciocca dei lunghi capelli, mentre gli uccellini d’intorno cantavano al fiorire della natura. “Perché sono la tua dolce adorata mogliettina, no?”

Gli uccellini volarono via, e a loro si sostituì un gracchiare, forse di un corvo, che pareva deriderlo. Il mondo per lui finì in quell’istante. In quale pazza, folle, irrazionale dimensione era mai finito? Si sentì caduto, nel vero senso del proverbio, dalla padella alla brace. Ma probabilmente il peggio doveva ancora venire, pensò un istante più tardi. Obaba, infatti, gli si fece più vicino, annullando di attimo in attimo la distanza che li separava. Ed infine, unica testimone la natura che li circondava…

“Uh uh uh uh uh!” gli rise in faccia “Ovviamente stavo scherzando.”

Si lasciò nuovamente cadere all’indietro, sulla terra ricoperta della prima ondata stagionale di foglie secche. Era un miracolo che non gli fosse venuto un infarto. Maledetta vecchiaccia! Lo Saishuu Shiyou Rei-ryuujin aveva fallito completamente e quella scema si permetteva pure di prenderlo in giro?! “Senti tu…”

“Uno strano posto per dormire, non pensi?” gli si sovrappose con la voce l’altra, che non lo aveva ascoltato. “Tanto più che la pensione è proprio qui accanto.”

La pensione? Ranma alzò lo sguardo. Realizzò che non c’erano tutti quegli alberi, nei pressi di Joketsuzoku. Non era più in Cina. Si trovava in un bosco e, di fronte a lui, in uno spiazzo che si faceva strada tra la vegetazione, s'ergeva il ryokan. Quello dove aveva pernottato tempo prima con la famiglia Tendo più i suoi genitori, Shampoo e Ukyo. Era a Yakuzai. La vecchia lo aveva chiamato in quel modo perché…

“Sono tornato” mormorò tra sé. Poi, più forte: “Sono tornato!”

L’urlo del ragazzo col codino richiamò l’attenzione dei presenti nella locanda. Furono spalancate alcune finestre, dalle quali si affacciarono Kasumi e un Soun Tendo assonnato, con lo spazzolino da denti in bocca. Videro Ranma, chiamarono gli altri e scesero in strada correndogli incontro.

In quanto al ragazzo col codino, pure lui corse incontro a quella che ormai considerava la sua famiglia, e che temeva fino ad un attimo prima di avere perduto definitivamente: questo sotto lo sguardo attonito di Obaba, confusa per il dirompente entusiasmo del ragazzo.

La commozione del giovane vestito alla cinese crebbe ulteriormente, quando vide, tra gli altri, sua madre correre verso di lui con le braccia spalancate.

*Mamma!* pensò, sforzandosi di resistere al proprio turbinio di emozioni. La sua visita a casa dei Saotome nella realtà parallela era un ricordo ancora troppo vivido, nella mente del giovane.

“Ranma, che gioia!” esclamò Nodoka.

Fu proprio perché lui aveva abbassato completamente la guardia che, quando furono finalmente l’uno davanti all’altra, Nabiki poté intrufolarsi alle spalle di Ranma senza che questo se n’accorgesse.

“Bisogna festeggiare, non credi, signor uomo-per-intero?!” ebbe appena il tempo di udire, prima di essere travolto da una secchiata d’acqua. Di modo che la signora Saotome si trovò a stringere tra le braccia il petto ben poco piatto di una fanciulla con la treccia bagnata fradicia.

“Ma… Ranma…” balbettò la donna, appoggiandosi una mano al cuore.

“Eh?” fece confusa la rossa.

“Credevo che fossi così contento perché eri tornato completamente maschio” mormorò Nodoka, come a se stessa. “Invece ti trasformi ancora in Ranko, eppure sei felice comunque… Questo vuol dire forse che ti piace essere una ragazza?!” esclamò piena di ansia. Dopo di questo, sembrò lasciarsi cadere per terra, come fosse svenuta. Ranma-chan capì solamente all’ultimo istante che sua madre si era invece chinata ad afferrare la propria katana.

“Toh, io pensavo che si fosse bagnato nella Sorgente della Volpe Rossa guarendo definitivamente: per questo gli ho fatto il gavettone” spiegò Nabiki al resto della famiglia.

“Si sarà trattato della solita bufala” commentò Soun, che aveva ripreso a lavarsi i denti, osservando il figlio fuggire alla madre in sembianze non maschili ed emettendo, tra l’altro, grida altrettanto poco virili.

“Oh, ma se corre e suda così bagnata, Ranma rischierà di buscarsi un malanno!” notò preoccupata Kasumi, mettendosi una mano alla bocca.

“Perché scappi, Ranma? Non stavi correndo da me, un momento fa?” diceva quasi con le lacrime agli occhi Nodoka, che ormai lo stava inseguendo in tondo.

Nabiki interruppe il ridicolo giro di giostra, facendo lo sgambetto all’inseguita.

“Ma insomma!” Incrociò le braccia, con fare indolente. “Invece di stare qui a giocare, ci dici dove hai lasciato il resto della brigata?!”

“C-come, scusa?”

“Hai sentito bene, dove sono gli altri?… in effetti eri tornato troppo presto, perché tutto fosse andato per il meglio.”

“Troppo presto? Ma se… vuoi dire che loro sono ancora là?! Spiegati bene!”

“Sei tu che dovresti dare qualche spiegazione a noi, non credi?” intervenne Obaba.

Fu solamente allora che Ranma capì che qualcosa non quadrava. La vecchia. Se quello era veramente il mondo cui apparteneva il giovane col codino – allora cosa ci faceva Obaba, a Yakuzai?

Scese lentamente il burrone. Riconobbe che era molto profondo, i tortuosi cunicoli di prima si erano risolti in un’apertura sotterranea dalla vastità imprevista. Una meraviglia per qualsiasi appassionato di geologia. Ma lei non lo era, e doveva pensare piuttosto a non mettere il piede in fallo: un passo falso e nulla l’avrebbe salvata da una rovinosa caduta.

La discesa per lei era quasi conclusa. Nessuna traccia dell’apocalisse che si era scatenata appena poco prima, tutto era tornato nella penombra e questo aveva rallentato di molto i tempi di Ukyo. Quel dragone era scomparso nel nulla. E non sarebbe mai apparso se solo – com’era stata cieca! Chissà se sarebbe mai riuscita a farsi perdonare da Ran-chan. Sempre che Ran-chan fosse ancora vivo. Rabbrividì, pensando che probabilmente lui… e Akane… Quell’altezza era troppo per chiunque. Ma doveva sperare, non poteva arrendersi. Non poteva finire tutto così. Doveva verificare. Perfino quella pazza di Shampoo avrebbe avuto ciò che si meritava solamente più tardi. Non sapeva se era in tempo a fare qualcosa, soprattutto ignorava se c’era qualche cosa che poteva essere ancora fatta.

Spiccò gli ultimi balzi e già riuscì a distinguere una sagoma distesa sul fondo. Strinse inavvertitamente i pugni. La riconobbe, era Akane. Si portò accanto alla ragazza con i capelli corti, non sembrava avere nessuna ferita visibile. Almeno in apparenza, ma non poteva affermarlo con certezza: troppo poca luce, per giudicare. Akane era sdraiata su un fianco, immobile, gli occhi chiusi. Ukyo si inginocchiò sulla nuda roccia, percependo una fastidiosa sensazione di freddo. E di umidità. Dovevano trovarsi molti metri sottoterra e la cosa sorprendente era che quella grotta sembrava estendersi per molto ancora, in lunghezza ma non solo: il soffitto si poteva solo intravedere ad un’altezza di poco superiore a quella dell’enorme dislivello in cui era scesa, il baratro lungo il quale lo spirito aveva risucchiato prima Akane e poi Ran-chan. Come si era potuto formare un tale burrone sotterraneo? Che fosse stato scavato – dall’acqua? Forse c’era veramente una sorgente, da qualche parte.

Queste erano, però, considerazioni fuori luogo. Riportò la propria attenzione su di Akane. La sollevò a sé, ascoltò con maniacale attenzione per scovare il battito cardiaco. Respirava. Fu in quel momento che Ukyo si accorse di avere lei trattenuto il respiro, per tutto quel tempo, e che adesso il cuore le era stato sgravato come d’un grosso peso.

“Mmm…”

*Sta riprendendo i sensi* valutò la giovane cuoca di okonomiyaki. Si sentiva decisamente meglio. Avvertiva persino meno freddo, quasi come se si fosse alzato un vento tiepido.

“U-ukyo… sei tu?” mormorò la minore delle Tendo.

N-non sapevo niente, meglio, qualcosa sapevo ma – è stata un’idea di Shampoo, non credevo le avrebbe dato di volta il cervello! quello che provò a dire Ukyo. Ma altre, le parole che uscirono dalla sua bocca: “Come… ti senti?”

Akane si tastò in tutto il corpo. Non sentiva dolore da nessuna parte: era stordita per lo shock, forse, ma nient’altro. Ucchan immaginò che il vortice l’avesse semplicemente posata in quel punto. Rilassò i muscoli, ancora rigidi per la tensione. Forse anche Ran-chan aveva qualche speranza.

“Uh… io credo di essere svenuta” accennò Akane. “C’era quella specie di drago e…” Si arrestò. La sua mente aveva rimesso brevemente in ordine gli ultimi accadimenti. Non poteva abbassare la guardia. Troppo chiaramente aveva percepito Shampoo invocare il drago. E Ukyo poteva avere una parte in tutto questo. Certo, aveva capito troppo tardi del tranello – stupida che era! Stupida, stupida! Chissà come l’avrebbe presa in giro quell’idiota di… Arrestò il pensiero, cercandolo con lo sguardo. L’aveva visto tenderle la mano un attimo prima di cadere nel baratro. Ma lui adesso non era presente.

“Ranma! Dov’è?!” quasi gridò, come assalita di colpo da un bruttissimo presentimento.

La ragazza con la grossa spatola incrociò le pupille di Akane, che le supplicavano una pronta risposta, e non seppe cosa dire. Non perché non l’avesse, una valida spiegazione. Anzi. Una risposta si era formata, nel suo animo. Quella più tremenda, quella che non avrebbe mai voluto dare nemmeno a se stessa. Ran-chan e Akane erano caduti pressappoco nello stesso punto. Ma la giovane Kuonji in quel momento non scorgeva nessun’altra presenza, oltre a quella della giovane Tendo.

“Ukyo! E’ successo qualcos’altro… che dovrei sapere?!”

La donna con la spatola non riuscì a spiccicare parola. Cominciò a sudare intensamente. Ma non era solo il terrore che lo spirito avesse eseguito l’ordine di Shampoo contro Ranma. Il vento caldo era aumentato. Si voltò. Tutto d’un tratto, la caverna si era illuminata a giorno. Socchiudendo gli occhi, scorse la fonte della luce, che era in rapido avvicinamento: un corpo luminoso da cui provenivano versi certamente non umani.

“Ke ke ke ke ke.”

E fu l’inferno di fuoco.

“Ma dove diavolo è questa benedetta sorgente!” sbottò un ragazzo con una bandana gialla e nera che gli avvolgeva la fronte, girando in ogni verso possibile la mappa che l’avrebbe dovuto guidare verso la sua nuova vita da vero uomo: quella in cui, finalmente divenuto degno di lei, avrebbe potuto dichiararsi ad Akane, sebbene questo comportasse il necessario sacrificio di P-chan. Un sacrificio più che accettabile, comunque, se paragonato alla loro futura felicità.

“Ti sei perso un’altra volta, idiota! Vuoi deciderti a darla a me, quella mappa?!” protestò un cinesino tutto vestito di bianco, cercando di vincere la resistenza dell’altro, che non aveva nessuna intenzione di mollare quel pezzo di carta. Il tutto mentre un grosso panda li insidiava entrambi nell’ombra, pronto a colpirli a tradimento con uno dei suoi cartelli non appena uno di loro avesse trovato la sorgente: non avrebbe condiviso l’acqua magica con quei due, poco ma sicuro.

“Lascia fare a me, talpa: ho la situazione sotto controllo!” disse Ryoga, stampando un potente calcio sul viso dell’altro. “Tanto è solo questione di tempo, i nostri sogni stanno per avverarsi.”

“Per una volta ti devo dare ragione.” Mousse si rialzò da terra. “Quando non mi trasformerò più in un’oca, Shampoo finalmente ricambierà i miei sentimenti!”

Seguì una rumorosa sghignazzata di loro due che già si immaginavano sposati alle loro amate. Genma valutò fosse giunto il momento di intervenire e prese accuratamente la mira sui loro crani.

“Che illusi.”

Tutti e tre si fermarono di colpo, avvertendo una nuova inquietante presenza. Una sagoma si fece lentamente strada nell’oscurità, rilevando alla fievole luce d’intorno il brillio di due occhi esotici di forma allungata, e il riflesso di due lunghe ciocche fini di capelli, che passavano davanti le orecchie del nuovo arrivato. Mousse inforcò gli occhiali, mettendo a fuoco i suoi tratti.

“Ti riconosco, tu sei Collant Taro!”

Il panda ritornò alle intenzioni originarie, colpendo pesantemente il ragazzo dalla lunga tunica, anticipando persino l’Eterno Disperso, il cui ultimo scopo era certo di far arrabbiare quel pazzo che già una volta aveva gratuitamente rapito la povera, innocente Akane: non voleva che gli eventi portassero ad uno scontro, forse anche Taro si trovava lì per la sorgente della Volpe Rossa, comunque fosse Hibiki non intendeva correre il rischio di trovarsi seppellito vivo nella caverna in seguito alla furia cieca di una specie di minotauro alato con i tentacoli di polipo.

Le paure di Ryoga si rivelarono infondate. Il giovane non mosse un ciglio e il ragazzo con la bandana notò distrattamente che le sue pupille luccicavano di un rossore insolito.

“Proprio dei poveri illusi” riprese Taro. “Credete veramente che tornare normali risolverà i vostri problemi? Credete sul serio che le vostre amate vi getteranno le braccia al collo festanti, quando sarete dei veri uomini? La risposta è no.”

Mousse finì di mettere fuori combattimento il panda, quindi fissò stranito Ryoga ed infine entrambi guardarono, perplessi a dir poco, il ragazzo ritto davanti a loro. Da quando si occupava di problemi sentimentali?

“Sapete bene che tra voi e le ragazze per cui trepidate rimarrà un ostacolo: uno solo ma il peggiore, quello finora insormontabile.”

Le loro anime capirono e sussultarono. In un attimo tutto perse importanza, mentre i due giovani innamorati visualizzavano l’ostacolo ai propri desideri.

“Ranma!” dissero ad una voce.

Soffocò a stento uno starnuto. Troppe docce fredde, negli ultimi tempi. Decisamente. Si versò il contenuto della teiera che Kasumi gli stava porgendo, tornando così nella sua forma maschile. La famiglia Tendo aveva appena finito di ascoltare la sua incredibile storia, e Cologne pareva la più interessata.

“Allora questo vuol dire che Shampoo e Ukyo…” cominciò Nabiki, mordendosi il labbro.

“Continua!” la invitò il giovane con la treccia, tenendo nella dovuta considerazione le riflessioni della persona più sveglia ed acuta tra di loro.

“Vuol dire che quelle due non ci pagheranno anche il viaggio di ritorno.” La media delle Tendo sospirò malinconicamente, schioccando le dita. Mentre Ranma cadde a terra, perdendo l’equilibrio.

Saishuu Shiyou Rei-ryuujin, vero?” rifletté Obaba. “Tu ne saresti rimasto vittima, quindi ti saresti recato in Cina dalla me stessa di quell’altra realtà per escogitare insieme il modo di tornare indietro. Suggestivo, molto suggestivo.”

“Un momento, ragioniamo!” disse Soun. “A sentire il tuo racconto, Ranma, dovrebbero essere passati parecchi giorni. Ma questo non è vero, tu e i tuoi amici vi siete avviati verso la grotta alle prime luci dell’alba, e cioè nemmeno due ore fa.”

“Du… due ore fa?” Ranma non capiva.

“Giusto!” sorrise maliziosamente Nabiki, finendo la sua colazione. “Non sarà che hai battuto la testa e ti sei sognato tutto?” Per un istante, il giovane Saotome fu tentato di prendere in esame quell’ipotesi.

“Il consorte non ha sognato!” li interruppe l’amazzone. “Il Rimedio Definitivo esiste veramente.”

“Tu lo conosci bene” disse Ranma, riacquistando la propria sicurezza. “E forse ti trovi qui proprio per questo.”

La vecchia tossì rumorosamente. “In effetti mi sono precipitata a Yakuzai non appena ho realizzato cosa stava per succedere. Shampoo mi disse solamente che stava per partire in gita con te; io le replicai, sorpresa che tu avessi accettato ma anche immaginando ci fosse qualcosa sotto, che le cose non sono destinate a rimanere sempre uguali. Lei aggiunse che in effetti, con quella gita, sarebbero cambiate molto più di quanto avrei mai potuto immaginare. Avevo colto qualcosa, ma non immaginavo addirittura questo.”

“Tua nipote è caduta molto in basso” commentò Nodoka, con aria severa.

“Mmm” annuì l’altra. “Il suo comportamento è effettivamente molto grave, dovrà darmi una spiegazione esauriente per giustificare ciò.”

“Volete dire che è successo qualcosa ad Akane!” gridò Soun Tendo, che aveva improvvisamente inteso l’unico punto importante di quel discorso.

“Ma no, papà.” Kasumi posò la scodella di riso e si voltò a tranquillizzarlo. “Se Ranma è qui e sta bene, a maggior ragione Akane è assolutamente fuori pericolo. Non è forse vero?”

La vecchia esitò prima di rispondere.

“Ke ke ke! Morite, maledetti!”

Ukyo ebbe l’impulso di tirare via Akane per un braccio, per scappare da lì: notò con sorpresa che la ragazza con i capelli corti era stata addirittura più reattiva di lei, alzandosi di scatto con un riflesso inaspettato. Meglio così. Perché era già abbastanza difficile per lei schivare tutti quei – colpi energetici? che sembravano provenire praticamente da ogni direzione.

Akane aveva rapidamente riconosciuto quella tecnica. Ancora prima, aveva notato il numero abnorme di braccia di quell’essere che stava attaccando lei e Ukyo. E più di ogni altra cosa, quelle tre teste, che scrutavano per ogni dove, tanto che per le due inseguite dividersi sarebbe stata una mossa totalmente inutile.

“Asura!” esclamò, un momento prima di schivare l’ennesimo attacco calorico.

“Cretini! Non potete sfuggirmi!” gridavano ad una voce sola le tre teste, rendendone, se possibile, il timbro ancora più sgraziato e stridulo di quello che non fosse già di suo. Ukyo si girò per parare con la spatola un colpo più preciso dei precedenti, quindi riprese a correre. Bisognava pensare in fretta ad una qualche strategia, considerò: l’apertura nella roccia pareva estendersi ancora molto, ma prima o tardi si sarebbero trovate spalle al muro. L’unica cosa buona, la luce emanata da quella mostruosità rischiarava pressoché a giorno la strada davanti a loro.

Akane intanto si sforzava di capire. Perché si trovava nella caverna? E perché ce l’aveva con loro? Fu tentata di fermarsi e chiedere il motivo di quella follia. Si voltò istintivamente, senza smettere di correre, guardando i sei occhi di quella mostruosità. Sembrava molto più forte dell’ultima volta. E nel suo sguardo, Akane non scorse alcuna traccia di Rouge, la ragazza che cadendo nella fonte maledetta aveva ottenuto i terribili poteri del dio indiano. Ma, questa la cosa più strana, in quello sguardo non v’era nemmeno traccia di Asura.

“Diciamoci la verità, siete proprio ridicoli!” riprese Taro, con fare sprezzante ma allo stesso tempo freddo. Nessuna autentica emozione traspariva dalla sua voce. “Non siete riusciti una sola volta a sconfiggere Ranma: finché lui sarà più forte di voi, non avete alcuna speranza di cambiare le vostre vite.”

Mousse sospirò. Taro aveva maledettamente ragione, Shampoo non l’avrebbe mai degnato di uno sguardo finché non fosse divenuto degno di lei. Ma non aveva alcun diritto di essere proprio quel pazzo dal nome strampalato a far loro la predica.

“Mi risulta che quel Ranma abbia sconfitto anche te” si limitò così ad osservare.

Lui sorrise.

“Quello era il passato. Ora è diverso: ho ottenuto il segreto della forza, della vera forza.”

“Dunque” considerò Ryoga “sei venuto fin qui per prenderti una rivincita?”

“La rivincita, se lo desiderate, ci sarà. La vostra, però.”

“A cosa ti riferisci?” domandò Mousse sistemandosi a braccia conserte, le mani nascoste nelle ampie maniche della tunica.

Taro distese un braccio, a palmo aperto, verso di loro.

“Sono qui per offrirvi la mia forza!” disse. “Datemi la mano e sarà anche vostra: insieme al controllo delle vostre maledizioni, se proprio tenete pure a quello.”

Non si mossero. Per alcuni secondi, nessuno aprì bocca.

“Perché tutto ciò?” ruppe infine il silenzio Ryoga, soffiando per alzarsi la frangia. “Non siamo così stupidi.”

L’altro strinse le nocche.

“Lo siete, invece, se sprecate quest’occasione d’oro” replicò. “Chi vi dà quest’opportunità vi offre una sola scelta: o con lui” assottigliò lo sguardo “o contro di lui.”

Chi dava loro…? Queste parole non sfuggirono a nessuno dei due. Ma non importava chi fosse dietro a tutto ciò. C’era una sola cosa da fare, e non bisognava esitare. Ryoga e Mousse si avvicinarono, allungando la mano verso quella dell’altro. Nessuna esitazione, si ripeterono.

Ranma si affrettava ad ampi balzi in direzione della caverna. Obaba lo seguiva prendendo lo slancio col bastone: grazie alle capacità acquisite con tutta l’esperienza accumulata durante la sua lunga vita, l’amazzone sarebbe potuta benissimo andare più veloce. Ma le premeva parlare con il consorte, perché c’erano ancora alcuni elementi da chiarire.

“Vuoi dirmi che da qualche parte c’è un tizio di nome Shingo che gira col Tai-ma no Mamori come se niente fosse?”

“Non farmi ripetere le cose, vecchia! Non ho tempo per te.” In realtà non aveva motivo di andare tanto di fretta. Eppure sentiva che qualcosa non andava.

“Sii più educato! E sappi che non serve a nulla lanciarsi allo sbaraglio contro qualcosa di cui non abbiamo valutato adeguatamente il pericolo.”

“Allora hai anche tu questa brutta sensazione?!”

“Sì, avverto chiaramente qualcosa di instabile, nei flussi di energia, nella direzione verso la quale ci stiamo avviando. Potrebbe essere conseguenza del Rimedio Definitivo. Oppure, qualcos’altro.”

“Tipo la presenza del medaglione?”

“Forse. Ma ciò non basterebbe a giustificare l’enorme aura che sto percependo: no, quello che sento è frutto di un’entità soprannaturale.”

Ranma accelerò inavvertitamente l’andatura. “Non mi importano le tue sensazioni, voglio solo controllare che tutti stiano bene!”

La vecchia non poté trattenere un sorrisetto furbo. “Tutti? A chi vuoi darla a bere, tu stai pensando a qualcuno in particolare.” Poi sospirò. “Ed è evidente che non si tratta di Shampoo.”

Si avvicinavano. E l’amazzone rifletteva: com’era possibile che la lei di un’altra realtà lo avesse lasciato andare così, senza alcun avvertimento? Il consorte non sapeva a cosa stava andando incontro. In realtà, non lo sapeva bene neppure lei: ma l’esperienza le diceva che non si trattava di nulla di positivo.

“Una cosa, vecchia!” riaprì il discorso Ranma, più per cercare di allentare la propria tensione e recuperare la calma, che per far luce sull’ennesimo mistero.

“Parla!” lo invitò l’amazzone, continuando a tenere il passo.

“Come si spiega che qui è trascorso così poco tempo, mentre per me sono passati giorni?!”

“E’ stato lo Spirito-dragone” spiegò lei. “Spazio e tempo sono più legati tra loro di quanto tu non creda, così per lui non è stato un problema trasportarti qui e adesso: in quanto al perché, proprio qui e adesso, immagino che semplicemente il drago abbia sfruttato lo stesso squarcio della materia già da lui provocato con il primo incantesimo, per non crearne uno nuovo inutilmente. Dunque un tempo e uno spazio molto vicini a quando e dove fu evocato da Shampoo.”

“Uh, già.” Gli tornarono in mente le parole del doppio di Obaba. “E questo, per via dell’equilibrio delle cose?”

Lei annuì. “Vedo che ti ho istruito bene, nell’altra realtà.”

Ranma si accorse che erano arrivati. Con loro grande sorpresa, qualcuno li stava aspettando all’ingresso della grotta. E la sua presenza non faceva che confermare i timori del ragazzo con la treccia.

“Ce ne hai messo di tempo, volevi portarti appresso la nonnina per una gita?” Accennò una smorfia divertita, additando l’amazzone. “Per tua fortuna, il tempo – per me – non costituisce affatto un problema.”

Cologne non raccolse la provocazione, la sua attenzione era stata catturata da qualcosa che Shingo teneva con sé. “Oh, il Tai-ma no Mamori: il consorte diceva la verità” sussurrò, stringendo le pupille. *Al collo di un semplice mortale. Non ha senso.*

“Peccato” continuò quello, incurante “che per i tuoi amici lì dentro il tempo sia quasi scaduto.”

“Che cosa?!” ringhiò Ranma. “Adesso basta, vuoi essere comprensibile, una buona volta?! Mi sono stufato di tutti i tuoi stupidi enigmi!”

“Eppure” replicò, senza cambiar tono di voce “sono proprio i miei stupidi enigmi, ad averti fatto tornare nel tuo mondo.”

“Già!” riprese la parola Obaba “Perché lo hai aiutato?”

Il volto di Shingo mutò istantaneamente. I lineamenti si fecero severi, mentre le sue iridi assunsero una sfumatura più profonda.

“Ranma” gli disse. “Tu sei l’unico che può fermare quello che sta accadendo là dentro.”

“Che intendi?!” il ragazzo con la treccia ebbe appena il tempo di riflettere che mai aveva sentito Shingo parlargli con un timbro così grave, e soprattutto che quella era la prima volta che lo chiamava semplicemente per nome. “Vuoi dire che gli altri sono in pericolo?!”

Cologne sentì l’aura vicinissima. E non si trattava del medaglione. La sua potenza era di un’entità con cui nemmeno lei aveva avuto mai a che fare, certamente non poteva provenire da un essere umano. Pensò che Ranma stesse per affrontare qualcosa di troppo grande.

“Te l’ho detto, sei l’unico” scandì l’uomo dai capelli col riflesso del platino. “Ti ho portato fin qui, ma il mio compito è finito: adesso sta solamente a te agire.”

Ranma fissò l’entrata buia e sinistra. Certo, tutt’altro era lo spirito con cui l’aveva varcata poco tempo prima, tanto tempo prima, quando era convinto di essere sul punto di guarire dalla maledizione, di stare per risolvere tutti i suoi problemi. Pensò che non era comunque il caso di essere pessimisti. Qualunque cosa stesse succedendo, Shingo aveva voluto lui, per cui lui solo poteva rimediare alla situazione. Aveva appena constatato come fosse un mondo senza di lui. Ora sapeva che lui serviva. Avrebbe vinto anche questa sfida: lui aveva sempre vinto, del resto. Cosa sarebbe mai dovuto andare storto, questa volta?

“Cosa aspetti?! Va’ prima che sia troppo tardi!” lo incitò l’uomo col medaglione.

“Perché proprio lui?” sibilò Cologne a Shingo. Ma non ottenne risposta. Fu allora che l’avvertì. La presenza divina era adesso inconfondibile. Non una qualsiasi. Indubbiamente una divinità suprema, una di quelle originarie.

*Non può essere che – impossibile, se quella leggenda ha un fondo di verità! Non lui. Lui è prigioniero. Per sempre!* i pensieri sconnessi dell’anziana della famiglia Joketsu. Poi, nuove parole si combinarono nella sua mente. Ma non era lei ad averle formulate.

Ti sbagli, cara. Come ti sbagli. Lui è libero, adesso. Libero. E avrà la sua vendetta.

“Consorte, non andare!” gridò con quanta più voce possibile, sconvolta dall’incredibile verità appena appresa.

Per la seconda volta, non ricevette risposta. Ranma era già dentro.