PART 10 - A Middle Autumn Day's Date

Finite le pulizie al Furinkan, smessa l’uniforme scolastica, vestita di una leggera maglietta a maniche corte con un’evidente scollatura bianca – incoraggiata in ciò dal clima piuttosto temperato di quel giorno – e di una gonna che lasciava piuttosto scoperte le sue gambe sinuose, Akane si dirigeva verso il luogo dell’appuntamento.

Il suo appuntamento.

Le suonava strano. Soprattutto, pensando con chi doveva incontrarsi. Fino a poco tempo prima, aveva sempre ritenuto che gli uomini fossero stupidi e mascalzoni.

Poi lo aveva conosciuto.

E lui le aveva sconvolto letteralmente la vita.

No. Non credeva sarebbe diventato addirittura il suo fidanzato.

Ma costituiva la sua unica ancora di salvezza, l’unica cosa a cui aggrapparsi tenacemente in un mondo che le stava andando a rotoli.

Glielo doveva. Era in debito, dopotutto.

E poi…

Non era così male di aspetto. Alcune compagne avevano fatto notare ad Akane che quel ragazzo rispecchiava meglio di tanti altri la figura immaginaria che tanto le affascinava.

Il principe azzurro.

Chi prima, chi dopo, sia Yuka che Sayuri che tutte le altre avevano ammesso di aver sospirato, almeno una volta nella loro vita, nella dolce speranza di incontrare l’uomo dal lungo mantello in sella al suo valente destriero. Costui, cingendo loro le braccia, le avrebbe strette protettivamente. E loro gli si sarebbero completamente abbandonate, dimentiche della realtà e sicure di non dover più pensare a nulla: poiché da quel momento, e per tutta l’eternità, avrebbero potuto contare su qualcuno che le avrebbe sempre protette…

Che fesserie!

Il principe azzurro! Le sue amiche si erano proprio rimbecillite. La realtà era ovvia, gli uomini erano tutti uguali. Ma forse le sue amiche – loro potevano almeno sognarlo, un personaggio del genere. Loro erano fragili, deboli. Lei no – lei non poteva permettersi di esserlo. Era Akane Tendo, erede della palestra di arti marziali Tendo. Lei era forte. Doveva esserlo. Fin da piccola, conosceva bene il proprio destino. Fin da quando, bambina, osservava con meraviglia e stupore gli allenamenti del padre nel dojo, sapeva che sarebbe toccato a lei portare avanti la tradizione di famiglia.

Nessuno la costringeva a ciò.

Lei adorava le arti marziali.

Erano la sua più grande passione.

Avervi dato addio, aver dato addio al proprio destino, era stato molto doloroso…

“Akane, cosa stai facendo?”

“Sei tu, Kasumi? Sto buttando via la mia tenuta da kempo.”

“Ma perché, scusa?”

“Vedi, ora che la nostra palestra è senza insegna, papà si trova disonorato: non potrà più praticare le tecniche di lotta indiscriminata.”

“Questo non vuol dire che debba rinunciarvi pure tu, sorellina.”

“Devo. Se tutto questo è successo, è solo colpa mia.”

“Ma…”

“Mi dispiace, ormai ho preso la mia decisione. Se sono stata sconfitta così facilmente, significa che non sono affatto tagliata per le arti marziali.”

“Akane…”

Inutile rivangare nel passato. Aver abbandonato per sempre le arti marziali non significava affatto che lei non fosse più la ragazza forte di prima. Forte, del resto, doveva esserlo più che mai. Adesso che non osava rivolgere parola a suo padre, fisso in soggiorno da mesi come un morto vivente – morto rischiava di diventarlo davvero, visto come si stava lasciando deperire… e sua, solo sua, la responsabilità di questo.

In quanto alle sorelle.

Kasumi. Sorrideva sempre, ma mai il suo sorriso le era apparso così falso come in questi ultimi tempi. Badava al padre ventiquattro ore al giorno – come se poi non fosse abbastanza dover rabbonire continuamente Happosai, e lasciarsi da lui maltrattare: ebbene, Kasumi era l’unica che lo faceva. Con Nabiki quasi sempre nella villa della famiglia Chardon e Akane – Akane che pure evitava il più possibile di trovarsi dentro le mura di casa, troppo forte il senso di colpa.

Kasumi così era l’unica.

Non aveva scelto di badare al resto della famiglia. Era stata costretta dagli eventi. Dalla scomparsa della mamma. Aveva dovuto prendere il suo posto, maturare più di quello che la sua età richiedeva, rinunciare alla spensieratezza dell’infanzia e dell’adolescenza.

Ma, temeva Akane, quegli ultimi eventi avrebbero potuto costituire la proverbiale ultima goccia: probabilmente, anche la dolce e generosa Kasumi si stava stancando di addossarsi le sofferenze degli altri.

Nabiki. Lei sembrava indifferente. Aveva addirittura accettato di buon grado il fidanzamento imposto con quel Picolet: dopotutto non aveva sempre sognato di sposare un nababbo?… Akane sapeva, tuttavia, perché la sorella l’aveva fatto.

Era lei, la minore delle tre, non Nabiki, la ragazza che era stata scelta da Picolet.

Normalmente si sarebbe opposta ad una tale situazione con tutte le sue forze. Era assolutamente certa di aver sconvolto non poco tutti i familiari, quando ebbe invece tacitamente annuito, in segno di rassegnata accettazione. Forse fu proprio per questo che Nabiki si intromise nella delicata questione, chiedendo espressamente di diventare lei la fidanzata del francesino. Certo, si trattava di una manna, economicamente parlando: era infatti in questa maniera che la sola Nabiki sosteneva patrimonialmente tutta quanta la famiglia. Aveva pure evitato di apprendere l’assurda tecnica del Combattimento del Pasto. Con la scusa di essere a dieta e di dover mantenere la linea, era riuscita a convincere quel Picolet ad inghiottire cocomeri per due…

Akane aveva sempre ritenuto Nabiki una persona cinica, senza scrupoli, attaccata solo al denaro. Poi il sacrificio. Avrebbe trascorso il resto della propria esistenza accanto ad una persona che non amava. Akane non sapeva se la sorella fosse in grado di amare. Ma adesso non si poteva più fare alcuna verifica.

Sembrava indifferente. Eppure Nabiki aveva sacrificato tutti i propri sogni. Al posto della sorellina minore. Perlomeno sembrava ricavare continuo profitto, da quell’assurda situazione – e così sarebbe stato, almeno, finché l’instabile equilibrio in questo modo creatosi si fosse mantenuto. Comunque per ora durava: e ciò non poteva fare che bene, a Nabiki. Anche perché, Akane l’aveva sentito raccontare dalle amiche, il commercio di foto messo in atto dall’affarista delle Tendo non rendeva più come prima.

Akane sapeva bene di essere il soggetto preferito delle foto della sorella, e di aver provocato la fine degli affari di Nabiki da quando i suoi corteggiatori del Furinkan si erano ritirati in blocco. Sorrise in modo amaro, anche indirettamente era sempre una causa di problemi. Non che le facesse piacere essere fotografata di nascosto, o comunque trovarsi al centro dell’attenzione dei ragazzi, questo era ovvio. Ed anzi, inizialmente, aveva provato una grande sensazione di sollievo nella consapevolezza di non doversi più confrontare, la mattina quando entrava nel cortile della scuola, con centinaia di liceali assatanati convinti di doverla sconfiggere per ottenere da lei un appuntamento. Queste, del resto, le regole dettate in quel triste discorso d’apertura di parecchi trimestri prima. Che ora erano parole disperse al vento. Completamente inutili. Nessuno era rimasto, dei suoi corteggiatori.

Strano. Quando li affrontava tutti i giorni impugnando la cartella come un’arma, allora quelli la infastidivano con ancora più convinzione. E si erano tolti di mezzo, paradossalmente, solo dopo la sua vergognosa sconfitta con Kodachi: quando, cioè, lei aveva perso la voglia di scacciarli.

Forse quegli scemi erano solo invaghiti della sua forza.

Però lei – doveva ammetterlo, inutile fingere – non lo era. Non era affatto forte.

Almeno non in modo tale da sopportare da sola tutto quel peso che le gravava la coscienza ogni notte insonne. La famiglia in rovina per colpa sua. E non aveva più spalle su cui appoggiarsi, lei. Nemmeno il dottor Tofu. Anzi, quanto lo riguardava aveva costituito il cosiddetto colpo di grazia. L’arrivo del maledetto preside, il taglio della sua bella chioma lunga. Nemmeno a quello, aveva saputo opporsi. Così, la fine dei suoi ultimi sogni. Tanto lo sapeva da tempo che Tofu amava sua sorella maggiore. Ma sognare, si sa, almeno lenisce i dolori.

Ed ora Akane in che cosa poteva più sognare?

Si sentiva sola, incompresa.

Non conosceva nessuno che potesse capirla, nessuno – per così dire – simile a lei. Che condividesse la sua antica testardaggine, la sua passata forza di volontà. Che la spronasse a combattere per ciò in cui credeva.

Forse il principe azzurro?

No, non il principe azzurro.

Almeno, non come lo intendevano le sue amiche.

Non voleva accanto a sé uno perfetto. Voleva qualcuno che le stesse vicino e basta. Non con parole gentili. Ma con i fatti.

Ecco, il laghetto dei fiori di loto. Era arrivata.

Possibile che proprio lui…?

Fino a poco tempo prima, aveva sempre ritenuto che gli uomini fossero stupidi e mascalzoni.

Ma ora…

Il parco. Più precisamente il laghetto dei fiori di loto. Pensare che era stato in quei pressi proprio la stessa mattina! Ranma, attentamente nascosto dietro un cespuglio, attendeva il suo arrivo. Si augurava che Nabiki non l’avesse preso in giro. Se lo augurava per il bene di Nabiki. Sapeva essere molto vendicativo, a volte.

Quando quell’avvoltoio in veste da liceale gli aveva tranquillamente riferito che Akane aveva un appuntamento con un altro, il ragazzo col codino non aveva fatto il minimo sussulto. Anzi. Aveva ridacchiato, quindi salutato con la sua solita aria superiore la coppia del bar, borbottando qualcosa riguardo al fatto che non gli interessava certo visitare luoghi smielati né tantomeno gli importavano gli affari privati di una mocciosa che lui, questo lo mise bene in chiaro, non conosceva in alcun modo – e anche se l’avesse in qualche modo conosciuta, cosa mai gli sarebbe potuto fregare di lei? Sotto lo sguardo di Nabiki e del giovane Chardon, si era infine trascinato stancamente per la strada, con l’aria di uno che non andava in nessun luogo in particolare, e fischiettando la melodia del locale.

Questo, fino a che non ebbe girato l’angolo.

Dopo, si era lanciato a capofitto in direzione del parco. E vi era giunto a tempo di record.

Adesso avrebbe finalmente saputo.

Chi?!

Ryoga non poteva essere. In questa realtà, molto probabilmente, l’uomo-bussola non era nemmeno mai capitato nei dintorni di Tokyo. Ed inoltre Ranma ci aveva parlato di persona a Yakuzai, Hibiki non aveva mostrato di conoscere Akane in alcun modo.

Uno dei loro compagni di scuola era da escludere. Gosunkugi? Un’ipotesi nemmeno da prendere in considerazione.

Tofu?… No, era inconcepibile. Probabilmente, l’Akane di questa realtà aveva ancora un debole per lui. Ma Tofu amava Kasumi, dunque pure il dottore era da scartare.

Anche perché un altro nome aveva cominciato a solleticargli la mente. Un nome difficile da dimenticare, per lui. Per quanto fosse sicuro che l’altro si fosse completamente dimenticato del suo, di nome: e della sua esistenza, del resto, e questo senza alcun bisogno del Rimedio Definitivo della famiglia amazzone.

Shinnosuke.

In questo mondo privo di un tale Ranma Saotome, molte cose, aveva avuto modo di verificare, erano andate per tutt’altro verso. E ad un’Akane sconfitta sia da Kodachi che dal dojo yaburi nemmeno il giovane Saotome avrebbe mai potuto pensare. Eppure, poco prima, credeva di aver capito tutto. Come sempre. Credeva che Akane avesse risentito fin troppo dell’accaduto. Già se la vedeva a piagnucolarsi addosso.

Ed invece…

Sembrava che quella scema si fosse consolata ben presto. Ranma cominciava ad immaginarsela tra le braccia del suo... baah, ma cos’aveva mai quello lì, poi, che lui non avesse?!

Che stupida!

In questo mondo molte cose si erano svolte in modo diverso. Ma quegli eventi, magari potevano anche essersi ripetuti. Forse Akane si era ricordata del suo bel guardiano di porci giganti – e di tutto quello zoo taglia extralarge che popolava la foresta di Ryugenzawa. E, piena di riconoscenza, era tornata in quei luoghi. Così, forse, loro due… E il muschio della vita? E il serpentone ad otto teste, quell’Orochi? Akane non aveva mica dovuto affrontarlo, un’altra volta, per salvare quello smemorato? Senza di lui?!… Un senso di terrore si era impadronito di Ranma per un lungo, eterno attimo. Poi tornò a ragionare. Akane era viva e vegeta. Lui l’aveva vista. Allora, molto probabilmente, non ci era stata, a Ryugenzawa. Oppure – oppure ci era stata e… se era tornata, Shinnosuke poteva anche essere riuscito a proteggerla… e… in quel caso…

Ranma sudò freddo. Poteva essere tutto ed il contrario di tutto.

Proprio in quel momento, la realtà prese il posto dell’immaginazione.

Vide Akane. E, quasi contemporaneamente, vide anche il suo lui. Rimase come di sasso, credette di stare sognando. Perché no? Magari quello che stava avvenendo – dal principio alla fine – era solamente un’assurda visione onirica. Non era così. Peccato. Dal momento che non trovava altre spiegazioni logiche per giustificare la presenza di quell’idiota, in quel luogo e in quel momento. Una coincidenza? Se lo augurava vivamente, ma man mano che i secondi passavano, e quello si avvicinava sempre di più ad Akane, le speranze vennero meno.

E Ranma, che pure di scene assurde ne aveva viste innumerevoli, nella sua finora breve ma intensa vita, si preparò ad assistere a quella più assurda in assoluto.

Un leggero venticello, appena levatosi, sussurrò dolcemente musiche più che umane tra le fronde degli alberi ormai spogli. Akane si rivolse alla persona con cui aveva appuntamento.

“Sei puntuale.”

Il ragazzo, distinto dall’elevata statura, sorrise alla brezza che gli spettinava i capelli castano scuro.

Kuno Tatewaki sentiva che quella sarebbe stata una memorabile giornata.

Pochi secondi. La brezza era immediatamente cessata, come se avesse esaurito il proprio compito nell’annunciare il nuovo arrivato. Stranamente, un cespuglio continuava ad agitarsi.

Intanto Akane fissava dritto negli occhi il fidanzato.

Prima di conoscerlo, riteneva che gli uomini fossero solo degli stupidi.

Ma adesso…

“Ti porgo i miei saluti, Akane Tendo. Puoi tranquillamente bearti dell’onore che ti reco con la sola mia presenza.”

Adesso lo riteneva ancora più di quanto avesse fatto prima.

Quel pazzo le aveva letteralmente sconvolto la vita. Nel discorso di apertura del primo trimestre di un anno prima, aveva invitato tutti coloro che avessero voluto uscire con lei a sconfiggerla in combattimento. L’ingresso mattutino a scuola si era fatto piuttosto movimentato, per un po’ di mesi. Anche perché, un tempo, lei non rifiutava mai una sfida. Buffo che adesso Kuno ottenesse quella sorta di primo appuntamento, senza fatica alcuna. Senza dover combattere contro di lei. Era Akane stessa che si consegnava al samurai. Buffo. Se solo ci fosse stato qualcosa da ridere, in quella situazione.

Eppure glielo doveva, quell’appuntamento.

Poiché questa era la volontà di suo padre.

Non poteva negargli niente, dopo quello che gli aveva fatto. Dopo avergli fatto perdere l’insegna della palestra. La vita sembrava essere finita, per lui. Fino a quando il senpai non gli aveva riacceso il lume della speranza. Qualche tempo prima, Kuno aveva osato presentarsi a casa Tendo, chiamando Soun con l’appellativo di padre e declamando che avrebbe difeso l’onore del suo futuro suocero, affrontando di persona quel vile del dojo yaburi. Lei ci credeva poco. Ma poi suo padre – lui, che non le rivolgeva la parola da quella sconfitta – le aveva posato le mani sulle spalle, e quindi si era addirittura inginocchiato davanti a lei.

Tutto questo mentre la supplicava di accettare la corte di Tatewaki.

Il primo istinto era stato quello di rifiutare. Di sostenere che nessuno avrebbe mai potuto decidere della propria vita al proprio posto. Un istinto che si placò subito, non appena ebbe ripensato alla sorte delle sorelle.

Kasumi aveva compiuto il proprio sacrificio. Nabiki, pure.

E lei? Akane non aveva ancora dovuto sacrificare niente di importante. Sentiva che doveva pagare, in qualche modo, il disastro che aveva combinato. Era l’occasione di espiare i propri mali.

Ma proprio Kuno…!

*Ragazza* disse a se stessa. *Non è il momento di fare l’egoista. Ora è semplicemente il tuo turno.* Kuno aveva giurato sul suo onore che avrebbe riottenuto l’insegna della palestra. Adesso lei era in debito. E avrebbe pagato. Non importava. Se ciò voleva dire concedersi a quell’idiota. Se il suo primo bacio sarebbe stato per – per quello lì! Se…

“Akane Tendo.”

Kuno ruppe il silenzio. Doveva compiere il proprio dovere, in un modo o nell’altro. Doveva fare la cosa giusta.

In quel momento Ranma provò un brivido freddo, simile a quello che gli provocava Happosai, quando il vecchiaccio palpava il suo corpo femminile.

In quel momento, anche Akane si sentì oppressa da una bruttissima sensazione.

Quella sarebbe stata una memorabile giornata.