PART 05 - Bitter Discovery

Assottigliò lo sguardo. Lo zaffiro dei suoi occhi non lasciava trasparire alcuna emozione. Ma il ragazzo col codino era certo che lo stesse esaminando a fondo. Shingo riprese a parlare, con tono neutro:

“Quella ragazza, Akane Tendo, è al sicuro.”

L’ansia gli cresceva, ancora non sapeva se poteva fidarsi appieno di ciò che gli aveva detto quella specie di guardone – che nell’ultimo anno e oltre, così sembrava, non aveva avuto nulla di meglio da fare che osservare minuziosamente ogni suo gesto o azione. I ricordi rievocati, sì, gli parevano genuini – insomma, non credeva che quel tizio gli avesse, tipo, manipolato il cervello. Comunque fosse, quell’individuo enigmatico gli aveva come donato nuova linfa vitale. Anche se… “Maledetto!” ringhiò. “E non potevi dirmelo subito, invece di...”

Di fargli provare le pene dell’inferno? Di farlo soffrire come l’ultima volta, a Jusenkyo – più di Jusenkyo?! Ma non terminò la frase. L’altro non si turbò minimamente.

“Peccato” aggiunse, con il medesimo timbro inespressivo di voce. “Peccato che, ora, la sorte prevista per lei sia divenuta la tua.”

Ancora con questa storia?! Dopo queste parole, Ranma si sentì sbeffeggiato, preso in giro. Prima pensava di aver sentito male. Ma che cavolo raccontava quel tipo col medaglione?

“Ti ha dato di volta il cervello? Quel drago o chicchessia non può avermi preso! Non vedi che sono qui, davanti ai tuoi occhi – vivo e vegeto, in carne ed ossa?”

Un’idea improvvisa ravvivò a quel punto lo sguardo dell’adolescente con la camicia rossa dalle maniche rivoltate. “A meno che…” A meno che non fosse diventato qualcosa come un fantasma, come in quei film angoscianti – proprio quelli che Akane si vedeva sempre, nonostante la facessero morire di paura… Ma questo era da escludere. Lui aveva combattuto sodo, contro Ryoga: le aveva prese e date in abbondanza. No, si sentiva ancora piuttosto corporeo.

“Tranquillo” sorrise Shingo. “Non sei ridotto ad un pallido spiritello. Non ancora. Nessuno qui ha mai parlato di morte."

Questo gli fece spalancare la bocca. Quel tizio sapeva pure leggergli nel pensiero?

“Come hai fatto?! Come sapevi ciò a cui stavo pensando?!”

L’altro piegò gli angoli della bocca in un accenno di sorriso.

“Niente di straordinario. Né io sono una sorta di essere superiore. E neppure un sensitivo, un medium, un mistico Guardiano delle porte dell’Aldilà o quant’altro ti abbia stuzzicato la mente – per quanto, qualche potere io ce l’abbia” incrociò le braccia. “Ma riguardo a ciò, semplicemente, i tuoi pensieri sono così prevedibili e penosamente ovvi.”

Ranma non reagì all'insulto. Tutti quegli eventi lo avevano spossato, corpo e, soprattutto, anima.

“Ma se sapevi tutto fin dall’inizio” mormorò solamente, senza traccia alcuna della grinta di prima “perché mi hai fatto credere che…”

“Un’altra prova” inspirò Shingo, scuotendo la testa. “E sei stato bocciato. Senza possibilità di appello.”

Si girò e cominciò ad allontanarsi a lenti passi.

“Lo ripeto, mi hai deluso” disse, dando le spalle a Ranma. “Sembravi un tipo acuto, come pochi: adesso mi trovo di faccia alla realtà, quella di uno stupido sbarbatello testardo, chiuso di mente, troppo emotivo, desideroso di una qualunque scusa per poter alzare le mani: non ci è voluto molto perché quelle due ti raggirassero come un allocco.”

Il ragazzo col codino ritrovò di colpo tutto quanto il suo spirito combattivo. Il suo orgoglio non poteva tollerare tante offese tutte in una volta.

“Allocco a chi?! Combatti!”

Paradossalmente, proprio grazie alle provocazioni di Shingo, aveva recuperato l’autostima. E non gli riuscì, perciò, difficile caricare tra i palmi delle mani un potente Moko Takabisha.

“Girati e guardami in faccia, se non vuoi finire male!”

Quello continuava per la sua strada come se nulla fosse. Era troppo! Ranma lasciò partire il proprio colpo energetico: un fascio di luce accecante squarciò le tenebre, seguito da una forte esplosione.

Il buio circostante e la polvere sollevata non gli permettevano di verificare se il colpo fosse andato a segno. Avanzò cautamente, badando a non mostrare il fianco. E lo avvertì, dietro di sé, proprio come l’altra volta. Non ne fu sorpreso. Quando scorse la propria ombra farsi più distinta oltre i suoi piedi, e le cortecce degli alberi rischiararsi, capì subito cosa costituisse quella improvvisa fonte di illuminazione alle sue spalle.

“Sai, Shingo, se conosci così tante cose sugli artisti marziali” disse Ranma “sarai pure consapevole che non bisogna mai ripetere troppe volte la stessa tecnica col medesimo avversario.” L’uomo dai capelli color platino avanzò, tornando davanti a lui. Non si era scomposto minimamente. Qualcosa appoggiato al suo petto sfavillava di luce propria.

“Hai commesso un errore” continuò Saotome. “Non ho ancora inteso bene come funzioni, ma adesso so che è solo merito del tuo medaglione, se riesci a schivare ogni mio colpo. L’abilità non c’entra niente.”

Era sollevato: quel tizio non era affatto più forte di lui. Questo gli aveva fatto riacquistare il pieno controllo di sé.

*Non illuderti, il tuo è solo un trucco: quando ne capirò il meccanismo, potrò sconfiggerti!*

Incurvo le sopracciglia: “Ora, come ti sei procurato quell’affare? Inoltre, è più che evidente che, dal momento che mi stai dedicando tanta parte del tuo tempo, io ti servo a qualcosa. Ma cosa? Infine, se Akane, come dici, sta bene, dove si trova?!”

Quest’ultima parte di frase era stata più gridata che parlata. Shingo batté ripetutamente le mani, in una specie di applauso.

“Molto bene” disse. “Stai recuperando punti, Ranma Saotome. Non sei così ottuso, tutto sommato…”

Sogghignò.

“Ragion per cui, potrai scoprirlo benissimo da solo.”

L’istante successivo, era scomparso. Ranma tornò nella tenda. Tanto non avrebbe ripreso sonno.

Magnifico! Nessuna traccia del ryokan. Perfetto, veramente perfetto! Più lui aveva fretta di tornare, più gli eventi sembravano ritorcerglisi contro. Dopotutto, come poteva immaginare di trovarlo in poche ore di viaggio? Chiedere informazioni era impossibile. Quel luogo era deserto. L’unica persona che aveva incontrato finora in quel bosco – Shingo escluso – era stato Ryoga: il quale, a dire il vero, prima di salutare a malincuore il suo nuovo amico che si rimetteva in marcia, lo aveva informato di aver avvistato una locanda, qualche ora prima. Ovviamente non gli aveva saputo indicare da che parte dirigersi per arrivarvi.

D’un tratto si era scosso e aveva colpito con un pugno il palmo dell’altra mano: “Ora ricordo!” aveva esclamato. “Era nella direzione in cui tramonta il sole” e già il giovane col codino si stava avviando, deciso a dargli spago almeno questa volta, quando quello con la bandana aveva aggiunto: “A Nord, non puoi sbagliare!” facendolo cadere gambe all’aria.

A proposito di sole che tramontava, si stava nuovamente facendo buio. Diamine, due interi giorni persi – e perso lui – in quella foresta! E Ranma scalpitava, avrebbe voluto già essere al dojo, poiché un altro dubbio gli si stava insinuando nella mente.

E se – se Shingo gli avesse mentito? Se quel Saishuu Shiyou Rei-ryuujin si fosse veramente sbarazzato di Akane?

*Fa’ che non sia così* andava ripetendosi. Non doveva essere andata così. Shingo gli aveva detto che non le era successo niente. Che si era salvata. Credergli o non credergli? Gli aveva detto pure che era lui, la vittima. Assurdo, si stava solamente divertendo alle sue spalle, voleva mettergli paura! Pure quella storiella che il drago potesse essere evocato una sola volta e catturato da una sola persona: nient'altro che una frottola! Sicuro! Se lui era salvo, anche Akane lo doveva essere. Magari quella specie di spirito non era poi tanto efficace – si poteva essere risolto nella solita fregatura, come del resto la maggior parte degli oggetti magici e delle tecniche di combattimento che aveva sperimentato sulla propria pelle, in quell’ultimo anno e mezzo… Comunque non contava, a quel punto. Ora doveva solo raggiungere la dimora dei Tendo – nella locanda era certo non vi avrebbe trovato nessuno, dato che doveva essere trascorso parecchio tempo dall’escursione nella grotta – il prima possibile. E scoprire la verità.

Purtroppo Nerima non era dietro l’angolo. Anche quando avesse finalmente trovato il ryokan, unico punto di contatto che collegasse quel bosco dal resto del Paese civilizzato, da lì occorrevano diverse ore di viaggio. Col treno. Lui non poteva far conto, però sul treno: i pochi yen che teneva in tasca bastavano a malapena per un pasto decente in un’osteria di bassa reputazione. L’andata non aveva costituito un problema, i soldi li avevano messi – su invito di quell’affarista di Nabiki – nientemeno che Ukyo e Shampoo: e le due avevano sganciato senza lamento alcuno. Questo avrebbe dovuto farlo insospettire. Troppo felici di liberarsi di Akane, per preoccuparsi della vile moneta. Facile capire, col senno di poi. Si maledisse, possibile che si facesse sempre ingannare così facilmente?! Qui Shingo aveva maledettamente ragione.

Si arrestò. Aveva sentito delle voci. Persone a cui chiedere come raggiungere un riparo per la notte. Si diresse verso la fonte del suono. E cominciò a sentire un profumo ben noto. Quello delle okonomiyaki calde appena grigliate. Possibile che…

“Ucchan!” gridò alla persona girata di spalle, la quale stava effettivamente cucinando qualcosa nella penombra circostante, afferrandole un braccio.

“Dici a me, giovanotto?” Ranma rimase impietrito, fissando l’omone grande e grosso che si era voltato verso di lui, lo sguardo severo e la fitta barba nera. Allargò lo sguardo, inquadrando un carretto portatile di okonomiyaki. Almeno in questo ci aveva visto – meglio, annusato – giusto.

“E-ehm, mi scusi signore…” disse, aggiustandosi la voce. “Saprebbe indicarmi la strada per il ryokan più vicino?”

Quello lo squadrò minacciosamente. Piegò una delle due spesse sopracciglia, quindi spalancò la mascella, manifestando la sana dentatura in quello che forse voleva essere un sorriso. “Sei fortunato, ragazzo” gli rispose, a voce piuttosto alta. “Mi ci sto avviando, non dev’essere bello passare la notte in un posto come questo… Unisciti a noi, faremo la via insieme!”

Ranma si sentì sollevato. Finalmente un poco di fortuna. Quindi rifletté un momento sulle parole dell’omone.

“Ha detto… noi?!”

“Esatto” fece quello. “Io e mia figlia, lei si è allontanata un attimo per cogliere delle bacche… Ma sarai affamato, per caso ti piacciono le okonomiyaki?”

Ovviamente il ragazzo col codino accettò l’invito.

*Ora si spiega… in effetti avevo udito più voci* pensò, mentre addentava con vigore una della focacce giapponesi di cui andava matto.

“Di’ un poco” fece il suo interlocutore. “Com’è che ti chiami?”

“Ranma Saotome, della rinomata Scuola omonima di arti marziali!” rispose meccanicamente, nella maniera che il padre gli aveva inculcato negli anni dell’infanzia, allo scopo, naturale, di farsi pubblicità.

“Saotome, eh?” mormorò l’altro. “Non mi è nuovo, chissà dove l’avrò sentito.”

In realtà, pure Ranma ricordava vagamente di aver già fatto la conoscenza della persona che gli si trovava di fronte. Ma dove? E quando?

“Papà, eccomi di ritorno!” una voce femminile dietro di lui. “Vedrai che condimento preparerò, con queste deliziose…” s’interruppe. “Oh, ma abbiamo… visite! Buffo, credevo fossimo gli unici ad esserci addentrati a Yakuzai.”

Ranma, ginocchioni a terra, si voltò lentamente, guardando la nuova arrivata dal basso verso l’alto. Indossava un lungo abito intero rosso, molto elegante e femminile, che ben s’intonava con i lunghi capelli sciolti color castano scuro, adornati da un fiocco bianco, e con la grande… spatola?! che la ragazza portava dietro la schiena.

“Piacere di conoscerti. Il mio nome è Ukyo Kuonji.”

Ukyo! E lo aveva salutato. Ma come un estraneo. Non come il vecchio amico d’infanzia. Lei gli porse la mano. Lui gliela strinse calorosamente.

*Ucchan, possibile che abbia perso anche tu i ricordi?*

La fissò come per leggerne i pensieri e comunicarle i propri, cercando una risposta agli interrogativi che lo tormentavano. C’era una cosa che Shingo non gli aveva spiegato: il motivo per cui coloro che erano entrati in quella grotta, avevano tutti dimenticato. Forse la cinesina li aveva sottoposti ad un trattamento forzato con la tecnica smemorizzante Xi Fa Xiang Gao: in effetti, lo "shampoo 110" si era già mostrato efficace una volta, con Akane. Possibile. Dopotutto, Ukyo nel momento cruciale le si era ribellata, magari aveva raccontato l’accaduto a Ryoga e agli altri. Messa con le spalle al muro, l’amazzone aveva forse deciso di cancellare ogni traccia del suo delitto. Delitto tutt’altro che perfetto, però, dato che non era stato portato a termine.

Qualcosa non aveva, evidentemente, funzionato. Lui era salvo, più che plausibile che avesse perduto parte della memoria proprio per un lavaggio del cervello fatto dalla cinesina, nel tentativo di rimediare in qualche modo al danno. Bisognava verificare che pure Akane fosse salva. Se così fosse stato, il piano di Shampoo sarebbe saltato. Sarebbe rimasto solo da far tornare la memoria ai suoi amici. Ma ci sarebbe riuscito, a costo di farli soffrire rievocando i loro ricordi più spiacevoli – così come Shingo aveva, a quanto pare, fatto con lui. Con Ryoga sarebbe stato facile: chiamarlo P-chan un centinaio di volte in presenza di Akane era più che sufficiente. E si sarebbe pure divertito. Con Ukyo era diverso. Per quanto parte della responsabilità di quanto era accaduto fosse indiscutibilmente dell’esperta cuoca di okonomiyaki, era pur vero che poi si era pentita. E, comunque, lei non aveva mai voluto veramente male ad Akane. Inoltre, rimaneva pur sempre la sua amica d’infanzia. Tornò a scrutarla, ancora non le aveva lasciato la mano.

La giovane cuoca di okonomiyaki, sentendosi puntati addosso quei profondi occhi blu, non poté fare a meno di arrossire.

*Che… che bel ragazzo… mi sta fissando… cosa faccio?*

Ranma le si avvicinò ulteriormente. Non capiva, aveva appena notato qualcosa che non quadrava. Ukyo aveva perso la memoria, giusto. Perché, però, era vestita in modo così… femminile? Dove se l’era procurato quel carretto di okonomiyaki, così identico a quello che possedeva un tempo – la bancarella portatile che le aveva sgraffignato quell’idiota di un panda che aveva la sfortuna di vantare per genitore? E l’omone che gli stava vicino – sicuro, il papà di Ucchan, come aveva fatto a non riconoscerlo? - cosa ci faceva pure lui a Yakuzai? Padre e figlia si erano incontrati casualmente? La fidanzata carina gli aveva, una volta, spiegato che era rimasto nel proprio paese ad attendere che lei si vendicasse del promesso sposo, il fedifrago che se l’era filata dieci anni prima con quella che avrebbe dovuto essere la dote. Saotome sussultò. Ukyo l’aveva poi perdonato, ma… il signor Kuonji? Sarebbe passato sopra al disonore arrecato a sua figlia?

Proprio in quell’istante, il barbuto alzò il braccio contro di lui. Ranma non ebbe il tempo di sistemarsi in posizione di difesa che questi… gli diede una potente pacca sulla spalla.

“E bravo Saotome! Vedo che hai già fatto colpo sulla mia piccina.”

Il giovane sospirò sollevato, per quanto, quella pacca gli fosse risultata piuttosto fastidiosa, come già a suo tempo quella di Ryoga, mentre Ukyo diveniva sempre più rossa.

“Che dici, papà? Non è assolutamente vero!” balbettò tutta imbarazzata, gesticolando selvaggiamente con le braccia e colpendo un paio di volte il coetaneo, preso alla sprovvista, con lo spatolone.

Il padre si scosse di colpo.

“Ma certo!” un Ranma piuttosto malconcio e col viso leggermente deformato lo guardò attentamente, mentre pareva raccogliere i pensieri. “Saotome! Genma Saotome! Lo incontrai tanti anni fa, era in viaggio d’addestramento: moriva di fame, non mangiava da giorni, mi ha letteralmente ripulito le provviste...” rise di cuore.

Si girò verso la figlia. “Tu eri piccola, Ukyo. Io e quell’uomo diventammo subito grandi amici, da allora ci teniamo ogni tanto in contatto: nel senso che, quando passo dalle sue parti, gli faccio visita e lui mi scrocca sempre un bel po’ di okonomiyaki.” Giù un’altra risata. “Perlomeno sua moglie è così gentile e ospitale!”

Ranma decise di giocare la sua carta. Il papà di Ucchan non era stato nella caverna, ragion per cui, se gli avesse rinfrescato la memoria, almeno lui si sarebbe ricordato del bimbo col codino, il futuro consorte di sua figlia. Bisognava farlo, sebbene in questa maniera gli avrebbe fatto tornare in mente pure il resto.

“Signore, allora si ricorda anche di me?”

“Mh? Veramente no. Sei forse un parente acquisito, dal momento che porti lo stesso cognome?”

“Sono suo figlio – il figlio di Genma! Ranma, Ranma Saotome!”

Quello lo scrutò con sguardo allucinato. Quindi sghignazzò rumorosamente, facendo sì che un istante dopo Ranma si beccasse la terza pesante pacca sulla spalla da quando si trovava a Yakuzai.

“Sei matto? Genma e Nodoka Saotome non hanno mai avuto figli!”