PART 12 - The Road to China

Il cielo, completamente avvolto nello spesso mantello notturno, vedeva poco a poco addensarsi un’altra buia coltre: ma questa, al contrario di quella, non si sarebbe dissolta col tepore dei primi raggi del mattino. Era una coltre di nubi, pure gonfie d’acqua. La giornata pseudo-estiva appena trascorsa costituiva già un ricordo: gli ignari abitanti di Nerima, ancora beatamente supini nei loro caldi letti, avrebbero dovuto, però, attendere qualche altra ora per constatare che la beffarda figura dell’Autunno si era finalmente levata la maschera.

Uno, in verità, non dormiva: come ormai da diverse notti. Ranma, completamente avvolto dal quel crepuscolo ancora più terso del normale, si aggirava silenziosamente lungo i tetti del quartiere, deciso ad intrufolarsi nella malridotta dimora della famiglia Tendo.

Non si trattava affatto di un’impresa proibitiva. Trovò che le finestre non erano nemmeno state ben chiuse. Forse perché i Tendo sapevano che nessun ladro si sarebbe penato per rubare qualcosa da quella catapecchia, dove ben difficilmente potevano trovarsi custoditi oggetti di gran valore. Ma probabilmente anche perché, se un ladro fosse o no entrato, la cosa sarebbe risultata pienamente indifferente agli inquilini della casa. Il giovane Saotome si introdusse dalla veduta che dava alla soffitta.

Scese le scale di un piano. Girò le stanze, in prevalenza camere da letto, con la sicurezza di chi tra quelle mura aveva vissuto, e con la determinazione di chi sapeva esattamente dove dirigersi. Solo, si arrestò un momento passando accanto ad una porta, che recava un nome di persona in caratteri occidentali, disegnato su una sagoma di paperella. L’idea di entrare… e controllare come lei stesse, dopo quello strano pomeriggio… gli fulminò per un attimo la mente. Ma riprese la marcia. Aveva solo peggiorato le cose in questa realtà, con le sue continue interferenze. Era finito il momento di interferire. Se il suo piano avesse funzionato, le cose si sarebbero sistemate da sole.

Non poteva immaginare che, se fosse entrato, avrebbe constatato che non c’era nessuno in quella camera. Il letto era in perfetto ordine. La finestra era solo socchiusa. Sulla scrivania, un foglio lasciato a bella vista. Nell’armadio mancavano uno zainone da viaggio e una tenuta da kempo. Tenuta che non era mai stata realmente buttata via, ma accantonata in un angolo nascosto.

Ranma spinse, con la massima attenzione nel non fare rumore alcuno, la porta scorrevole che introduceva a quella che ricordava come la camera dove alloggiavano lui e suo padre: e che ora costituiva il piccolo dominio personale del vecchio Happosai.

Si mosse con maggiore difficoltà, badando a non inciampare tra i capi di biancheria intima femminile sparsi ovunque. Si guardò in giro, cercando di abituare, il meglio che poteva, gli occhi alla penombra. Scosse la testa, non trovando l’oggetto della propria ricerca.

Improvvisamente fu fatto sobbalzare da un rumore sordo. Era stato scoperto?… Falso allarme, Ranma si capacitò che si trattava solamente del vecchiaccio che si era girato di colpo, la bocca spalancata e un po’ di bava che ne usciva fuori: forse frutto di un qualche sogno non troppo innocente. Disgustoso anche in questo. Ma ciò portò l’attenzione del ragazzo col codino a quello che Happosai stringeva avidamente tra le proprie grinfie: una vecchia scatola. Saotome se la ricordava, quella scatola. Afferrò il primo reggiseno che trovò a portata di mano e lo allungò in direzione degli artigli di quella specie di demone in miniatura. Anche se profondamente addormentato, il vecchiaccio avvertì subito l’adorabile presenza ed accettò facilmente lo scambio, afferrando il reggiseno e allo stesso tempo lasciando andare il contenitore. Ranma lo prese immediatamente e lo portò con sé in un angolo, non potendo aspettare oltre.

Aprì il coperchio e cominciò a frugare al suo interno. Uno yo-yo, un orsacchiotto di pezza, una pipa di riserva ed altre simili cianfrusaglie. Ma, misti a queste, anche altri oggetti di ben diversa importanza.

Il disegno con sopra indicati i punti terapeutici per guarire dalla Moxibustione. Libri di diversi generi, sicuramente rubati. Un tomo con la storia di alcune famiglie francesi, dove spiccava la biografia di tale La Petit Bouche, con tanto di illustrazione della tecnica chiamata Gourmet de Foie Gras. I cerotti afrodisiaci cinesi di cui una volta Ranma era rimasto vittima. Il foglio che riportava le posizioni degli tsubo per annullare l’Happo Goen Satsu. Il tesoro sgraffignato all’altro vecchiaccio, Lakkyosai: cioè il Nishiki no Cho, il bastoncino d’inchiostro di china dai sette colori che serviva a… se ci pensava, gli veniva ancora la pelle d’oca per il ribrezzo. La ricca collezione di incensi, tra cui quello che sdoppiava la propria parte maledetta, e lo Shunminko, il quale mandava in letargo chiunque lo annusasse. Ed infine… eccolo, l’oggetto della sua ricerca!

Lo Specchio Greco!¹

Forse quell’oggetto faceva al caso suo. Lui non era mai nato, questo era vero: ma valeva per gli altri. Ranma c’era ancora e i ricordi affollati nella sua mente erano – lo dovevano essere – memorie di cose realmente accadute. Solo per lui, certo; non per il resto della realtà. Ma bastava, per il suo scopo: riportarlo nel passato rimpianto. Almeno così sperava.

Non aveva bisogno di nessuna cipolla, come era invece successo le volte precedenti che aveva fatto ricorso a quello strumento così affascinante. La lacrima partì da sola. Troppe emozioni lo avevano messo alla prova anche quel giorno e gli bastò riviverle per un attimo. Ranma guardò la bolla d’acqua salata infrangersi sul vetro e distorcere leggermente la propria immagine.

Nient’altro.

Il luogo e il tempo pensati da Ranma erano ovvi. Aveva desiderato tornare a Yakuzai poco prima che Shampoo evocasse lo Saishuu Shiyou Rei-ryuujin. Nessun bagliore lo aveva, però, avvolto. Attorno a sé, ancora il buio della stanza e il russare monotono di Happosai.

Lo Specchio Greco non aveva funzionato.

Eppure, eppure lo avrebbe dovuto spedire nel tempo da lui rimpianto e vissuto. Perché lui li aveva vissuti, quegli eventi… no? Certo che li aveva vissuti, si disse più per darsi sicurezza che non credendo veramente in ciò che asseriva tra sé. Due, le spiegazioni che gli vennero presenti. La prima, che… lui non esisteva, punto. Se Ranma Saotome non era mai nato, che senso aveva tutto quello che stava facendo? Forse lo era veramente, un fantasma. Ciò avrebbe spiegato benissimo come mai lo Specchio Greco non aveva funzionato con lui.

Questo significava la fine di tutte le speranze.

Ma la speranza è ultima a morire.

E l’altra, di ipotesi, gli si era insinuata già quel pomeriggio. Nel momento stesso in cui era stato sul punto di… eehm, quando si era avvicinato ad Akane. Semplicemente, non era Ranma ad essere fuori posto: ma la realtà, a non essere la sua realtà. E quella Akane, che non aveva appunto reagito da Akane al suo abbraccio – certamente perché scossa da tutti gli avvenimenti di quella giornata, era anche notevolmente fuori forma in quanto a forza e riflessi – ma. Difficile da spiegarlo, lui lo aveva sentito e basta, d’altronde non si era sempre fidato del proprio intuito? Ebbene, Ranma aveva avvertito che quella non era la sua Akane.

Non che lui si fosse sentito molto se stesso, quel pomeriggio. Diamine, l’aveva abbracciata! E forse stava anche per osare ba… Che gli era preso?! C’erano state sì un altro paio di volte, negli ultimi mesi, in cui si era preso tanto coraggio: ma quelle erano state situazioni più ambigue, o chiusi loro due in un armadio per sfuggire alla tutina della forza, o lui al buio solo con Akane fraintendendo però le intenzioni di lei, che intendeva in realtà salvarlo dalla katana di sua madre. Tanto aperto, prima di quel pomeriggio, non lo era mai stato né credeva sarebbe mai potuto esserlo. Quest’esperienza di spettatore del mondo lo aveva forse sconvolto troppo.

Di esperienze spiacevoli ne aveva avute tante, ultimamente. E non era nemmeno passato troppo tempo dalla battaglia del monte Hooh. Forse perché credeva di stare perdendo per sempre la sua fidanzata rozza, era riuscito a farle delle confidenze per lui altrimenti inimmaginabili. Magari, non avesse perso per un attimo la speranza che lei lo potesse ancora udire, si sarebbe ritrovato, la propria timidezza ed il proprio orgoglio lasciati completamente alle spalle, a gridare non il nome di Akane ma tutto il sentimento che provava per lei. Strano come certi eventi possano cambiarti.

Del resto, bastava pensare a Ryoga, quando era temporaneamente guarito dalla maledizione grazie al sapone magico di Shampoo: vedere il ragazzo dai lunghi canini, normalmente più timido ed impacciato di Ranma stesso, felice e reso sicuro di sé dal fatto di non dover diventare più un porcellino tanto da correre dietro ad Akane come un assatanato, nemmeno fosse diventato Kuno e Happosai fusi insieme, era stato qualcosa di piuttosto bizzarro.

Quella strana situazione aveva costretto Ranma a confrontarsi con i sentimenti che teneva repressi. E finalmente si era esposto. Solo, con l’Akane sbagliata. Doveva rimettere le cose a posto, riavere i suoi cari… e la sua Akane. Ma come?…

L’adolescente con la camicia cinese spalancò la finestra e balzò fuori nel giardino, arrivando a terra con un’agile capriola. La quale venne, inaspettatamente, accolta da uno sbrigativo applauso, che lasciò Ranma, per un momento appena, a bocca aperta.

“Molto bene, bravo” gli si riferì una voce ormai a lui odiosa. “Ottimo, il voto in educazione fisica.”

“Shingo” mormorò Saotome.

Non era del tutto sorpreso. Erano ben due giorni che l’uomo del medaglione non si faceva più vedere. Ranma sapeva che non lo avrebbe atteso ancora molto. Sapeva che Shingo aveva bisogno di lui, per qualche recondito motivo. Eccola, un’altra speranza.

“E’ un po’ di tempo che non ci vediamo, Ranma Saotome” sorrise quello. “Spero che il tuo cervellino abbia fatto qualche progresso, dall’ultima volta.”

Il suo volto si fece serio.

“Scommetto che non hai ancora capito con esattezza in quale situazione ti trovi, ho per caso indovinato?”

“Perché non me la spieghi tu?” fece il ragazzo col codino, con tono di sfida.

L’altro portò la mano ad una ciocca dei lunghi capelli dai riflessi di platino. “Non ne vale la pena” disse. “Non ho certo intenzione di sprecare il mio fiato per questo.”

“Allora perché sei qui?” replicò secco Ranma.

“Hai combinato un paio di… guai anche in questa nuova realtà, da quel che ho potuto osservare” lo squadrò Shingo.

Ranma lo fissò attentamente. Quel maledetto! Possibile che lo avesse spiato ancora, dall’ultima volta? Ma non se n’era mai accorto: com’era mai concepibile che il suo istinto di artista marziale lo tradisse sempre, quando aveva a che fare con l’uomo del medaglione?

“Come sei corrucciato” lo provocò ancora Shingo. “Su, sorridi! Sono venuto da te appunto con uno scopo: darti la chiave per rimettere le cose a posto.”

“Sarebbe?”

“Semplice” alzò gli occhi al cielo. “Se vuoi risolvere i tuoi problemi, devi tornare alla loro fonte.”

“Tutto qui…? E che diamine vuol…”

Ancora una volta si ritrovava a parlare al vento. Di Shingo, nessuna traccia.

Amico o nemico? Una cosa era sicura: stava divenendo il suo passatempo preferito, quello di svanire nel nulla nel bel mezzo di un discorso. Secondo, forse, solo a quello di rivelargli la realtà dei fatti poco alla volta, pensò Ranma. Anzi, stavolta non gli aveva detto proprio niente di utile. A cosa mai si riferiva, parlando dell’origine di suoi problemi? Forse alludeva al Rimedio Definitivo della famiglia amazzone: in effetti, tutto quello che conosceva a riguardo derivava esclusivamente dall’aver udito per caso il dialogo tra Shampoo e Ucchan nella grotta di Yakuzai. Ma come poteva mai scoprire qualcos’altro?… Un momento. Shingo non gli aveva parlato dell’origine dei suoi problemi, aveva pronunciato la parola fonte. Una buffa combinazione… La “fonte” dei suoi problemi – beh, quella costituiva sicuramente la definizione più appropriata che potesse esserci per il proprio disgraziato tuffo nella Niang Nichuan, per l’appunto la fonte dove era annegata una giovane ragazza, che tanto gli aveva stravolto la vita.

Colpa di Jusenkyo, anche se ora si trovava in quella pazzesca situazione. Era o non era caduto nella trappola di Shampoo credendo di cercare la sorgente della Volpe Rossa, allo scopo di tornare un uomo per intero? Perché sua madre potesse andare orgogliosa di lui. Perché non dovesse essere considerato una mezza femminuccia. La sua condizione era un’autentica tortura. Quanti problemi, quanti equivoci gli aveva causato. E dire che…

Quante cose non sarebbero state le stesse, se solo suo padre avesse saputo il cinese… se solo loro avessero prestato maggiore attenzione alla guida delle Sorgenti Maledette, che tentava di avvertirli… se solo quel giorno di primavera, il giorno del suo arrivo a Nerima, non si fosse messo a piovere… Maledizione! Perché diavolo quel panda pulcioso lo aveva portato in Cina?!… In Cina? Ranma strabuzzò le palpebre. Ovvio! Ecco cosa doveva fare, quello che in realtà gli aveva indicato Shingo.

Lasciò immediatamente il quartiere, deciso a raggiungere al più presto la Cina.

Non sospettava di essere osservato anche quella volta. Shingo, seduto sopra il tetto di una casa, fissava divertito il ragazzo col codino correre via: segno che aveva recepito il messaggio e che presto avrebbe capito da solo ogni cosa. Bene, non rimaneva che… aspettarlo.

Il medaglione fu avvolto da un potente bagliore.

E Shingo tornò finalmente nel suo mondo.

Il viaggio era stato penoso e arduo. Arrivare in Cina a nuoto, non costituiva ormai da tempo una novità per lui. Più difficile il tragitto, da quando aveva la sua maledizione. Inoltre l’acqua del mare era molto fredda, certamente non aveva scelto il clima migliore per una lunga nuotata. E se, qualche giorno prima, l’estate pareva cercare di resistere allo scorrere delle stagioni, adesso era l’inverno a voler anticipare la propria venuta. Il vento soffiava gelido, mentre le nubi promettevano un grosso acquazzone: lui, neanche a dirlo, non aveva minimamente pensato a procurarsi un ombrello, lungo la strada. La cosa importante, comunque, era che Joketsuzoku non doveva ormai trovarsi molto lontano.

Aveva raggiunto la catena di montagne Bajankala della provincia di Chinhai. Buona parte della strada era stata fatta; lo sapeva perché aveva memorizzato abbastanza bene il percorso, l’ultima volta che era venuto in quei luoghi: quando, cioè, la piccola Plum aveva guidato lui, Ryoga e Mousse sul monte Hooh per salvare Shampoo e la mappa delle Sorgenti Maledette dalle grinfie di Kima e degli uomini-uccello.

Il monte Kensei, sede delle fonti di Jusenkyo, era nei pressi. Ma qualcosa aveva la priorità rispetto alla cura della sua maledizione: l’obiettivo di Ranma era, infatti, incontrare Shampoo oppure Obaba o qualcun altro che avesse sentito parlare dello Spirito-dragone del Rimedio Definitivo e potesse dirgli come annullare l’incantesimo; la meta era solo ed esclusivamente il villaggio delle amazzoni cinesi.

Il ragazzo col codino si arrestò. Aveva chiaramente percepito una presenza. Sicuro! Qualcuno l’aveva udito sopraggiungere e si era nascosto. Ancora Shingo? No, conoscendo il suo stile: non si sarebbe lasciato scoprire cosi facilmente; inoltre sarebbe già dovuto essergli comparso di fronte… e non strusciare, come un coniglio, dietro quelle rocce… proprio quelle laggiù! Ecco, aveva individuato il nascondiglio: tre grossi massi disposti uno sopra l’altro, che proiettavano una lunga – ma innaturale – ombra sul suolo.

Ranma si voltò di scatto, scagliandosi con decisione verso le rocce. Ottenne l’effetto, sperato, di spaventare il losco figuro rifugiatovisi: quello tentò la fuga, ma il ragazzo col codino gli fu davanti con un unico balzo.

“Allora, si può sapere perché mi stavi spiando?!”

“Aiya! C'è un errore!” gridò un tizio dalla buffa faccia rotonda e dai tipici lineamenti asiatici, con indosso la divisa del partito comunista cinese, il cui aspetto e la cui voce erano tutt’altro che sconosciuti a Saotome.

“Un momento! Ma tu non sei… la guida delle Sorgenti Maledette?!”

“Mmh? Tu mi conosci?” disse l’altro, in un giapponese discreto, ma non eccessivamente fluido.

E proprio in quell’istante si mise a piovere, con la conseguenza che la statura di Ranma diminuì considerevolmente: più tutti gli altri effetti, e ciò proprio sotto gli occhi della guida.

“Aiya, ti sei trasformato in ragazza… per caso tu caduto in fonte Niang Nichuan, dove secondo tragica leggenda millecinquecento anni fa affogò povera ragazzina? Ma non mi ricordo di te.” Detto questo, si sfilò lo zaino che portava alle spalle: vi estrasse un piccolo quadernino e chiese il nome al proprio interlocutore. “Sarà meglio controllare.”

*Quello è il registro delle Sorgenti Maledette* osservò in silenzio Ranma.

La guida esaminò scrupolosamente il testo. Anche la rossa diede una sbirciatina, ma non ne cavò fuori granché dato che non sapeva leggere i caratteri cinesi in cui il registro era redatto.

“Tuo nome non c'è” disse poi la guida, rivolta al proprio interlocutore. “Ciò conferma fatto che non ti ho mai visto prima, che cosa strana!”

“Dunque perché mi stavi spiando?”

“Spiarti? Io? Ti sbagli! Ero solo partito da mia casetta in leggendario campo Jusen per…”

La ragazza dalla chioma fulva fu colta da un’illuminazione.

“Vieni da Jusenkyo?! Allora puoi portarmi là?” chiese, entusiasta di quella inaspettata occasione di potersi liberare finalmente del proprio aspetto femminile, a tal punto da avere temporaneamente scordato tutto quanto il resto.

“Come mai?” chiese la guida, perplessa. “In cos’altro ti vorresti trasformare?”

“Scemo, che hai capito?!” replicò seccata la rossa, mentre un gocciolone le solcava la fronte “Voglio tuffarmi nella Nannichuan e tornare un uomo per intero.”

La guida si turbò. Il buffo uomo tacque per un mezzo minuto, quindi riprese a parlare.

“Mi dispiace, ma questo non possibile.”

“Eh?” fece perplessa l’altra. “Non puoi portarmi alle sorgenti?”

“Certo che potrei, se volessi” disse lui. “Sono o non sono una guida?”

“Allora… tu non vuoi farmi tornare normale?!” scandì lentamente Ranma, socchiudendo le palpebre con un’espressione piuttosto accigliata.

“Non detto questo” fece lui, sereno. “Solo che, anche se volessi, non potrei.”

La rossa cadde con le gambe all’aria.

“Ma non avevi appena detto che…”

“Adesso mi spiego. Potrei portarti a sorgenti: ma sarebbe fatica sprecata, dal momento che Nannichuan – e tutte altre pozze maledette – si sono prosciugate. Ecco il motivo per cui non posso farti tornare normale.”

“Che… che cosa?” sussultò Ranma-chan.

“Colpa di alcuni brutti omacci con ali e artigli: mi hanno riempito di bernoccoli, rubato mappa di sorgenti e fermato l’acqua. Non sono molto cordiali, sai? Temevo tu fossi uno di loro, per questo mi sono rifugiato dietro quelle rocce: ho moglie e figlia, non posso correre rischi procurandomi altri bernoccoli; e se mi venisse una cervicale?… Anche se, adesso che fonti sono seccate… un vero disastro!”

La ragazza col codino si buttò ginocchia a terra, sconfortata. Possibile che le uniche cose che, senza la sua esistenza, si svolgevano in modo perfettamente identico, fossero quelle negative?!… Ora non aveva certo il morale per fronteggiare di nuovo Safulan, l’uomo-fenice, il principe del monte Hooh. Inoltre doveva pensare al Rimedio Definitivo. Tuttavia, non riuscì ad evitare di ripetere con frustrazione le ultime parole della guida:

“Già… proprio un vero disastro!”

“Trovi anche tu?” disse il cinese. “A coloro che sono caduti in fonti non importava di tornare normali. Ma io, invece, ci ho rimesso il posto di guida: chi verrà mai a visitarle, delle pozze asciutte?! Un disastro.”

Un altro gocciolone scese lungo le tempie della rossa.

“Bene, non mi rimane che andare in pensione anticipata” concluse la guida, rimettendosi addosso lo zaino. “Dopotutto un po’ di vacanza me la merito, dopo più di venti anni di lavoro… Addio, amico, la vecchia Cologne mi aspetta.”

“Un momento! Hai detto… Cologne?!”

“Ni-hao.”

Una figura non più grande di un soprammobile si voltò, riconoscendo la voce amica. Spalancò i grandi occhi a palla e si avvicinò ai due nuovi arrivati, saltando sul nodoso bastone cui era avvinghiata, i lunghi capelli grigi che ricoprivano parte del legno.

La guida e la vecchia amazzone si scambiarono alcune battute in lingua cinese, che Ranma non fu assolutamente in grado di intendere. Quindi lo sguardo della vecchia si posò sulla ragazza.

“Sei giapponese, non è vero?” chiese, in perfetto idioma.

“Hai indovinato, vecchia” disse Ranma.

“E sentiamo, chi saresti?”

“Questa ragazza” la anticipò la guida “ha voluto a tutti i costi seguirmi fin qui."

“Ciò che conta, è che non sei del nostro villaggio. Dunque ti pregherei di lasciare la mia dimora: dal momento che le ragazze non di questi luoghi hanno sì il permesso di visitare il villaggio, ma non di entrare nelle case delle Grandi Anziane.”

“Aspetta” la interruppe l’altra, con fermezza.

“Mmh?!”

“Sono giunto qui apposta per farti una domanda. Mi risponderai?”

Obaba strinse le sottilissime pupille.

“Mi hai incuriosita. Avanti con la domanda.”

“Perfetto” sorrise Ranma. “Ti dice niente, Saishuu Shiyou Rei-ryuujin?”

La rossa poté vedere lunghe gocce di sudore scorrere lungo le innumerevoli rughe dell’esperta amazzone. Obaba pareva veramente sorpresa.

“Tu… come conosci quella tecnica?! Si tratta di un antichissimo segreto delle amazzoni cinesi, che viene tramandato da innumerevoli secoli, di generazione in generazione, tra i membri della mia famiglia. E, poiché io sono l’ultima depositaria di tale segreto, tu non puoi conoscerlo.”

“Invece posso, come puoi vedere. Esiste un modo per annullare gli effetti del Rimedio Definitivo?”

La vecchia ghignò.

“Questa è una seconda domanda.”

“Poche storie!” esclamò Ranma. “Esiste o non esiste?”

Obaba tornò seria.

“Ebbene…”

“Ebbene?”

“Ebbene, no.”

“N… no?” sussultò la ragazza col codino.

“Solamente lo Spirito-Dragone in persona potrebbe annullare il suo stesso incantesimo: ma questo, come descrivono le antiche pergamene, può essere evocato una ed una sola volta…”

E per un’unica persona. Risparmiati la solfa, la so già” la zittì, amareggiata, la rossa. Adesso sapeva di non avere più speranze: doveva rassegnarsi ad accettare questa realtà, per quanto fosse per tutti i suoi cari peggiore della precedente, e la sua nuova vita, quantunque si prospettasse triste e solitaria. E Shingo? A quanto pareva, non si trattava che di un burlone deciso a tormentarlo e illuderlo. Ma le illusioni erano finite. Anzi, quello strano tipo intendeva sicuramente solo fargli capire che era giunto sul serio per lui il tempo di cominciare una nuova vita. Ranma si lasciò cadere a terra, in segno di resa.

“Oh quasi dimenticavo!” La guida, che durante quel dialogo aveva messo a bollire del tè in un pentolino, sbatté i palmi delle mani. “Tieni, Obaba: ti affido come d’accordo tutti oggetti sacri che finora erano stati sotto mia custodia.”

“Fai bene” disse la vecchia. “Alcuni di essi sono troppo pericolosi per cadere nelle mani di persone comuni.”

La guida rovesciò lo zaino, facendo cadere vari bracciali, sigilli e roba simile. Ranma si riscosse, attirata da un oggetto in particolare.

“Ma – ma quello è…” esclamò stupefatta.

Com’era possibile?! Il medaglione di Shingo. Lo strano oggetto che il tizio del mistero portava sempre al collo. E adesso si trovava proprio davanti agli occhi di Ranma.


¹ In alcuni episodi dell'anime. Rubato dal giovane Happosai ad Obaba durante il "soggiorno" nel villaggio delle amazzoni, lo Specchio ha il potere di portare le persone nel passato rimpianto.