PART 16 - Revenge

Guardò ancora l’entrata della caverna, che pareva inghiottire dentro di sé la luce del giorno. Conscia della terribile novità, notò appena che l’uomo col Tai-ma no Mamori era scomparso nel nulla – né si meravigliò di questo, essendo perfettamente a conoscenza degli incredibili poteri del medaglione. Preferì concentrarsi di nuovo sull’aura che aveva percepito. Non riusciva ad individuare il punto esatto da cui provenisse l’emanazione. Ma la sua presenza era inconfondibile: quella di una delle divinità originarie. Se la memoria riguardo ai racconti che aveva udito da bambina, dalle Grandi Anziane del suo villaggio di un tempo ormai lontano, non stava cominciando a giocarle qualche brutto scherzo – allora era sicura. Uno solo, il dio supremo rimasto sulla terra, da quando le somme divinità avevano abbandonato i mortali.

Aveva creato Zhou Chuan Xiang, complicando innumerevoli vite.

Per questo fu punito.

Fu sigillato con un potente incantesimo.

Qualcosa, evidentemente, doveva averlo spezzato. Ed ora lui era libero.

Si trovava a Yakuzai, in quel momento.

E avrebbe ottenuto la sua vendetta, come aveva appena suggerito la beffarda voce.

Muchitsujo.

Il sole continuava a splendere alto nel cielo. La natura quieta della foresta pareva ignorare la minaccia che incombeva sull’ordine delle cose. Cologne fissò un’ultima volta l’entrata della caverna. Quindi si avviò in aiuto del consorte.

La ragazza giaceva immobile, ginocchia a terra, lo sguardo rivolto ad un angolo indefinito di vuoto. Non ricordava quanto tempo fosse passato, del resto non le importava. Il suo ailen era caduto, lui, nella trappola preparata con tanta cura per il maschiaccio. Come rimediare? Non vedeva via d’uscita. L’unica che poteva aiutarla era la bisnonna, forse. Ma lei era all’oscuro di quello che la nipote aveva macchinato e non avrebbe gradito la novità, una volta appresa. Si raggomitolò in posizione fetale. Lei, l’orgogliosa amazzone del villaggio delle donne di polso. Ranma era perduto. Com’era potuto accadere?!

Eppure sembrava un piano perfetto. Una guerriera di Joketsuzoku non poteva tirarsi indietro di fronte ad una propria rivale, specialmente dopo averle dato il bacio della morte. Vista la netta inferiorità della ragazza violenta, si era risolta in un primo tempo a risparmiarle la vita limitandosi a praticare su di lei la digitopressione shiatsu. Aveva funzionato, ma per poco: quella Akane si era rivelata più cocciuta del previsto, non tardando a ricordarsi di Ranma. Shampoo era tornata così al suo antico proposito di eliminarla, ma solo ove se ne fosse presentata la facile occasione e soprattutto all’insaputa di ailen. Col tempo aveva rinunciato pure a questo.

Dopotutto Ranma non aveva mai mostrato apertamente di provare qualcosa per la donna rozza o per le altre smorfiosette che dichiaravano con tanta faccia tosta di essere le sue fidanzate. Lei si era sempre sentita in vantaggio, sulle proprie rivali. Inoltre, le regole del suo villaggio non potevano essere infrante come niente. Lui veniva spesso a trovarla al Nekohanten, dunque tutto pareva andare per il meglio. L’avrebbe sposata, queste erano le regole. Questo era il loro destino.

Allora? Cos’era cambiato, in quegli ultimi tempi? Era stato il terrore che l’aveva invasa quando Nabiki Tendo le aveva fatto credere che ailen volesse dare ad Akane un anello di fidanzamento? No, non quello. L’invito per le loro nozze, forse? Nemmeno. Di fronte a quelle cose, aveva capito che la sua vera ed unica minaccia era costituita da Akane: ma lei avrebbe sempre potuto combattere e riprendersi il suo amato. Non c’erano problemi, finché si trattava solo di strapparlo dalle grinfie del maschiaccio.

E allora come mai aveva ripreso una nuova volta i vecchi propositi, anzi era ricorsa a qualcosa di così radicale come il Rimedio Definitivo? Niente di importante, la prima risposta che diede a se stessa: semplicemente non doveva indugiare nel portare a termine quello che era pur sempre il suo dovere, come membro della famiglia Joketsu. Suonava bene. Era plausibile, come scusa.

Sembrava un piano perfetto. Eppure, un’altra era divenuta la vittima del dragone. Ailen era perduto per sempre. Come prevedere tutto questo? Non poteva immaginare che Ranma le avrebbe raggiunte mentre lei e la spatolona evocavano lo spirito. Non poteva certo immaginare che il suo amato avrebbe perso l’equilibrio e sarebbe caduto dalla rupe, finendo dritto nelle fauci infuocate del drago.

Fatalità.

“Il destino” accennò a mezza voce, tra le lacrime che le rigavano copiosamente il volto, quello di lei, l’orgogliosa amazzone. “Il destino folse non voleva davvelo Shampoo e Lanma insieme.”

(Il destino… Troppo facile, non credi?)

Shampoo s’irrigidì, e persino le lacrime si arrestarono.

Era vero. Sarebbe stato troppo facile attribuire la responsabilità di quello che era accaduto al destino. Lei sapeva che le cose non erano andate in questo modo. Ma ammetterlo, come poteva – come poteva ammettere a se stessa che…

(Ranma si è buttato. Di sua spontanea volontà.)

Ecco, l’aveva fatto. Meglio, ci aveva pensato la sua coscienza, forse il rimorso. Strano, perché non aveva mai provato simili sensazioni. Un’amazzone non esitava, un’amazzone non si pentiva. Forse si era rammollita. Probabilmente quegli eventi l’avevano sconvolta come mai nulla era riuscito a fare. In ogni modo quella vocina nella sua mente diceva il vero. Ranma si era buttato spontaneamente. Perché?

Una sola risposta a quell’interrogativo, Jusenkyo.

Ricordava fin troppo bene. Il combattimento contro gli uomini-uccello di Safulan procedeva bene e lei aveva appena messo al tappeto quella Kima, la megera che aveva osato ridurla ad una sua schiavetta personale. Era felice, soddisfatta, appagata. Era stata rapita e Ranma era venuto fino in Cina a salvarla. Quindi lei aveva vendicato la propria umiliazione e l’onore di amazzone era così salvo. Non aveva avuto il tempo di assaporare pienamente tutto questo, che poté vedere Safulan venire sconfitto da Ranma per mezzo dell’incredibile tecnica che la bisnonna di lei gli aveva insegnato tanto tempo prima, l’Hiryu Shotenha. Aveva visto in ciò un segno del destino.

E poi? Un altro colpo spezzò il rubinetto del drago, facendo sì che l’acqua della sorgente delle Fonti Maledette sgorgasse verso l’alto e investisse ailen, che si trovava in aria. E quella Akane, che era così tornata istantaneamente alle sue sembianze normali. Era per lei, per salvarle la vita, che Ranma aveva combattuto, pensò. Ma ciò non voleva dire niente. Quindi Shampoo aveva notato che nel maschiaccio non apparivano segni di vita. Ranma aveva fatto troppo tardi. Eccolo qui. Un altro, l’ultimo segno del destino. Un destino senza alcuno che potesse ostacolarli, un destino che vedeva i nomi di Shampoo e Ranma legati per l’eternità.

Troppo bello. Troppo. Quello che vide un istante dopo, non l’avrebbe mai più scordato. Il volto di Ranma, ora ragazza, quella ragazza-Ranma che lei stessa in passato aveva cercato di eliminare, il suo volto recava segnata la disperazione più totale. Fu in quel preciso istante che aveva compreso che Ranma non sarebbe stato suo. Non era mai stato suo. Mai. Nemmeno per un istante.

Nessuno aveva osato avvicinarsi a lui, mentre stringeva Akane, che tutti credevano morta, tra le proprie braccia. Nemmeno Ryoga, che pure era innamorato del maschiaccio. Forse perché lui sapeva. Tutti sapevano. Solo lei non sapeva, meglio, voleva far finta di non sapere. Ma in quel momento la verità era lì, davanti ai suoi occhi.

Ranma amava Akane.

Capì dentro di sé il motivo dell’evocazione dello Spirito-dragone, il motivo di quell’ultimo disperato tentativo. Non poteva non giocare l’ultima carta.

Eliminare l’esistenza della persona scomoda – cancellarla dal mondo, passato presente e futuro. Questo era quello che le pareva di comprendere, traducendo i difficili ideogrammi di quella antica pergamena. Eliminarla dal cuore di Ranma – ma questa era solo la propria liberissima interpretazione: una mera illusione. Non poteva funzionare comunque. Ma lei aveva ignorato tutto ciò, ancora una volta. Sapeva ormai la verità ma non voleva ammetterla. E poi… Ranma che si lanciava nell’inferno per condividere la sorte di quella ragazza… Questo no. Questo era francamente impossibile ignorarlo.

Non aveva mai pensato ai sentimenti che potesse provare Ranma. Perché avrebbe dovuto? Lui l’aveva sconfitta. Lei lo amava. Era tutto scritto. Non poteva essere diversamente.

(Il destino non esiste) riprese l’assillante vocina (e le regole sono scritte per essere infrante.)

Shampoo realizzò solo allora che non si trattava della propria coscienza.

Si era addentrato da qualche minuto. L’unico accesso si era presto diramato in una serie imprecisa di cunicoli stretti e tortuosi, che imprigionavano non solamente la luce, ma anche qualsiasi suono ed ogni altra cosa che potesse in qualche modo costituire un punto di riferimento per orientarsi. Allora come faceva, lui, a procedere tanto spedito? Ranma se lo domandò appena, mentre percorreva a gran velocità la direzione scelta di volta in volta. Nessun dubbio. Cos’era, che lo guidava? Aveva una grande stima del suo sesto senso, ma nemmeno lui credeva potesse mai arrivare a tanto. E poi, la volta precedente non era stato così facile. Ora, invece, era come se fosse attirato verso qualcosa. L’aura percepita dalla vecchia, forse. Ma non quadrava.

Si sentì come la pedina di un gioco. La sensazione gli appariva fastidiosa ed insopportabile, non tollerava di essere manipolato. E quello Shingo, pareva sapere ogni cosa: perché si ostinava a non spiegargli? Soprattutto, chi era il giocatore, colui che muoveva le redini? Poi scorse l’uscita, una fessura tanto stretta da costringerlo ad inginocchiarsi per poterla attraversare.

Così fece. Vide la via rischiararsi e aprirsi in qualcosa di più ampio. Vide qualcosa di molto simile ad un mondo sotterraneo. E vide la spessa parete di roccia alla sua destra ed il silenzio che si colorava di caos, mentre le due ragazze terminavano la propria corsa, finendo spalle al muro, nello stesso momento in cui la risata dell’essere a tre teste si faceva più disumana, pregustando le vittime che gli erano state assegnate.

“Ranma!”

“Ran-chan!”

Nello stesso istante, lo chiamarono, ritrovando improvvisamente la speranza. Poté godere appena, lui, della gioia d'essere di nuovo riconosciuto da loro – dall’unica amica donna che avesse mai avuto… e da… “Ke ke ke, bruciate!”

Questo lo riportò subito al presente ed alla critica situazione in cui si trovavano. Ukyo impugnò lo spatolone con entrambe le mani, facendone uno scudo improvvisato, mentre Akane si era posta alle spalle della cuoca di okonomiyaki. Era una difesa che non poteva reggere molto, giusto qualche secondo e poi sarebbero entrambe state arrostite dall’alito di fuoco della testa principale. Ranma lo capì, smise di chiedersi cosa ci faceva Asura in quel posto ed intese che doveva inventarsi qualcosa al più presto.

“Moko Takabisha!” La sfera di energia partì dai suoi palmi, destinata ad attaccare lateralmente l’avversario ed arrestare così il suo attacco.

“Sciocco!” gracchiarono le voci, mentre il colpo veniva facilmente parato con una soltanto, delle sei braccia. “Asura è troppo potente per te, ora assaggerai la sua collera!” e mentre così parlava, la fiamma diminuì di potenza. Il risultato era stato raggiunto, anche se per un altro motivo. L’aveva fatto solamente arrabbiare, ma l’avversario non aveva minimamente risentito del suo attacco. Era molto più forte dell’ultima volta che lo aveva affrontato.

“Muori!” gridò Asura, cambiando dunque il suo bersaglio. Ukyo tirò appena un sospiro di sollievo, osservando la grossa spatola, che si era fusa per metà. Poi il presentimento, lo stesso che aveva preso Akane mentre vedevano il mostro lanciarsi contro il loro fidanzato – il presentimento che nemmeno Ranma avrebbe potuto fare niente.

Troppo facile era stato distrarlo. Il ragazzo col codino pensò che forse era lui, quello finito in trappola, mentre attaccava il nemico con una serie di Moko Takabisha, che però questo neutralizzava senza sforzo rispondendo con attacchi sempre più micidiali. Ne era sicuro, Akane e Ucchan costituivano solo un’esca. Lui era la preda. Ranma tentò di girare intorno al nemico per coglierlo di sorpresa, ma la cosa si rivelò subito impossibile: braccia e teste sbucavano da ovunque, costringendo ben presto Saotome ad arretrare, conscio che sparare la sua energia non solo non serviva a nulla, ma l’avrebbe stancato in poco tempo. Se solo Rouge avesse potuto governare la propria trasformazione e riprendere il controllo sul dio!

*Ah! Ma forse…* l’intuizione che ebbe lo sorprese non poco. Eppure sembrava dare un senso a tante cose.

Intanto continuava ad arretrare. Non gli piaceva fuggire di fronte al nemico, ma non vedeva altra scelta. Pensò che solo con l’Hiryu Shotenha avrebbe avuto qualche speranza: ma impossibile era attirare Asura in una spirale, senza prima venire colpito lui. Ranma decise dunque di ritirarsi, almeno avrebbe fatto da esca dando ad Akane e Ucchan il tempo di mettersi in salvo. Lui poi si sarebbe trovato al sicuro non appena fosse rientrato nel cunicolo da cui era giunto. Poteva funzionare.

“Fuggite!” gridò alle due mentre si allontanava, seguito dal mostro. Akane, per tutta risposta, si accinse invece a seguirlo a sua volta: ma l’iniziativa venne meno, le gambe cedettero di colpo e la ragazza con i capelli corti si ritrovò a terra col fiato spezzato. Ukyo, che pure inizialmente stava partendo alla rincorsa di Ran-chan, vide tutto: capì che Akane non si era completamente ripresa dallo shock ed anzi, scappando da Asura, aveva probabilmente dato fondo alle poche energie che le erano rimaste.

“Tu resta qui” disse alla minore delle Tendo, che già stava faticosamente rimettendosi in piedi. “Controllerò io che a Ranma non accada niente.”

“Non mi puoi costringere, Ukyo” replicò l’altra con tutta la sua determinazione.

“Allora… allora vuol dire che rimarrò con te, impedendo che tu commetta qualche sciocchezza."

La giovane Kuonji sorrise appena dentro di sé: forse aveva appena trovato, se non un modo per farsi perdonare, almeno qualcosa che somigliasse vagamente ad un buon inizio.

“Ma…”

“Niente ma” fece Ukyo, con altrettanta determinazione. “E poi sono sicura che Ranma non ha bisogno di noi: ce l’ha sempre fatta, ce la farà anche stavolta. Dobbiamo fidarci di lui.”

Akane intuì appena i pensieri di Ukyo e questo bastò a farla annuire, mentre le sue labbra si piegavano in un timido accenno di sorriso.

Ranma, intanto era arrivato alla spaccatura, stretta abbastanza perché Asura non potesse seguirlo. Stava per farvi ingresso, quando percepì nuove presenze.

“Ghuhuh!” la specie di grugnito che udì, prima che un essere mostruoso dalla testa di toro sbucasse fuori dal cunicolo, allargandolo a dismisura con la forza delle braccia e dei tentacoli per farsi lo spazio necessario ad uscire e sollevando un enorme nuvolo di polvere.

“Taro?” Adesso si trovava tra due fuochi. L’unica via di scampo era approfittare di quel momento ed entrare prima che si accorgesse di lui.

Con un agile balzo scavalcò il minotauro, ma non trovò affatto la strada libera davanti a sé. Nella foschia creata dalla polvere, scorse un’aura pesantissima di energia.

“Sei finito!” riconobbe la voce di Ryoga, mentre una sfera luminosa veniva caricata nella sua direzione; e non ebbe il tempo di pensare.

“Shishi Hokodan!”

Le lacrime avevano ripreso a scorrere dagli occhi dell’amazzone, queste se possibile ancora più amare delle precedenti. “Il destino non esiste e Lanma non mi ha mai amato” singhiozzò Shampoo. “Sono stata cieca e ho pelduto pel semple ailen…! Pel colpa solo mia, mia!”

“Non è ancora finita.”

La voce, questa volta, era esterna.

“Chi sei?” disse con odio.

“Ascolta, ho due notizie per te: una buona e l’altra cattiva. Da quale preferisci cominciare?”

“Non plendelmi in gilo!”

“Non collabori? E allora sceglierò io per te. Sappi che Ranma è vivo – e sta venendo qua.”

L’amazzone si asciugò il viso. Fissò il proprio interlocutore ancora avvolto nell’ombra, la speranza era riaffiorata in lei pur contro ogni logica. Ma poteva fidarsi delle parole di quello sconosciuto?

“Come posso sapele” chiese “che quello che dici è velo?”

“Presto potrai verificarlo con i tuoi occhi” rispose. “Ma se fossi in te, farei qualcos’altro piuttosto che sospettare. Mi preoccuperei. E molto. Perché questa non era la buona notizia. Era quella cattiva.”

“Cosa intendi?”

“Ranma è salvo, certo. Ma tu? Hai cercato di eliminare la donna che ama, ti odierà a morte per questo. Sarebbe stato meglio che fosse morto, per te. Ora non dovresti affrontare la sua collera.”

“Non… non volevo falgli dispiacele!”

“Credi veramente che dirgli ciò basterà? Adesso sì che l’hai perso. E per sempre.”

“Ma io amo Lanma.”

“Lo so. E infatti sono venuto apposta per portarti l’altra notizia, quella buona. Non sta scritto da nessuna parte che il futuro di Ranma debba essere con quella Akane. L’ho detto, il destino non esiste.” “Vuoi dile che…”

“Che Ranma può ancora essere tuo. Hai ancora un’opportunità. Sempre che tu accetti la mia alleanza.” Le tese il braccio. L’amazzone esitò un momento. Poi strinse con sicurezza la mano di lui: i suoi occhi, incrociando quelli dell’altro, color zaffiro, brillarono di un riflesso nuovo ed inquietante.

“Lanma salà mio!” le sue ultime parole coscienti.

Taro emise un sordo lamento e crollò a terra, stordito dall’enorme potenza del colpo che aveva subito in pieno petto.

Ranma, fissando Ryoga e Mousse uscire dal cunicolo mentre la polvere si depositava lentamente per terra, rendendo di nuovo possibile la visibilità, valutò cos’era appena successo. Taro aveva fatto in tempo a percepire la presenza di Ranma e si era voltato, pronto a colpirlo. Ma era stato anticipato dallo Shishi Hokodan di Hibiki.

Adesso il bestione tentava di riprendere il controllo, ma era ancora vacillante. Avere più forza non era servito poi a molto; capì di avere sottovalutato il nemico, sicuramente anche questo era più forte dell’ultima volta. Non importava. Sarebbe durato per poco, sentiva già dentro di sé scorrere nuova energia. L’avrebbero pagata molto cara.

Ripensò rapidamente a quando aveva teso la mano verso quei due. Ancora un poco e le loro anime sarebbero state spacciate. Ma quelli avevano allungato i loro arti verso il proprio solamente per schiaffarlo via, con gran meraviglia di Taro. Cosa li aveva spinti a ciò? Il loro stupido onore, forse? Che sciocchi! Come si poteva non provare disprezzo, per loro? Fu questo il sentimento che accelerò nel gigante dalla testa taurina il recupero delle forze.

Mousse l’aveva inteso e si era affrettato a cingere il corpo del mostro con le catene più robuste che aveva nella veste. Ma non sarebbe bastato per molto.

“Oh, rieccoti qui” Ryoga si accorse solo allora del ragazzo con la treccia. “Sembra che tu non abbia trovato la fonte, se alla fine sei tornato da noi.”

“Veramente siete voi che mi siete venuti incontro” notò Ranma, puntando l’indice alla tempia. “E in ogni caso non c’è nessuna fonte, Shampoo e Ukyo ci hanno mentito: inoltre credo che la fonte sia l’ultimo dei nostri problemi, ora come ora.”

Detto questo, fece cenno in direzione di Asura che tornava alla carica. Gli occhi del dio indiano erano rimasti accecati dalla polvere, così questo aveva pensato di sollevarsi in volo aspettando che si diradasse. Ryoga e Mousse si concentrarono sull’infausta novità.

“Che cosa?! Nessuna fonte?!” urlarono all’unisono i due maledetti.

“Ho appena detto che non è il momento di pensare a ciò!” replicò Ranma. “E poi anche Akane, Ucchan e Shampoo potrebbero trovarsi in pericolo!” In effetti, Shampoo non l’aveva proprio vista, mentre le altre due erano ora fuori della portata del suo sguardo. Pregò che andasse tutto bene.

“Cosa?! Shampoo!” gridò Mousse.

“Akane è in pericolo?! Va bene, ne riparleremo dopo aver abbattuto questo strano coso” disse Ryoga, preparando nuovamente i palmi. “Mousse, tu pensa a controllare Taro!”

“E come pensi che possa fare?!” protestò il cinesino. “Si sta già liberando dalle mie catene! E non ne ho altre.”

“A lui ci penso io” la voce di Obaba. “Pare che vi abbia trovato in tempo.”

“Sei arrivata al momento giusto, vecchia.” Ranma la vide, con la coda dell’occhio, premere un paio di terminazioni nervose del mostro e fargli così perdere coscienza, appena prima che questo spezzasse l’ultima catena.

“Ottimo!” esclamò Mousse. “Ora, non potresti fare lo stesso con quell’affare volante?” suggerì, indicando Asura.

“Oh, un’altra vittima di Jusen” constatò l’amazzone. “E come ci arrivo lassù, secondo voi? Prima dobbiamo atterrarlo!”

“Dici facile, tu!” protestò Ranma, sparando un altro Moko Takabisha, facilmente controbilanciato dall’ennesima vampata di calore.

*Aspetta un momento, in effetti c’è un modo per abbatterlo!*

Corse in direzione opposta all’ingresso del cunicolo, dove ancora stavano gli altri. Notò che Asura lo seguiva con lo sguardo, tutto come previsto. Asura puntava su di lui. Schivò alcune fiamme, finché non ritenne di essersi allontanato a una distanza sufficiente dal resto del gruppo.

“Adesso, Ryoga!” gridò.

Mousse pensò di aver inteso l’idea di Ranma, cioè distrarre l’avversario dando a Hibiki il tempo necessario per preparare il suo colpo energetico. Il giovane dai canini sporgenti non si fece attendere e concentrò i propri pensieri infelici: quello di Akane in pericolo, in verità, bastava da solo allo scopo. Caricò tra i palmi delle mani un nuovo Shishi Hokodan, mirando con quel poco di concentrazione che gli restava in direzione di Asura, girato di spalle e per di più con tutte e tre le teste intente a non lasciarsi sfuggire il giovane Saotome.

“Prendi questo!” gridò, lasciando andare una potentissima onda energetica. Una testa laterale scorse il bagliore ed intuì il pericolo.

“Ormai è tardi per schivarlo” giudicò Mousse. “Ce l’abbiamo fatta!”

L’espressione del cinesino dovette cambiare in un batter di ciglia. Nel giro di una frazione di secondo, infatti, il dio si girò su se stesso e, con rapidità disumana, scansò il fascio di luce. Che adesso, senza altri ostacoli, era diretto verso il ragazzo con il codino.

“No!” si lasciarono sfuggire Ryoga e Mousse. A sorridere, ora, erano le teste di Asura. Ranma fissò lo Shishi Hokodan che stava per colpirlo. Non aveva tempo per schivarlo. Ma non era quello che aveva intenzione di fare.

Un lampo, il colpo che andava a segno, forse. Ma durò solo un istante infinitesimale.

“Hiryu Shotenha!”

Asura si trovò preso di contropiede. Inaspettatamente, era come se il colpo da lui appena schivato stesse tornando indietro con gli interessi. Ebbe appena il tempo di distinguere qualcosa di simile ad un sottilissimo tornado, prima di essere colpito in pieno. E di venire scagliato contro la parete di roccia, privo di sensi. Obaba non tardò a farglisi vicino e a premere gli tsubo giusti perché non li infastidisse per qualche ora almeno.

“Questi due sono a posto” disse Ranma.

“Non… non ci ho capito nulla” balbettò Mousse.

“Era questo che avevi in mente?” domandò sconcertato Ryoga. “Ma come hai fatto?!”

“Mmh, credo di aver capito l’idea del consorte” disse Cologne. “Una parte dello Shishi Hokodan di Ryoga, che altro non è se non l’energia pesante di un animo depresso, è collassata verso le zone periferiche di aria leggera, quella emanata prima da Ranma e Asura. L’aria calda in eccesso è confluita a sua volta nel vuoto del fascio di energia sparato da Ryoga, riscaldandolo e allo stesso tempo determinando un movimento rotatorio: questo, sommato all’accelerazione dello Shishi Hokodan, ha formato..."

"Una spirale!" esclamò Mousse.

"Proprio così" riprese lei. "Una sottilissima spirale di energia calda, anche se quasi invisibile a occhio nudo. La quale era la condizione ideale per l’Hiryu Shotenha.”

“Poteva funzionare” disse Ranma “solo se fossi riuscito a tenere la mia aura fredda e colpire l’onda energetica di Ryoga un momento prima che quella colpisse me. Per fortuna è andata proprio così.”

“Dunque lo Shishi Hokodan” mormorò Ryoga “non serviva a colpire quell’essere maledetto, bensì a formare la spirale.”

“Precisamente” annuì Ranma. “Ero certo che Asura avrebbe schivato facilmente il tuo colpo, consentendomi di servirmene al mio scopo.”

“Capisco benissimo” disse Hibiki, in un sospiro; immediatamente dopo, colpì Saotome con un pugno allo stomaco. “Solo, la prossima volta avvisami prima di sfruttare i miei pensieri infelici per i tuoi tortuosi intenti!”

“Bene, abbiamo vinto!” considerò Mousse.

“Purtroppo non ancora” spiegò la vecchia. “Questi due, l’avrete notato tutti, erano posseduti.”

“Già!” annuì Ryoga. “Taro aveva parlato chiaramente di qualcuno che gli aveva fornito la sua nuova forza. Ma con chi abbiamo a che fare?!”

“Con un nemico molto più forte di quelli che avete affrontato in passato” disse Cologne. “Si tratta della divinità suprema che creò le Sorgenti Maledette, il suo nome è Muchitsujo.”

“Una… una divinità suprema?!” esclamò Ryoga.

“Questo spiegherebbe perché si sta accanendo, combattendoli o facendoli suoi servi, solo su coloro che sono caduti nelle fonti” ragionò Mousse. “Ma cosa vuole esattamente?!”

“Penso che finalmente lo sapremo” disse Ranma. “Lui è qui, davanti a noi!”

Gli altri si voltarono. Silenzio. E poi un suono sordo. Un battere di mani. Un accenno di applauso. E una figura uscì finalmente dalla semioscurità in cui la grotta era tornata dopo che Asura era stato sconfitto, illuminata dallo sfavillio del medaglione.

“Sempre più acuto” disse con una smorfia divertita. “Non ho sprecato il mio tempo, tutto sommato, a puntare su uno come te.”

“Shingo..." mormorò Ranma. "Dunque quella storiella di poco fa, gli altri in pericolo ed io solo che potevo salvarli, era solo… per tendermi una trappola?!”

“Preferirei definirlo, piuttosto, l’ultimo test. Superato con lode, data la facilità con cui avete sconfitto i miei guerrieri, pur potenziati dal Tai-ma no Mamori.

“Tu?!” esclamò Cologne. “Sei stato veramente tu a concepire tutto questo?! Eppure l’aura di Muchitsujo…” Shingo sorrise e la vecchia tacque di colpo: d’improvviso vedeva l’aura divina incontrarsi con quella di Shingo e del medaglione. Ovvio! Come aveva potuto non pensarci prima?! “Ti è più chiaro, adesso, nonnina?” domandò beffardo quello dai capelli riflesso del platino.

“Ora capisco.”

Obaba intese il motivo per cui le sue percezioni sull’aura di Muchitsujo fossero sempre tanto confuse e non riuscisse ad individuarne la fonte precisa.

“Adesso molte domande hanno una risposta” disse Ranma. “Almeno, io credo di averla trovata mentre combattevo contro Asura.”

“Pensi che…” accennò appena Cologne.

“Che Shingo sia stato alle Sorgenti Maledette? Sicuro!” continuò il ragazzo col codino. “E non solo: è caduto in una delle fonti.”

Quello inarcò un sopracciglio.

“Non in una qualsiasi” aggiunse Saotome. “Se ho fatto bene i miei conti – Shingo, tu sei caduto nella fonte dove fu sigillato il dio del caos, Muchitsujo! Non è forse vero?!”

“Ma certo!” esclamò l’amazzone. “Questo spiega come possa indossare il Tai-ma no Mamori pur essendo un semplice mortale. L’aura di Muchitsujo è in lui: prima non l’avevo localizzata per via dell’interferenza con l’energia emanata dal medaglione, ma ora lo avverto chiaramente.”

“Molto bene” plaudì ancora Shingo. “Una tale intuizione merita di essere premiata” disse “ed è per questo che adesso vi racconterò la mia storia.”