Capitolo 12 - La situazione si fa critica

Kodachi continuò la sua marcia trionfale. La quale in realtà si era ridotta ad una ridicola marcetta: Kuno e quella strana ragazzina chiamata Azusa Shiratori la stavano inseguendo e, per quanto fosse poco dignitoso, era costretta ad accelerare il passo.

“Oh oh oh oh, nessuno potrà fermare la Rosa Nera!”

Tatewaki si era ripreso dall’esplosione, corse a gran carriera e cominciò a recuperare terreno sulla sorella. Entrambi lasciarono dietro Azusa e Sasuke. Nessuno si accorse di uno scatto meccanico che si azionò non appena essi ebbero toccato la casella numero novantanove.

“Sorella!” esclamò Kuno. “Sono più anziano e dunque spetta a me di raggiungere per primo il traguardo!”

“Stai sognando?!” fece Kodachi. “Sei tu che devi farmi strada, sono una signora!”

Mousse versione papero si trovava sul gradone numero cento, legato con accuratezza: non appena vide i due contendenti prossimi all’arrivo, si sentì spacciato. In quel mentre, con una mossa maldestra, si fece cadere gli occhiali, i quali si ruppero all’istante: ma ciò gli fece venire un’idea.

Nel frattempo, dal soffitto della Torre sbucò fuori un enorme masso: il quale rotolò rapido in direzione dei fratelli Kuno.

Kodachi si fermò di scatto, si girò verso Tatewaki e gli disse:

“Ripensandoci… Vai prima tu, fratellino adorato!”

“Giammai” fece lui, anch’egli arrestatosi. “La precedenza spetta sempre alle gentil dame!”

Kodachi lanciò uno dei suoi nastri avvolgendo il collo di Kuno. E tirandolo a sé in maniera poco ortodossa.

“Ho detto: vai prima tu!”

Tatewaki replicò rabbioso:

“Non ci hai sentito? Devi precedermi, sei mia sorella!”

“Tu sei mio fratello maggiore” riprese Kodachi, furiosa. “Quindi hai la precedenza!”

“Vista la generosità che mi contraddistingue” continuò Kuno, ringhiante “lascerò a te l’onore del primo passo!”

I due fratelli si spinsero l’un l’altro nel tentativo di scambiarsi le loro gentilezze disinteressate, finchè Sasuke s’interpose tra loro.

“Padroncini, quel masso sta arrivando: forse è meglio che scappiamo tutti quanti…”

Troppo tardi. Kuno, Kodachi e Sasuke presero a correre. Meglio, solo Kuno e Sasuke: dal momento che Azusa se ne stava appollaiata sulle spalle del Tuono Blu mentre la Rosa Nera, troppo snob per darsi ad una fuga precipitosa, si era messa a cavalcioni del povero servitore. Il masso fu però più rapido e quelli si trovarono a correre sopra di esso, in direzione opposta a quella del suo rotolamento in modo da non cadere: scesero così parte dello scalone a spirale, beccandosi tutte quante le trappole che non erano ancora scattate: martelli giganti, frecce che saettavano dai muri, mine antiuomo e via dicendo.

“Yuppi! Che bello!” gridava tutta eccitata Azusa.

“Aaaah! Sasuke, fai qualcosa!” urlava, piena di terrore, Kodachi.

“Non ce la faccio…” ansimò Kuno, ridotto in brandelli in seguito alle lame affilate che l’avevano colpito più di una volta. “Non potrò correre così ancora per molto…”

“In effetti” disse Sasuke, mezzo bruciacchiato dalle varie esplosioni, indicando la parete contro la quale stavano per sfracellarsi per via della forza centrifuga “la nostra corsa è già giunta al termine!”

Il masso sfondò la parete, finendo all’esterno e lasciando sospesi nel vuoto i quattro disgraziati.

“Aaaaaah!” gridò ancora Kodachi. “Qui è come se fossimo al decimo piano!”

Azusa diede un colpetto sul capo di Tatewaki.

“Marianne, tu sei un tanuki!” disse. “Usa i tuoi poteri magici per volare!”

Il Tuono Blu assunse un’aria grave.

“Vedi, ragazzina, il sottoscritto discende da una famiglia nobile e antichissima: dunque si può tranquillamente affermare che io abbia origini semi-divine…” disse solennemente. Poi guardò il vuoto sotto di lui. “Purtroppo, però, tra le mie molteplici ed incredibili capacità non è compresa quella di volareeeeehhh!”

Mousse si era frattanto liberato: strusciandosi contro i frammenti di vetro che poco prima erano stati i suoi occhiali, aveva consumato le corde e potuto finalmente spezzarle. Ora doveva scendere di lì. Era senza occhiali, ma questo non costituiva un grosso problema: avrebbe fatto affidamento sulla sua vista da falco.


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Ranma correva via, scendendo a tutta velocità i gradoni dell’enorme scala a chiocciola che sorreggeva dall’interno la Torre. Dietro di lui, il turbine d’acqua calda scatenato da Sentaro: il quale aveva preso a manovrarlo tramite i sottili spostamenti d’aria dei ventagli che il giovane Daimonji aveva tirato fuori ed ora agitava con entrambe le mani.

“Bravo, Ranma” mormorò il padre. “La velocità è una delle doti principali, per un artista marziale che si rispetti…”

“Ma cosa dici, Saotome?!” replicò Soun. “Tuo figlio sta scappando come un vigliacco!”

“Non capisci, amico Tendo? La prima regola della scuola di lotta indiscriminata Saotome è: se non puoi battere il nemico, allora evita lo scontro diretto fino ad un momento più opportuno!”

“Cioè gli ha insegnato a fuggire a gambe levate…” tradusse Akane.

“No!” Genma battè con forza il piede sul pavimento. “Questo è il frutto di duri anni di addestramento speciale: ho allenato personalmente Ranma sviluppando i suoi riflessi e il suo scatto nella corsa. Ricordo ancora i tremendi esercizi a cui lo sottoponevo…” Chiuse gli occhi e ricordò.

Genma Saotome e suo figlio, che all’incirca dimostrava non più di cinque o sei anni, si trovavano a mangiare al ristorante francese. Davanti a loro, enormi ed altissime pile di piatti puliti a lucido, frutto di quello che si poteva tranquillamente definire come un banchetto luculliano. Il più vecchio dei due allentò leggermente la cintura, permettendo al gonfiore dello stomaco di emergere in tutta la sua soddisfazione. Il bambino, scimmiottando il padre, fece altrettanto.

Un cameriere si avvicinò al loro tavolo, porgendo a Genma un foglietto di carta, piccolo ma molto, molto lungo.

“Monsieur, dal momento che voi due vi siete spazzolati l’intero ristorante e che dunque anche volendo non potrei più offrirvi niente da mangiare, ritengo sia questo il momento giusto di presentarle il conto.”

L’uomo con gli occhiali si pulì educatamente e con accuratezza la bocca mediante il tovagliolo, ponendo poi molta cura nel ripiegarlo nel modo appropriato. Alzò lo sguardo al cielo.

“Il conto, dice? Ha ragione, aspetti solo un attimo…”

Accennò a mettere una mano nella tasca. Quello era il segnale. Gli occhi del piccolo Ranma luccicarono d’un segno d’intesa.

“Ora!” urlò improvvisamente il padre. E un momento dopo, Genma e suo figlio si erano lanciati fuori dal locale, pure con qualche avanzo di cibo tra le mani.

“Corri, Ranma, corri!”

I due continuavano la corsa, mentre il cameriere urlava a gran voce:

“Parbleu, due scrocconi! Fermali, garçon!”

Un omone alto e grosso si mise al loro inseguimento. Genma riuscì a seminarlo, contrariamente al piccolo figlio, che fu ben presto afferrato dalle sue grandi manone. E il povero Ranma, qualche ora più tardi, si trovava nella cucina del ristorante a lavare una montagna di piatti, posate e bicchieri. Il tutto sotto gli occhi del padre, che lo guardava da fuori la finestra, all’esterno, in una posizione strategica sicura che gli consentisse di non essere visto dai camerieri del locale.

“No…” scosse la testa in atto di diniego. “Così non va proprio, Ranma: ti sei fatto prendere, hai ancora molto da imparare…”

E detto questo, lo sguardo di Genma si accese come balenato da un lampo, tanto che pareva di vedere il fuoco nelle sue pupille: un secondo dopo, il vecchio genitore concentrò la propria energia spirituale e addentò con violenza una coscia di pollo che teneva con la mano sinistra.

“Così" Genma mandò giù voracemente un boccone “non va proprio…”

L’uomo che aveva appena rievocato queste scene, non con poca commozione, incrociò le braccia. Sospirò, riprese infine a parlare:

“Ranma rimase a fare lo sguattero in quel locale per tre giorni e tre notti: il tempo di esercitare la propria pazienza nei lavori più umili…”

Riaprì le palpebre.

“E soprattutto, il tempo necessario per pagare il conto!”

Diversi goccioloni solcarono le fronti di Soun e Akane.

“L’allenamento andò avanti per anni ed anni” spiegò Genma, tirando fuori da chissà dove un proiettore e mostrando delle diapositive. “Ci recammo al ristorante cinese, al ristorante indiano, al fast food americano.” Seguirono le diapositive che mostravano Ranma che lavava le posate al ristorante cinese, che puliva i pavimenti nel ristorante indiano, che sbucciava le patate nel fast food americano: il tutto mentre Genma riusciva sempre a portare via un po’ di bottino. “Purtroppo sempre col medesimo deludente risultato, mio figlio non faceva alcun progresso.”

Una lacrima scese furtiva dagli occhiali leggermente appannati del vecchio Saotome.

“Ma ora” esclamò con orgoglio, puntando l’indice in direzione della ragazza dalla treccia rossa che continuava la sua discesa lungo l’imperioso scalone a chiocciola. “Ora guardatelo, quello è mio figlio!”

“Ma cosa dici, Saotome?” gli ringhiò Soun, non prima di aver afferrato l’amico per i lembi della veste. “Ranma scappa come un codardo e tu ne vai pure fiero?”

Genma continuò incurante.

“Ranma…” mormorò, lo sguardo perso nel vuoto, come se il figlio avesse potuto udire nella lontananza quelle fievoli parole. “E’ proprio così che si fa…”

Soun si gettò letteralmente addosso a Genma quasi come per strozzarlo.

“Non posso permettere che il fidanzato di mia figlia si comporti come un coniglio: richiamalo all’ordine!”

Akane frattanto osservava perplessa la discesa di Ranma, arrivato quasi ai piedi dello scalone. Non trovava alcun ostacolo o trabocchetto davanti a sè, dal momento che Picolet li aveva distrutti tutti. Ma nemmeno il vortice caldo di Sentaro si arrestava.

“Forse Ranma sperava che l’acqua si raffreddasse. Ma così non è stato…” mormorò la sua fidanzata ufficiale. Poi sbottò di colpo.

“Non posso credere che Ranma sia diventato improvvisamente un vigliacco! No, dev’esserci un’altra spiegazione: ma quale?!”

Guardò dall’alto il fidanzato nella sua forma femminile. Ranma aveva appena finito di scendere lo scalone e stava in piedi, ritta ed immobile, gli occhi chiusi. Anche il getto d’acqua calda stava finendo di scendere lo scalone a chiocciola… Lo scalone a chioccciola?! Ora Akane aveva compreso…