PART 09 - Something Goes Bad

In un localino nei dintorni dello Shopping Plaza, al suono di musichette occidentali molto gradevoli, una ragazza ed il suo accompagnatore godevano la tranquillità delle prime ore pomeridiane. Meglio, solo la ragazza. La quale gustava lentamente la propria coppa di gelato, senza badare ai brontolii dell’altro, segno del suo spazientimento.

“E allora? Ti basta?”

Lei lasciò sciogliere in bocca il cucchiaio appena introdotto, assaporando avidamente la sensazione di frescura – piacevole, in una giornata tiepida come quella, sebbene l’inverno fosse ormai alle porte – unita al buon sapore di frutta. In un altro luogo e in un altro momento… e pure in un altro corpo… anche il ragazzo avrebbe sicuramente gradito la fattura del proprio gelato. E ne avrebbe addirittura ordinati altri. Ma quelli scelti da Nabiki erano indiscutibilmente i più costosi del menù, e la giovane liceale ne ordinava tranquillamente uno dopo l’altro. Il disgraziato si sentiva molto Kuno, in quel momento. Con l’importante differenza che il suo portafoglio era ben più ristretto di quello del senpai. E Ranma cominciava a temere che non sarebbe uscito da quel bar senza prima aver pulito per un paio di giorni bicchieri, piatti e tazzine varie in veste di sguattero – o aver servito per altrettanto tempo ai tavoli come cameriera – ed almeno in quel caso avrebbe potuto contare sull’esperienza accumulata al Nekohanten, nel periodo in cui Obaba gli aveva stimolato il nervo del gatto…

Soprattutto, Nabiki non gli aveva detto ancora un bel niente. E lui riteneva di aver sborsato fin troppo, per quel giorno.

“Ti decidi a darmi ascolto?!”

La media delle sorelle Tendo deglutì con estrema calma l’ennesimo boccone. Quindi afferrò con grazia un tovagliolino e si pulì accuratamente le labbra.

“Mmm, buono questo gelato.”

Per poco Ranma non scivolò dalla sedia. Ma stava parlando ad un muro?! La sua pazienza aveva un limite.

“Insomma, dammi retta!” sbatté il pugno sul tavolo, richiamando l’attenzione degli altri clienti.

Nabiki sbadigliò indolentemente, infine assottigliò lo sguardo e finalmente lo incrociò con quello del proprio interlocutore.

“Sai, penso proprio di avere con me ciò che ti interessa…”

“Che…?!”

Gli lanciò tra le mani una busta, accuratamente sigillata. Ranma la aprì, possibile che le risposte alle sue molteplici domande fossero contenute lì dentro?

“Allora, non è quello che volevi?”

Il ragazzo col codino rimase con la bocca spalancata, atteggiata in una delle sue classiche smorfie. In quella busta non c’erano altro… che…

“Un set completo di foto che ritraggono mia sorella Akane. Ti costerà solo 4990 yen” disse candidamente la giovane con i capelli a caschetto.

“Non è questo che voglio!” ringhiò Ranma, furioso ed imbarazzato al tempo stesso.

“Vuoi dire forse che non sei un ammiratore segreto di mia sorella?” fece stupita lei.

“Niente affatto!” replicò lui, in modo fin troppo deciso.

Nabiki piegò un sopracciglio in un’espressione poco convinta. Non la incantava. Si era accorta di come quel forestiero aveva fissato Akane la mattina, quando loro erano uscite per recarsi a scuola. Già, una debolezza da sfruttare. Soprattutto adesso che il numero degli ammiratori della sorella era – notevolmente calato, per usare un eufemismo. Ma c’era tempo. Dopotutto, poteva farsi pagare anche per le informazioni…

“Va bene. Per qualche altro migliaio di yen, ti dirò tutto quello che vorrai sapere.”

Alla buon’ora. Di cose strane ce n’erano abbastanza. Da cosa poteva cominciare? Da Happosai che spadroneggiava per casa Tendo? Dal comportamento pressoché folle di Soun e Kasumi? Dal trionfo di Kodachi che non sembrava avere alcun senso? Da…

“Uhmm, che ne dici di spiegarmi che fine ha fatto l’insegna della palestra Tendo?!”

Per una volta, fu Nabiki Tendo la calcolatrice umana a rimanere completamente spiazzata. Sapeva quanto l’argomento fosse delicato in famiglia, era proibito solo farvi cenno in presenza di loro padre… Ma gli affari erano affari, e al giusto prezzo avrebbe spifferato anche i dettagli più intimi della propria vita privata.

“Va bene… non che poi ci sia molto da spiegare.”

“Allora?”

“Presto detto. Credo che tu sappia, dal momento che conosci la palestra Tendo, di come questa fosse la più rinomata della città. Molte scuole di lotta indiscriminata hanno guardato con invidia alle tecniche portate avanti da mio padre.”

“Lo so bene, vai al sodo.”

“Tranquillo.”

Nabiki giocherellò col cucchiaino, esplorando il fondo della coppa di gelato ormai vuota.

“Quello che sicuramente non sai” riprese “è che un bel giorno giunse, da non so quale zona del Giappone, un potente artista marziale.”

Fece un attimo mente locale.

“Mi pare si facesse chiamare… sì, dojo yaburi.”

Ranma rilesse a fondo quel nome nella propria mente. Il dojo yaburi…? Cioè, quel tipo che sfidava le scuole di lotta per impossessarsi delle – ma certo, delle insegne delle palestre! Ora la cosa cominciava a farsi chiara. Il dojo yaburi che aveva sfidato i Tendo non avrebbe potuto scegliere momento meno opportuno, ricordò Ranma. Era venuto lo stesso giorno in cui il ragazzo col codino aveva l’appuntamento con Shampoo per ottenere dall’amazzone la bustina con l’estratto di Nannichuan – che però funzionava una volta sola… A saperlo prima… Potente quell’omone? Forse grande e grosso, ma nient’altro. Dove voleva arrivare Nabiki?

“Insomma, questo dojo-yaburi ci ha sfidato. Akane, che praticava le arti marziali, ha combattuto per difendere il nome della nostra palestra.”

Si voltò a guardare attraverso la vetrina lo spettacolo della gente che passeggiava per la via principale. Fu silenzio totale per una manciata di secondi.

“Dunque?” riprese spazientito Ranma.

“Dunque ha vinto il dojo yaburi: credevo tu l’avessi capito, no?”

Cosa?! Non poteva essere! Cioè… era sì vero che quella volta era venuto lui a dare man forte a quell'imbranata di Akane – ma era vero pure che la fidanzata aveva una mano ferita: e di quello, la colpa era in un certo senso sua. Doveva ammettere che addirittura una schiappetta come lei, in condizioni normali, avrebbe potuto tranquillamente battere un principiante qual era il suo avversario, dando sfoggio della forza erculea che si ritrovava.

Ranma espresse solo l’ultima parte del pensiero. Nabiki parve divertita dal modo familiare con cui quel tipo si riferiva a sua sorella.

“Se ti interessa” gli rispose “Akane non era in condizioni normali: era gravemente infortunata, quel giorno…”

*Un altro infortunio?!* meditò, turbato, il giovane Saotome.

Contemporaneamente, Nabiki stessa si incupì, mordendosi il labbro inferiore. Raramente Ranma l’aveva vista così tesa, per lui era impensabile che l’affarista della famiglia Tendo potesse lasciar trasparire le proprie emozioni. Ma ora il ragazzo con la camicia cinese poteva scorgere in lei un sentimento misto tra la preoccupazione ed il rancore: non capiva, però, quale delle due spinte emotive prevalesse.

“Cosa è successo?!” ebbe l’imprudenza di chiedere lui.

“Questo” scandì l’altra, passato l’istante di umanità “ti costerà un extra.”

Ranma sbuffò rassegnato, annuendo col capo.

“Tutto è cominciato” riprese Nabiki “il giorno in cui il capitano della squadra di ginnastica ritmica marziale dell’istituto femminile Saint Hebereke, Kodachi Kuno, la pazza che hai visto piroettare per il cortile del Furinkan qualche ora fa, lanciò la sua sfida contro la nostra scuola…”

Alzò il cucchiaino, come a voler catturare l’attenzione dell’interlocutore. “Kodachi vinceva sempre, anche perché le sue avversarie finivano sempre per ritirarsi per abbandono prima dell’incontro. Anche questa volta, una dopo l’altra, tutte le ragazze del corso di ginnastica furono messe fuori gioco: con mezzi più o meno subdoli. Finché decisero di chiedere aiuto ad Akane, la quale accettò di scontrarsi con la cosiddetta Rosa Nera senza alcuna esitazione... sebbene non avesse mai praticato prima d’allora quella pseudo-specie di disciplina sportiva. In quanto a Kodachi, lei non aveva certo paura. Avrebbe vinto, facendo uso della sua migliore abilità.” Socchiuse le palpebre. “Barare” qui sorrise, come se la cosa fosse stata perfettamente logica, come se il fine giustificasse veramente i mezzi. Ranma poté, però, scorgere il velo di amarezza che si nascondeva dietro a quel gesto.

“E la vigilia dell’incontro, puntuale come un orologio, Kodachi colpì. Si era già intrufolata qualche notte prima in casa nostra, per mettere fuori gioco Akane: ma mia sorella seppe in quel frangente tenere alzata la guardia e sventare l’attacco... Così non fu invece in quel tragico allenamento al dojo.”

Al ragazzo col codino parve sentirla come sussultare appena, mentre proferiva queste parole.

“Un… incidente, si disse in seguito. Le clavette con cui si allenava Akane non erano le solite, di plastica e cave al loro interno, ma imbottite di pesini di ferro. Erano state sostituite da ignoti: questa, per così dire, la versione ufficiale dei fatti. L’ignara Rosa Nera non poteva sapere, venendo a sfidare la sua prossima avversaria in un innocente allenamento dell’ultim’ora tra rivali, che poteva far male alla sua contendente, con una di quelle clavette. Risultato, Akane accettò ingenuamente quella sfida e ne ricavò il braccio rotto.”

Nabiki si lasciò sfuggire un sospiro annoiato.

“Testarda com’era, volle gareggiare comunque. Fu la prima ad avere tanto coraggio. Com’era scontato, venne sconfitta molto facilmente. Ne derivò una terribile umiliazione, di fronte a tutti i nostri compagni di scuola che assistevano all’incontro. Kodachi divenne in questo modo la campionessa indiscussa di ginnastica ritmica marziale di tutta quanta la città: e, come hai potuto constatare, viene al Furinkan a ricordarcelo ogni giorno.”

La ragazza si fermò. Ranma, con un cenno del capo, la invitò a continuare.

“Quando arrivò il giorno della visita del dojo yaburi, Akane era già completamente ristabilita. Fisicamente. Ma non era del tutto guarita. Qualcosa era andato perduto per sempre. Sentiva di avere deluso le aspettative di tutti, di avere tradito in qualche modo chi credeva in lei. Aveva completamente perso la fiducia nelle proprie capacità. Era suo, il compito di difendere l’onore del dojo Tendo. Ormai non se ne sentiva più all’altezza. Combatté, ma al peggio delle proprie potenzialità. Il suo infortunio era tutto nella testa.”

“E così…” accennò il ragazzo col codino.

“Così, fine della palestra di arti marziali” completò Nabiki. “L’omone ha vinto e si è portato via l’insegna, come ti ho già detto.”

La ragazza con i capelli a caschetto si voltò a guardare distrattamente dall’interno l’insegna, dipinta sulla vetrina, del Cafè Toramasu. Ranma seguì il suo sguardo. Buffo, Nabiki aveva scelto proprio questo locale. Ripensò distrattamente a quanti gelati aveva qui scroccato alla propria fidanzata, nelle vesti di una ragazza dalla chioma fulva.

Sentiva una morsa al cuore, sapeva cosa significava una sconfitta per Akane. Lui non era mai stato bravo a capire cosa passasse per la testa del suo maschiaccio. Ma questo lo sapeva. Sapeva cosa lei provava a perdere una sfida, sapeva quanto lei potesse soffrirne. Lo sapeva perché era così anche per lui. In questo si assomigliavano – cavolo se si assomigliavano! Digerire una sconfitta, nessuno di loro ne era capace. E Akane aveva perso due volte. Deludendo le amiche e i familiari. Deglutì a stento, temeva che quegli eventi avessero lasciato il segno. Non un piccolo segno. Ma un profondo squarcio.

Ricordò l’atmosfera surreale di casa Tendo. E l’espressione del volto di lei, mentre si avviava verso scuola: così malinconica…

“Oh, eccoti finalmente!”

La voce di Nabiki lo riportò al presente. Balzò istantaneamente in piedi, non appena si rese conto che la giovane non si stava affatto rivolgendo a lui. E realizzò a chi si stava rivolgendo.

“Scusami” sorrise la Tendo, di nuovo divertita dallo scatto improvviso di Ranma. “Avrei dovuto dirti il motivo per cui ti ho fatto venire qui: in realtà, c’era un tale che doveva venire a prendermi.”

Un giovane vestito di un elegante smoking bianco le porse la mano.

“Perdonami per il ritardo, mademoiselle Nabiki.”

”Fa niente” disse lei. Poi si alzò anch’essa da tavola, dicendo al ragazzo col codino:

“Senti, uhm… Ranma, giusto?! Ti presento il mio fidanzato.”

Il fidanzato di Nabiki. Questa poi…!

“Mio padre aveva promesso una delle sue tre figlie in sposa al giovanotto qui presente, per pagare il pranzo che lui ed un amico, di cui ora si sono perse le tracce, si erano sbafati vent’anni fa nel ristorante della sua famiglia. Ho deciso di prendermelo io, non potevo perdere una simile occasione” la semplice e concisa spiegazione di Nabiki. Era incredibile come quella ragazza riuscisse a parlare anche degli argomenti più delicati con una tale disinvoltura.

Picolet Chardon porse il braccio alla sua compagna. Ranma ritrovò poco alla volta un inizio di lucidità. Ovvio, a rifletterci. La quarta sorella, Ranma Tendo, non aveva potuto fare la sua comparsa a casa Chardon e tirare fuori dai guai le altre. Dopotutto, quel francesino era ricco almeno quanto Kuno. E molto meno idiota. La calcolatrice umana, ancora una volta, aveva fatto bene i propri conti.

Pagato il dovuto a Nabiki, Ranma si avviò verso l’uscita.

“Io vi devo lasciare. Addio.”

Era deciso. Avrebbe risolto quella faccenda e poi se ne sarebbe finalmente tornato per la propria strada. Avrebbe rintracciato il dojo-yaburi: si fosse anche trovato, in quel momento, all’altro capo del pianeta. Lo avrebbe sfidato, sconfitto, e riportato l’insegna ai Tendo. Facile. Come bere un bicchiere d’acqua.

“Aspetta.”

Ancora la voce di Nabiki. Quello strano tipo non le sarebbe sfuggito così facilmente, pensò la giovane Tendo. Aveva scoperto a malincuore che non era affatto una gallina dalle uova d’oro, come si era dapprima augurata. L’aveva spennato completamente, altri soldi da lui non sarebbe riuscita a ricavarne. Questo era chiaro. Eppure – quel ragazzo meritava ancora la sua attenzione. Mentre raccontava, aveva analizzato ogni sua espressione – e notato come le sue iridi grigio-blu si accendevano di vita, quando gli parlava di sua sorella. Lui conosceva Akane. E teneva a lei – ne era sicura, non aveva mai sbagliato una volta...

Non era una sognatrice, anzi. Nabiki Tendo era famosa per essere una ragazza estremamente pragmatica. Ma questa volta fu più forte di lei. Si stava rammollendo? Forse. Non poteva, però, continuare a vedere la sorellina in quello stato. E quel buffo giovane col codino – lui – magari – poteva fare qualcosa.

“Cosa c’è?” replicò seccato Ranma.

“Volevo solo dirti, visto che sembri nuovo di queste parti” rispose lei “che il laghetto dei fiori di loto, che sta al centro del parco pubblico, è uno dei posti che vale veramente la pena di visitare: suggestivo, romantico, perfetto per le coppiette.”

Si metteva a fargli da guida turistica? Ranma non capiva. Ma comprese un istante più tardi, dopo aver ascoltato il seguito del discorso.

“Se ci vai adesso” disse Nabiki noncurante, dopo aver sbirciato il proprio orologio da polso “puoi trovarci mia sorella.”

Lasciò volutamente passare qualche istante di pausa. Prima di aggiungere quelle parole che mandarono a Ranma, per così dire, l’acqua di traverso.

“In compagnia del suo ragazzo.”