PART 07 - Indian Summer

Il sole aveva preso a levarsi in cielo, risplendendo per le vie con la sua luce diffusa. I raggi luminosi accendevano di vita, poco a poco, ogni cosa. Case ed alberi mutavano in nuove gradazioni di colori, mentre le strade, all’inizio deserte, cominciavano lentamente ad affollarsi. Gli uomini varcavano le soglie delle loro abitazioni, incoraggiati dal saluto affettuoso delle loro famiglie: ricaricati, grazie ad una buona notte di sonno, dalle fatiche del dì precedente, pronti a nuove lunghe ore di lavoro. L’inizio di un nuovo giorno. L’inizio di una nuova vita.

Saltellava per la solita ringhiera, quella che costeggiava il fiumiciattolo che attraversava in pieno un piccolo quartiere della periferia di Tokyo. La stessa strada che percorreva ogni pomeriggio, quando tornava da scuola assieme alla fidanzata. Ma Ranma, questa volta, era solo.

Incrociò alcuni ragazzi con indosso la divisa scolastica dell’istituto superiore Furinkan. Era ora di scuola. Quotidiana routine… che adesso non gli apparteneva più. Perché era tornato in quei posti che gli rievocavano tante cose, troppe cose? Ricordare non gli giovava affatto. Anzi, aumentava il suo dolore. Quale senso aveva rivivere nella propria mente eventi che – che non erano mai avvenuti?! Non faceva più parte di quel mondo, doveva rendersene conto. Solo. Altro che Ryoga. Questa era vera solitudine, nemmeno il proprio passato, a fargli compagnia.

Arrestò il passo. Fissò altri ragazzi che provenivano in direzione opposta alla sua. Tra questi riconobbe Hiroshi e Daisuke. Il movimento della mano fu istintivo: alzò il braccio, meccanicamente teso ad eseguire un normale gesto di saluto. Ma trattenne l’arto a mezz’aria. Loro non l’avrebbero riconosciuto. Non potevano. Lui non esisteva. Che gli stava saltando in mente, di salutarli?! Non doveva interferire. Si avvicinavano. Rimase immobile. Portò il braccio ribelle dietro la nuca, affiancato dal compagno, nella solita posa strafottente. Chiacchieravano del più e del meno. Sempre più vicini, cartelle sulle spalle. L’aspetto di sempre. Tranne che per le teste, stranamente rasate a zero. Continuò a fissarli. Eccoli, al suo fianco, le loro teste all’altezza delle sue gambe, dal momento che Ranma continuava ad ergersi sulla ringhiera. Avvertì il minimo spostamento d’aria generato dal loro passaggio. Lo superarono senza la minima esitazione... ed il giovane col codino, per la prima volta in vita sua, si sentì invisibile

Scese sulla strada. Fece due passi in avanti. Si fermò ancora una volta. Nessuno al mondo notava in quel momento alcuna differenza, pensò, se lui camminava o no. Le foglie degli alberi sempre più morti cadevano comunque. La ringhiera continuava ad esserci, la strada continuava ad esserci, così come pure, sicuramente, la casa in direzione della quale stava camminando. Poteva fare qualunque cosa, sarebbe sempre rimasto un estraneo. Muto spettatore della vita. Un bel colpo da digerire per lui che era abituato ad essere al centro dell’attenzione. Indubbiamente.

Si sbottonò il collo della giubba cinese. Dovette riconoscere che la temperatura si era fatta più mite. L’aria era limpida e trasparente, come in altri tempi. Ed il sole splendeva indisturbato. Il ragazzo col codino ritrovò una ventata di ottimismo. Socchiuse le palpebre. Fantasticò su un Kuno che, alla vista di quella scena, non avrebbe sicuramente fatto a meno di decantare il profumo frizzante dei ciliegi in fiore, atto ad ispirare l’amore casto e allo stesso tempo passionale di giovani donzelle pure ed ingenue... ed altre simili fesserie targate Tatewaki. Abbozzò un sorriso. Trovò finalmente un accenno di buon umore. Doveva guardare al futuro, adesso. Che vita era mai, quella sempre e solo orientata alla memoria di ciò che non era più?! Ranma Saotome era morto e sepolto. Lui era finalmente libero.

Forse la cosa migliore da fare era tornare sui propri passi. Ma ormai si trovava a pochi metri dalla meta tanto ambita, fino a due giorni prima. La scuola dei Tendo era lì, vicinissima. Tanto valeva controllare che tutto andasse bene. Verificare come la vita degli altri fosse più felice, in questa realtà.

E finalmente la vide. Casa Tendo. Un poco malandata, strano! Non che non lo fosse stata continuamente, quando c’era lui: il tetto aveva risentito più volte dei continui squarci provocati dai voli in orbita suoi o di Happosai. Le pareti, poi, erano sempre piuttosto decrepite per via dei petardoni del vecchiaccio. E come dimenticare lo scontro tra Rouge e Taro²? I restauri, in quel caso, avevano necessitato parecchi giorni – tanto più che gli era toccato riparare una seconda volta di persona le parti aggiustate da Akane… Quante lacrime aveva versato Soun! Ci teneva quell’uomo, alla sua casa. Ancora peggio era andata il giorno del matrimonio fallito: per poco non crollava l’intera abitazione, in seguito all’esplosione dell’happodaikarin special di quel maledetto…

Adesso, però, non c’erano né duelli né continui scontri che potessero motivare quello stato decrepito dell’abitazione. In verità, la dimora più che danneggiata appariva… trascurata? Inoltre pareva mancasse qualcosa. Ma cosa?!

“Noi andiamo!”

La voce di Nabiki. Che puntualmente usciva di casa, seguita da un’altra figura, ancora semiavvolta nell’ombra dell’uscio. Tutto come prima che lui facesse il suo arrivo dai Tendo. Il suo primo proposito fu quello di balzare sopra un albero, sperando che le due ragazze non avrebbero guardato in alto. Non voleva farsi vedere. Non aveva scordato i suoi propositi della notte precedente, la decisione di non interferire in alcun modo nella vita delle persone cui teneva. Quando, però, la giovane dai profondi occhi nocciola scuro e con lo sguardo puntato verso il basso, in direzione della cartella che stringeva con ambo le braccia per il manico, uscì dal cancello, la risolutezza di Ranma scomparve tutta d’un colpo.

“Akane, che fai? Muoviti, lumaca, od arriveremo tardi!”

“Eccomi, Nabiki.”

E si avviò, con passo stranamente calmo. Ma come, tutta quella foga che la caratterizzava la mattina presto, ce l’aveva solo con lui?! Del resto, la cosa non lo riguardava affatto. Magari lei era felice perché sapeva che quel giorno avrebbe visto il suo dottore… Il cuore, citando all’inverso le stesse parole di Akane di molto tempo prima, non se lo era certo messo affatto in pace. Visto che poteva ancora contare di “competere” con propria sorella Kasumi, esibendo la propria chioma… corta?! Un momento, qualcosa non tornava. Come mai Akane portava il solito taglio da maschiaccio? Cioè, non che la cosa gli dispiacesse molto, anzi così era ancora più car… Ma non era questo il punto! Dal momento che una ragazza col codino non aveva mai fatto la propria comparsa a Nerima, un pazzo con la bandana non poteva averla inseguita fin lì. L’incontro con Ryoga non aveva avuto luogo, Akane non vi si era intromessa. Hibiki non le aveva tagliato i capelli. E allora perché?!…

Mentre Ranma era ancora immerso in questi pensieri, la ragazza dai capelli castani a caschetto lo oltrepassò. Nemmeno se ne accorse. E non avvertì l’occhiata fulminea che quella gli aveva rivolto con la coda dell’occhio. Un nuovo arrivato, valutò Nabiki. Da piuttosto lontano, a giudicare dagli abiti cinesi che portava. Il suo istinto da affarista le diceva che ben presto avrebbe realizzato ottimi affari.

E lei si avvicinava. Non l’avrebbe riconosciuto. Non avrebbe potuto. Beh, cosa gli importava? Di quella stupida racchia dai fianchi larghi, di quel maschiaccio nevrotico, di quel… Smise improvvisamente di pensare. Non ne era più in grado. Akane era proprio di fianco a lui, lo sguardo sempre puntato verso il basso. Il cuore di Ranma pulsava nell’agitazione più totale. Desiderò che lei si fermasse, alzasse il viso, lo riconoscesse. Sentì il bisogno di litigare con lei. E poterle così rivolgere ancora una volta la parola… No, non poteva fargli questo! Non poteva ignorarlo!

Ma Akane lo passò.

Non si era nemmeno accorta della sua presenza, assorta in chissà cosa. Eppure non pareva serena. Forse, dopotutto, non pensava a Tofu.

Ranma strinse il pugno. Chi voleva prendere in giro? Se stesso, forse? Ma già da Ryugenzawa aveva scoperto di non poter fare a meno di quella stupida… e l’ultima volta sul monte Hooh era finalmente riuscito a dare un nome a quello strano sentimento che lo faceva star bene quando litigava con lei, o quando semplicemente si trovavano insieme. Che gli accelerava follemente il battito cardiaco se solo gli sorrideva. Che lo spingeva a dare tutto pur di saperla al sicuro. Che poco alla volta aveva incrinato il muro titanico da sopra il quale aveva da sempre guardato gli altri, gli aveva fatto assaporare più di una volta sensazioni nuove quali l’umiltà. E gli aveva fatto perdere il senso di una vita dove lei non esistesse… già una volta, a Jusenkyo; ancora un’altra, a Yakuzai. Chi voleva ingannare?

Rimase, non seppe quanto, impalato in silenzio con lo sguardo completamente assente. Nessun suono uscì dalle sue corde vocali. Chi gli fosse stato vicino, avrebbe potuto però udire distintamente un crac. Non erano i muscoli, pur tesi: era il cuore, che gli era andato in pezzi… Guardare al futuro, certo. Ma che futuro era, senza quel maschiaccio?!… Comunque fosse, doveva farsi forza, essere uomo e proseguire per la sua strada: constatare che, senza di lui, lei c’era lo stesso… e non poteva stare che meglio… anche se quel suo sguardo… sembrava… malinconico…

Attraversò il piccolo cortile. Non poté non meravigliarsi dell’inconsueto silenzio che troneggiava nei dintorni. Altra prova, pensò, che la vita senza di lui non era più una continua burrasca. Casa Tendo aveva trovato la pace, perché formarsi tante congetture? La realtà era che stava diventando paranoico.

Cosa mai poteva andare storto, senza un ragazzo col codino?

Lanciò un’occhiata allo stagno, si decise dopo non poche titubanze a farsi vedere dal padrone di casa, seduto sul soggiorno che dava appunto al laghetto compagno di tante trasformazioni… Cosa gli avrebbe raccontato? Beh, sarebbe riuscito ad improvvisare! Avrebbe fatto uso della sua innata abilità di attore.

Si avvicinò fino a pochi passi dal capopalestra.

“Uhm, signor Tendo.”

Nessuna risposta. Gli occhi lunghi e stretti dell’uomo baffuto non fissavano nessun punto dello spazio in particolare. Aveva un’aria afflitta. Fin qui, nulla di nuovo. Ma nessuna lacrima gli rigava il volto. Sembrava più che altro… spento?

“Signor Tendo” provò una seconda volta. Ancora niente. In compenso, gli venne incontro una ragazza dai capelli lunghi e raccolti da un fiocco, tutta sorridente.

“Benvenuto” disse con tono cordiale. “Il mio nome è Kasumi Tendo.”

Lei sembrava indubbiamente quella di sempre.

“Ti prego di perdonare mio padre: è un poco depresso e, dunque, con la testa fra le nuvole.”

“N-no” balbettò lui, spiazzato dalla situazione. “Fa niente.”

Ranma non sapeva come comportarsi. Aveva appena pianificato mentalmente una bozza di discorso da rivolgere a Soun, ma quello ancora non si era nemmeno accorto della sua presenza. Già, cos’era però a renderlo tanto estraniato? Era come se niente di quello che scorreva davanti ai suoi occhi avesse più un senso. Ma perché mai?!

Kasumi si accorse dell’imbarazzo del giovanotto che si trovava di fronte. Alzò lo sguardo al cielo limpido e sereno.

“Oggi è una splendida giornata di sole, non trovi?”

Ranma si voltò anche lui, di malavoglia.

“Mmh… già, una bella giornata” rispose, nonostante il sole fosse l’ultimo dei suoi pensieri, in quel momento.

Quando riportò lo sguardo sulla maggiore delle sorelle Tendo, la sua attenzione fu inevitabilmente calamitata dalla tazza fumante che la ragazza gli porse con grazia.

“Sarai assetato, vuoi del tè?”

Cara dolce Kasumi! Si trovava di fronte ad un perfetto sconosciuto, eppure – eppure ecco che, senza nemmeno chiedergli chi fosse e perché si fosse presentato in quella casa, gli offriva tutta la propria ospitalità: neanche fosse stato il migliore degli amici, per quella famiglia. Non c’era che dire, quella ragazza riusciva a sorprenderlo ogni volta. Il giovane col codino sbuffò impercettibilmente, le usanze della famiglia Saotome insegnategli dal padre non corrispondevano propriamente a queste.

Si guardò attorno. Scorse capi di biancheria intima femminile sparsi dappertutto. Il marchio inconfondibile del vecchiaccio. E il disordine regnava sovrano. Come se ciò non fosse di per sé sufficiente, le pareti erano piene zeppe di scarabocchi vari. Happosai non sembrava essere in casa, molto probabilmente era fuori per una delle sue sortite oppure, ancora più probabilmente, a smaltire una delle sue sbornie. Come al solito. Eppure… quel disordine pareva eccessivo: come se la stessa Kasumi, quella Kasumi che gli sorrideva tuttora, si fosse rassegnata una volta per tutte all’idea di ripulire l’abitazione dall’atmosfera sordida che l’ultracentenario si portava appresso. Nemmeno le bombe alla muffa che, tempo prima, Happosai aveva usato per rimpiazzare i consueti petardoni, in verità, erano riuscite a creare un simile squallore.

Ranma sorseggiò un poco del tè offertogli da Kasumi. Non riusciva a non sentirsi a disagio, nonostante tutte le premurose attenzioni della sua ospite.

“Come sei giovane, sei forse un amico di Akane o Nabiki?”

“Uhm, non proprio: in realtà io…”

Furono interrotti dal gracchiare di un nuovo arrivato.

“Sono a casa.”

Dice un detto, parli del diavolo ed ecco che ne spuntano fuori le corna. Mai poteva essere più appropriato, per quel demone che aveva appena fatto il proprio ingresso.

“Oh, buongiorno signor Happosai” lo accolse la maggiore delle Tendo. Mentre Soun non aveva mosso un ciglio.

“Allora, quando si mangia?! Io ho fame!” protestò il vecchietto, infischiandosene di qualsivoglia regola della buona educazione.

“Subito, signor Happosai” gli sorrise Kasumi. “Le sue takoyaki sono sul tavolo, belle calde.”

“Mmm, sarà bene.”

“Inoltre ci sono quegli shumai che le piacciono tanto: conditi col succo di mirtilli, come mi aveva chiesto lei.”

L’anziano maestro di arti marziali si accese di un potente ki.

“Succo di mirtilli?! Lo volevo di lamponi! Possibile che in questa casa un povero vecchio non possa mai venire rispettato come si deve?!” sbraitò furioso.

“La prego, si calmi” accennò lei.

“Calmarmi?! Dovrei calmarmi?!” si rivolse all’uomo di casa. “Soun Tendo, è così che hai educato le tue figlie? Allora sei un fallimento: non solo come artista marziale, ma anche come padre.” Quello incassava, senza proferire parola.

“Per farmi perdonare, le preparerò subito nuovi shumai col succo di lamponi. Che ne dice?” sorrise Kasumi, come se quella scena fosse tutt’altro che straordinaria, in casa Tendo.

“Mmm, allora vai! Ma non pensate di cavarvela così a buon mercato. Oggi a cena esigo una doppia razione, inoltre stasera qualcuno mi dovrà fare un massaggio come si deve, chiaro?!”

Ranma, fino a quell’istante, era riuscito con grande sforzo di volontà a tenersi in disparte. Ovvio, il suo mancato arrivo al dojo Tendo non aveva pregiudicato in alcun modo il successivo insediamento del vecchiaccio. Ma, si chiese, era possibile che nessuno si opponesse in alcun modo alle sue prepotenze?! Neanche Soun, con la sua solita falsa riverenza? Nemmeno la stessa Akane?!… Comunque stessero le cose, non doveva interferire in alcun modo. Lui non apparteneva più a quella realtà. Non doveva interferire.

“Ora basta, vecchiaccio! Come ti permetti di tiranneggiare, neanche fossi il padrone qui!”

Happosai si voltò lentamente. Accarezzò i baffetti bianchi e sottili.

“E tu chi saresti? Certamente un povero sprovveduto, dal momento che hai osato contrastarmi… Vediamo se ti saprò insegnare una bella lezione di vita per l’avvenire.”

Detto questo, si scagliò furibondo, con la solita pipa in mano, contro il ragazzo vestito alla cinese, avvolto di un’aura incandescente. Ma Ranma non fu affatto colto alla sprovvista, anzi.

“Hiryu Shotenhaaa!“

“Che – che cosa? Questa mossa l’ho già vista una volta, credevo che la conoscesse solo la mia amata Coloooohhh!”

Il vecchio, completamente spiazzato, volò via, imprigionato in un vortice d’aria. Ranma teneva fieramente il braccio destro alzato, ed il pugno chiuso. Soun tremò impercettibilmente. Kasumi s’incupì, temeva di aver compreso come sarebbero andati evolvendo gli eventi.

“Tu… tu sei… un artista marziale?” chiese a Ranma.

“Ecco… proprio così” rispose lui, pensando di sfruttare la situazione per giustificare finalmente la propria presenza. “Sono giunto qui da molto lontano apposta per incontrare Soun Tendo, il capopalestra della famosa scuola di arti marziali indiscriminate di cui avevo sentito tanto parlare…”

L’espressione di Kasumi mutò nella tensione più totale. L’uomo più anziano cominciò a frignare rumorosamente.

“Papà, non fare così” cercò di calmarlo la figlia maggiore. Dunque si girò accigliata verso il giovane forestiero spaesato. Ranma non ricordava di averla mai vista tanto turbata.

“Ti prego di andartene.”

“Ma… cosa ho…”

“Per favore, qui siamo impegnati: se non hai altro da dirci, puoi anche farne a meno.”

“Ka-kasumi…”

“Buongiorno.”

Quel tono non ammetteva repliche. Pochi istanti più tardi, si trovava a balzare per i tetti del quartiere, intontito e confuso. Doveva assolutamente riordinare le idee.

Cacciato fuori di casa dalla dolce Kasumi. Senza alcun motivo apparente. Non aveva senso. Eppure era appena successo. Fu riscosso da una folata improvvisa di vento, gelida, questa. Che lo riportò alla realtà. Scese sulla strada. Era arrivato all’ingresso del parco. Si sedette su una panchina. Attorno a sé i ciliegi non erano affatto in fiore. Le ultime foglie stavano finendo di giacere, fragili, al suolo: le piante erano quasi completamente spoglie. E se il cielo continuava a rimanere sereno, veniva tuttavia offuscato dal fitto intrico dei rami ormai anneriti. L’autunno non era più alle porte. Era già penetrato in tutta la sua calma violenza.

Effettivamente sentiva che qualcosa non andava… Non era tanto lo strapotere assunto da Happosai, a turbarlo. Né la folle reazione di Kasumi e del padre, di per se stessa. C’era sicuramente qualcosa di ben più terribile, che aveva portato a questo. Lui doveva aver toccato un tasto dolente. Ma quale? Mancava un elemento, nel quadro d’insieme: ne era sicuro. L’assenza di una cosa che doveva invece esserci… Si sforzò di ricordare tutta quanta la sua visita a casa Tendo, senza trascurare alcun particolare di ciò che aveva – e non aveva – visto. E finalmente si rese conto di quello che non andava.

Di cosa mancava.

L’insegna della palestra.


¹ “Indian summer” corrisponde alla nostra “estate di San Martino”, caratterizzata da giorni sereni e temperature miti. Ci si dimentica che è autunno inoltrato. L’ultima illusione di estate…

² Accade in un episodio del manga. Collant Taro viene inseguito fino in Giappone da una certa Rouge, ragazza caduta nella fonte di Jusen dove annegò il dio indiano Asura, intenzionata a riprendersi a tutti i costi una fantomatica "fonte della forza"... che si rivelerà consistere in cerotti magnetici contro il mal di spalle!