Epilogo

Silenzio. Aprì le palpebre, lentamente e con una certa difficoltà, ma l’oscurità non si dissipò di molto. Alle sue spalle, anzi affianco a lei doveva esserci una lieve fonte di luce, ma non bastava a rischiarare l’ambiente dove si trovava: non la aiutava il fatto che la vista era appannata e che il corpo non rispondeva ai suoi comandi. Impossibilitata a muoversi, scorgeva i deboli raggi di quella luce e ne era quasi ipnotizzata.

Si sentiva stordita, un po’ come se le fosse stato somministrato un anestetico. Le lacrime di poco prima non erano che un ricordo e il pensiero della sua morte non la angosciava più di tanto, forse si era rassegnata. O forse, adesso che il trapasso era compiuto, il peggio era effettivamente passato.

Provò ancora a muoversi, ma non vi riuscì. Probabilmente era normale, da morta: non aveva mai avuto notizie di cadaveri ambulanti, a parte quelli dei film dell’orrore che le piaceva guardare la sera tardi. Avvertiva la presenza del proprio corpo, ma poteva trattarsi semplicemente di un’illusione costruita dalla propria mente, così abituata alle sensazioni fisiche da non sapersene separare neppure in questo momento.

Chiuse gli occhi. Si domandò dove si trovasse, come mai non stesse succedendo niente. Forse non era ancora nell’Aldilà, forse era in una specie di dimensione intermedia, magari era in attesa della sua reincarnazione. Non si era mai fatta una idea precisa di come potesse funzionare il ‘dopo’, né ora era così ansiosa di scoprirlo.

Del resto non aveva nemmeno idea di come avesse trovato infine il coraggio di versarsi l’acqua del thermos e attivare la trasformazione, salvando Ukyo giusto in tempo. Ma l’aveva fatto e solo questo contava, adesso si rendeva conto che non sarebbe stata in grado di sopportare di essere sopravvissuta a sue spese, di vivere il resto della propria vita con il fardello sulla coscienza di averne soppressa un’altra.

Ancora silenzio. No, non proprio del tutto. Sentiva qualcosa, una presenza, un lieve respiro. Riaprì gli occhi, più facilmente della prima volta.

Vide una sagoma, nella penombra. La sagoma di una persona rannicchiata accanto a lei, come addormentata, e i capelli che cascavano su un lato… raccolti in un codino…

Possibile…? Il cuore accelerò il proprio battito, o almeno la mente lo immaginava per lei, e lo sguardo continuò a vagare lungo la figura curvilinea. No, non era lui, non poteva scorgere tutti i dettagli ma chiaramente stava osservando i contorni della sua forma femminile. Però Ranma era guarito dalla maledizione, tutti erano guariti dalla maledizione, lo aveva visto nei ricordi di Ukyo, lo aveva sentito confermare da Mousse, non era forse così? A meno che… Un’intuizione la colpì all’improvviso.

Lo spirito della ragazza annegata…?

Ma certo, aveva un senso, era logico. Le parve di partecipare alla chiusura di un cerchio: tutto era cominciato con Jusenkyo e con Jusenkyo doveva finire, pensò, e in un certo senso la faccenda era perfino affascinante. Ma cosa sarebbe stato di lei, ora?

Forse era bloccata lì, forse per sempre.

Dunque è così, passerò l’eternità assieme alle anime di coloro che sono annegati nelle Sorgenti Maledette.

Le venne un brivido per tutto il corpo, incredibilmente reale per essere un parto della sua mente.

Le sembrò un destino orribile e più che mai desiderò qualsiasi altra cosa, qualunque cosa che non fosse questo. Ma soprattutto voleva rivederli. Papà. Kasumi. Nabiki. Ranma. Ranma. Ranma…

“Ran… ma…”

La ragazza con il codino sobbalzò. Forse lo spirito l’aveva udita e si era letteralmente risvegliato dal suo sonno.

Un momento, io sono riuscita a parlare.

Lo spirito della ragazza annegata si inarcò verso di lei e sbatté le palpebre più volte in rapida successione, squadrandola come se fosse un fantasma, cosa che probabilmente era davvero. Ma la loro vicinanza la stava intimorendo, e per istinto Akane alzò il braccio verso di lei per allontanarla.

E sono riuscita a muovermi.

Voleva essere un gesto brusco, ma si trovò invece a sfiorare il viso della ragazza. Era tiepido. E bagnato.

“Aka… ne?”

Conosceva il suo nome? Non poteva essere! Ma allora…

“Ranma…?”

Era vero, non stava sognando. Era davvero la sua voce.

Prese la mano che lei aveva poggiato sul proprio viso. Era fredda, la strinse tra le sue.

“Ranma, sei proprio tu?” Il suo tono era incredulo e speranzoso al tempo stesso. ‘Fragile’ era la parola che il cervello gli suggeriva come la più adatta.

Pensò di dover dire qualcosa. Dare prova anche a lei che non erano in un sogno.

“Questo… dovrei chiederlo io a te, non ti pare?” Le mormorò.

Era come se le lancette fossero tornate indietro. Le stava parlando. Stava parlando ad Akane. Il suo volto era pallido, lo sguardo stanco, ma lei era viva. Si stavano tenendo per mano e lei era viva.

Era un miracolo, perché anche l’ultimo suo tentativo sembrava essere miseramente fallito.

L’idea gli era arrivata ripensando alle parole dette da sua madre: quando lei aveva parlato di ‘tramite’, a lui era venuto in mente il discorso di Obaba sul funzionamento dell’acqua della fonte Akanenichuan. Se era stata quella a trascinare l’anima di Akane nel corpo di Ucchan, per quale motivo – si era chiesto d’un tratto – il fenomeno non poteva essere replicabile? La risposta era che poteva, punto.

Bagnando un altro corpo, l’anima avrebbe automaticamente abbandonato Ukyo per seguire il nuovo ‘ospite’, o questa almeno era la sua speranza.

E stando così le cose, non poteva davvero pensare a un ospite migliore del corpo originale.

“Dove siamo? Non capisco…”

Ranma scosse piano la testa, tenne la mano della fidanzata come per assicurarsi che non potesse scomparire nel nulla e con l’altro braccio teso verso la finestra tirò la tenda, lasciando passare la luce del giorno.

“Scema… non riconosci la tua camera?”

L’ambiente avvolto dai colori del mattino assunse un altro aspetto, più allegro, più vivo. Pensò distrattamente che poi avrebbe dovuto riparare anche quest’ultimo danno: il pugno che aveva sferrato prima aveva sfondato in pieno l’interruttore lasciando la stanza senza illuminazione elettrica. Non che contasse qualcosa, al momento.

Era davvero un miracolo, perché il sole era sorto da molti minuti e Akane non aveva dato cenni di vita, nonostante l’avesse bagnata con l’acqua che riteneva giusta: sicuro di aver perso troppo tempo, aveva sfogato ancora la propria disperazione e poi si era accucciato accanto al suo corpo esanime.

Obaba mi ha detto che quella volta, in Cina, ho fatto in tempo… ma adesso, quando davvero contava, non ci ero riuscito… ero arrivato di nuovo troppo tardi…

E invece ecco la sua fidanzata davanti a lui: tornando a fissarla, notò la sua aria stordita e il fatto che non si fosse alterata per l’insulto che gli era scappato prima: probabilmente era ancora troppo debole per farlo, ma se avesse voluto avrebbe potuto picchiarlo anche cento, duecento volte.

Voleva dirle tante cose, ma i pensieri si accavallarono e alla fine dalle sue labbra uscì soltanto uno stentato: “Beh… come va?”

Ecco, che stupido… Era una frase talmente idiota, in quella circostanza, che pensò di essersene vergognato abbastanza per tutti e due, ma poi notò che Akane non sembrava indispettita e anzi gli stava accennando un sorriso.

“Mi sento, direi, intorpidita. Come se avessi una gamba addormentata, solo che… vale per tutto quanto.” Proferendo le ultime parole, cercò di alzarsi dal letto facendo leva sulle braccia. Sollevato il busto, rischiò di ricadere all’indietro e Ranma la trattenne in tempo.

“Immagino che sia normale”, constatò, “dopotutto erano settimane che il tuo corpo vegetava qui immobile.”

La fidanzata prese a fissarlo con una strana intensità. Si accorse solo allora dell’estrema vicinanza dei loro volti e non riuscì a impedirsi di arrossire.

“E tu…”, cominciò lei mentre Ranma avvertì l’improvviso bisogno di deglutire, “come mai sei una ragazza?”

Non era esattamente ciò che si era aspettato di sentirsi dire, ma anche questa domanda gli suonava piuttosto scomoda.

“Beh, questo, ecco…” Decise di raccontarle rapidamente e senza troppi dettagli il suo piano, di come avesse portato con sé dal Nekohanten tutte e tre le damigiane e si fosse poi trovato nell’impossibilità di stabilire quella giusta, non conoscendo il cinese.

Ricordando, rivisse sulla propria pelle quei momenti di terrore. Aveva potuto escludere la damigiana più leggera, quella ormai vuota che aveva contenuto al proprio interno la Nannichuan, prima di essere stata consumata da lui e dagli altri. Tuttavia, senza la possibilità di comprendere cosa dicessero quegli ideogrammi, non riusciva a distinguere tra le altre due e intanto il tempo stava finendo e…

“Le hai provate su te stesso?!” La voce di Akane era scioccata.

Ranma ridacchiò leggermente, non riuscendo a strappare da sé quella seccante sensazione di imbarazzo.

“Ecco, non entrambe. Come vedi, la prima acqua che mi sono versato era quella della sorgente della ragazza annegata e così non c’è stato alcun bisogno di sperimentare la seconda…”

“Ma… ma…”

“Non c’è bisogno di farne un dramma. Tanto troverò un altro modo di guarire dalla maledizione, vedrai…”

“No, intendevo… e se ti fossi versato per prima l’altra acqua?”

Ranma non rispose. Sarebbe stato un grosso bugiardo, se le avesse detto di non averci pensato. Il rischio c’era, Akane si sarebbe trovata nel suo corpo, inconsapevole della situazione, e dunque al sorgere dell’alba lui… Ma lei sarebbe stata salva anche in questo caso, perciò semplicemente non aveva esitato.

Non disse nulla, ma da come lo stava guardando doveva averlo capito anche Akane.

“Sei uno stupido…” Mormorò con un filo di voce, e lui non poté fare a meno di concordare mentalmente. Era stato uno stupido in tanti di quei modi che ormai ne aveva perso il conto, eppure i Kami avevano voluto dargli una possibilità di fare ammenda.

Improvvisamente venne tirato a sé in un abbraccio e fu colto del tutto alla sprovvista.

Finì addosso ad Akane, pur riuscendo a far leva sul materasso con la mano libera e non schiacciarla con il proprio peso. A lei sembrava non importare, lo stava stringendo con forza e aveva perfino cominciato a singhiozzare: la cosa lo mise ancora più in agitazione e avrebbe voluto dirle di smetterla, ma la voglia di piangere venne anche a lui e cercò piuttosto di trattenersi.

“Sono viva…” Disse lei tra le lacrime.

Ranma analizzò la situazione. Troppe volte, negli ultimi giorni, aveva oscillato tra sonno e veglia fino a non distinguere quasi più la realtà dalle proprie fantasie, fino al punto di dubitare della propria sanità mentale. Ma gli occhi arrossati della fidanzata, il suo respiro, il suo calore non gli lasciavano dubbi.

“Sei viva.” Ripeté, con la sensazione di essersi svegliato da un lunghissimo incubo.

Akane si sfogò in un pianto liberatorio e lui la lasciò fare. Anche a lui ora stavano uscendo le lacrime, ma mandò mentalmente al diavolo le parole di papà una volta di più, con la consapevolezza che l’avrebbe fatto anche se non si fosse trovato nella sua forma maledetta.

Pianse assieme a lei e poi godette i lunghi momenti di silenzio che seguirono, intervallati solo da qualche singhiozzo sporadico.

“Però non credere che ti perdoni così”, riprese Akane, “ho avuto tanta paura, volevo che fossi vicino a me… e tu non c’eri.”

Sentì nitidamente il rumore del suo battito che accelerava.

Cercò la mano di Akane e ricordò di non averla mai staccata dalla propria, nemmeno in seguito alla caduta di poco prima. Così si limitò ad accentuare la stretta.

“C’ero invece”, disse, sapendo che era vero, “e ci sarò sempre.” Questo, si ripromise che sarebbe stato altrettanto vero.

Si guardarono negli occhi e non ci fu bisogno di aggiungere altre parole. Ritenne che non fosse né il luogo, né il momento per confessarle i propri sentimenti – a dirla tutta, nemmeno il corpo era quello giusto – ma anche che quel discorso fosse solo rimandato di poco.

Avrebbe voluto che quegli istanti durassero per sempre, ma fu proprio lui a sollevarsi e aiutare la fidanzata a tirarsi su dal letto.

“Dobbiamo avvisare gli altri.” Le spiegò. “Loro non sanno ancora niente.”

Akane annuì, sorridendogli di nuovo. Era pallida, ma meno di prima. Ranma pensò che si sarebbe ripresa presto del tutto, del resto non aveva mai messo in discussione la forte tempra della sua fidanzata.

È stata anche più forte di me…

Aveva ceduto troppe volte, aveva fatto passare brutti momenti a sua madre, al signor Tendo, a Ucchan, a tutti. Lo sguardo gli cadde sulle fasciature delle proprie nocche. Cavolo, aveva anche alzato le mani contro Tofu… e forse era andato troppo pesante perfino contro il proprio vecchio, non che lui non si meritasse una lezione.

Ma alla fine è stato pure merito suo, anche se solo per una fortuna sfacciata.

E tutti quanti a modo loro l’avevano aiutato, gli avevano impedito di perdersi nel momento in cui era più vulnerabile.

“Sarà una bella sorpresa.” Gli disse Akane, che si era appena appoggiata alla sua spalla. Lui annuì, sorridendole e stringendola a sé.

“Indubbiamente.”

La sostenne e percorsero insieme alcuni passi, affacciandosi un attimo alla finestra, prima di dirigersi verso l’uscita.

Fuori, il sole splendeva. Sapeva che era così anche dentro di lui.

Le ombre si erano finalmente dissipate.