Nel Paese dei Sentimentali

Gira, o manovella, gira, che un suono vecchio triste e stanco sembra gemere. E’ domenica, la gente non ha nulla da fare; parecchie persone escono dalla messa e vicino all’organino ascoltano. Nell'aria, tra gli alti otto muri, sembrano prendere posto le anime di chi ascolta. Le anime sono grandi quanto un corpo. Tutta la gente che è giù prende posto solo con il corpo. Le anime si alzano con il ritmo della musica, salgono, salgono sempre più. Mentre i cervelli ammirano, le anime sognano. Intanto che le persone più anziane si asciugano qualche lacrimuccia, dal duecentesco paradiso, sbuca, per un buco piccolissimo attraverso una nuvola, un finissimo raggio di sole che va a toccare la rossa pezza dell'organino: a questo abbaglio rosso della pezza lucida, tutto sale: avviene una relazione tra suono e colore, una relazione di sentimenti che concede alle anime di alzarsi su, su, sempre più su. Ma ecco, appena arriva un Do, il raggio si ritira, il buchino si richiude, il cielo si fa nero, la musica cerca di cambiare, ma non fa niente: la sua monotonia la fa bella lo stesso; e anche se cambiasse, il cielo rimarrebbe così nero come è. Anche l’asino dell'organista sembra trasportato via dalle ali della musica. Altra gente esce dalla chiesa e si arresta a sentire l’organino. Ecco, è arrivata l'ora del suono fioco: il cielo sembra fratturarsi ed aprirsi. Si sente in trasparenza un grande boato illusorio: esce il sole che colora le teste della folla; sembra l’apocalisse. No! L’organino luccicante è ancora fermo lì, ma continua il trasporto delle anime. Adesso non si alzano più, volano sperdute ognuna per conto suo e ogni anima ritorna nel passato, nelle spensierate cose passate distrutte dal tempo.

Scritto da Alessandro D'Angelo nel 1954 a circa 11 anni.