8C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Il tema La nascita non è comunicata né a Erode né al Tempio ma agli ultimi della scala sociale. Viene loro annunciato un Salvatore che è Dio e che è nato per loro. Che Dio sia piccolo e non grande, tremante e non tremendo, in fasce e non affascinante, in mano agli altri e non con tutti in mano, là nel luogo dove noi non ce lo aspettiamo... noi questo non lo immagineremmo mai. Per questo Lui è il Salvatore e gli altri oppressori.
I pastori erano malvisti perché nomadi, perché le loro pecore distruggevano i campi, perché non erano praticanti, essendo nomadi, e non conoscevano la Legge. Questi "pecorai" sono la classe sociale infima dell'epoca. Per Luca, ellenista, rappresentano la categoria più lontana dalle promesse. Questi pastori sono anche figura dei futuri pastori della Chiesa cioè di coloro che proclamano la Parola ricevuta dall'angelo.
Matteo invece, al posto dei pastori, ci presenta i Magi, gli astrologi dell'Oriente, politeisti, che credono agli oroscopi. La loro stella è simbolo della sapienza e della ragione umana che, se è aperta alla ricerca, porta a Gerusalemme che è simbolo della Parola. Nel caso dei Magi è mostrato che la sola ragione basta per cercare ma è esposta a equivoci e a pericoli: si rivolgono a Erode.
Sia a Matteo che a Luca preme sottolineare che, in un caso o nell'altro, la fede deriva da un annuncio (l'angelo, il sogno, seguiti dalla constatazione) e non da una deduzione razionale (vedi il cap. 10 della lettera ai Romani, in proposito: la fede viene dall'ascolto). Dio non è deducibile e nessuna religione lo conosce. I nostri ragionamenti ci porterebbero a cercarlo o nel palazzo di Erode o nel Tempio. I nostri pensieri sono troppo diversi da quelli di Dio e il Dio che noi ci immaginiamo è quello che giustamente gli atei negano: il dio con le folgori in mano, il dio che è la proiezione della nostra violenza. Con la sapienza umana siamo tentati di dominare. I pecorai, che non sono né sapienti né potenti, possono conoscere la sapienza di Dio. La sapienza di Dio ai nostri occhi è insipienza perché per noi è sapiente chi è furbo e si impone sugli altri. La sapienza di Dio invece è l'amore e il suo potere è il servizio, è essere il più piccolo di tutti.
La nascita non viene rivelata ad Erode né nel Tempio. Gesù, piccolo, si rivela ai piccoli (1Cor 1,27: "... quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti...", 2Cor 8,9: "[Gesù] da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà").
Che un Dio sia piccolo e non grande, tremante e non tremendo, in fasce e non affascinante, in mano agli altri e non con tutti in mano, là dove noi non ci aspettiamo... noi non lo penseremmo mai. Per questo Lui è il Salvatore e gli altri sono oppressori. Dio è là dove sono i nostri limiti e noi invece lo cerchiamo sempre dove sono i nostri deliri e le nostre illusioni. Gli atei hanno ragione a negare questo dio diabolico ma, così facendo, ottengono un risultato peggiore: hanno fabbricato divinità terrestri orribili come abbiamo visto negli ultimi secoli.
L'angelo si presenta ancora una volta con la frase "Non temete", la frase che troviamo 365 volte nella Bibbia, una volta al giorno. Val la pena di temere un bambino? per paradosso dovrebbe aver paura Dio che, messosi nelle nostre mani, è passato dal legno della mangiatoia a quello della croce...
Vi annuncio, più propriamente vi evangelizzo ossia vi do una nuova buona notizia. La speranza inconscia che abbiamo noi leggendo il giornale è che contenga la buona notizia che c'è fraternità, che non ci si ammazzi, che la terra diventi un giardino, che ci si voglia bene, che si realizzi il regno in cui pace, giustizia e libertà si bacino. Ma questo, nella nostra storia, non accade: al massimo uno dei tre viene imposto a scapito degli altri: dunque non c'è né pace, né giustizia, né libertà. L'angelo annuncia che è nato (riprende il "diede alla luce" del v. 7) "per voi" cioè per i pastori e poi via via per chi ascolterà l'annuncio fino a noi.
Luca si pone il problema della trasmissione della salvezza ai pagani che non hanno assistito ai fatti e nemmeno conoscono i testimoni diretti. Il termine "oggi" richiama che ogni giorno è oggi e ogni giorno l'evento che Dio si è fatto bambino rappresenta per noi la possibilità di vivere da figli di Dio anziché da schiavi dell'inganno. Luca riutilizzerà il termine "oggi" in 4,21 quando Gesù a Nazareth proclamerà che la Parola "oggi si compie negli orecchi di chi ascolta"; poi in 5,26 dove la gente che assiste al perdono e alla guarigione del paralitico dice: "Oggi abbiamo visto cose prodigiose"; poi in 19,5.9 con Zaccheo cui Gesù dice: "oggi devo fermarmi a casa tua" e: "oggi per questa casa è venuta la salvezza"; poi in 22,34 con Pietro: "oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi" predicendogli il suo perdono; infine in 23,43 dove al malfattore Gesù dice: "oggi con me sarai nel paradiso". Questi sette oggi diventano l'ottavo oggi che riguarda noi: "Affrettatevi ad entrare in quest'oggi" (Lettera agli Ebrei 4,11).
"Ascoltate oggi la sua voce e non indurite il cuore" si dice nell'invitatorio del mattutino: oggi, accogliendo questa Parola, può nascere la mia esistenza come figlio di Dio. Dunque il Natale dell'anima è nell'ascolto, "oggi", di questa Parola: il primo oggi è la nascita di Gesù, in mezzo stanno l'ascolto, il perdono, l'accoglienza in casa, il nostro peccato, in attesa dell'ultimo oggi: la sua morte in croce che è la nostra salvezza.
L'annuncio ci rende contemporanei all'evento: noi non dobbiamo "elaborare la Parola di Dio" ma è la Parola di Dio che realizza noi, oggi, se l'ascoltiamo. Non dobbiamo "attualizzarla": è lei che ci attualizza ossia ci realizza in modo nuovo. Ancora una volta la migliore attività è un atteggiamento apparentemente passivo di ascolto e accettazione.
La vita ci dimostra che la libertà e la salvezza in astratto non esistono, se non nei manifesti elettorali. L'angelo non annuncia dunque una filosofia di salvezza ma un salvatore. Le idee troppe volte sono usate per affascinare e imbrogliare e, in fondo, concretamente, non esistono. Esistono invece le persone che possono essere veritiere o menzognere, egoiste o fraterne. Questo salvatore è "un" salvatore, ossia quel salvatore che non vi aspettavate, ed è "il Cristo", che in greco corrisponde a "il Messia" in latino e corrisponde a "l'Unto" in ebraico: colui che realizza la libertà dell'uomo.
"Il Signore" o "il Kyrios" era il titolo di Cesare Augusto. Nella Bibbia greca la parola "Kyrios" era utilizzata per il nome di Dio (Adonai) che non si doveva pronunciare. Dunque quello che è nato è Dio perché solo Dio ci può salvare dalla morte, dall'ingiustizia, dalla cattiveria, ... ogni giorno e anche oggi. Questo, spiega l'angelo, è l'unico Dio, l'unico Messia, l'unico Unto, l'unico Signore. Gli altri sono contraffazioni bestiali (nel senso della Bestia dell'Apocalisse): schiavizzano l'uomo e lo distruggono.
Il "segno" di Dio non consiste nella potenza di poter censire i nomi di tutti, di avere le truppe, i mercati, le reti d'informazione, una considerazione che anche oggi è molto attuale.
"Trovare" Dio nell'essere che meno si aspetterebbe, secondo le nostre false immagini, è il segno di Dio, tanto al tempo di Gesù quanto oggi. Il segno di Dio è quello della fragilità, dell'impotenza, del limite, del bisogno. Come noi tutti. E' giusto voler uscire dal limite. Ma possiamo provare a farlo mangiando gli altri oppure col cammino contrario: come in un bambino il cui limite diventa il luogo di contatto con la mamma, con Giuseppe, coi pastori, con ciascuno di noi. Dio è colui che fa dei nostri limiti un luogo di comunione.
La nostra limitatezza è un dato di fatto e se non la accettiamo siamo in delirio ossia vediamo e crediamo ciò che non esiste. Se realizziamo questi nostri deliri allora distruggiamo gli altri e il mondo, oltre ad aver già distrutto noi. Dio ci salva caricandosi di questo limite: un bambino non puoi non accoglierlo: muore se non lo accudisci. E tutti siamo "bambini" cioè dobbiamo essere accolti per vivere. La salvezza del mondo è fare dei nostri limiti e del nostro peccato il luogo dell'accoglienza gli uni degli altri.
Questo è il Messia, che diventerà l'Agnello di Dio e che porterà il peccato del mondo facendosi in tutto simile a noi: uomo e fratello. Tutto il vangelo è nel segno del bambino, del piccolo, povero, maledetto, disprezzato, ucciso e messo nel sepolcro il quale ci salva perché porta su di sé il nostro male. Anche oggi stiamo sempre aspettando il Signore che viene ma sembra non arrivare mai perché noi non lo riconosciamo - così come è - e dunque è come se non ci fosse.
Quando capiremo che l'ultimo dei fratelli (Matteo 25,31ss: "ogni cosa che avete fatto...") è Dio noi saremo salvi, diverremo umani, saremo come Dio, che ama tutti, pace e giustizia e libertà si baceranno sulla terra e il regno di Dio sarà qui. I santi sono quelli hanno capito questo.
Allora potremo dire "Gloria nel più alto dei cieli". La gloria (ossia l'importanza, il peso di Dio) è quel bambino, non la nostra vana-gloria (peso vuoto).
Tutti i canti natalizi (tra cui il celebre "Tu scendi dalle stelle" di S.Alfonso de' Liguori) non sono pii sentimentalismi sul divin bambinello ma qualcosa di fondamentale per la salvezza di tutti. Questo bambino è la base su cui costruire la nostra filosofia, teologia, sociologia, politica, economia... altrimenti siamo come il Cesare Augusto di turno che fa i suoi censimenti e opprime il mondo.
Tutto il meglio della cultura occidentale (i diritti fondamentali, il concetto di libertà e di persona), che sono pressoché assenti nelle altre culture, viene dal vedere questo bambino.