Il tema Una antica preghiera per la cerimonia di incoronazione dei re d'Israele si trasforma nella proclamazione della vittoria pasquale: Dio resuscita Gesù, Dio salva tutti, tutti noi.
Il salmo 110 è il salmo più recitato di tutto il Salterio. Lo si prega all'inizio dei secondi vespri di tutte le domeniche e in particolare a Pasqua.
Questo salmo, come si vedrà nel commento qui di seguito, va letto contemporaneamente su più livelli: il re d'Israele, il messia atteso, Gesù Cristo Figlio di Dio, ogni figlio di Dio ossia tutti noi.
Il titolo del salmo nella Bibbia edizione CEI ("Il Messia re e sacerdote") e la citazione introduttiva posta nel Salterio ("È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi", 1Corinti 15,25) indicano chiaramente che la Chiesa dà una interpretazione pasquale del testo.
1Di Davide. Salmo.
Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
2Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
«Domina in mezzo ai tuoi nemici.
3A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, io ti ho generato».
4Il Signore ha giurato
e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchisedek».
5Il Signore è alla tua destra,
annienterà i re nel giorno della sua ira.
6Giudicherà i popoli:
in mezzo a cadaveri
ne stritolerà la testa su vasta terra.
7Lungo il cammino si disseta al torrente
e solleva alta la testa.
Questo salmo si situa nel momento del tramonto di un giorno di festa. Ha quindi, da un lato, assonanze molto gioiose, collegate con i festeggiamenti vissuti. D'altro canto si tratta di una festa, di un sabato (o di una domenica, per noi), che sta finendo per cui troveremo in questo salmo anche una sorta di nostalgia per il Sabato eterno, per l'Ottavo giorno senza tramonto che noi attendiamo. Nella cultura laica, che possiede poca o nessuna speranza, spesso si preferisce l'attesa della festa alla festa stessa: pensiamo alla poesia "Il sabato del villaggio" di G. Leopardi. Questo salmo riesce invece a fondere insieme la gioia della festa vissuta oggi con la speranza della festa eterna.
Il salmo 110 è piuttosto difficile da rendere anche perché molto antico. È probabilmente dell'epoca di Davide o immediatamente successiva anche se alcuni lo datano in epoca tardiva, attorno al III secolo a.C.. Alcune espressioni, come vedremo, riflettono la cultura di 3.000 anni fa e sono diventate per noi incomprensibili. Questo non deve preoccuparci: fa parte della rivelazione continua di Dio il fatto che alcune sue tracce siano chiare in alcuni tempi e non in altri. Succede anche nei nostri rapporti con le persone: ci vogliono bene ma non ci capiscono oppure vogliamo loro bene ma non riusciamo a capirle.
Probabilmente questo salmo è stato composto in occasione dell'incoronazione del re come preghiera che fa parte del cerimoniale. Il re potrebbe essere Davide o qualche suo immediato successore.
Questo salmo viene letto ogni domenica perché in ogni domenica noi celebriamo la vittoria di Gesù Cristo sulla morte. Sulla morte che ha perso il suo pungiglione: la cattiva immagine di un Dio che ci abbandona, ci punisce o, addirittura, non esiste. Se è stata vinta la guerra ci sono ancora tante battaglie da sostenere ossia vi sono ancora tanti nemici che incontriamo quotidianamente.
Iniziando la lettura incontriamo subito due personaggi: Dio ("Oracolo del Signore") e il re consacrato ("il mio signore" [1]). Dio dunque dice al re che viene consacrato: siedi alla mia destra ossia sei tu il mio braccio destro, hai tu l'incarico e l'onore più alto in tutto il regno ossia il creato, a te affido tutta la mia gloria. Non esiste altra religione al mondo in cui Dio conferisca all'uomo, una creatura, una tale dignità.
Proviamo a pensare alle conseguenze nel nostro vivere se comprendessimo davvero che Dio ci dice "siedi alla mia destra". E proviamo a pensare anche alla responsabilità che ci viene data: Dio affida la sua gloria, il suo "buon nome", all'agire dell'uomo, una scelta che troverà il suo culmine nell'incarnazione in cui Dio si affida alla fede di una giovane coppia ebrea. Il seguito del primo versetto è ancora più paradossale: tu (re, uomo) sei il mio braccio destro finché io (Dio) ponga i tuoi nemici (i nemici del re, dell'uomo) a sgabello dei tuoi piedi ossia finché Dio abbia sconfitto tutti i nemici dell'uomo. La realizzazione dell'uomo discende dall'azione di Dio.
Demolire questa relazione uomo-Dio è il perenne obiettivo di Satana. A Satana non interessa tanto ottenere che noi pecchiamo in modo da rendere offesa a Dio o venir meno al nostro dovere. A Satana interessa soprattutto che noi perdiamo il nostro potere ossia perdiamo la nostra fiducia in Dio, il nostro punto di forza.
Questa debolezza genera nuova paura in un circolo vizioso: perduta la fiducia, siamo nel potere del diavolo. Se osserviamo il mondo noteremo che molti vivono così: sono figli di nessuno [2].
Dio distende lo scettro del potere (come il bastone di Mosè) stando sul monte Sion, dove sorge Gerusalemme. La forza del re d'Israele ha origine in Gerusalemme, nella capitale, dove stanno la reggia, l'esercito, le guardie. Ma anche, possiamo dire, la redenzione parte dal monte Sion, dove sta innalzata la croce. In entrambe le interpretazioni si invita a non considerare Sion un "nido", che diventa una prigione, ma la base di partenza per sconfiggere nel primo caso i nemici e nel secondo caso il Nemico ossia colui che infiacchisce la nostra fiducia in Dio. Sion per il re è il punto da cui ripartire per riconquistare il potere che i nemici d'Israele insidiano. La croce di Gesù è per noi il punto di partenza per riconquistare la certezza di essere figli di Dio e non orfani o figli del Caso.
Il testo del versetto 3, come dicevamo all'inizio, è piuttosto oscuro alla nostra comprensione e qui si propone una delle sue possibili interpretazioni ossia: «Nel giorno della tua potenza (cioè della tua incoronazione) a te viene consegnato tra santi splendori (cioè da Dio) il principato (l'autorità di governare). Dio genera come re colui che viene dal grembo dell'aurora (cioè dalla notte), colui che ha attraversato il massimo buio».
Un possibile significato è questo: Dio fa re anche chi ha attraversato il buio del peccato, come nel caso di Davide, il quale potrebbe aver composto questo salmo dopo un suo peccato: la vicenda di Betsabea in 2Samuele 11 o la vicenda del censimento in 2Samuele 24. Il primo significato della parola notte, nella Bibbia, è appunto il peccato: in Giovanni 13,30 troviamo che "[Giuda] uscì. Ed era notte": Giuda non supera la sua notte.
Un significato opposto di questa notte può essere invece l'esilio e il nascondimento di Davide dalla persecuzione di Saul. Infine, per noi cristiani, questo versetto allude a Gesù, la cui resurrezione passa per la croce e per la notte del sepolcro. Gesù è il messia che è stato risuscitato dal Padre che gli conferma così la posizione di figlio generato.
In ogni caso questo versetto indica che il potente secondo Dio viene generato dopo la notte. Non spaventiamoci dunque delle nostre notti ma affrontiamole certi della salvezza.
Per un ambiente secco come la Palestina la rugiada corrisponde alla nostra pioggia primaverile. In Giobbe 38,28 Dio ricorda che è lui a mandare la rugiada: "chi fa nascere le gocce della rugiada?" Questo re-messia è dunque rugiada, rigenerazione vitale per il suo popolo che si manifesta però in modo delicato, impercettibile, rugiada appunto. Nel vangelo troviamo le similitudini corrispondenti: il seme di senapa e il lievito, tutte figure della vicenda di Gesù. Questo versetto riecheggia il Salmo 2,7 dove è espresso lo stesso concetto che verrà poi ripreso da Paolo nel discorso alla sinagoga di Antiochia (Atti 13,32-33 [3]) e che ritroviamo nella lettera agli Ebrei (1,5 [4] e 5,5-10 [5]).
Il testo continua con il narratore che ricorda a Davide che il Signore non si pente della sua scelta, nonostante i tradimenti. Lo stesso testo ricorda a noi che Dio non si pente di noi ossia, tradotto in termini cristiani, Dio perdona sempre. Dovremmo considerare più spesso che questa è una caratteristica specifica e infinitamente incoraggiante del cristianesimo: Dio perdona sempre. Al di fuori del cristianesimo il perdono, da parte di Dio e dunque a maggior ragione tra le persone, è praticamente sconosciuto. La definizione di Dio come "colui che non si pente" corrisponde a quanto spiega Gesù a Nicodemo in Giovanni 3,16: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». E` chiaro infine che, se Dio ci perdona sempre, anche noi dovremmo imparare a perdonare sempre.
Al tempo di Davide la monarchia aveva ancora un ruolo sacerdotale, come già avveniva con Mosè e prima ancora con Ietro. Questo fenomeno continua molti secoli dopo nel mondo islamico e, paradossalmente, ancora oggi nell'Anglicanesimo dove il re è il capo della Chiesa nazionale. Davide non è sacerdote come gli altri, appartenenti alla tribù di Levi, ma lo è come Melchisedek [6] ossia non per diritto di nascita ma per libera scelta di Dio. Dio sceglie le persone in modo libero, in quella che potremmo definire una non-scelta come Gesù ha fatto coi dodici i quali non avevano, nessuno di loro, particolari meriti.
A questo punto quella che potremmo chiamare la disposizione dei posti a sedere si inverte: al re, al messia, a noi viene rivelato che la sua destra è Dio, il Signore. La forza del re di Israele è Dio e nessun altro. La nostra unica salvezza è Dio e nessun altro. «Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (così Pietro davanti al sinedrio in Atti 4,12).
Le due frasi seguenti (vv 5b-6) vengono omesse nel salterio perché troppo violente per la sensibilità cristiana e chiariscono, secondo il sentire del tempo di Davide, che il Signore è infinitamente superiore ad ogni altro potere terreno confermando che il re non deve nulla temere.
Nella chiusura del salmo la scenografia dell'incoronazione scompare e questo re, che deve combattere per la riconquista del regno contro molti nemici, viene rappresentato solo, che cammina sulla riva del torrente, mentre beve, si disseta e alza la testa come chi si rinfresca alla sera dopo la vittoria. Sollevare la testa significa passare dalla condizione di servi a quella di figli, è l'incoraggiamento che dà Gesù nel discorso escatologico («alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina», Luca 21,28) ed è il significato del miracolo della guarigione della donna curva (Luca 13,10-13).
[1] Le versioni CEI della Bibbia riportano con l'iniziale maiuscola la seconda parola "signore" ma non è corretto.
[2] Nel film Des Hommes et des Dieux (cioè "Uomini e Dei", tradotto malamente in Uomini di Dio) i monaci trappisti vincono la paura ispirandosi al Salmo 82(81),6 - "Voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo" - arrivando così alla conclusione che nulla e nessuno può arrecare loro danno.
[3] E noi vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata, perché Dio l'ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato.">Atti 13,32-33
[4] Ebrei 1,5: Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio?
[5] Atti 5,5-10: Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchìsedek». Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchìsedek.
[6] In Genesi 14 si narra che Abramo era andato a liberare suo nipote Lot e, tornando, passa vicino a Salem, che potrebbe essere l'antichissima Gerusalemme. Melchisedek (Melch = re, sadok = giusto), re e sacerdote di Salem, gli viene incontro e offre un sacrificio in suo onore. Abramo allora paga la decima del suo bottino. Di Melchisedek non si parla più nell'AT (a parte questo salmo) fino alla lettera agli Ebrei 5,7 dove si dichiara che Cristo è "sacerdote per sempre secondo l'ordine di Melchisedek" ossia un sacerdote puro e che è tale non per discendenza.