57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. 59Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. 60Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il tema Ci troviamo a Ein Kerem nell'estate del 2 a.C. dove Maria assiste alla nascita del figlio di Elisabetta. Attraverso la narrazione della nascita di Giovanni - e poi di quella di Gesù - Luca ci presenta due questioni per noi fondamentali: il senso del nostro nascere e qual è il nostro vero nome.
Il venire alla luce è quell'evento che ci fa uscire dal nulla: prima non ci siamo, il mondo esiste senza di noi, e solo da quel momento cominciamo a esistere.
Dall'interpretazione che noi diamo al nostro nascere derivano il significato e il valore che diamo alla nostra vita.
Il primo comando di Dio, che troviamo nella Genesi, è di trasmettere la vita (1,28). Tale comando è rivolto a tutti, uomini e animali. Però, a differenza degli animali che hanno la loro specie (in cui si "specchiano" ossia si riconoscono), dell'uomo si dice che Dio creò l'uomo a sua immagine... maschio e femmina li creò (1,27): l'uomo è il punto d'arrivo del creato perché il suo nascere, la sua origine, ha qualcosa di divino: l'amore tra maschio e femmina. Questo amore è il sigillo divino del creato. L'uomo è quell'essere che, mediante l'amore, può far sì che tutto ritorni in Dio.
La vita dell'uomo non è un dato solo biologico (non è secondo la sua specie) ma è un trasmettere la specie di Dio, di quel Dio che è amore. Dunque il comando "siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela" significa "fate come ho fatto io sulla terra" cioè, amate tutti come ha fatto Dio sulla terra, il quale ha dato la vita per amore di tutti. L'uomo è dunque il liturgo del creato che trasmettendo la vita attraverso l'amore fa sì che tutto, sulla terra, serva alla vita e per l'amore. La nascita dell'uomo è allora la celebrazione fondamentale del Dio-amore. E anche il limite di essere sessuati (essere maschio significa non essere femmina) diventa luogo di amore.
Il versetto 57 ci dice che il Battista nasce perché è preannunciato: è il compimento del disegno di Dio.L'uomo non nasce per caso. Non viene dal nulla per tornare al nulla:
[Gli empi] dicono fra loro sragionando:
«La nostra vita è breve e triste;
non c'è rimedio quando l'uomo muore,
e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti.
Siamo nati per caso
e dopo saremo come se non fossimo stati...
Venite dunque e godiamo dei beni presenti...
coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano...
La nostra forza sia legge della giustizia,
perché la debolezza risulta inutile...» (Sapienza 2,1-11 passim)
Dio ha invece un progetto su ciascuno di noi:
Dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Isaia 49,1)
«Sulle palme delle mie mani ti ho disegnato» (Isaia 49,16)
«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto» (Geremia 1,5)
Hai fatto l'uomo poco meno di un dio (Salmo 8,6)
Non sono forse scritte, le mie lacrime, nel tuo libro?(Salmo 56,9)
Mi hai tessuto nel grembo di mia madre (Salmo 139,13 ossia: mi sei più madre di mia madre)
Erano tutti scritti nel tuo libro i giorni... quando ancora non ne esisteva uno (Salmo 139,16)
Nulla è perduto dell'uomo. Tutto è previsto, visto, amato, accolto o perdonato da Dio. Questo modo di vedere la nostra e altrui nascita significa vedere ogni persona in modo diverso. Comprendere questo significa che la sorgente della mia vita è l'amore e dunque contiene amore. Altrimenti la vita non ha alcun senso.
Tutto questo non ha alcuna relazione né confusione con quanto ci può raccontare la scienza. La Bibbia ci rivela che siamo figli di Dio. Che poi si derivi biologicamente dalla scimmia o dal fango fa poca differenza e per i cristiani non dovrebbe costituire alcun problema. Chi invece è convinto di venire esclusivamente da una scimmia significa che al più potrà sperare, crescendo, d'essere una grande scimmia: non si sfugge alle proprie origini.
Anche se alcuni non vanno oltre la vita vegetativa (in senso figurato o reale) la loro vita è animata da un'amore, da uno spirito e da una forma che è quella stessa di Dio. Questo è comprendere la grandezza dell'uomo, creato al sesto giorno come colui che capisce e dà il nome a tutte le cose, simile a Dio che dà il nome a tutte le cose dando loro significato: celebrare l'amore e la vita.
Non comprendere la grandezza dell'uomo significa distruggere la creazione, come vediamo ogni giorno. L'uomo che non si considera figlio e fratello comincia a considerarsi padreterno e padrone del creato distruggendo così se stesso, gli altri e il mondo.
Cosa significhi dare alla luce un figlio è compreso più facilmente dalle donne, che meglio possono capire Dio che dall'eternità genera un figlio che è distinto da sé eppure è tutto da sé. Dio vede tutti noi con lo sguardo della madre e del padre.
Vedendo i nostri figli capiamo meglio che noi siamo figli perché in loro vediamo quel bisogno fondamentale dell'essere umano di essere amato, accudito, accolto. Nessuno di noi si è fatto da sé, si ama da sé, esiste da sé ma tutti noi esistiamo in quanto amati ed accolti. Così, proprio nei propri figli si fa esperienza della propria natura di uomini: siamo tutti figli altrimenti non esistiamo.
E oltre che sentirci figli, perché vediamo i nostri figli, ci sentiamo, come è Dio, padri e madri capaci di generare, amare, accogliere, donare.
Quella di essere genitore è dunque una esperienza divina totalizzante. Ma non è necessaria per capire: siamo comunque tutti figli, se non padri e madri. Gesù stesso scelse di essere solo figlio e non anche genitore.
Il peccato di Adamo fu di non accettare di essere figlio, di non conoscere il proprio nome che è l'essere amato dal Padre; si inventò un nuovo nome, di essere lui Dio e fare da sé, indipendentemente dal Padre. E fu l'origine di tutti i mali.
Tutto il vangelo di Luca descrive l'esperienza del figlio che si fa fratello di tutti.
La nascita di Giovanni è narrata dal punto di vista di Elisabetta la quale è cosciente che il figlio suo tuttavia non è "suo". Già lo sapeva Eva che chiamò il primo figlio Caino che significa "ho acquistato un uomo da Dio".
I parenti leggono questa nascita come la misericordia di Dio che si espande nel mondo attraverso Elisabetta. Per questo ne gioiscono.
Giovanni Battista nei vangeli è presentato come realizzazione della promessa di giustizia di Dio, un uomo aperto a quello più grande che viene dopo di lui (Marco 1,7), aperto all'infinito, colui che ha già incontrato il Signore quando era nel ventre di sua madre. E` il prototipo dell'uomo disposto ad accogliere il Signore, a differenza di Adamo. E`, come si autodefinisce, la voce della Parola che lui ascolta (Giovanni 1,23).
Nella cultura antica il bambino era considerato un'appendice della madre che a sua volta lo era dell'uomo.La madre gli dava la vita e la relazione madre-figlio era, per così dire, automatica. Il padre dava invece il nome ossia stabiliva la sua relazione con il figlio tramite la parola. Quando il figlio arrivava a 12 anni non era più figlio di suo padre ma "figlio della Parola". Il che, già tra gli Israeliti, fondava la fraternità fra gli uomini, figli di uno stesso Padre.
Ognuno di noi è caratterizzato da un nome che non ci siamo dati da soli, come la vita non ce la siamo dati da soli. Questo nome è usato dagli altri per entrare in relazione con noi.
Nella scelta del nome noi tendiamo a ripetere la storia fornendo un nome ereditato dalla parentela, nome che non è il nostro nome.
Da Adamo, come conseguenza dell'inganno che ha ucciso la nostra identità di figli di Dio, abbiamo ereditato una sorta di "nome", comune a tutti: da allora siamo i figli del serpente, della menzogna, della paura, dell'ira, della colpa... ma questo non è il nostro vero nome. A partire da Giovanni abbiamo un altro nome, datoci da Dio, che dice la nostra identità profonda. Il nome è Giovanni, "grazia di Dio", la stessa parola usata nel saluto dell'angelo a Maria. Questo è il vero nome dell'uomo.
Senza questo nome è una dis-grazia vivere. Fino a che non scopriamo il nostro vero nome andiamo mendicando identità dagli altri. Tale nome è diverso da quello dei nostri parenti e ci fa "parenti di Dio".
In questo caso è Elisabetta che dà il nome, dato che Zaccaria è muto e pure sordo, perché gli parlano con cenni. Zaccaria rappresenta l'uomo che non ha nulla da dire perché non ha ascoltato la promessa. Un uomo così non ha nulla da dire della vita, può essere solo figlio del serpente, cioè dell'egoismo, dell'odio, della morte. Il mutismo è segno della morte, l'assenza di relazione. Anche comunemente il modo più efficace di distruggere una persona è non risponderle.
Ma Zaccaria può ancora riportare per iscritto quel che ha detto l'angelo: la promessa si compie lo stesso anche se non crediamo. La vita l'ha fatta Dio e noi non riusciamo a distruggerla. Se anche io non voglio essere figlio di Dio Dio mi è padre lo stesso. Questo è quanto ci attesta la scrittura la quale non è altro che la storia dell'infedeltà costante dell'umanità verso Dio che invece rimane fedele.
Ora Zaccaria ("Dio si ricorda"), avendo veduto, si ricorda della promessa e può aprire la bocca bene-dicendo Dio che bene fa. E` il Benedictus.
La nascita di Giovanni genera una nuova consapevolezza della paternità di Dio in tutte le persone della Giudea che si pongono la Parola nel cuore come anche noi dovremmo fare, meditando il significato della nascita, della vita, del nome, della paternità di Dio. Che saremo mai noi comprendendo questo? Il Signore era "con lui" come detto dall'angelo a Maria ("il Signore è con te").
A questa scena è presente Maria che porta in sé l'Atteso e serve Elisabetta. Domandandosi pure lei "Che sarà mai questo bambino?" coltiva nel suo cuore il suo rapporto con Dio Padre.