36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.
38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
39Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
41Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
Il tema La perfezione di Dio, chiarisce Luca per noi "pagani", consiste nel fatto che Dio è misericordia. Dio è accoglienza, è il principio della vita che non giudica, non condanna, accoglie sempre, è materno. Tutto il vangelo di Luca è un commento esteso al fondamentale versetto 6,36.
Con le beatitudini Gesù ha enunciato cosa ci può rendere felici: l'affidarsi a Dio (6,20ss). Subito dopo ha dichiarato che Dio ama tutti e non ha nemici (6,35). Dunque anche il discepolo, a immagine di Dio, non ha nemici. Si arriva così al culmine attorno al quale ruota tutto il vangelo di Luca, il versetto 6,36, spiegato dai quattro comandi che seguono (non giudicate, non condannate, perdonate, date: 6,37-38). Il resto del testo (6,39-49) sottolinea che non esiste altra strada che quella qui indicata.
Il v. 36 riecheggia il comando fondamentale della legge: siate santi perché io sono santo (Levitico 11,44-45; 19,2; 20,26; 21,8). Santo, nella Bibbia, significa distinto, differente, separato, irraggiungibile, inviolabile, "altro" rispetto a qualsiasi immagine ci si faccia. E` il termine di ogni desiderio umano, diventare come Dio. Come Adamo e come in tutti i miti pagani: Prometeo che va a rubare il fuoco, i Titani che vogliono scalare il cielo. Anche l'"ateo", in un certo senso, vuole essere Dio.
Il problema, a questo punto, è sapere come è Dio, dato che Dio è "altro" rispetto a qualsiasi nostra immagine. Matteo nel passo parallelo dice che Dio è perfetto (5,48: "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste"). La perfezione di Dio, chiarisce Luca per noi "pagani", consiste nel fatto che Dio è misericordia. Già nell'Antico Testamento e anche nel Corano viene detto più volte che Dio è misericordioso, una qualità di Dio elencata assieme ad altre: giudice, giusto, onnipotente, onnisciente ecc.: ogni attributo di Dio è però parziale: dice qualcosa di Dio ma non tutto e non perfettamente.
Gesù sgombra il campo delle tante qualità "parziali" e caratterizza Dio come "misericordia". Luca utilizza una parola usata anche in Giacomo 5,11: "Il Signore è ricco di misericordia e di compassione", letteralmente: uterino e pluriviscerale, e in 2Corinzi 1,3: "Sia benedetto Dio... Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione". Dunque Luca vuole esprimere che Dio è accoglienza, è il principio della vita che non giudica, non condanna, accoglie sempre, è materno. Più è grande la nostra miseria, più è grande il nostro male e più l'amore di Dio è grande e offre riscatto.
Ricordiamo a questo proposito quella frase dell'Angelus di Giovanni Paolo I che suscitò immotivata sorpresa e commenti poco saggi in qualche ambiente teologicamente ingessato:
«... noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E' papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore»
Giovanni Paolo I (17.10.1912 - 28.09.1978) - Angelus del 10.09.1978
Lo stesso concetto sarà ripreso da Giovanni Paolo II nell'udienza di mercoledì 20.01.1999. Gesù ci invita a diventare, a realizzare, quello che siamo: figli del Dio materno, il Dio che rispetta assolutamente la libertà perché accoglie comunque. Ogni limite diventa occasione di accoglienza, ogni miseria diventa occasione di misericordia, ogni male occasione di perdono, ogni cattiveria occasione di amore: "... tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato" (Geremia 31,34). Dio dunque si rivela nel male, non perché abbia bisogno del male ma perché è più grande di ogni male: "dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia" (Romani 5,20).
Tutto il vangelo di Luca è un commento esteso a questo versetto fondamentale che potremmo contemplare senza fine. Mentre tutte le religioni propongono percorsi di ascesi o regole morali, il che è innegabilmente lodevole, qui viene proposta la misericordia. Se togliamo questo pilastro irrinunciabile il cristianesimo diventa una religione come tutte le altre, tutte buone e anche tutte cattive, nel cui nome si possono fare pure le guerre. La familiarità con la misericordia del Signore dovrebbe impregnarci di essa in modo che poi possiamo donarla agli altri. La misericordia implica la fraternità: se il Padre è vostro significa che voi siete fratelli e tali dovete considerarvi.
Si potrebbe obiettare che potremmo essere tentati di approfittare della misericordia di Dio. Perché sacrificarsi se Lui perdona sempre? Questo è però un procedimento perverso: significa non aver capito che ci vuol bene. E` il comportamento dei bambini capricciosi che vogliono mettere alla prova la resistenza dei genitori. Comprendere la misericordia è lo stesso che usare misericordia: noi siamo misericordiosi esattamente tanto quanto comprendiamo la misericordia di Dio verso di noi. Se non siamo misericordiosi significa che non ci aspettiamo misericordia da Dio e, in sostanza, non abbiamo fiducia in lui. Misericordiosi non si nasce, si diventa: si nasce egocentrici e, troppo spesso, si cresce diventando egoisti. La misericordia (ossia accettare l'altro come è) è una santità superiore a qualunque altra santità e a qualunque atto eroico: è quel che fa Dio con noi. Questo significa essere giusti come Dio. Questo messaggio percorre l'intera Bibbia (si veda ad es. Giona 4) che può essere riletta tutta in questa chiave.
Dal criterio della misericordia nascono le quattro regole delineate subito dopo, che governano la vita comune. Tutti gli imperativi che qui troviamo possono essere tradotti con "diventate ecc.".
Per diventare come Dio occorre smettere di giudicare le persone. Innanzi tutto perché è una pretesa di rubare il mestiere a Dio, unico giudice. Poi perché questo lavoro di Dio noi lo svolgiamo male: in tutti i vangeli il giudizio di Dio è la croce cioè il perdono. Anche l'uomo più perverso è da Dio stimato degno della sua croce. Se giudichiamo allora siamo giudicati da noi stessi perché il nostro giudicare le persone esprime quel che abbiamo nel cuore: Dio è un po' come quelle mamme col figlio in galera che continuano a dire che "in fondo è un bravo ragazzo".
Va precisato che questo capitolo non tratta del giudizio di verità sulle cose. La misericordia non è una vernice che copre il male ma la persona va sempre salvata e non inchiodata al suo errore. Inoltre l'espressione "non giudicate" si riferisce esclusivamente ai giudizi negativi: l'elogio e la stima della persona è positivo. Non viene qui suggerita alcuna impassibilità di tipo ascetico orientale.
Comunemente si esprime questo messaggio evangelico dicendo che si deve condannare il peccato ma non il peccatore. Nella società invece avviene spesso l'opposto: si è estremamente tolleranti verso il peccato e il male (che spesso viene trasformato in diritto) ma si è inflessibili col peccatore ossia si è giustizialisti (se si tratta di altri) o si accumulano sensi di colpa (se si tratta di noi stessi).
Questa è una pessima prassi: al medico si richiede che curi il malato cercando di eliminare il suo male. Non è un buon medico se risolve tutto eliminando il malato. Purtroppo invece succede anche questo...
Siddharta Gautama detto il Buddha (ossia "Illuminato") fu un nobile del V sec. a.C. che predicò l'illusorietà del mondo suggerendo un duro percorso di autodominio allo scopo di sopprimere ogni passione e arrivare al nirvana ossia all'estinzione di ogni desiderio. Si tratta di una proposta agli antipodi della fede cristiana.
Per diventare come Dio occorre perdonare perché solo così l'altro è libero dal nostro giudizio, come Dio ci lascia liberi: "Siate... benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo" (Efesini 4,32).
Il comando date è espresso volutamente senza specificare l'oggetto perché come tutto è per noi dono di Dio così qualsiasi cosa è da dare. Ancora una volta la misura del nostro dono coincide con la misura della nostra comprensione del dono ricevuto.
Questo messaggio scuote la nostra visione del mondo di uomini giusti o religiosi che riteniamo nostro preciso dovere il dividere il mondo tra buoni e cattivi. Se continuiamo a considerarci giusti corriamo il rischio di considerare questa buona notizia della misericordia una via adatta soltanto per il mondo, a noi estraneo, dei peccatori e dei perduti. Potremmo pensare che per noi, perfetti e illuminati, ci sia un'altra via. Il testo nei versetti 39-42 ci mette in guardia: chi si ritiene illuminato e vuole percorrere una via che crede superiore alla misericordia è un cieco ossia uno che non conosce né sé né Dio né gli altri. E cade nel fosso ossia fallisce la propria vita. E` un po' come se Gesù domandasse: qualcuno ritiene di fare qualcosa di superiore a quel che propongo io che sono il maestro e mangio e bevo con pubblicani e prostitute?
Cattivi maestri sono coloro che sono ciechi alla misericordia, che si ritengono più perfetti, giudici spietati con gli altri ma benevoli con se stessi. Agire così significa avere una trave nell'occhio ossia essere morti, non essere figli di Dio, essere senza identità. Significa avere zelo per correggere gli altri, ma questo zelo fa del male al prossimo. Togliere la trave dal mio occhio significa imparare che sono chiamato innanzi tutto a correggere me stesso e non gli altri. La correzione fraterna sarà trattata alla fine del vangelo di Luca, al capitolo 17.