1Nel frattempo, radunatesi migliaia di persone che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. 2Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. 3Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti.
4A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. 5Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui. 6Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. 7Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri.
8Inoltre vi dico: Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; 9ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.
10Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato.
11Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire; 12perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».
Il tema L'ipocrisia nasce dalla paura di essere non amati e di doversi "conquistare" il paradiso con le "buone opere". Ma questo criterio, o lievito, è illogico: o ci abbandoniamo all'amore e alla misericordia di Dio oppure lo pensiamo come un idolo di cui non saremo mai degni e dunque, per quanto si faccia, il nostro destino è segnato: la Geenna.
La chiesa copta ha proclamato santi e martiri i 21 copti egiziani sgozzati all'inizio di febbraio 2015 in Libia. Questi i loro nomi: Milad Saber Mounir Adly Saad, celibe, del villaggio di Menbal; Sameh Salah Farouq, sposato, un bambino, del villaggio di Manqarius; Ezzat Boshra Nassif, sposato, un figlio di 4 anni, del villaggio di Dafash; Mina Shehata Awad, del villaggio di Al-Farouqeyya; Louqa Nagati Anis Abdou, 27 anni, sposato, un bambino di 10 mesi; Essam Baddar e Samir Ishaq, celibe, entrambi del villaggio di al-Gabaly. I seguenti sono tutti del villaggio di Al-Our: Hany Abdal-Massih Salib, sposato, tre figlie e un figlio; Guergues Milad Sanyut, celibe; Tawadraus Youssef Tawadraus, sposato, tre figli da 7 ai 13 anni; Kyrillos Boschra Fawzy, celibe; Magued Soliman Shehata, sposato, due figlie e un figlio; Mina Fayez Aziz, celibe; Samouïl Alham Wilson, sposato, tre figli di 6, 4 e 2 anni; Bishoï Stephanos Kamel e suo fratello Samouïl, celibi; Malak Abram Sanyut, sposato, tre bambini; Milad Makin Zaky, sposato, una figlia; Abanub Ayyad Ateyya Shehata, celibe; Guergues Samir Megally Zakher, celibe; Youssef Shukry Younan, celibe; Malak Farag Ibrahim, sposato, una bambina. Nel calendario copto la loro festa è il 15 febbraio, giorno in cui è stato diffuso il video del loro martirio. Il pittore copto Wael Mories ha realizzato il quadro qui riprodotto.
L'11 Maggio 2023 Papa Francesco ha ricevuto in dono le reliquie da papa Tawadros II, capo della Chiesa copta ortodossa e ha dichiarato che questi martiri saranno aggiunti anche all'elenco dei santi della Chiesa Cattolica.
Nella seconda parte del vangelo di Luca, che inizia a 9,51, si mettono a confronto lo spirito del Figlio e lo spirito del Divisore, lo spirito muto (vedi 11,14) che ci impedisce di dire Abbà a Dio. In particolare ora, nei capitoli 12 e 13 si presenta una teologia della storia: viene mostrato, con esempi, il modo in cui noi, secondo lo spirito che abbiamo, viviamo la nostra vita giorno per giorno. Si indica anche quale atteggiamento occorre avere di fronte alle vicende della storia che spesso ci sembra proceda di male in peggio.
Il brano, che a prima vista sembra un'antologia di detti scollegati fra loro, ha invece uno schema preciso: l'intento del brano è spiegare bene in cosa consista l'ipocrisia che è dentro di noi e che Gesù ha appena stigmatizzato negli Scribi e nei Farisei. Dopo lo scontro durissimo del brano precedente essi cominciano a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo (Luca 11,53b-54a). Gesù allora smette di rivolgersi a loro e parla ai discepoli, cioè a ciascuno di noi che "nel frattempo" (v. 1), ossia nella nostra vita presente, ci stiamo accalcando calpestandoci a vicenda.
Lo spirito che è in noi (che sia spirito del Figlio oppure quello del Divisore) non è qualcosa di impalpabile che galleggia nell'aria ma è il criterio d'azione che fermenta la nostra esistenza concreta come avviene con il lievito dentro la pasta. Esiste un criterio di vita, ci spiega Gesù, che è ipocrisia. Nella tragedia greca l'ipocrita (letteralmente "quello che risponde") è l'attore che risponde al coro [1]. Nell'accezione comune il termine ipocrita è sinonimo di doppiezza: ipocrita è colui che è interessato a dare una immagine di sé diversa dalla realtà, come l'attore, che finge di essere chi in realtà non è e nasconde la sua identità. Ritorna così la contraddizione fra esterno e interno evidenziata nel brano precedente.
Questo lievito, l'ipocrisia, ha origine innanzitutto dalla paura di perdere la vita nelle varie accezioni: la vita fisica, l'onore, la stima, l'identità. Ma l'ipocrisia ha anche origine dalla paura di non essere amati, di non contare nulla per nessuno, di non avere un senso o uno scopo per andare avanti.
Questa paura, a sua volta, ha origine nella non accettazione d'essere delle creature limitate, che hanno bisogno degli altri e di Dio: l'altro è visto come una minaccia e non come il punto d'incontro della fraternità. Anche Dio, in questa interpretazione, rappresenta una minaccia, anzi la maggiore minaccia. Nella Bibbia troviamo 365 volte l'invito di Dio a "non temere", uno per ogni giorno, a partire da quel primo giorno in cui Adamo, convinto che Dio non lo amasse, ha detto: ho avuto paura e mi sono nascosto (Genesi 3,10). Potremmo leggere l'intera Bibbia con questa chiave di lettura: vincere la paura di Dio. In Ebrei 2,14-15 S.Paolo ci spiega che Gesù ha preso in comune con noi il sangue e la carne per ridurre all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Una vita dominata dalla paura è veramente angosciante. E questa paura ci rende aggressivi nei confronti degli altri. Essa è la radice di tutte le discordie, di tutte le guerre, di tutte le sopraffazioni. In questa situazione si sta nascosti, nel segreto, nelle tenebre, nelle stanze più interne. E`necessario liberarsi da questo lievito, cioè da questo spirito di ipocrisia, in modo che la nostra vita sia svelata, conosciuta, in piena luce, all'aperto sui tetti. Qui, significativamente, Gesù si rivolge ai discepoli chiamandoli amici (come avverrà nell'ultima cena: Giovanni 15,15 [2]) e ripete tre volte non temete, non preoccupatevi (vv. 4, 7 e 11) e di avere fiducia (v. 8) perché se avremo lo Spirito del Figlio, ci sarà suggerito in ogni circostanza come comportarci, ciò che bisogna dire (v. 12).
Essere uccisi significa essere martiri, testimoniare la vita fin dentro la morte. La vita biologica non è un valore assoluto da difendere a tutti i costi, tant'è vero che, prima o poi, tutti la perdiamo. La vita si realizza tanto quanto viene donata, come abbiamo già visto in Luca 9,24. Se ci cerca di trattenerla per sé la si svaluta, la si distrugge, prima ancora che finisca per il suo limite naturale.
I versetti 5 e 6 ci sconcertano per il loro forte contrasto: Dio è presentato, contemporaneamente, come colui che uccide e brucia nella Geenna e come colui che affettuosamente si occupa di tutto e di tutti, di ogni nostro capello e di ogni passero. Le due frasi affermano contemporaneamente l'assoluta signoria di Dio e la completa libertà umana. Dio è il creatore di tutto, nulla sfugge alla sua azione, anche i capelli sono tutti contati. D'altra parte Dio ci lascia liberi e non può realizzare altro, con noi, che quello che, in definitiva noi ci aspettiamo. Se accettiamo che Dio sia il Padre misericordioso allora apparterremo a lui come figli. Se lo pensiamo come un padrone cattivo da blandire servilmente allora ci escludiamo dalla sua misericordia e lui sarà quello che ci toglie la vita e la brucia. Con questo contrasto Gesù mostra in cosa consiste la trappola del modo di fare di Scribi e Farisei: non è possibile recitare una parte con Dio, è un comportamento illogico [3]: o ci si abbandona al suo amore e alla sua misericordia oppure significa che lo pensiamo come un idolo di cui non saremo mai degni e dunque, per quanto si faccia, il nostro destino è segnato. Questo modo di presentare Dio dai due punti di vista si ritrova nel finale di varie parabole come quella dei dieci servi (Luca 19,11-27 [4]) e quella degli invitati a nozze (Matteo 22,1-14 [5]). Anche nella parabola del figlio prodigo il padre misericordioso è, per i due fratelli, quello che soffoca invece la loro vita. S.Caterina da Siena ci fornisce una spiegazione illuminante applicabile a questo passo [6].
La Geenna era la valle in cui le popolazioni preesistenti Israele svolgevano sacrifici umani al dio Moloch. Gli Ebrei allora, per profanare il luogo, iniziarono a utilizzarlo per gettarvi e bruciare, con un fuoco perenne, le immondizie: una rappresentazione dell'Inferno usata da Gesù e in tutta la successiva tradizione cristiana. Se non abbiamo timor di Dio [7] e abbiamo sempre paura di morire non facciamo altro che buttare la nostra vita nell'immondizia perché la paura ci fa fare esattamente ciò che temiamo.
L'immagine dei passeri che non sono dimenticati e dei capelli contati ne riecheggiano altre nella Bibbia (ad es. Salmo 147(146),4.9 [8]) tutte tese a presentare un Dio che non ama in generale la creazione ma ne ama ogni singolo componente, anche quello che ci può sembrare più insignificante o sgradevole (il corvo). Il tema sarà ripreso poco più avanti (Luca 12,22-34) usando le immagini dei gigli, dell'erba e dei corvi.
Se noi testimoniamo con il nostro modo di vivere che siamo figli di Dio il nostro futuro sarà la realizzazione di questa figliolanza. Il nostro destino è dunque nelle nostre mani. Dio perdona anche chi lo rinnega (come sarà il caso di Pietro), anche chi non lo riconosce perché non riesce a credere: egli sa che è difficile credere a un Dio che si presenta piccolo e alla nostra mercé invece che imponente e padrone (sulla croce Gesù dirà: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» Luca 23,34). Chi invece avrà volontariamente chiuso gli occhi per non cercare la verità e la conversione, costui non potrà essere perdonato. Chi non avrà voluto camminare non potrà arrivare. Come Gesù dice ai Farisei in Giovanni 9,41: non è peccato essere ciechi, il peccato è affermare di vederci e dunque non cercare più nulla. La presunzione di sapere già impedisce ogni progresso. Peccato contro lo Spirito è anche mentire deliberatamente pur conoscendo la verità come nell'episodio in cui gli Scribi attribuiscono a Beelzebul i miracoli di Gesù o come nell'episodio di Ananìa e Saffìra in Atti 5,1-11. Dio non ci può fare figli se noi non vogliamo o, per dirla con S.Agostino: colui che ha creato te, senza di te, non salverà te, senza di te [9]. E`, purtroppo, un peccato tipico dei credenti presumere di possedere tutta la verità, di averla in tasca ed essere dunque chiusi preventivamente a ogni novità. Avviene con molti credenti d'ogni religione, anche coi cristiani, anche con alcuni atei.
La preoccupazione spesso diviene un ostacolo alla nostra occupazione cioè all'agire vero e proprio. E' una sorta di ansia che appesantisce l'attività. Troviamo qui una eco delle persecuzioni che la Chiesa stava già affrontando mentre Luca scrive. Qui Gesù dice chiaramente che la Chiesa non deve preoccuparsi se viene perseguitata anzi, potremmo dire, sulla base dell'esperienza, dovrebbe preoccuparsi quando non viene perseguitata. Sembra una regola ineludibile: o si è perseguitati o si diventa purtroppo persecutori [10].
[1] Gli attori tenevano una maschera sul volto ("persona" da cui deriva la parola personaggio) che ne nascondeva i lineamenti e aveva anche la funzione di amplificare la voce.
[2] Giovanni 15,15: Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
[3] Concetto analogo anche in Marco 8,35-38: «Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
[4] Luca 19,11-27: «... E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me».
[5] Matteo 22,7.12-13: Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città... Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?». Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».
[6] S.Caterina da Siena (1347-1380), dottore della Chiesa, scrive: Mi diceva Dio: «Nessuno può sfuggire dalle mie mani. Perché io sono Colui che sono (Es 3,14) mentre voi, non siete da voi stessi; siete nella misura in cui siete stati fatti da me. Io sono il creatore di ogni cosa che partecipa dell'essere, eccetto del peccato, il quale non è, e dunque non è stato fatto da me. E poiché esso non è in me, non è degno di essere amato. La creatura mi offende soltanto in quanto ama ciò che non deve amare, cioè il peccato... È impossibile agli uomini uscire da me; o dimorano in me sotto la stretta della giustizia che sanziona le loro colpe, o dimorano in me custoditi dalla mia misericordia. Apri dunque l'occhio della tua intelligenza e guarda la mia mano; vedrai che ti dico la verità». Allora, aprendo l'occhio dello spirito per obbedire al Padre Altissimo, vedevo l'universo intero rinchiuso nella sua mano divina. E Dio mi diceva: «Figlia mia, ora vedi e sappi che nessuno mi può sfuggire. Tutti qui sono tenuti dalla giustizia o dalla misericordia perché sono miei, creati da me, e li amo infinitamente. Qualunque sia la loro malizia, farò loro quindi misericordia a causa dei miei servi; esaudirò la domanda che mi hai presentata con tanto amore e dolore» (Dialogo della Divina Provvidenza, 18).
[7] Non si ripeterà mai abbastanza che l'espressione "timor di Dio" significa semplicemente "considerazione per Dio" ossia valutare correttamente chi Dio è.
[8] Salmo 147(146),4.9: Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome... provvede il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano.
[9] «Qui ergo fecit te sine te non te iustificat sine te» ossia «Colui dunque che ti ha fatto senza di te non ti rende giusto senza di te» (S.Agostino, Discorsi 169, 3).
[10] L'abbiamo già visto nelle beatitudini, Luca 6,22: Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo.