11In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». 14Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Il tema Gesù è venuto a liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita (Ebrei 2,15).
Questo episodio, molto toccante, è caratteristico di Luca. Da Cafarnao Gesù si è spostato a Nain (o Naim, che significa "delizie"), vicino a Sunem dove Eliseo risuscitò il figlio d'una vedova (vedi 2Re 4,8-37). Nain si trova a una giornata di cammino da Cafarnao (circa 40 km) e a 9 Km a Sud-Est di Nazareth. Oggi è un piccolo villaggio arabo con una chiesetta che si ritiene costruita sulla casa della vedova protagonista di questo episodio.
A differenza di altri casi qui non sono rilevabili né fede né preghiera di nessuno. Questo miracolo è totale iniziativa di Gesù ed è compiuto per mostrarci che la morte non ha valore definitivo: è un passaggio che Dio in questo caso capovolge in modo che noi possiamo capire. L'ultima parola che ci riguarda non è la morte della carne ma la resurrezione della carne, come recitiamo nel credo, perché l'uomo è fatto di corpo e anima.
Con questo miracolo Gesù prepara i discepoli in modo che capiscano, quando sarà il momento, la sua propria morte e resurrezione. Gesù inoltre prepara noi che leggiamo alla nostra morte e resurrezione e, infine, ci educa a vivere, già da ora, liberi dalla paura della morte. Nella tradizione cristiana il giorno della morte è infatti chiamato il Dies Natalis, il giorno della nascita, la seconda nascita, la data in cui, di norma, la Chiesa festeggia i santi. A differenza della prima nascita, che ben conosciamo ma che non controlliamo, la seconda nascita è guidata dalle nostre scelte e la gestazione dura tutta la vita terrena.
La morte dovrebbe essere un processo naturale e lineare, come una gravidanza: da Dio si ha origine e si va verso Dio. Purtroppo la nostra morte è avvelenata dal peccato ossia dal non sapere più di essere creature di Dio e di andare verso Dio: pensiamo di venire dal nulla e di andare verso il nulla. Il nostro peccato consiste nel credere che la nostra vita è abbandonata a noi stessi ed è per questo che ne siamo spaventati. Questo peccato è il pungiglione della morte (1Corinti 15,55-56) e togliendolo si rimuove la radice dell'egoismo: non devo più pensare a salvarmi da solo difendendomi e aggredendo gli altri e il creato. Se amiamo i fratelli allora sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita (1Giovanni 3,14).
Istantanea da un jazz funeral moderno in New Orleans. La banda suona un motivo lento all'andata e uno più allegro al ritorno. Tutti i partecipanti camminano a tempo danzando. Una interpretazione della morte da cui potremmo imparare qualcosa.
La predicazione e i segni operati da Gesù a Cafarnao hanno prodotto una grande folla di seguaci e curiosi. Questo corteo di persone che va verso la città incrocia quello che ne esce per condurre alla tomba il giovane figlio unico di una vedova. La città è e rappresenta il luogo della vita e dell'attività umana dalla quale uno ad uno si esce per non rientrare più. E la molta gente che accompagna il morto vede in lui l'anticipo della propria morte, a maggior ragione se il defunto è un ragazzo. Il dramma della morte viene qui mostrato in tutta sua tragicità: muore un figlio unico, giovane, che lascia la madre sola, senza appoggio e senza sostentamento. Presso tante popolazioni (gli Indiani d'America ad esempio) questo significa per la donna essere condannata a una morte di stenti. Nella tradizione indù le vedove venivano bruciate e ancora oggi la loro vita è molto difficile.
Questa scena ci ricorda anche la vicenda di Maria che fra poco sarà madre vedova con il suo figlio unico crocifisso.
Gesù viene presentato qui con una serie di verbi: va, vede e ha grande compassione: tocca a lui agire per primo perché il morto non può più chiedere salvezza. E in questo contesto Luca chiama Gesù per la prima volta "il Signore", cioè Dio, colui che è, colui che viene, che vede e ha compassione. Gesù guarda la madre e ha compassione per lei che è ancora nel mondo, perché, anche se noi lo dimentichiamo, il morto sta bene e vive con Dio. La compassione è diretta a noi che viviamo la morte come fallimento dovuto alla lontananza o inesistenza di Dio.
Anche davanti alla morte di Lazzaro Gesù piangerà per le sorelle (Giovanni 11,35) e lo resusciterà per gli increduli (11,37-38). Non è infatti un gran "favore" quello che Gesù fa ai defunti chiedendo loro di vivere ancora un po' su questa terra. Il problema della morte lo ha chi vive: la missione, vedendo le cose dal punto di vista di Dio, consiste nel far risorgere i vivi e ridare loro l'ottimismo per l'esistenza e la speranza della vita piena. Questo miracolo, come tutti i miracoli del resto, serve a comunicare a noi vivi una verità fondamentale: la morte non è la realtà ultima, non è la parola definitiva. Questo cambio di prospettiva ha parecchie conseguenze. Ad esempio val la pena di avere figli perché questi non sono destinati alla terra ma, donando loro la vita, offriamo loro il cielo. Inoltre i nostri cari ci aspettano nella vita piena e dunque, oltre a pregare per loro, possiamo chiedere la loro intercessione per noi e per i fratelli.
La compassione è quel sentimento che anche noi proviamo quando non c'è più nulla da fare e restare accanto, a condividere il dolore, è l'unica cosa che possiamo fare. Il Signore è compassionevole (anzi è misericordia, come abbiamo visto in Luca 6,36) perché, per salvaguardare la nostra libertà, l'unica azione che può fare è la sua Passione in cui rivela il suo amore.
A differenza degli idoli, che
hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono,
hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano.
Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano; dalla loro gola non escono suoni! (Salmo 115,5-7)
Gesù ha piedi, ha occhi, ha bocca e ha mani. Si rivolge alla madre e le dice: non piangere. Come in tanti altri casi (Alzati e cammina [5, 23], Destati [7,14 e 8,54], Stendi la mano [6,10], Non piangete [8,52]) il comando di Gesù è incomprensibile se non lo si considera un annuncio di salvezza: non piangere perché io entro nella tua morte. "Non piangere" non è detto da Gesù con leggerezza: Gesù piangerà su Gerusalemme, che è figura della nostra morte spirituale, del nostro non riconoscere la visita di Dio. Piangerà su Lazzaro morto. Suderà sangue nel Getsemani prima della cattura.
I portatori della bara si fermano quando Gesù la tocca. Essi sono figura della morte che è vinta non appena è stata toccata dal Figlio di Dio. Il morto si mette seduto sopra la bara e inizia a parlare cioè entra in relazione con gli altri, il segno visibile e distintivo della vita umana.
Gesù che tocca la bara ci mostra un segno di quello che compirà dopo qualche tempo con la sua croce e che professiamo nel credo con l'espressione discese agli inferi (vedi 1Pietro 3,19; 4,6). Questo articolo del credo è spiegato da Papa Benedetto XVI in questa pagina e nel catechismo). Se ne riparlerà nella pagina dedicata alla sepoltura di Gesù (Lc 23,49-56).
La meraviglia porta alla glorificazione di Dio nella forma che già aveva anticipato Zaccaria nel suo cantico: Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall'alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace (Luca 1,78-79). Nain si trova in Galilea. Questo miracolo, che si aggiunge ai precedenti, desta così tanto stupore che la notizia arriva lontano, a Giovanni Battista (Luca 7,18) e in Giudea, nella regione della capitale, Gerusalemme.