1Convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. 2E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi. 3Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. 4In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. 5Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro». 6Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.
Il tema Gesù spiega come deve essere equipaggiato il missionario. Decisamente non come ci aspetteremmo.
Il capitolo 8, come abbiamo visto, è tutto sulla parola, paragonata a un seme che ci genera secondo la sua specie. La Parola di Dio ci fa famigliari di Gesù che è nella barca assieme a tutti noi e con noi, che siamo angosciati, fa la traversata. Il suo dormire e risvegliarsi ci rivelano che l'ultima parola non è la morte. Lui ci salva dalla disperazione del male di vivere e del male di morire, ci tocca e ci prende per mano.
Il capitolo 8 termina con l'ordine di "darle da mangiare" (alla dodicenne resuscitata). Questo capitolo 9 sarà tutto sul pane, quel pane che ci rivela il nostro essere figli e, proprio per realizzare il nostro essere figli, ci spinge ad andare verso i fratelli. Questo è infatti il nucleo della missione secondo il vangelo: testimoniare con la vita ai fratelli la scoperta di essere figli di Dio realizzando così la propria umanità: l'uomo è fatto per vivere in relazione con gli altri.
Luca, a differenza degli altri evangelisti, scrive due racconti sull'invio in missione (qui, inizio del capitolo 9, e all'inizio del capitolo 10). Questa scelta non è casuale perché in altri casi Luca evita i doppioni e semplifica: ci sono, ad esempio, una sola moltiplicazione dei pani (diversamente da Matteo e Marco) e un solo cieco guarito (diversamente da Marco).
In questo episodio si racconta dell'invio dei Dodici ad annunciare la buona notizia alle dodici tribù d'Israele. Nel capitolo successivo invece verranno inviati altri 72, numero che indica i popoli conosciuti e dunque si tratta, per ora simbolicamente, dell'annuncio a tutto il mondo. Anche la missione raccontata negli Atti avrà queste due fasi. Da questi due racconti emerge che la qualifica fondamentale del figlio è di essere apostolo, cioè inviato, messo sulla via. Quanto viene qui descritto vale per tutti, perché tutti siamo chiamati a essere figli e dunque tutti siamo inviati.
Innanzitutto i discepoli sono convocati ossia la missione è una attività che si concorda e si porta avanti insieme: niente battitori liberi, nessuno può dirsi "maestro" (cfr. Matteo 23,8 [1]). I "Dodici convocati" formano la Chiesa il cui elemento unificante è il riconoscersi figli e i figli tra loro si accettano in quanto figli, fratelli, non perché abbiano altri elementi di affinità.
La capanna utilizzata come casa e cappella dal Beato Clemente Vismara a Mong-Lin in Birmania tra il 1924 e il 1929.
Non viene indicato che cosa annunciare ma solo come presentarsi. La credibilità del messaggio non dipende infatti dalle imprese e dai successi organizzativi ma dal sapersi accettare gli uni gli altri nella diversità (di razze, di culture, di opinioni). La Chiesa non è un partito, non è una associazione culturale o sportiva, non è una ong: queste organizzazioni selezionano i propri membri per affinità. Nella Chiesa non deve essere così e quando invece questo accade è un male.
Gesù dà ai Dodici la forza, cioè lo Spirito Santo, l'amore di Dio che ama tutti (cfr. Atti 1,8 [2]): questa è e deve essere l'unica forza dei cristiani. Inoltre dà loro anche il potere, ossia il potere di perdonare (cfr Luca 5,24 [3], prima ricorrenza della parola potere in Luca). Questo è quanto riceviamo dal Padre in quanto figli: l'amore e la capacità di perdonare che ci permettono di combattere i demòni (i servitori del Divisore, il Diavolo, colui che ci separa dal Padre, da noi stessi, dai fratelli, ed è causa di ogni male) e le malattie (l'origine delle patologie era ignota, a quel tempo e le malattie si ritenevano provocate da spiriti maligni). Con questo equipaggiamento si può annunciare il Regno e si possono guarire quelli che cadono, non stanno in piedi (gli infermi), i perduti. Ogni altro corredo (come la piccola spada di Pietro nel Getsemani, Luca 22,50) rappresenta una contro-testimonianza. Non ci occorre nient'altro. Innanzitutto perché quando disponiamo di beni materiali siamo tentati di difenderli e dunque finiamo di essere liberi nell'amore e nella fraternità. Inoltre, come ci riportano molti missionari e molti santi, quando non si hanno più "cose" da dare, si comincia a offrire la cosa importante: se stessi. Anche Gesù ci ha salvato offrendo la sua vita per noi piuttosto che procurarci beni e strumenti materiali. Questa povertà non è un sacrificio: è la libera vendita di tutti i propri averi per acquistare il tesoro o la perla di grande valore (Matteo 13,44-46).
Niente bastone, simbolo di tutto quanto potenzia la mano cioè le possibilità dell'uomo: scienza, tecnologia, cultura. Il bastone è anche lo scettro, il segno del re che domina e ha potere di vita e di morte. In Marco 6,8 invece troviamo indicato "nulla tranne il bastone" perché ci si rifà a un simbolo diverso, il bastone di Mosè che prefigura il legno della croce. Niente sacca o bisaccia, niente pane e niente denaro: non facciamo affidamento su quanto crediamo ci garantisca il futuro. Anche Davide, per affrontare Golia, dovette liberarsi dell'armatura di Saul (1Samuele 17,38-39). Se vogliamo conquistare il cuore del fratello dobbiamo essere sprovveduti. Altrimenti ce ne impadroniamo e gli togliamo la libertà. Non due tuniche, ossia nulla oltre il necessario: l'altra tunica è per quel fratello che è nel bisogno.
Questo elenco di esclusioni può sembrare eccessivo ma risponde alla logica della fraternità: se si va incontro al fratello ricchi del proprio avere lui resterà sulla difensiva. Se invece si va poveri lui abbasserà le difese e si realizzerà la fraternità. La storia della Chiesa ha confermato spesso questa affermazione: quando ci si presenta "armati" di strutture, di organizzazione e magari appoggiati dal potere civile la comunità non attecchisce; quando poi, a causa dei mutamenti storici, questa situazione finisce e la Chiesa diventa addirittura perseguitata allora le persone cominciano a chiedersi: "ma perché restano ancora qui?" e le conversioni fioriscono. Pietro e Giovanni applicheranno subito questa regola ad es. in Atti 3,5-6 [4].
Quando si entra in casa d'altri ci si deve comportare come ospiti, non come padroni, adattandosi all'orario, al cibo e alle usanze: questo è il nucleo di quel che si intende con inculturazione, un processo che arricchisce entrambe le parti. In sostanza questo brano sembra suggerire, per il missionario, più che un metodo per accogliere i fratelli, un metodo per essere da loro accolto e accettato.
La possibilità di non essere accolti è dichiarata già all'inizio. Gesù non sarà accolto e testimonierà con la sua croce un amore più forte della non-accoglienza. Quando si entrava nella Terra promessa si scuotevano i piedi per lasciare fuori la terra pagana. Dunque con il gesto di scuotere la polvere non si vuol esprimere alcuna stizza o ripicca ma si vuol mettere sull'avviso che si sta rifiutando la nuova Terra Promessa (come vedremo più in dettaglio al cap. 10).
[1] Matteo 23,8: Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli.
[2] Atti 1,8: ... riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni...
[3] Luca 5,24: ... perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati...
[4] Atti 3,5-6: [Lo storpio] si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa. Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!».