21«Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. 22Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!». 23Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.
24Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. 25Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. 26Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. 27Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.
28Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; 29e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, 30perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele. (...)».
Il tema Non si tratta di conoscere se Giuda sia salvato o dannato: si tratta di capire che siamo salvati in quanto dannati. "Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". In Giuda si rivela il mistero di Dio come amore senza condizioni. Questo è l'amore che salva il mondo.
Nell'ultima cena Gesù riassume il senso della propria vita: come Figlio lui tutto ha ricevuto come dono e tutto ha donato ai fratelli. Ci invita a fare memoria, a ricordare tutto questo e a fare altrettanto con la nostra vita: vivere da figli e da fratelli. Davanti a questo amore di Dio si manifesta quel che siamo noi: in questo brano fanno ben magra figura i discepoli, dopo tre anni di catechesi impartita da Dio in persona! Gesù si sta donando a chi lo tradisce, a chi non lo capisce, a chi cerca un successo personale e litiga per questo, a chi lo rinnega e abbandona come vedremo fra poco. E non è che Gesù non sapesse la verità su tutto questo. Però lui non cambia programma: dono di sé era e dono di sé rimane.
In questo quadro vediamo rappresentata anche la storia della Chiesa, la nostra Chiesa, quella di cui facciamo parte. Il senso del vangelo è infatti: Cristo è morto per i peccatori di cui ciascuno di noi è il primo (cfr. S.Paolo in 1Timoteo 1,15 [1]). Questo passaggio ci porta a capire veramente che siamo amati e dunque a convertire ogni giorno la nostra vita.
Nel film Nativity (circa a 1h01' dall'inizio) troviamo Erode che trasmette i propri (numerosi) peccati al povero bue che sarà subito sacrificato. Secondo la credenza del tempo poteva così ritenersi giustificato. Un'idea alquanto orrida della giustizia divina.
Questa parte del vangelo ci invita a identificarci con Giuda, con gli altri e poi con Pietro. Se siamo onesti nell'esame di noi stessi possiamo anche uscirne confortati: in questo modo si è comportato il primo "collegio cardinalizio" della storia. Se siamo coscienti d'essere dei peccatori e non dei giusti allora possiamo entrare a far parte del regno di Dio.
Gesù non nomina il traditore ma noi sappiamo che si tratta di Giuda e tendiamo a considerare questo come un sollievo: è lui e non sono io. Così anche gli altri discepoli cercano di identificare il traditore per potersi chiamare fuori. Succede anche nella storia e nella politica di ogni tempo: si identifica il colpevole per potersi ritenere giusti e assolti. Invece Giuda è uno di noi, è nostro fratello, e l'affannoso domandarsi dei discepoli "sono forse io?", come riportano Matteo 26,22 [2] e Marco 14,19 [3] (ma si veda anche Giovanni 13,22-25 [4]) mostra che essi sono ancora fuori dalla logica del vangelo: sono preoccupati di essere "puliti" invece che felici di essere amati.
Giuda rappresenta quel male che è nel mondo, e in noi, e che porta a rifiutare l'ipotesi che Dio voglia bene a tutti. La mano di Giuda è sulla tavola, la stessa tavola dove la mano di Gesù spezza il pane offrendo così la sua vita per noi. Pietro è colui che, come noi, non vuole essere come Giuda. Non capisce d'essere invece uguale a Giuda fino a che, dopo aver rinnegato Gesù, capirà di essere anche lui come Giuda, un peccatore cui Gesù vuol bene.
Giovanni, l'unico dei discepoli che troveremo sotto la croce, rappresenta un po' il punto d'arrivo: è detto (nel vangelo omonimo) il discepolo amato, cioè colui che capisce d'essere amato. Questi tre discepoli (Giuda, Pietro, Giovanni) rappresentano dunque tre aspetti che coesistono, in diversa misura, in ciascuno di noi.
Tanta letteratura viene da sempre spesa per stabilire se Giuda sia dannato o no ma è un modo errato di porre la questione: tutto quel che sappiamo, e che dobbiamo sapere, è che Gesù è morto per Giuda. Non si tratta di conoscere se Giuda sia salvato o dannato: si tratta di capire che siamo salvati in quanto dannati. L'inferno è il vivere male del mondo che non conosce l'amore di Dio. Ogni Giuda è all'inferno finché non capisce di essere amato come Giovanni. "Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" (Luca 19,10 a proposito di Zaccheo). In Giuda si rivela il mistero di Dio come amore senza condizioni.
E` pure falsa l'idea che Giuda reciti un copione toccatogli per mala sorte (come sostiene qualche disinvolto teologo e come troviamo in qualche apocrifo). In Giuda si compie la scrittura come Dio da sempre ha fissato: Giuda è l'uomo perduto che riceve il corpo di Cristo. Nel Vangelo di Giovanni (13,26b [5]), addirittura, Giuda è l'unico che riceve il pane direttamente da Gesù. Secondo il modo tradizionale di prendere cibo i piatti di portata stanno al centro e tutti attingono direttamente con le mani. Vi sono dunque tante mani e i vangeli sono tutti concordi sul fatto che nessuno capì (Giovanni 13,28), in quel momento, chi fosse la persona cui Gesù si riferiva. Tante mani significa anche che il traditore poteva essere ciascuno di loro, ciascuno di noi. Si ripete il peccato di Adamo, la cui mano prende e ruba ciò che gli viene donato. Gesù se ne va (non viene detto: muore) per il male del mondo perché così è il modo di agire di Dio.
Poi Gesù aggiunge «ahimè per quell'uomo» (non "guai" come di solito si traduce, anche nelle beatitudini) che significa: patisco io il male di quell'uomo. Dio soffre per il male dell'uomo. La croce è infatti l'"ahimè" di Dio per il male del mondo, perché realmente Dio porta su di sé il nostro male.
Dal punto di vista di Giuda (e di tutti gli altri) il vero traditore è Gesù: non ha usato i suoi super-poteri per risolvere i problemi, per moltiplicare il pane, sconfiggere i Romani, punire i cattivi sacerdoti e scribi e instaurare così il regno come i discepoli lo immaginavano. Gesù poteva fare tutto questo e non lo ha fatto [6]. Siamo onesti: non pensiamo spesso anche noi di Dio in questo modo, nei momenti di sconforto? Ma questo è quel che suggerisce Satana nelle tentazioni. Per questo, Giuda rappresenta qui il peccato del mondo, il peccato di Adamo, di Pietro, degli altri discepoli, degli Scribi, Farisei e Sacerdoti, di tutti noi.
Matteo è l'unico che racconta che poi Giuda andò ad impiccarsi (27,5 [7]) perché il suo intento è rappresentare la massima empietà dell'uomo, quando il peccatore, invece di capire la misericordia di Dio, decide di pagare con la propria vita per il male compiuto in modo da saldare il conto. Dio non vuole essere pagato e non vuole pagare nessuno, né per il bene né per il male. Il proverbio "Dio non paga il sabato" è evangelicamente sbagliato: Dio non paga e basta.
Non è la prima volta che i discepoli litigano tentando di prevalere gli uni sugli altri (avviene anche in 9,46): tipico modo di fare di chi non si sente amato e dunque pensa di non avere valore. Se penso di valere nulla allora devo tentare di pre-valere e vincere. A noi disturba un po' che questo litigio avvenga proprio nell'ultima cena ma, se ci pensiamo, la radice di tutti i litigi nella nostra vita quotidiana, in famiglia è proprio il bisogno di prevalere perché altrimenti crediamo di non valere nulla. La grandezza dell'uomo consiste nell'essere voluto bene da Dio e non nel prevaricare gli altri scaricando la propria infelicità rendendo così infelici anche gli altri. Gesù poi marca la differenza tra i potenti della terra - che si fanno pure chiamare benefattori mentre in realtà dispensano infelicità - e quelli che vogliono essere suoi discepoli. «Per voi però non sia così»: il criterio tra noi discepoli deve essere diverso. A tutti i livelli, nella famiglia, nel lavoro, nelle relazioni sociali, il più grande è chi maggiormente serve gli altri. Ce ne accorgiamo quando gli spazzini o gli autisti dei mezzi pubblici scioperano: la città piomba nel caos.
Tutti questi discepoli che litigano non sono diversi da Giuda: hanno la sua stessa scala di valori sbagliata. Ma Gesù si dona per tutti loro e questo è l'unico punto importante e confortante per noi, che pure siamo come loro. Questo è il motivo per cui, nella S.Messa, prima della distribuzione dell'Eucarestia, si prega dicendo "Non son degno di partecipare alla tua mensa ma di' soltanto una parola e io sarò salvato". Si fa la Comunione proprio perché non si è degni. Spesso invece si inculca l'idea orribile che poter fare la Comunione sia una sorta di premio per i più bravi.
Luca forse ha in mente la lavanda dei piedi, raccontata estesamente da Giovanni, quando riporta che Gesù dice: «io sto in mezzo a voi come colui che serve». E` un po' come se Gesù dicesse: se voi pensate che sia più importante chi sta sdraiato a mensa ecco, guardate, io sono colui che vi serve, voi siete molto importanti per me. L'egoismo si serve dell'altro, l'amore invece serve l'altro. L'egoista ritiene che l'unico libero è colui che si fa servire e che si serve degli altri. Gesù invece ci ricorda che la libertà è essere servi gli uni degli altri, come fa Dio con noi.
Per Giuda che tradisce, per Pietro che lo rinnega, per tutti che litigano, per tutti noi insomma, Gesù prepara un regno come il Padre l'ha preparato per lui. Qui Gesù dichiara apertamente il suo amore per noi, un amore che è come quello che lui riceve dal Padre. Dio ama i suoi discepoli che sono restati con lui in tutto questo tempo di prove e tentazioni (pur cadendo essi continuamente).
L'unica altra persona cui Gesù prometterà il regno è il malfattore in croce. Il regno è dunque di noi tutti quando comprendiamo di essere perduti e salvati, quando in noi cessa l'inganno del male.
Questo amore è il giudizio sul mondo, rappresentato dalle dodici tribù di Israele. Questo è l'amore che salva il mondo.
[1] 1Timoteo 1,15: Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io.
[2] Matteo 26,22: Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?».
[3] Marco 14,19: Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?»
[4] Giovanni 13,22-25: I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?».
[5] Giovanni 13,26b: E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota.
[6] Nel Vangelo di Matteo (26,52-54) Gesù spiega questo concetto in modo molto chiaro a Pietro che aveva tentato di difenderlo al momento della cattura nel Getsemani: Allora Gesù gli disse [a Pietro]: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?»
[7] Matteo 27,5: Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi.