1Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato 2e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re». 3Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». 4Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo». 5Ma essi insistevano: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui».6Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo 7e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme.8Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. 9Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. 10C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. 11Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. 12In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro.
Il tema Qui Gesù ridà il vero significato alla parola "re", parola che in ogni tempo identifica l'uomo ideale, realizzato e libero, immagine di Dio sulla terra. Purtroppo il re, in tutte le culture, è quel bandito più forte, che ammazza il rivale e garantisce - se va bene - una certa pace sociale fondata sulla violenza finché non arriva uno più forte di lui a ucciderlo e sostituirlo. Gesù aveva già avvertito i suoi discepoli: fra di voi non sia così, come io che sto in mezzo a voi come colui che serve (cfr 22,25-27).
Durante il processo religioso Gesù si è rivelato - nel suo volto velato e percosso - come il Figlio di Dio e il Messia atteso. Ma non è stato riconosciuto da nessuno: non da Giuda, né da Pietro né da nessuno dei discepoli e, naturalmente, non dai sommi sacerdoti e gli scribi. In queste pagine vediamo come Gesù svolga una operazione-verità in cui ridà il significato originario alle parole e ripari il danno fatto da colui che fu ingannatore fin dall'inizio, Satana [1]. Particolarmente in queste pagine le parole Dio, Padre, libertà, giustizia, amore, relazione, legge, ... riacquistano il loro significato originale. Nel processo religioso abbiamo visto che Dio non è il dio che spadroneggia e che va servito per compiacerlo e salvarsi la vita ma colui che sacrifica la sua propria vita e si lascia uccidere perché ci vuol bene.
Durante il processo politico, che inizia ora da Pilato, Gesù ridà il vero significato alla parola "re" [2], parola che in ogni tempo identifica l'uomo ideale, realizzato e libero che rappresenta Dio sulla terra.
I Romani lasciavano ai popoli sottomessi l'amministrazione sia della giustizia che del patrimonio locale purché pagassero i tributi a Roma e rimettessero i casi più gravi, che comportavano la pena di morte, al potere imperiale. Il sinedrio dunque mal sopportava la dominazione romana, che limitava fortemente il suo ambito d'azione, ed è ora costretto a rivolgersi a Pilato non avendo potere di vita e di morte su Gesù. A Pilato le questioni teologiche non possono interessare. Allora davanti a lui, che rappresenta il "Divino Cesare Augusto" (cioè l'imperatore Tiberio), viene portata l'accusa che Gesù si è proclamato re.
La regalità di Gesù percorre tutto il vangelo. Già nell'annunciazione viene detto, dall'angelo che sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine (1,32-33). Poi, a Natale, gli angeli proclamano che nella città di Davide, è nato per voi [i pastori, il popolo] un Salvatore, che è Cristo Signore (2,11). Nella seconda tentazione Satana offre a Gesù tutti i regni della terra (4,1-13). Anche gli indemoniati lo proclamano il Cristo, il Santo di Dio. La regalità di Gesù emerge anche nell'episodio del cieco di Gerico (18,38) e durante l'ingresso a Gerusalemme (19,38). La regalità di Gesù è in questione qui nel processo da Pilato e infine sarà scritta nel cartiglio sopra la croce: (23,38).
Il re, in tutte le culture, è quel bandito più forte, che ammazza il rivale e garantisce - se va bene - una certa pace sociale fondata sulla violenza finché non arriva uno più forte di lui a ucciderlo e sostituirlo. Questo è il modello di re più o meno riconosciuto da tutti, anche da noi, il modello desiderato dalla folla che condannerà Gesù. Il male sta dunque dentro l'animo di ciascuno di noi. Gesù aveva già avvertito i suoi discepoli: fra di voi non sia così, come io che sto in mezzo a voi come colui che serve (cfr 22,25-27). La Bibbia è l'unico libro di storia che dà ragione sistematicamente alle vittime, da Abele in poi. La cultura di gran lunga dominante invece ha sempre fatto l'apologia del potente e oppressore di turno fino a che non viene spodestato dal successivo.
Per il potere romano (rappresentato da Pilato) Gesù è innocuo («Non trovo nessuna colpa in quest'uomo») mentre per il reuccio locale (Erode) è un povero pazzo. Soltanto per il potere religioso Gesù è invece un pericoloso bestemmiatore. E` quel che ci ricorda S.Paolo:
La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione,ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio.Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti.Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo?Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo?Infatti, poiché il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio,è piaciuto a Dio, nel suo sapiente disegno, di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione.E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza,noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani;ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio.Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1Corinti 1,18-25)Se, a cominciare da noi cristiani, si applicasse la lieta novella portata da Gesù di considerarci figli e fratelli, si opererebbe l'unica vera rivoluzione che distruggerebbe ogni potere dell'uomo sull'uomo.
Le accuse politiche contro Gesù sono tre: sobilla il popolo, impedisce il pagamento dei tributi e afferma d'essere il re delle antiche profezie. E` accusato davanti a Pilato di sobillare il popolo con idee sovversive della religione: Dio non può essere un uomo, per di più un falegname della Galilea (cfr. Luca 4,22: «Non è costui il figlio di Giuseppe?»). Questa accusa non è particolarmente interessante per Pilato, lo è di più la seconda che però è palesemente falsa: Gesù ha detto di rendere a Cesare ciò che è di Cesare (20,25). La terza accusa è quella politicamente più delicata: Gesù si è proclamato re ed è l'unica accusa che Pilato prende in considerazione. Non era raro che in Palestina sorgessero dei movimenti eversivi "cristici" ossia capeggiati da qualcuno che si autoproclamava Cristo, Messia, e tentava di prendere il potere.
Pilato però doveva avere buoni informatori perché può smentire gli inviati del sinedrio: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo» e anche Matteo, nel suo vangelo, puntualizza: [Pilato] sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia (Matteo 27,18). Saputo che veniva dalla Galilea (anche gli inviati del sinedrio sanno che la famiglia è di Nazaret) Pilato ne approfitta per un atto di cortesia formale verso il re Erode Antipa e anche per scaricarsi del fastidio. Solo Luca riporta questo particolare dell'incontro di Gesù con Erode. Già dal capitolo 9 sappiamo che Erode desiderava vedere questo rabbi di cui si dicevano cose prodigiose ma sappiamo anche che non desiderava cambiar vita. Per lui Gesù era solo una curiosità, un diversivo per combattere la noia. Aveva delle grandi aspettative in tal senso: infatti Luca precisa che lo interrogò con molte domande.
La trama dell'intero processo è comunque gestita dai religiosi, i sommi sacerdoti e gli scribi: sono loro che interrogano Gesù per primi, sono loro che lo accusano davanti a Pilato e infine sono loro che cercano con insistenza di ottenere una condanna da parte di Erode. Se già Pilato aveva concluso che Gesù era innocuo Erode lo "nientifica" lo considera zero (questo il significato letterale della parola tradotta con "lo insultò") e lo tratta come un bambino ("lo schernì"). Erode poi maschera Gesù come si fa a carnevale, la festa dei pazzi, in cui il più disgraziato viene travestito da re, per burla. La veste candida ("splendida") è anche quella di cui veniva rivestito il candidato imperatore che si toglieva quella rosso porpora (e rosso sangue!) con la quale aveva sterminato gli oppositori. Potrebbe trattarsi in questo caso di una sottile presa in giro di Erode verso Pilato, che in questo periodo è gravemente in difficoltà con Tiberio a causa delle vicende di Seiano [3].
Quel che noi tutti dovremmo imparare è che i veri re da burla sono i potenti di questo mondo: il loro piccolo regnare, che causa sofferenze a molti, dura un attimo della storia e poi "è subito sera". La loro potenza è solo una potenza di male, e male facciamo noi se li ammiriamo e invidiamo. In questo processo si realizza la profezia di Simeone: Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione... affinché siano svelati i pensieri di molti cuori. Nella Passione cadono tutti: discepoli, religiosi, politici, popolo.
La condanna di Gesù riconcilia gli avversari, Erode e Pilato diventano amici, perché hanno trovato un capro espiatorio in cui sfogare la propria violenza e l'ostilità che avevano l'uno contro l'altro. Per Luca, che scrive in tempi ormai di persecuzione, è importante sottolineare che il potere civile, rappresentato da Pilato ed Erode, non aveva nessuna intenzione di condannare Gesù e si era trovato concorde su questo. Per la stessa ragione Luca omette anche di raccontare i particolari della coronazione di spine, della veste data dai soldati, del saluto ("salve re dei giudei!" Matteo 27,29, Marco 15,18 e Giovanni 19,3) e dei colpi di bastone, parodia dell'incoronazione di un re. Giovanni invece sviluppa il processo a Gesù in ben sette scene in cui, in modo ancora più evidente, si svolge il processo da parte di Gesù nei confronti dei criteri e dei potenti di questo mondo.
[1] Genesi 3,1-5: Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».
[2] Nel cattolicesimo la festa di Cristo Re (l'ultima domenica dell'anno liturgico) fu introdotta da Papa Pio XI con l'enciclica Quas Primas dell'11 dicembre 1925, già presenti da tempo il comunismo sovietico, il fascismo in Italia e con i primi segnali di quel che sarà il nazismo in Germania. La festa intendeva sottolineare, in un periodo di autoritarismi, che il vero re è Gesù Cristo, il Crocifisso, ed era una critica a tutte le idolatrie politiche.
[3] Ponzio Pilato fu procuratore in Giudea dal 26 al 36 d.C.; il prefetto Seiano, in precedenza vicinissimo a Tiberio e amico e protettore di Pilato, era caduto in disgrazia presso l'imperatore e fu da lui fatto massacrare, insieme a vari familiari, nell'ottobre del 31 d.C., meno di 18 mesi prima della passione di Gesù. La posizione di Pilato era dunque divenuta molto fragile e vulnerabile ad accuse di non difendere adeguatamente la regalità e la divinità del Divino Cesare. I membri del sinedrio lo sapevano e ne approfittavano. Dopo il 36 di Pilato non abbiamo più notizie. C'è chi lo ritiene suicida (Eusebio di Cesarea III sec.) e chi ritiene si sia convertito e lo venera come santo (chiesa Etiope, VI sec.).