18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.22«Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Il tema Per credere in Gesù occorre innanzitutto la disposizione d'animo a "spezzare il pane". Occorre poi lasciarsi interrogare da lui evitando di applicargli le nostre idee, false dal giorno della caduta nell'Eden. Il Dio che Gesù presenta non può essere accettato dalle persone religiose: il Dio giusto che si lascia giustiziare, il Dio che dona la vita invece di toglierla è un Dio opposto all'immagine satanica che ci portiamo dentro.
Siamo nel capitolo in cui si passa dalla seconda parte del vangelo - capitoli 3-9 dove si è annunciato chi è Gesù - alla terza parte - capitoli 10-18 in cui ci si prepara alla contemplazione della croce durante il viaggio verso Gerusalemme. Gesù chiede ai discepoli cosa si dice in giro (vv. 18-19), chiede cosa loro hanno invece capito (vv. 20-21), spiega ad essi cosa comporti seguirlo (vv. 22-27) e infine si manifesta con la trasfigurazione (vv 28-36). Qui Luca concentra la definizione di chi è Gesù, una sorta di conclusione della parte precedente e di titolo per la successiva.
Gli altri sinottici (Matteo 16,13; Marco 8,27) spiegano che questa scena si svolge nel punto più lontano da Gerusalemme, ai piedi del massiccio dell'Hermon, a Panias, città dedicata al dio greco Pan e poi ribattezzata Cesarea di Filippo in onore di Tiberio da Filippo, figlio di Erode. Luca invece fornisce una indicazione più spirituale: il luogo dove possiamo cominciare a capire qualcosa è la preghiera [1] perché la preghiera è il luogo in cui stiamo davanti a Dio e dunque possiamo trovare noi stessi.
Spesso si pensa alla fede in Gesù come ad un atto della ragione o del cuore indipendenti dal modo di vivere. Invece, più che una "questione di fede", credere in Gesù è una questione di stile di vita. Se il nostro stile è quello di Erode noi non possiamo credere. Se il nostro stile è invece quello di discepoli disposti a cambiare ogni giorno, spezzando il pane, allora possiamo arrivare a credere. Come ci ricorda S.Agostino il nostro pensare, in fondo, è sempre una giustificazione teorica del modo in cui viviamo. Secondo lo stile con cui viviamo noi crediamo o in un Cristo oppure in un altro. Gli stessi discepoli, che qui riconoscono Gesù come il Cristo, impiegheranno tutta la terza sezione del vangelo e oltre per capire: infatti comprenderanno veramente solo dopo la pentecoste che il Cristo in cui dicevano di credere prima era esattamente l'opposto di quello vero. Anche noi, che qualcosa abbiamo intuito dal segno dei pani, dovremo ora seguire tutta la terza sezione del vangelo per imparare a non confondere Gesù con le nostre idee.
La parte del vangelo che inizia ora provvederà a spiegare in che senso Gesù è il Cristo e in che senso è Dio. Ma questa proclamazione di Pietro resterà, fino alla resurrezione, il massimo vertice di comprensione di cui i dodici sono capaci: i 15 capitoli seguenti non sembreranno produrre effetti positivi (Luca 9,45: «Essi però non capivano queste parole»; Luca 18,34: «non compresero nulla»). E anche all'Ascensione chiederanno «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (Atti 1,6).
La fede comincia col lasciarsi interrogare da Gesù, più che nell'interrogarci noi su di lui. Nell'episodio della tempesta sul lago erano loro a interrogarsi (8,25) e anche Erode si faceva domande (9,9). Quando domandiamo noi, di solito, crediamo d'avere già le nostre risposte dunque non ci mettiamo in discussione e non approdiamo a nulla di nuovo. Dell'identificazione di Gesù con il profeta Elia si è parlato nell'episodio sui pensieri di Erode.
Le folle cui qui si fa riferimento sono evidentemente costituite da persone religiose e che si ritengono preparate: le loro risposte sono - per così dire - già preconfezionate, prese dalla loro cultura ed esperienza. Ma così non possono trovare nulla di nuovo e soprattutto nulla di utile, anche fornendo risposte formalmente corrette. Il problema non è culturale ma esperienziale: chi è Gesù per te qui e adesso. La domanda preliminare di Gesù serve proprio per sbarazzarsi di questa specie di catechismo a memoria. Non è una specie di sondaggio quel che Gesù fa, è un servizio a noi perché prendiamo coscienza. Occorre anche smascherare una certa malizia che tende a inquadrare nel passato la novità presente, come a volerla incasellare, in maniera che non disturbi più di tanto. Anche oggi quando si associa la figura di Gesù a famosi mediatori con il divino (Socrate, Buddha, Confucio, ...) si realizza lo stesso meccanismo distorsivo: si prende di Gesù solo quel che interessa.
A questo punto Gesù, con un «ma voi», che si può tradurre con "lasciamo perdere le ovvietà e i sentito dire", chiede ai discepoli - e a noi Chiesa - cosa hanno sperimentato di lui e che conseguenze ha per il nostro agire l'averlo conosciuto. E` importante per noi sforzarci di rispondere a questa domanda per verificare quanto le nostre effettive convinzioni siano coerenti con il vero Gesù. Rischiamo altrimenti di vivere in un perenne equivoco che consiste nel "credere di credere" ma in realtà stiamo credendo nel Gesù sbagliato. Questa domanda è sempre attuale, per non uniformarci alle risposte scontate della folla. Papa Francesco ha commentato questo passo a Santa Marta il 20.02.2014 [2].
La risposta di Pietro è esattissima: Gesù è il Cristo, cioè il Messia mandato da Dio a rinnovare il mondo. Ma, per quanto corretta, questa risposta è ambigua perché tutto dipende dall'idea di Dio che Pietro ha. Tutta la seconda parte del vangelo è una catechesi dedicata ai discepoli per far capire loro il mistero di Dio che non è quello della nostra falsa immagine.
A questo punto Matteo (16,18-19) riporta il conferimento a Pietro del "potere delle chiavi": «Su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Luca invece ricorderà tale mandato nell'ultima cena (Luca 22,32): «Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». L'evangelista Giovanni invece si occupa di questo tema dopo la resurrezione (21,15ss).
Gesù ordina severamente ai suoi discepoli di non riferire ad alcuno questa rivelazione ed utilizza gli stessi termini che adopera con i demòni (Luca 9,33b-35a). E` infatti satanico professare la fede in Dio se il Dio che si professa non è il Crocifisso. E` dunque troppo presto per dare questa notizia cui nessuno, nemmeno i discepoli, è preparato. Al processo contro Gesù, nonostante la consegna del silenzio, questa domanda (Luca 22,70: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?») sarà la causa della sentenza di morte.
Gesù collega il Figlio dell'Uomo, la figura divina rivelata in Daniele 7,13, con il servo di Jahvè raccontato da Isaia (Isaia 42; Isaia 49,1-6; Isaia 50, 4-11). Con "deve soffrire" Gesù non intende una privata scelta morale di perfezione ma una necessità, un percorso storico obbligato per poter salvare l'umanità. Non esiste altra strada: bisogna che il Figlio dell'Uomo soffra il male dell'Uomo. Gesù salva noi proprio evitando di salvare se stesso contrariamente a quanto facciamo noi comunemente: per tentare di salvare noi stessi noi mettiamo in croce tutti gli altri. L'egoista salva se stesso, chi ama salva l'altro: questo messaggio è penetrato nella nostra cultura e lo ritroviamo ad esempio in molte saghe raccontate dalla letteratura e dal cinema.
Gesù porterà su di sé la maledizione del potere dell'uomo sull'uomo, rappresentato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi ossia dall'oppressione economica, religiosa, culturale concentrata nel potere del sinedrio. Gesù morirà come bestemmiatore perché il Dio che presenta non può essere accettato dalle persone religiose. Il Dio giusto che si lascia giustiziare, il Dio che dona la vita invece di toglierla è un Dio opposto all'immagine che ci portiamo dentro dall'Eden.
La definizione di Pietro («Il Cristo») e la "spiegazione" di Gesù («Il Figlio dell'uomo deve soffrire...») sono inscindibili per una fede cristiana autentica. La definizione senza spiegazione proclama proprio il tipo di messia antitetico a Gesù. La spiegazione senza definizione mostra un eroismo umano insensato e senza speranza.
A questo punto Marco (8,32-33) e Matteo (16,22-23) raccontano come Pietro tenti di "difendere" il suo Gesù da se stesso e come Gesù invece lo sgridi e gli ordini di non stargli davanti - dove gli è d'inciampo - ma dietro, come discepolo. Gesù non vuole essere difeso perché la sua "salvezza" sarebbe la perdita di tutti. Questo schema si ritroverà in tutti i prossimi capitoli fino al Getsemani quando Pietro tirerà fuori la spada per una estrema difesa del suo Gesù (Giovanni 18,10 [3]).
Pietro è chiamato "Satana" non perché sia cattivo ma perché "pensa secondo gli uomini" come anche noi, che pensiamo secondo l'immagine di un dio cattivo: in questo consiste il peccato originale. Molto male nel mondo viene fatto in nome di Dio perché non è il vero Dio ma la sua falsa immagine. Già durante la pesca miracolosa Pietro aveva intuito di trovarsi davanti la potenza di Dio e aveva reagito secondo la propria falsa conoscenza: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore» (Luca 5,8): Gesù invece è Dio proprio perché cerca i peccatori.
Da questo momento nel vangelo comincia lo scontro fra il Cristo di Dio e l'immagine di Cristo e di Dio che ne hanno i discepoli, una lotta rappresentata figurativamente dalle convulsioni degli indemoniati. Il tema della seconda parte del Vangelo sarà spiegare cosa significhi il versetto 22: Il Figlio dell'Uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
[1] Luca mostra Gesù in preghiera dopo il battesimo (3,21), dopo aver guarito il lebbroso (5,16), prima di costituire i dodici (6,12), qui prima di rivelarsi ai discepoli (9,18), nella trasfigurazione (9,28), prima d'insegnare il Padre Nostro (11,1), nel Getsemani (22,41) e infine sulla croce (23,34.46).
[2] «Tante volte Gesù si rivolge a noi e ci domanda: ‘Ma per te chi sono io?’ ottenendo la stessa risposta di Pietro, quella che abbiamo imparato nel catechismo... Questa prima domanda – ‘Chi sono io per voi, per te?’ – a Pietro, soltanto si capisce dopo una lunga strada, una strada di grazia e di peccato, una strada di discepolo. Gesù a Pietro e ai suoi Apostoli non ha detto 'Conoscimi!' ha detto ‘Seguimi!’. E questo seguire Gesù ci fa conoscere Gesù. Seguire Gesù con le nostre virtù, anche con i nostri peccati, ma seguire sempre Gesù. Non è uno studio di cose che è necessario, ma è una vita di discepolo» (Papa Francesco, Santa Marta, 20.02.2014).
[3] Giovanni 18,10: Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. La stessa scena, come è raccontata da Matteo 26,52-56, è estremamente eloquente: «Allora Gesù gli disse: "Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?". In quello stesso momento Gesù disse alla folla: "Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti". Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono».