5Poi aggiunse: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, ho bisogno di tre pani, 6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; 7e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è gia chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; 8vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza. 9Ebbene io vi dico: continuate a chiedere e vi sarà dato, continuate a cercare e troverete, continuate a bussare e vi sarà aperto. 10Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. 11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? 12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».
Il tema Insistete, date fastidio a Dio, anche se vi sembra che Dio sia sordo, anche se vi sembra di non ottenere quel che chiedete. La preghiera ci porta a un rapporto vero con Dio e a quel punto la porta si apre e ci viene donata la vita (i pani della prima parabola) e lo Spirito Santo cioè l'amore stesso di Dio.
Questo brano è un commento alle parole "dacci oggi il nostro pane di oggi, di domani, di sempre" che Gesù ha appena insegnato nel Padre Nostro. Si tratta di un testo bellissimo e affascinante sulla preghiera a quel Dio che noi possiamo chiamare "papà".
Il brano è diviso in due: nella prima parte, secondo uno schema che ritroviamo in altre parabole (ad es. Luca 18,1-8, Il giudice e la vedova; Luca 19,11-27, le mine), viene fornita la nostra prospettiva pagana (o diabolica) della relazione con Dio. La nostra prima percezione nella preghiera, infatti, è che Dio non risponde, la porta è chiusa, non si alza. Siamo anche tentati di "non disturbare più il maestro" (Luca 8,49) oppure di affidare ad altri l'incarico: esistono cristiani che chiedono ad altri di pregare al posto loro, quasi che Dio decidesse in base alla dialettica di chi prega. Purtroppo è un po' un retaggio pagano quello di pregare con lo scopo di ottenere benefici terreni coinvolgendo magari santi e martiri oppure persone di cui è in corso la canonizzazione. Dio non ha bisogno d'essere avvicinato tramite i buoni uffici di un qualche santo: piuttosto i santi che vivono già nell'amore di Dio possono aiutarci a comprendere cosa chiedere.
Questo nostro passaggio che parte da una preghiera pagana e magica è una sorta di via obbligata. Dio a volte, con l'obiettivo di confermare la fede, dà quel che si è richiesto: questo è il senso dei piccoli e grandi miracoli d'ogni giorno.
Nella seconda parte (a partire da "Ebbene io vi dico", al v. 9) Gesù ci annuncia la vera considerazione che il Padre ha della nostra preghiera. Viene ripetutamente sottolineato che Dio vuole che noi lo importuniamo.
Il nostro problema è che chiediamo cose sbagliate. Occorre allora vincere la tentazione di rinunciare e cercare invece di correggere via via la nostra relazione con Dio: scopo della preghiera e di tutta la storia della salvezza è che noi raggiungiamo la comunione con Dio già in questa vita e in preparazione alla vita futura. Se Dio esaudisse sistematicamente le nostre richieste terrene noi capiremmo ancora meno che la vita definitiva non è quella in questo mondo.
Possiamo così renderci conto che anche gran parte dei nostri "Ascoltaci Signore" nelle Preghiere dei Fedeli non hanno granché senso: hanno solo il senso di stare lì a bussare a Dio in attesa di comprendere davvero d'essere figli e vivere la nostra vita in modo pieno, indipendentemente dalle contingenze storiche.
Dunque noi, nel momento del buio e del bisogno (a mezzanotte), quando nessuno ci può aiutare, andiamo da Gesù e gli chiediamo tre pani. I pani sono tre perché il nostro rapporto con Dio è in realtà un rapporto a tre: Dio, noi, i fratelli. E il pane che ricevo da Dio nell'ora più buia è anche quello che poi dono all'amico nella sua ora buia. I primi cristiani celebravano l'eucarestia nell'ora più buia, nella notte, in memoria dell'Ultima Cena e del principio della Passione.
Il pane che noi chiediamo a Dio è l'amore per poter amare il fratello, l'amico, che è nel buio senza vita e senza pane. Per questo ogni volta, nell'eucarestia, ripetiamo: "fate questo in memoria di me". L'amore di Dio per noi è l'unico vero motore esistente per il nostro amore verso gli altri: "come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Giovanni 13,34). Dio è il principio e il termine dell'amore e noi ne siamo tramite. Il centro è l'uomo (io che ricevo, l'altro amico per cui prego Dio).
Noi immaginiamo Gesù nella casa a letto con i bambini cioè con i piccoli, ossia quelli che ci hanno preceduto nella vita terrena e ora sono al sicuro. La tentazione nostra e dei contemporanei di Luca è credere che Gesù sia venuto una volta e ora noi si sia abbandonati. Invece Gesù si leva, risorge anche oggi a darci il pane, per noi e per il fratello venuto a mezzanotte.
Il senso generale delle due parabole è: insistete, date fastidio a Dio, anche se vi sembra che Dio sia sordo, anche se vi sembra di non ottenere quel che chiedete. La preghiera ci porta a un rapporto vero con Dio e a quel punto la porta si apre e ci viene donata la vita (i pani della prima parabola) e lo Spirito Santo cioè l'amore stesso di Dio.
Dunque il frutto della preghiera è poter dire Abbà, è diventare consapevoli d'essere figli. L'amore può essere dato solo a chi lo desidera per cui il nostro desiderio è premessa fondamentale perché Dio possa farsi avanti: solo chi chiede ottiene.
Per quanto possa sembrare strano è Dio che ha bisogno del nostro amore, della nostra risposta: chi ama se non è riamato ne muore. E la vicenda terrena di Gesù Cristo è la manifestazione massima dell'Amore non amato.