10Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Il tema Nuovo segno di Gesù per spiegare ai discepoli che tutto il creato è dono di Dio e dunque è di tutti. La corsa ad accaparrarsi i beni della terra porta a distruggere la terra, gli altri e noi stessi. La condivisione dei beni non è un ideale superiore di vita per alcuni ma una necessità storica per scongiurare guerre, carestie e, da un po' di anni a questa parte, la stessa distruzione del pianeta.
I capitoli 4-9 del vangelo di Luca sono una catechesi sull'ascolto della Parola, ascolto che mira a guarirci dall'Inganno. La Parola è stata paragonata al seme, che è Gesù stesso, il quale muore e porta frutto. Da questo punto in avanti il vangelo di Luca ci mostrerà come questa Parola diventi vita e come questo seme diventi pane.
Il centro di questo episodio è costituito da parole simili a quelle che udiamo nella consacrazione: "Egli prese i cinque pani... recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava..." (v. 16). Queste parole, che ritroveremo nell'Ultima Cena (Luca 22,17-20), sono il centro della rivelazione al punto che tutto il resto del vangelo può essere visto come una sorta di commento.
I primi versetti ci mostrano la dinamica della missione e la funzione della Chiesa. Gli apostoli, che erano stati inviati da Gesù (9,2), ora a lui fanno ritorno per raccontare e per confrontarsi con Gesù su tutto quello che hanno fatto. Gli apostoli quindi sono anche perennemente discepoli e la Chiesa è il luogo di questo confronto. Perché la testimonianza non degeneri in ideologia o in personalismi occorre continuamente che gli apostoli facciano ritorno a lui per confrontarsi con la sua parola. Questo quadretto iniziale fa da introduzione alla scena successiva in cui il problema di come sfamare il popolo viene risolto proprio con il confronto tra i discepoli e il Signore. Vedendo che gli apostoli stanno con Gesù nasce nelle folle il desiderio di fare parte dello stesso popolo. Le folle li seguono arrivando quindi da Gesù. Dunque l'essenza della missione, più che attività e movimento, consiste nel testimoniare ai fratelli la buona notizia d'essere figli di Dio e la propria vita in comune con Gesù. Per questo motivo la Chiesa ha, ad esempio, proclamato S.Teresina (di Gesù Bambino o di Lisieux, 1873-1897) patrona delle missioni senza che fosse mai uscita dal suo carmelo.
Ci troviamo in una zona deserta, come quella in cui Dio ha nutrito per quarant'anni il suo popolo con la manna, ed è sera. Il declino del giorno presente ricorda a noi la sera dell'ultima cena (Luca 22), l'episodio di Emmaus (Luca 24,29) e ci incute tristezza. Invece la sera, il momento che più rappresenta la fine della speranza, diventa nel vangelo il punto di inizio del giorno nuovo. Per i Dodici la sera è il momento in cui occorre congedare la folla come a suggerire che le parole, anche belle, non risolvono i problemi della vita concreta che ha ben altre esigenze. Questo li avvicina al modo di pensare di Erode, che era disposto ad ascoltare ma non a cambiare. Da quel che sappiamo dopo, al v. 13, Gesù e i discepoli disponevano di provviste per se stessi.
A questo punto Gesù impartisce ai discepoli una lezione di economia molto particolare. Al criterio dell'ognuno per sé, da loro espresso, contrappone il suo: "Voi stessi date loro da mangiare", l'economia del dono che proviene dalla consapevolezza che tutto abbiamo ricevuto gratuitamente. Anche all'obiezione dei discepoli - non abbiamo che cinque pani e due pesci che vuol dire: abbiamo provviste appena per noi - Gesù ribatte con un ulteriore passo in avanti: far sedere la folla a gruppi di cinquanta, a significare che la vita comune è ordinata, non è una comunità hippy. Il numero 5.000 ci ricorda la prima comunità degli Atti, che viveva nella condivisione volontaria (Atti 2,44 e 4,32). Come negli altri casi, anche questo miracolo è un segno operato da Gesù per mostrarci come Dio è e come dobbiamo diventare noi. Il vero miracolo sarà la nostra conversione. L'obiettivo di Gesù - che non è fare un atto di magia - è rivelato anche dalla sua proposta provocatoria e assurda: date voi stessi da mangiare. E la replica irrealizzabile dei discepoli di andare a comprare viveri per tutta questa gente mostra la loro non-comprensione per quanto sta per accadere. Possiamo anche pensare che Gesù, al v. 10, stesse catechizzandoli proprio sull'economia del dono.
Il v. 16 condensa tutta la vita di Gesù: tutto ha ricevuto dal Padre e tutto ha dato e dà ancora a noi. Questo mistero verrà mostrato in modo compiuto solo alla fine della vita di Gesù, nella contemplazione della croce. Per il momento le sue parole ci introducono in quello stile nuovo di vita che ci è necessario per capire chi è Gesù, colui che per primo ha vissuto in questo modo. Per capire occorre essere disposti a cambiare stile cioè a convertirsi.
Tutto quello che possediamo nella vita - beni materiali, cultura, esperienza - c'era prima di noi e noi lo prendiamo da altre persone o dal creato. Si può prendere in due modi. Nel primo caso si prende in modo diabolico, col pugno chiuso o col morso (come fanno gli animali) ringhiando e dicendo "questo è mio". Nell'altro caso si prende in modo eucaristico, per condividere ed è il modo che ci insegna Gesù in questa occasione. Tutta la Bibbia si può leggere con la parola "dono" (di Dio) come chiave.
Il modo diabolico di prendere provoca la divisione dagli altri sia che essi siano dei concorrenti (come avviene tipicamente nei rapporti di lavoro) sia che intendano donare quello che viene afferrato (come avviene in tutti i casi d'amore incompreso). Questo modo di vivere le relazioni è vero ateismo perché si nega il donatore, si nega che tutto abbiamo ricevuto da Dio e che non c'è nulla che sia nostro, nemmeno noi stessi. Sappiamo invece che del Signore è la terra e quanto contiene, il mondo con i suoi abitanti (Salmo 24,1). Vivere i beni e le relazioni come una rapina è all'origine di tutte le maggiori tragedie dell'umanità (cfr. Levitico 25) ed è anche la causa delle crisi ricorrenti dell'economia.
I cinque pani rappresentano il dono di Dio - il grano - mediato dal lavoro, dalla cultura e dalle relazioni dell'uomo. L'uomo, creato il sesto giorno, ha il compito di portare tutto il mondo, creato nei giorni precedenti, verso Dio, per realizzare il settimo giorno. Tutto quanto esiste diventa buono o cattivo secondo il modo con cui lo prendiamo, se in modo eucaristico o in modo diabolico.
I due pesci sono simbolo di Cristo che non muore anche se immerso nell'acqua (battezzato, cioè crocifisso) e che viene sulla terra per donarsi ed essere cibo per tutti.
Graffito nella zona archeologica di Efeso (Turchia) con le due forme dell'acronimo ΙΧΘΥΣ
Dal simbolo del pesce nascerà l'acronimo greco ΙΧΘΥΣ (pronuncia ichtus, pesce) ossia Iesûs Christós Theoû Uiós Sotér (Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore). I caratteri greci maiuscoli si possono scrivere sovrapposti ottenendo un cerchio a otto raggi come nell'immagine. E` noto inoltre che durante il tempo delle persecuzioni i cristiani si riconoscevano tra loro disegnando un arco ciascuno in modo da formare la sagoma d'un pesce.
Gesù prende i cinque pani e i due pesci come dono e alza gli occhi al cielo cioè si rivolge al Padre datore d'ogni bene. Se si dimentica che tutto è dono di Dio allora i beni diventano o un feticcio (come si fa della natura oggi, assolutizzata dall'ecologismo e dall'animalismo, o come si fa del proprio corpo con le varie manie salutistiche) o un disvalore (come in certe deviazioni ascetiche che disprezzano il mondo). Sapere che tutto è dono di Dio significa gioire di ogni cosa perché ogni singola cosa ci ricorda che abbiamo Dio per padre.
Sapendo che tutto è opera di Dio Padre Gesù può bene-dire cioè lodare Dio. Anche noi con Gesù possiamo iniziare a considerarci bene-detti da Dio e benedire Dio perché esiste. L'uomo credente ha un'alta considerazione di se stesso perché sa di essere fatto come un prodigio (Salmo 139,14), cosa molto buona (Genesi 1,31), coronato di gloria e onore (Salmo 8,5-6), destinatario di una passione sconvolgente (cfr. Cantico 6,4ss). Il Figlio, sapendosi amato dal Padre, ama a sua volta i fratelli e quindi spezza il pane per loro. E` questa l'origine dell'espressione "lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio". Questo spezzare del pane anticipa l'ultima cena e la morte in croce dove Gesù sarà pane spezzato per la salvezza di tutti, per distruggere tutti gli idoli e tutte le false immagini di Dio.
Il testo dice, letteralmente, che Gesù li dava ai discepoli: si usa l'imperfetto tutte le volte che si racconta di una azione che continua nel presente. Il pane spezzato viene dato ai discepoli perché imparino a distribuire. Si realizza così quello che Gesù intendeva realmente nel v. 13, voi stessi date loro da mangiare: Gesù insegna ai discepoli, cioè a noi, come fare: considerare ogni bene come dono d'amore del Padre e quindi darlo ai fratelli.
Il termine "sazi" significa che ciascuno ha ricevuto ciò di cui aveva bisogno e non ha necessità d'altro. Invece in una economia egoista nessuno è mai sazio: alcuni accaparrano continuamente nuovi beni, senza saziare il proprio bisogno e affamano gli altri. La differenza risiede nell'essere o meno in comunione col Padre e coi fratelli: l'uomo egoista è solo e dunque gli manca quell'elemento fondamentale che nessun bene materiale può riempire. Non si vive di pane ma della parola che c'è nel pane ossia si vive di quello che il pane rappresenta. La nostra sazietà dipende da come "prendiamo il pane", se con fraternità o come possesso. Il pane, ovviamente, rappresenta tutti i beni della terra che, se sono accaparrati, portano a distruggere la terra stessa, gli altri e noi stessi. La nostra scelta ha dunque importanti risvolti pratici: la condivisione dei beni non è un ideale superiore di vita per alcuni ma una necessità storica per scongiurare guerre, carestie e, da un po' di anni a questa parte, la stessa distruzione del pianeta.
L'economia del dono ha come effetto che avanzano dodici ceste. Dodici è un simbolo di completezza e significa che ce n'è per tutti (dodici sono le tribù d'Israele) e per sempre (dodici sono i mesi dell'anno). Questo particolare ci riporta anche alla Preghiera Semplice, tradizionalmente attribuita a S.Francesco, in cui troviamo la frase: "perché è dando che si riceve". Questo è il punto qualificante del cristianesimo, che non si ritrova in alcuna altra religione, incancellabile per quanto possa essere tradito e travisato da noi cristiani. Il modo proprio di difendere Dio da parte del cristiano è quello di difendere, assistere, consolare i fratelli: i fratelli sono il nostro Dio. Dio non desidera altri tipi di difese da parte nostra (argomento trattato in Luca 9,51-55).
Alla luce di questo episodio la nostra Eucarestia domenicale ha dunque significato solo se durante la settimana viviamo con i fratelli la condivisione, come Gesù ha condiviso se stesso con noi. In caso contrario noi tradiamo il significato di quel che celebriamo e mangiamo e beviamo la nostra condanna (1Corinzi 11,17-34). Potremmo pensare che, dato che noi non sappiamo moltiplicare il pane, allora siamo esonerati dal dividerlo. In realtà il mondo ha sufficienti risorse per tutti e il problema è la ingiusta distribuzione. Nell'economia del dono tutti sono saziati e ne avanza pure (v.17). Notiamo anche che nel testo non compare mai la parola "moltiplicazione" (che troviamo nei titoletti delle Bibbie) ma "distribuzione". Esiste una schiera infinita di santi che, letteralmente, hanno fatto miracoli con la condivisione.
Sant’Agostino, nel suo trattato sul Vangelo di Giovanni, dà una lettura molto laicale del miracolo dei pani: Gesù ha voluto operare quel segno per stupire la gente con un fatto inconsueto, poiché siamo incapaci di percepire le cose grandi quando diventano abitudinarie. Il crescere quotidiano e impercettibile del grano in tutti i paesi del mondo per il sostentamento di milioni di uomini ogni giorno - dice Agostino - è certamente un miracolo più grande di quello operato da Gesù per sfamare una sola volta cinquemila persone, ma poiché siamo duri di comprendonio e attratti dal sensazionale e dallo spettacolare più che dall’essenziale, il Maestro ha voluto venirci incontro. Ma il suo miracolo resta inutile se non siamo capaci di leggerlo come un semplice stratagemma didattico e non compiamo il passo successivo, adorando l’amore di Dio che ogni giorno si manifesta nella storia ordinaria e quotidiana del mondo.