13Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». 16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». 20Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Il tema In tutto il mondo si litiga e si combatte per l'eredità, cioè per il possesso dei beni di questo mondo. Il motore della nostra storia dovrebbe essere il miglioramento delle relazioni non la produzione e il possesso di cose che comunque si perdono prima o poi.
La nostra vita spirituale non è distinta da quella materiale ma esse si danno significato a vicenda: noi riconosciamo la paternità di Dio (vita spirituale) tanto quanto pratichiamo la fraternità nelle nostre relazioni con gli altri ossia usiamo correttamente i beni terreni (vita materiale). I beni che ci troviamo a gestire nella vita sono a loro volta materiali (cibo, vestito, salute, ...) o spirituali (intelligenza, cultura, relazioni, ...). L'insieme di tutti questi beni è l'eredità che Dio ci ha dato in questo mondo.
Un primo livello, elementare, di comprensione di questo brano evangelico è quello morale ossia una raccomandazione ad essere generosi. In realtà questo testo è vera buona notizia perché ci rivela un modo di vita che è realizzazione della nostra vocazione di figli e fratelli. L'uso dei beni terreni è trattato in molti testi di Luca: nella predicazione del Battista cui la gente domanda «che dobbiamo fare?» (3,1-20); nella proclamazione dell'anno giubilare in cui si auspica il ripristino dell'equità iniziale (4,14,30); nelle beatitudini («Beati voi poveri..., ahimè per voi ricchi»: 6,20-26); nella parabola che qui commentiamo, dell'uomo ricco e stolto; nella parabola - contrappunto di questa - dell'amministratore saggio (non "infedele", come erroneamente titolano alcune edizioni della Bibbia) in 16,1-9; nella parabola del ricco epulone (16,19-31); nell'episodio del giovane ricco (18,18-30) e infine nella vocazione di Zaccheo (19,1-10). Negli Atti (2,42-47 e 4,32-37) Luca descrive la condivisione nella comunità primitiva come realizzazione dell'anno giubilare.
L'uomo della folla lamenta un fatto abbastanza comune ed emblematico: un fratello deruba l'altro fratello dell'eredità per poter essere lui più ricco e più potente. La sua azione rende l'altro più povero e vittima di ingiustizia. E' un problema universale che ritroviamo ad ogni livello di relazioni: singoli, famiglie, comunità, intere nazioni e continenti. In tutto il mondo si litiga e si combatte per l'eredità, cioè per il possesso dei beni di questo mondo.
La Bibbia è piena di lotte per l'eredità: Genesi 13 porta un esempio emblematico: i mandriani dipendenti di Abramo e di Lot litigavano perché i loro padroni avessero i pascoli migliori. Abramo lascia scegliere a Lot che, furbescamente, sceglie la piana del Giordano, fertile e irrigata mentre Abramo accetta di andare verso il deserto. Sulla piana del Giordano sorgevano Sodoma e Gomorra che saranno distrutte, segno del fallimento del criterio di accaparrarsi i beni migliori. Abramo, per non rompere la fraternità, - di fatto - rinuncia ai suoi diritti. Come Dio, che non fa valere i suoi diritti su di noi.
Gesù si rivolge alla persona che lo interpella chiamandolo uomo, perché la questione riguarda ciascuno di noi, ogni uomo, e gli spiega che Dio non è venuto a premiare i buoni e a castigare i cattivi altrimenti - basta guardare come va il mondo - vorrebbe dire che i ricchi sono buoni e i poveri cattivi. Dio è colui che dice esattamente il contrario: «Beati voi poveri... ahimè per voi ricchi» perché chi fa il male nega la fraternità, dunque nega la paternità di Dio, ossia è un autentico ateo [1].
Sarebbe stato perfettamente inutile, oltre tutto, giudicare dei due fratelli. Noi sappiamo che esistono le ingiustizie. Ma il problema di ciascuno di noi è essere fratello, non definire chi ha ragione e chi ha torto. Come sempre il vangelo è rivolto al lettore e gli domanda a ogni versetto: in questa situazione, tu cosa scegli di essere?
Tutti ci aspetteremmo che Gesù prenda le difese del fratello imbrogliato e rimproveri l'altro che lo deruba. Tutti ci aspetteremmo che Dio scagliasse fulmini contro chi ruba, inganna, impoverisce, affama. Gesù dà a tutti i presenti (dunque a noi) una risposta ben strana: Fate attenzione e tenetevi lontani dal voler avere "di più" - ossia dalla cupidigia - perché è una idolatria, come è detto in Efesini 5,5, «Sappiatelo bene, nessun... avaro - cioè nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio>» oppure, come è spiegato in 1Timoteo 6,10, «L'avidità del denaro è la radice di tutti i mali».
Se il voler avere di più è l'obiettivo della nostra vita, i beni diventano il nostro dio, un dio cui consegniamo la nostra vita, che ci fa schiavi, ci uccide e ci fa uccidere. Nel nostro mondo il motore è l'aver di più e accade così che una minoranza assoluta possieda la quasi totalità delle ricchezze mondiali. Il voler avere di più è un riflesso distorto dell'essere immagine di Dio. Tutte le altre creature sono sazie del loro vivere animale (si ricordi il Canto Notturno in cui Giacomo Leopardi invidia la vita incosciente delle pecore). L'uomo invece è alla ricerca perenne del fine della sua vita, ha una coscienza insopprimibile che c'è o dovrebbe esserci dell'altro, che il suo bene definitivo è o dovrebbe essere altrove.
L'immagine distorta che abbiamo di Dio ci impedisce di comprendere che Dio è "di più" non perché "ha di più" ma perché Dio "dà di più". Se Dio si comportasse da proprietario geloso nulla esisterebbe, noi non esisteremmo.
Questa immagine, elaborata dal sito documentazione.info sui dati del rapporto Oxfam 2013 mostra come il 70% della popolazione mondiale detenga solo il 3% dei beni. D'altra parte sappiamo che solo il 10% della popolazione della Roma Imperiale era autosufficiente. Il resto (90%) erano schiavi o indigenti che vivevano di elemosina. Quanto le cose siano migliorate su scala mondiale, è difficile dirlo.
I beni della terra sono giustamente chiamati "beni": sono infatti cose buone e utili. Ma nessuno di noi ne è proprietario: "Del Signore è la terra e quanto contiene" (Salmo 24, 1) e tutto è dato ai figli perché vivano da fratelli [2]. Inoltre la vita non dipende da ciò che si possiede: la vita è donata da Dio, dipende da Dio e da lui solo. Chi è consapevole d'essere figlio di Dio ha raggiunto la felicità ed è fratello di ogni altro.
Il motore della nostra storia dovrebbe essere il miglioramento delle relazioni non la produzione e il possesso di cose che poi comunque si perdono, prima o poi.
Comunemente si pensa che il possedere, il vincere, l'aver più potere siano il motore del progresso. L'uomo inventa, conquista, lavora per avere di più nell'illusione che avere più cose significhi avere più vita. Spesso si ricorda - senza alcun pudore - come molti risultati tecnici e scientifici raggiunti siano conseguenza di guerre. Chiediamoci almeno: è l'unica strada? non abbiamo trascurato il prezzo elevatissimo in sofferenze? Quelli che declassifichiamo a minori effetti collaterali sono costi umani spaventosi. L'internet che tutti apprezziamo nasce da un progetto di telecomunicazione affidabile e a basso costo sviluppato durante Guerra Fredda. Proviamo ora a immaginare quanto cibo, quante medicine, quante scuole si sarebbe potuto mettere a disposizione per tutti col costo di mezzo secolo di equilibrio nucleare. Noi siamo troppo catturati dall'ammirazione per chi, disponendo di mezzi enormi, fa ogni giorno un enorme male che viene scambiato per bene.
Quando si ha il necessario perché cercare di avere per sé di più? per sentirsi "qualcuno"? evidentemente per vincere l'umiliazione di scoprirsi che si è in realtà "nessuno". Senza Dio come Padre siamo infatti nessuno.
Noi che abitiamo il "primo mondo" (per ora) spesso non ci accorgiamo che viviamo una vita bestiale: immolati al lavoro, senza relazioni vere, famiglie polverizzate, il tempo libero consacrato al vagabondaggio per avere (shopping), vedere (viaggi), distrazioni per non pensare mai. Se ci accade qualcosa che ci obbliga a fermarci e pensare cadiamo immediatamente nella depressione. Abbiamo infinite potenzialità rispetto al "terzo mondo" ma il risultato è ben misero. La nostra civiltà ha almeno tanti idoli come i popoli pagani antichi descritti nel Salmo 115(113B).
Il ricco della parabola non è cosciente che il raccolto abbondante dipende da una terra che non è sua ma ha ricevuto, da una stagione favorevole che non è merito suo, dal faticoso lavoro agricolo che hanno fatto i suoi servi. Eppure ripete quattro volte la parola miei / mia. La domanda che si pone è giusta ed è di tutti, Che farò?: l'uomo si interroga su cosa fare perché non è programmato dall'istinto come gli animali.
Il ricco ha sacrificato tutta la vita a produrre questa abbondanza e pensa che solo ora, che possiede molto, può riposarsi, mangiare, bere, gioire ossia fare tutte quelle cose che sono gratuitamente donate da Dio ai suoi figli. Il ricco è stolto, non cattivo: lui non ha goduto dei beni perché ha sacrificato la vita a produrli. Il testo ci fa intuire che gli stessi beni costituiranno l'eredità che nemmeno i figli godranno perché sarà causa di discordia tra di loro.
Caritas Internationalis ha diffuso questa breve animazione in occasione della campagna 2015 "One Human Family, Food for All".
Sembra quasi che Gesù racconti l'antefatto della lite giuridica che gli è stata posta per mostrare come questo criterio dell'"avere di più" sia una storia infinita che si ripete di padre in figlio.
Esiste un accumulare per sé che porta e propaga la morte. E l'accumulare agli occhi di Dio sarà il tema della parabola dell'amministratore saggio: vedremo che è solo amministratore e non è padrone e che diventa saggio quando comincia a distribuire.
Possiamo ricordare anche l'apologo, si veda l'immagine e il video qui proposti, secondo il quale l'Inferno e il Paradiso sono lo stesso luogo dove è preparato un grande banchetto per tutti e con posate lunghe lunghe. Comprendere che ognuno deve usarle per dar da mangiare a chi gli sta di fronte significa essere in Paradiso. Pretendere di mangiare ognuno da solo significa essere all'Inferno.
[1] Nella Bibbia non troviamo l'ateismo teorico, quello delle ideologie: viene invece spesso considerato l'ateismo pratico di chi pone come suo dio il potere, la ricchezza, se stesso o qualsiasi altra cosa, qualsiasi feticcio. Noi siamo salvati dai poveri (cioè da chiunque ha di meno) perché è tramite loro che possiamo esercitare la fraternità, realizzare l'essere figli di Dio, rendere vivibile la vita sulla terra. Senza fraternità la terra è un inferno. Se viaggiassimo un po' nei luoghi non reclamizzati dai tour operator scopriremmo l'infinita massa di poveri cristi che non ha quello che noi abbiamo. Si tratta della stragrande maggioranza della popolazione terrestre.
[2] In Levitico 25 e Deuteronomio 8 troviamo le condizioni alle quali Israele può restare nella Terra Promessa.