9I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. 10Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché
vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano.
11Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. 12I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. 13Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. 14Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. 15Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza...».
Il tema Le parabole sono un modo rispettoso per suscitare domande in modo che la parte di terreno buono che è in noi converta la strada, i sassi, i rovi.
In questa seconda parte dell'episodio Gesù risponde a due domande: come interpretare le parabole (vv. 9-10) e come applicare questa parabola alla nostra vita (vv. 11-15).
Le cose per noi fondamentali (il senso della vita, i valori morali, il fine del creato) sono quelle che non vediamo né misuriamo. Di queste realtà, che ci appaiono degli enigmi, possiamo parlare solo per metafora. La parabola parte da cose note e immediate per annunciare quelle ignote, quelle fondamentali appunto.
Il primo significato della parabola si applica alla vita di Gesù: lui è il seminatore e, come questo contadino che "getta via" il suo grano nella fiducia del raccolto, così Gesù è certo del successo della sua parola. Il secondo significato della parabola riguarda invece noi: interrogando la vita e la storia di Gesù comprendiamo il significato che hanno per noi le parabole in generale e questa in particolare. Si noti che c'è una identificazione fra il seme inteso come parola di Dio e il seme inteso come persona che ascolta: noi siamo qualificati dal nostro modo di ascoltare.
La frase apparentemente sibillina di Gesù al v. 10 è tratta da Isaia 6,8-10 [1] e si può così parafrasare: a voi che già mi seguite, perché cercate risposte, io posso raccontare direttamente i misteri del regno di Dio. A chi invece non si interroga e ancora vive in modo insensato io posso parlare solo per metafora in modo da provocare in lui delle domande esistenziali e la ricerca di una risposta. La parabola è dunque un metodo discreto di introdurre alla verità in modo che ognuno sia libero di fare il proprio primo passo.
La prima funzione della parabola è dunque provocarci a fare domande. Per misteri del regno di Dio si intende la realizzazione della salvezza attraverso il percorso del seme, la parola di Dio, Gesù, che proprio perché muore porta molto frutto (Giovanni 12,24). Questa parabola è la prima anche in Matteo (13,1-23) e in Marco (4,1-19) ed è fondamentale per capire il resto del messaggio di Gesù: Marco nel passo parallelo riporta infatti: se non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Ossia: se non si esamina la qualità del proprio ascolto come sarà possibile ascoltare proficuamente il resto?
Il primo caso è quello dei semi caduti lungo la strada: vengono calpestati e beccati dagli uccelli che rappresentano il diavolo. Figurativamente questo seme rappresenta la parola che entra da un orecchio ed esce dall'altro dato che diamo ad essa lo stesso valore di tutte le altre ovvietà che ascoltiamo "per strada". La potenzialità della parola viene azzerata dal nostro "comune buon senso" che appiattisce tutto ed è incapace di cercare la novità: nulla è nuovo sotto il sole (Qoèlet 1,9). Si seguono i "si dice", la moda, il "così fan tutti". Si segue la logica della convenienza mondana come legge suprema, impermeabile alla novità. Questa fase di impermeabilità è caratteristica di ciascuno di noi. La prima reazione istintiva a una novità è tentare di incasellarla in un pigro "sì lo so già" che ci risparmia gli sforzi e i rischi del cercare di capire e cambiare. Questo è il modo di pensare secondo gli uomini, come quello di Pietro quando Gesù lo apostrofa "dietro di me Satana" (Matteo 16,23 e Marco 8,33). La funzione del diavolo è quella di separarci dalla parola di novità. Col mondo dei media attuali il lavoro del diavolo è molto facilitato. Ma Gesù semina lo stesso perché la parte di noi che è strada dura può essere salvata dalla piccola parte di terreno buono che pure è parte di noi e che ha fede nella possibilità di qualcosa di nuovo.
Il secondo caso è quello della parola che arriva su un cuore "di pietra" indurito dalle proprie paure. La parola ci appare impotente contro il male del mondo e restiamo paralizzati: né la rifiutiamo (poiché capiamo che è bella) né l'abbracciamo (dato che temiamo sia un'illusione). Troppo bello per essere vero: contempliamo la Parola come un bell'oggetto ma non ne facciamo niente. E` il caso dei cosiddetti praticanti non credenti. Gesù però semina lo stesso perché la parte di noi che teme la disillusione riceverà speranza dalla piccola parte di terreno buono che pure è parte di noi e che ha abbastanza coraggio.
Il terzo caso è quello della parola che arriva su un cuore che la accoglie ma che ha anche altri interessi, altri bisogni, altri obiettivi: i rovi. La parola in questo caso non viene portata via e non secca subito anzi cresce. Ma le preoccupazioni, le ansie, le ricchezze, i piaceri immediati crescono anch'essi seguendo il costume del "sì ma anche", "desidero questo ma anche quello". A questo punto le preoccupazioni mondane appaiono più reali e soffocano la visione della realtà secondo Cristo. Matteo 6, 25-34 riporta questa esortazione al proposito:
Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena (vedi Matteo 6,25-34).
Ma Gesù semina lo stesso perché la parte di noi che non ha abbastanza amore (dato che ama cose diverse) riceverà carità sufficiente dalla piccola parte di terreno buono che pure è parte di noi e farà di Gesù il nostro amore vincente, come lo chiama S. Agostino.
Camminando attraverso le nostre difficoltà crescono dunque la fede, la speranza e la carità e diventiamo progressivamente terreno buono ossia uomini realizzati. Come Maria, la quale, anche quando non la comprende (Luca 2,50), custodisce la parola che ascolta (2,51; 2,19).
E` a questo punto che si realizza il versetto 10: entriamo nella conoscenza che Dio è padre e noi siamo figli e fratelli. La parabola insegna anche a non vivere col contagocce. Se Dio spreca così anche tra sassi e rovi anche noi e la Chiesa non dobbiamo troppo occuparci di fare previsioni sul risultato.
[1] In Isaia 6,8-10 è raccontata la vocazione di Isaia: Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!». Egli disse: «Và e riferisci a questo popolo: Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d'orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito».