33Allora gli dissero: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». 34Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? 35Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
36Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. 37E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. 38Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. 39Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: «Il vecchio è gradevole!».
Il tema I cristiani vivono della presenza del Signore risorto: non occorrono più né digiuni né suppliche. E il cristianesimo non è un complemento di nessun'altra filosofia o religione passata o futura.
La scena è ancora nella casa di Matteo, il banchetto che è figura della festa del Regno di Dio, in cui Scribi e Farisei continuano a fare obiezioni. Troviamo qui una serie di contrasti: digiunare e pregare oppure mangiare e bere, essere con oppure senza lo sposo, vino, otri e vestito nuovi oppure vecchi.
Dopo aver criticato, con i discepoli, la scelta di Gesù di mescolarsi ai peccatori, Scribi e Farisei obiettano direttamente a Gesù il fatto che lui non educhi adeguatamente l'ascesi dei propri discepoli.
I discepoli dei Farisei rappresentano le persone religiose, attaccate alla Legge. I Farisei sono convinti che l'osservanza della Legge, data a Mosè sul Sinai, li renda giusti davanti a Dio. La giustizia, per loro, consiste nell'osservare ciò che è stato consegnato all'inizio. Sono ancorati al passato, alla tradizione e il loro ideale è un tempo antico in cui la pratica religiosa era più perfetta.
I discepoli di Giovanni sono invece protesi al futuro e a questo si preparano con metodi simili ossia cercando di sviluppare una vita ascetica: il loro ideale è il tempo futuro dell'avvento del Messia che perfezionerà la legge.
Come conseguenza di questo modo di intendere la giustizia entrambi i gruppi religiosi, al presente, digiunano ossia non vivono.
Il cristianesimo ha pochissimi vincoli alimentari
Il digiuno è rimasto nel cristianesimo solo come azione simbolica ed esprime la coscienza di essere "terra" (Mercoledì delle Ceneri) o anche il ricordo dello smarrimento del Venerdì Santo. Nel primo aspetto il digiuno è un segno di accettazione del limite e della morte che fanno parte di questa vita. Si riconosce che l'esistenza non consiste nel mangiare, che la vita non è a nostra disposizione: comunque si agisca, prima o poi, la vita terrena e questo mondo finiscono. Col digiuno cristiano si dichiara di accettare la vita come dono. Ricordarsene è un segno di sapienza, soprattutto in una società dove tutto è consumismo. Il digiuno non va confuso con le "diete" (come capita a qualche predicatore maldestro) che sono solo l'altra faccia dell'idolatria del consumo. Analogamente la preghiera, la supplica nel bisogno, è segno dell'umanità che riconosce il proprio limite: quand'anche si possedesse tutto si sentirebbe di aver bisogno di qualcos'altro o, più precisamente, di Qualcun Altro.
A parte due giorni all'anno (più l'astinenza nei venerdì di Quaresima) il cristianesimo ha praticamente eliminato digiuni e suppliche perché vive nella pienezza di vita di aver incontrato il Signore. Per questo si fa eucarestia cioè si ringrazia di ogni cosa della vita, compresi i guai. Il cristiano non è colui che aspetta il futuro, quando ci saranno tempi migliori, e neanche colui che tenta di restaurare il passato (la societas christiana medievale ad esempio). Il cristiano, qui e ora, tutto riceve, tutto vive come dono di Dio e nello spirito di Dio che è l'amore. Anche dei torti subiti può fare eucarestia, vivendoli come occasione di perdono.
Il male fondamentale dell'uomo è non percepire l'amore di Dio. Il rapporto con Dio è dipinto in una varietà di analogie nella Bibbia: alleato, amico ("Dio con noi", l'Emmanuele), madre (l'amore "necessario": "mi hai tessuto nel grembo di mia madre", Salmo 139), padre (l'amore liberante), fratello (l'amore del consanguineo). Ma la figura più alta è rappresentata dallo sposo perché indica la reciprocità e la realizzazione vicendevole. A differenza di tanti altri dei, onnipotenti, legislatori, giudici... Dio è lo Sposo dell'umanità con la quale vive una relazione di amore. Un amore travagliato, come sappiamo, a causa dell'infedeltà umana. Il Signore è il medico del male che opprime l'umanità proprio in quanto Sposa. "Sposo" è la più bella definizione di Dio in quanto si definisce in funzione dell'umanità, la sposa. Essere "sposa di Dio" è anche la migliore definizione possibile dell'umanità. Tutto questo valeva già per gli Ebrei, i quali pongono il Cantico dei Cantici come ultimo libro della Bibbia.
Il mangiare e bere dei discepoli è collegato alla presenza dello Sposo. Il primo segno che fece Gesù, ce lo dice il vangelo di Giovanni (2,1-12), fu di benedizione delle nozze di Cana. E il Nuovo Testamento termina con le nozze (Apocalisse). Il tema delle nozze domina tutta la Bibbia ed è spesso richiamato dai profeti. All'inizio delle confessioni di S. Agostino troviamo la frase: "Ci hai fatti per te Signore, e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te". L'unico segno certo della presenza di Dio è la gioia, che può essere presente anche nella tribolazione, nella prova, nelle difficoltà. Come gli Apostoli dopo la prima persecuzione quando se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù (Atti 5,41). E come anticipa Gesù nell'ultima cena: vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia (Giovanni 16,22).
Gesù poi, dicendo che i discepoli digiuneranno, allude al Venerdì Santo quando Gesù sarà loro tolto e si sentiranno perduti. Qui stanno l'origine del digiuno dei cristiani il venerdì Santo e l'origine dell'astinenza negli altri venerdì di Quaresima. Questo digiuno e astinenza simboleggiano la ricerca di Dio che dura comunque tutta la vita: Dio non può mai essere raggiunto in questa vita, è sempre "oltre". Come l'amore: non può mai dirsi raggiunto e si autoalimenta. L'allegoria più bella di tutto questo è la ricerca dell'Amato da parte della Sposa del Cantico. Ma, dopo la Pasqua, non è più un "digiuno triste" bensì una ricerca gioiosa anche se può avere momenti di buio: tutti i santi l'hanno sperimentato.
La parabola degli otri e del vestito ci ricorda di non mescolare il nuovo col vecchio. Il vangelo non è un "aggiornamento" applicato ad una religione vecchia. Non è una riflessione filosofica che può essere messa accanto ad altre (sincretismo). Non bisogna nemmeno forzare il vangelo ad andare d'accordo con altre idee o convinzioni o tradizioni. La tolleranza per la posizione e il cammino altrui non può portarci ad annacquare la novità evangelica. Questo problema è affrontato nella Lettera ai Galati: non bisogna rendere vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano (Gal 2,21). Non c'è cosa più triste che un cristiano a metà: né gode ignorantemente del mondo né vive di Dio.
Il vino non è un elemento necessario alla sopravvivenza, è una sorta di lusso: per coltivare la vite occorrono anni e scelte per ottenere un prodotto, il vino, che non è indispensabile. Il vino nella Bibbia ci ricorda che l'uomo è creato per la festa e per l'amore altrimenti è un animale da lavoro. Gesù ha voluto indicare anche questo nel trasformare l'acqua in vino a Cana. E questa festa non può essere racchiusa in una struttura religiosa antiquata che va lasciata estinguersi da sola senza usare violenza. Sostanzialmente il cristianesimo, nella storia, si è sempre adattato alla situazione sociale e giuridica esistente trasformandola però dall'interno. Per il cristianesimo la vera libertà è, paradossalmente, la schiavitù reciproca nell'amore. Senza fare rivoluzioni - rompere otri - questo concetto di libertà come servizio reciproco ha finito, nella storia, per cambiare le strutture: lo spirito nuovo - il vino nuovo - produce strutture nuove cioè otri nuovi. Le radici cristiane che ora l'Europa misconosce sono in sostanza questo.
Esaminando l'evoluzione demografica e geografica del cristianesimo se ne deduce che il suo principio propulsivo è sempre e dovunque stato l'amore e non la novità di filosofia o la tecnica di meditazione. Il "dio dei filosofi" non ha presa sull'uomo reale, per fortuna. E` il Dio amore che ha valore per l'uomo.
Gesù conclude infine ironizzando su chi considera sistematicamente migliori le cose del passato - il vino vecchio - e le giudica sempre più gradevoli rispetto a qualsiasi novità - il vino nuovo. Può invece succedere che il vino nuovo sia migliore del vecchio, che quello servito alla fine della festa sia migliore di quello servito all'inizio (Giovanni 2,10), che quel che ci aspetta nel futuro sia meglio di ciò che abbiamo lasciato o perduto. E l'Apocalisse, dopo le devastazioni che la storia ha conosciuto, conosce e conoscerà, fa terminare il mondo con le nozze dell'Agnello.