11Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 13alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 16e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: 19«Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!».
Il tema Siamo tutti lebbrosi, la differenza è tra coloro che lo sanno e coloro che credono di non esserlo. I primi sono gli unici che incontrano Dio e, mentre camminano, sono mondati.
Fino al cap. 9 Luca ha svolto una catechesi dell'ascolto, mostrandoci che, se vogliamo conoscere Dio, dobbiamo stare ad ascoltare la sua Parola. Il culmine di questa prima parte è costituito dalla Trasfigurazione (9,28-36) dove il Padre dice, riferendosi a Gesù: «ascoltatelo!».
Nella seconda parte (a partire da 9,51) Luca presenta una descrizione dettagliata del volto di Dio, come si manifesta nella storia, che si concluderà nella contemplazione della croce sul Golgota, la vera epifania di Dio. Viene inizialmente descritto lo "Spirito del Figlio" e da questa descrizione, come dalle reazioni dei discepoli, ricaviamo che si può amare molto Gesù senza capirne niente. A partire da Luca 13,22 vediamo che solo i perduti, quelli che accettano la misericordia, possono salvarsi. Chi si ritiene giusto è un idropico (14,1-6), gonfio di sé.
Con questo episodio dei lebbrosi inizia la terza tappa in cui, chi si sente perduto o incapace di cambiare, scopre che è lui il destinatario del cammino proposto da Gesù. A questo punto del vangelo infatti, se abbiamo capito qualcosa, ci rendiamo conto che andiamo in direzione contraria a Gesù, il nostro spirito non è il suo, come accade per i discepoli che Gesù ha con sé.
Questo breve brano è molto movimentato: contiene ben dieci verbi di moto e ogni versetto cambia scena. E` anche denso di comportamenti apparentemente controsenso e trasgressivi:
la direzione Samaria-Galilea va verso Nord mentre Gerusalemme è a Sud;
è molto strano che i lebbrosi escano dal villaggio in quanto devono abitare fuori e inoltre è loro vietato farsi incontro a persone sane;
ai lebbrosi è vietato andare verso Gerusalemme ma Gesù glielo ordina senza guarirli prima;
uno di loro, vedendosi guarito, disobbedisce a Gesù e torna indietro;
Gesù lo approva ma poi lo manda via.
Luca, che è molto attento a evitare doppioni, aveva già narrato una guarigione dalla lebbra (Luca 5,12-16).
Queste apparenti contraddizioni, contengono molti messaggi simbolici che ora vediamo. Dopo Luca 9,51e 13,22 è la terza volta che si parla del cammino verso Gerusalemme. E Luca puntualizza che Gesù attraversa la Samaria e (poi) la Galilea ossia procede in senso inverso. La direzione dà il significato simbolico del suo cammino: la Samaria è il luogo dell'infedeltà (i Samaritani erano eretici e nemici dei Giudei) e la Galilea è il luogo della poco religiosa vita quotidiana. Gesù ci viene incontro dove meno ce lo aspetteremmo, dove non si crede o si hanno credenze strane e confuse. E` strano che dei lebbrosi escano da un villaggio, come se quel villaggio traboccasse di lebbra. Senza Gesù la vita di ciascuno è un male incurabile e la differenza fra sani e lebbrosi è solo apparente e temporanea. Il lebbroso è un "morto vivente" e non è tenuto ad alcuna legge tranne quella di abitare isolato, fuori città, nel deserto (Levitico 13,45-46). Il lebbroso non ha diritti, è l'escluso per eccellenza, è il simbolo dell'uomo senza speranza, senza grazia, condannato a morte dal primo istante della sua esistenza. La lebbra è anche il simbolo del nostro limite profondo, della nostra propensione al male (anche se ci sforziamo d'essere buoni), della nostra grande limitatezza rispetto a quel che noi vorremmo essere. A questo punto del vangelo, se i discepoli hanno una coscienza, se noi abbiamo un po' di capacità di introspezione, non si può non scoprirsi... inemendabili, inguaribili, lebbrosi appunto. Dieci è il numero della totalità (tuttora il numero minimo di partecipanti a una sinagoga): i dieci lebbrosi che escono dal villaggio rappresentano dunque tutti gli uomini, tutti noi.
Per vincere la distanza fra loro e Dio i lebbrosi alzano la voce, gridano, e invocano aiuto pronunciando, per primi nel vangelo di Luca, il nome "Gesù". Così faranno più avanti il cieco di Gerico (18,35-43) e infine il malfattore in croce (23,42). Pronunciare il nome significa essere amici, avere fiducia. Noi siamo radicati nella errata convinzione che siano le nostre opere buone a predisporci all'incontro con Dio. In realtà sono i nostri fallimenti, quelli che ci portano a dire "Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me peccatore" (la preghiera del Pellegrino Russo). Il luogo della misericordia di Dio è la nostra miseria.
Ogni relazione vera con gli altri è grazia cioè è gratuita. La relazione con gli altri non si può pretendere e non si può meritare altrimenti non è più relazione ma commercio. A maggior ragione con Dio. Quindi la coscienza del proprio limite non è un atteggiamento di triste auto-commiserazione ma la premessa sincera, serena e onesta per incontrare Dio: è dove siamo deboli che siamo invece forti (cfr. 2Corinti 12,10). A livello teorico riusciamo a volte a vincere la convinzione che Dio ci accetti primariamente per le nostre buone opere e a capire che ci è vicino esattamente nella nostra situazione di bisogno. A livello pratico ed esistenziale questo cambio di prospettiva, questa vera e propria conversione, è molto più difficile.
Secondo quanto prescritto nel Levitico, qualora il lebbroso si ritenesse guarito doveva andare a presentarsi ai sacerdoti. Questi dieci, però, partono mentre non sono ancora guariti. Con questa contraddizione si vuole esprimere la novità della salvezza annunciata da Gesù: non occorre essere già mondi (sanati), per salire al Tempio e incontrare Dio. Lo si diventa mentre si cammina, obbedendo alla Parola. E` la fiducia nella "buona notizia" dell'amore di Dio che ci permette di camminare e migliorare noi stessi, di guarire la nostra vita.
La nostra lebbra è "mancanza di fiducia in Dio, quindi in noi stessi, infine negli altri". Noi non possiamo vivere senza avere fiducia in qualcosa. Continuamente siamo fiduciosi che il soffitto non crollerà e che chi ci vive accanto non ci ucciderà. Quando amiamo qualcuno di fatto facciamo un atto di fede in questa persona. Quando non ci fidiamo di qualcosa o di qualcuno cerchiamo delle prove, dei segni e, dato che questi non bastano mai, la nostra vita diventa infelice, malata. E` necessaria una fiducia iniziale per intraprendere un cammino: se ci annunciano che il pranzo è pronto e non andiamo non sapremo mai se era vero o no. Non è possibile essere sicuri prima di provare. Dalla lebbra dell'inganno del Maligno si può essere sanati solo iniziando a camminare, con un atto di fiducia iniziale.
I lebbrosi dunque ricevono la vita mentre camminano. Sono dieci e rappresentano tutta l'umanità alla quale è offerta la guarigione dalla lebbra mediante la croce di Gesù. Di dieci solo uno ha capito e si converte ossia torna indietro ad adorare il suo salvatore, a ringraziarlo contento. Il pensiero di Gesù corre agli altri nove, come dovrebbero fare i cristiani nei confronti di chi ancora non conosce la grazia ricevuta. Per questo la Messa si chiama così, perché è missione (ite, Missa est: andate la Messa è finita), è dedizione ai fratelli. La gioia della redenzione non può non rivelarsi nell'atteggiamento verso tutti gli altri, un atteggiamento che non deve escludere nessuno. Questo fatto è sottolineato notando che proprio l'unico che si converte è un samaritano, uno straniero, un eretico. Se noi non ci curiamo degli altri nove siamo come Caino ("sono forse il custode di mio fratello?", Genesi 4,9). Se la nostra fede non ci fa andare verso gli altri significa che non abbiamo conosciuto Dio ma utilizziamo un Dio a nostra immagine che manipoliamo come vogliamo noi.
Dio non salva, è la salvezza, il porto, il termine cui arriviamo se abbiamo fede: è la fede dunque a salvare la nostra vita, la fede che Dio è come ci viene rivelato e testimoniato. Anche in altre occasioni Gesù dice: la tua fede ti ha salvato: alla peccatrice (Luca 7,50), all'emorroissa (Luca 8,48) e al cieco di Gerico (Luca 18,42). La fede consiste nell'essere coscienti di essere lebbrosi, nel gridare a Gesù abbi pietà di noi, nel camminare, nel ringraziare e infine nell'andare verso i fratelli. Per questo Gesù dice al lebbroso tornato indietro di alzarsi, come un risorto, e di andare, andare verso gli altri nove.