43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.45L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
46Perché mi invocate: «Signore, Signore!» e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 49Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande»
Il tema La misericordia verso il prossimo, figlia della misericordia di Dio verso di noi, è l'unica roccia su cui fondare la vita in modo che i nostri frutti siano spontaneamente buoni.
Con questi due esempi, il frutto e la casa, Gesù conclude il Discorso della Montagna, iniziato con le beatitudini e culminato con l'invito a conoscere la misericordia di Dio per diventare a nostra volta misericordiosi.
Questo criterio di vita è chiamato da S. Giacomo, nella sua lettera, "la legge di libertà":
Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio. (Giacomo 2,12-13)
La legge di libertà è quella che regge il comportamento dei figli, i liberi, contrapposti agli schiavi nella società del tempo. Questa legge di libertà è la misericordia verso tutti. Chi non usa misericordia non riconosce fratelli gli altri e non riconosce come padre Dio il quale, invece, usa misericordia verso ciascuno di noi. La misericordia va oltre, ha sempre la meglio sul giudizio, dice S. Giacomo, perché, è ovvio, la misericordia va applicata proprio quando l'altro, secondo il nostro giudizio, ha torto e noi abbiamo ragione.
S. Paolo, in Filippesi 3,4-6 applica alla propria esperienza personale questa scoperta: "[Io, che ero], quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della Legge, irreprensibile, ... ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore". Paolo dunque non si è convertito dal peccato alla bontà (come Matteo ad esempio) ma dalla perfezione alla misericordia, dal considerare i cristiani una setta malvagia di gente che perdona e dunque non persegue la giustizia, alla conoscenza di Dio che ama tutti. Questa è anche la conversione cui Luca vuol condurre Teofilo (1,3-4) facendolo passare dall'essere "colui che ama Dio" a colui che sente d'essere amato da Dio. Non esistono altre strade o persone più illuminate, come visto nei versetti precedenti (6,39ss).
L'uomo viene paragonato a un albero. L'albero è simbolo della vita perché assume ciò che non è vivo - i quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco (la luce) - per produrre la vita. L'albero è anche simbolo dell'uomo: viene dalla terra - è mortale - e si protende verso il cielo - cerca Dio e Dio è il suo fine. Gli alberi che sono a foglia cadùca e seguono le stagioni rappresentano la speranza di resurrezione ossia della primavera dopo l'inverno. Gli alberi sempreverdi invece rappresentano l'immortalità. Nell'Eden troviamo gli alberi della vita e della conoscenza a rappresentare la scelta umana. Nella passione di Gesù incontreremo l'albero della croce, contemporaneamente massimo male e massimo bene, l'albero che nell'Apocalisse dà a noi frutti dodici volte l'anno (Apocalisse 22,2) cioè per sempre. L'albero è dunque un simbolo ricchissimo nella Scrittura.
I frutti del fico, l'albero del peccato originale secondo le rappresentazioni pittoriche.
Dell'albero in questo brano si evidenzia la qualità di produrre spontaneamente i frutti per i quali è creato. L'albero buono fa spontaneamente un frutto buono e quello cattivo un frutto cattivo, putrido, mortifero. L'albero buono non ha bisogno di sforzarsi per produrre i suoi frutti. Analogamente l'uomo produce opere buone se è figlio della misericordia, se ha compreso la misericordia di Dio verso di sé, se comprende nel suo intimo la figliolanza da Dio. Le buone opere non sono frutto di un codice di comportamento che ci si impone in nome di una giustizia dettata da Dio o dedotta dalla nostra ragione.
L'opera principale dell'uomo sono le parole della sua bocca: se giudicano e condannano (6,37) dirigono male ogni altra opera. La lettera di Giacomo spiega l'importanza nel bene e nel male delle nostre parole: "Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo". La lingua è infatti come il timone delle navi: "benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota" (Giacomo 3,2-4).
Poi Gesù sembra rivolgersi ai cristiani - praticanti - del nostro tempo (e di ogni tempo): perché invocate nella liturgia "Signore, Signore" e poi non fate quello che dico? Ancora Giacomo ci mette in guardia: "Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?" (Giacomo 2,19-20). "Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi" (1,22).
Nell'episodio dell'esorcismo (Luca 4,31-37) si è visto che l'indemoniato frequentava la sinagoga e dunque ascoltava la parola ma non era capace di metterla in pratica: era indemoniato. Anche noi possiamo cullarci nell'ascolto o nella lettura ma quando la parola scalfisce il nostro "demonietto" ecco che questo prorompe: "Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio" (Luca 4,34). Dunque quando il vangelo ci disturba quello è il momento in cui opera e snida il male. Altrimenti stiamo perdendo tempo a fare del nozionismo su Dio.
La casa (non la tana) è il luogo dove l'uomo abita, il luogo delle sue relazioni. Dio dovrebbe essere la nostra casa, il luogo dove siamo accolti, il luogo che Gesù ci prepara con la sua croce (vedi Giovanni 14,2-3). Seguendo il tema della "casa" è possibile leggere tutta la Scrittura, da "Adamo dove sei" (Genesi 3,9) alle nozze dell'Apocalisse. La casa indistruttibile, basata sull'accoglienza, è quella delineata da Gesù col discorso sulla misericordia perché, se la conoscenza riempie di orgoglio, è l'amore che edifica, cioè costruisce la casa (cfr. 1Corinzi 8,1). La vita riserva difficoltà per tutti, al saggio come allo stolto: l'acqua del fiume che irrompe è figura delle sofferenze e della morte. Ma la misericordia vince ogni male.
Le relazioni umane - amicizia, amore, parentela - sono segnate sempre e comunque dalla delusione che arriva, presto o tardi. Se non ci si fonda sulla misericordia la nostra disillusione è un inciampo che non riusciamo a superare e in questi casi tutta l'esistenza sembra crollare.
Ancora una volta: non esiste alcuna strada più perfetta di questa: nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. (1Corinti 3,11).