25Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: 26«Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
28Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. 33Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
34Il sale è buono, ma se anche il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si salerà? 35Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per intendere, intenda».
Il tema Le esigenze della morale evangelica non sono difficili, sono impossibili, come si ricava leggendo con onestà le beatitudini, il "porgi l'altra guancia", "amare i nemici", "vendere tutto" eccetera. Non è questa la via percorribile per essere discepoli. L'unica via è imparare a vivere di grazia, sapendo di essere già amati, e da lì partire per vivere una vita rappacificata.
In Matteo la parabola del banchetto ha una coda finale in cui il padrone, dopo che ha fatto entrare tutti, trova al banchetto uno senza la veste nuziale e lo caccia fuori. La veste nuziale è dunque il requisito unico per essere salvato e che dobbiamo scoprire.
Molta gente sta camminando con Gesù. Sono i molti invitati alla cena della parabola precedente. Dalla prima frase di Gesù appare subito chiaro che nessuno può essere suo discepolo.
Le parole di Gesù riprendono quanto ha già detto alla fine del capitolo 9 dove dichiara che il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo, che occorre lasciare che i morti seppelliscano i loro morti e che se ci si volge indietro mentre si ara non si è adatti a quel mestiere. Lì, in sostanza, Gesù ci avverte che un discepolo non deve essere prigioniero delle cose (le tane, i nidi), delle persone (il padre) o della propria condizione attuale (volgersi indietro). L'espressione - molto forte per la nostra sensibilità - di "odiare" è un semitismo da intendere come "amare di meno" o "amare ma al secondo posto". In termini meno aspri possiamo dire che la condizione per seguire Gesù è il non essere legati, come assoluto, agli affetti di quaggiù, alla famiglia e alla propria vita materiale. Ma anche così è un requisito troppo stringente, una porta troppo stretta.
Possiamo anche vedere in coloro che entrano al banchetto una allegoria delle condizioni che qui sono richieste: non avere moglie ("una sola carne", come scritto in Genesi 2,24, o anche "la propria metà", come si dice comunemente) è come essere storpi, con metà corpo paralizzato; non avere figli significa essere ciechi (si dice infatti "orbato dei figli", quando non si ha discendenza, non si ha futuro); non avere fratelli e sorelle significa essere senza aiuto, senza stampelle, essere zoppi, non avere la vita significa essere morti, perduti.
Dunque non avere genitori, moglie, figli, fratelli, vita fisica significa che il nostro unico appoggio e speranza è Dio e solo se viviamo correttamente questo rapporto con Dio poi viviamo bene la relazione con ogni altra persona e con i nostri limiti umani. Le parole di Gesù sono dunque una riproposizione dell'unico comandamento: amare Dio come assoluto e poi il prossimo in quanto nostro fratello. Se invece amo qualcuno (o la mia stessa vita) come assoluto questo diventa il mio idolo e questo amore non può che fallire e deludere: è rivolto a una creatura limitata.
Quella richiesta da Gesù è il tipo di testimonianza che ritroviamo dalle vocazioni religiose e nel celibato ecclesiastico: chi sceglie questa strada non ha famiglia né figli e testimonia che la sua vita dipende in tutto e per tutto dall'amore di Dio.
La conclusione che si trae dalla prima affermazione è che comunque nessuno è capace di amare Dio con tutta la vita le forze ecc. e dunque nessuno può essere discepolo. Ma non è finita: ognuno ha anche la sua propria croce da portare. Noi tendiamo a pensare che "la nostra croce" sia chi ci sta vicino e ci ostacola oppure che croce siano i limiti fisici e storici cui siamo soggetti. Invece la propria croce sono i nostri stessi limiti, tutto ciò che ci impedisce di accettare la vita così come essa è. Si tratta dunque di rimuovere il proprio egocentrismo e di acquisire lo stile di Gesù, lo spirito del Figlio, di seguire Gesù vincendo il male col bene, l'odio con l'amore, il peccato col perdono. Anche questa porta è molto ma molto stretta.
La torre (un silos, diremmo noi) è il luogo sicuro dove porre i propri beni, la vita che Dio ci ha donato e tutte le cose che amiamo. Il nostro problema è come mettere al sicuro tutto questo. Dopo le parole precedenti uno si chiede se e come potrà mai amare Dio e accettare la vita come è richiesto, se sarà capace di portare a compimento questo programma di vita difficilissimo ossia terminare la torre. Luca anche qui si dimostra sensibile al tema della vergogna, alla prospettiva di essere deriso perché cristiano, per essersi sacrificato senza avere risultato. La maggioranza di noi, se si siede a fare i conti per capire se può soddisfare le condizioni per essere discepolo, non può concludere che negativamente: io non sono in grado di portare a compimento questa torre.
Nelle tentazioni di Gesù l'altro re è il diavolo, che gli mostra "tutti i regni della terra... e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio" (Luca 4,5-6). Il nostro problema è dunque come condurre la guerra contro questo re potentissimo. Qui il risultato del calcolo è addirittura scontato: è chiaro che con diecimila soldati non si vince una guerra contro chi ne ha ventimila. E se anche avessi più soldati di Satana tutto quello che potrei ottenere è costruire io il regno di Satana. Questo è un avvertimento per i cristiani perché non si lascino tentare a usare le stesse armi del Nemico: il potere, la gloria, i soldi. E non devono neanche lasciarsi tentare a stipulare una pace col Nemico in modo da mantenere almeno un po' di potere. Dunque anche la strada della guerra al Male, usando le stesse armi, non è percorribile.
L'unica forza che vince è la povertà perché - come ci testimoniano i santi - quando si è finito di dare cose si comincia a dare se stessi. Dio ha dato se stesso e dà se stesso da sempre all'uomo. L'unica strategia vincente è rinunziare ai propri averi, non possedere nulla perché così la lotta col Nemico non è più sul piano dell'avere, non si ha più nulla di materiale da difendere.
Anche sul piano spirituale l'unica forza che vince è la povertà ossia accettare serenamente che non siamo in grado, da noi stessi, di amare Dio come assoluto e dunque chiedere questa capacità come grazia e come dono di Dio stesso. Il consiglio di Gesù è dunque di buttar via anche i diecimila soldati e confidare in lui. La vera condizione per essere discepolo, la veste nuziale, è capire che io non posso, di mio, essere suo discepolo. L'essere discepoli è grazia, non conquista [1]. Dalla porta stretta passano solo i poveri, storpi, ciechi, zoppi: quelli che sanno di non avere alcun merito per passare [2]. Tutta questa parte del vangelo cerca di sgonfiare l'"idropico religioso" che è dentro di noi, il giusto che ci impedisce di vivere di amore e di grazia.
Il sale è simbolo della saggezza, del discernimento, della capacità di fare buone scelte. La sapienza consiste nel far leva sulla nostra povertà (come ci insegna Maria nel Magnificat: «ha guardato la piccolezza della sua serva», Luca 1,48), nel riconoscere la nostra inadeguatezza e lasciare che Dio agisca in noi. Altrimenti, se non viviamo di misericordia, siamo un sale insipido, facciamo più male che bene, non siamo più né figli né fratelli. Questo legame povertà-sapienza-sale è testimoniato anche da Matteo 5,13 in cui, proprio dopo le beatitudini, Gesù dice: Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
[1] Si veda anche 2Corinzi 12,7-10 in cui S.Paolo conclude: quando sono debole, è allora che sono forte.
[2] Ecco una storiella didattica su questo punto: «Un uomo giunge alla porta del Paradiso e trova un cartello che dice: "PUNTEGGIO PER ENTRARE: 10.000". Al colloquio con S.Pietro riassume la sua vita: ha frequentato la chiesa e la catechesi ("totale 7 punti", dichiara S.Pietro), ha voluto bene alla moglie e ai figli, fatto volontariato ("12 punti"), condotto alla conversione tre persone ("bravo! 30 punti"). A questo punto il poveretto, fissando il cartello, spaventato, esclama: "Io non credevo servisse tanto! non ce la farò mai! qui si entra solo per grazia di Dio!" E S.Pietro: "9.970 punti! prego, passi pure"».