«...33Nessuno accende una lampada e poi la mette in un luogo nascosto o sotto il moggio, ma sul candelabro, perché chi entra veda la luce. 34La lampada del corpo è il tuo occhio. Quando il tuo occhio è semplice, anche tutto il tuo corpo è luminoso; ma se è cattivo, anche il tuo corpo è tenebroso. 35Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. 36Se dunque il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere alcuna parte nelle tenebre, sarà tutto nella luce, come quando la lampada ti illumina con il suo fulgore».
Il tema Può accaderci di amare Gesù e di avere lo spirito opposto al suo, uno spirito che è tenebra e dunque impedisce a chi è fuori di entrare nella casa.
In questo brano Gesù continua ad aiutarci perché possiamo capire di che spirito siamo noi che desideriamo seguirlo. Possiamo avere in noi lo Spirito del Figlio che ci fa dire Abbà e ci fa conoscere Dio come Padre e Gesù come fratello fra i fratelli. Ma potremmo avere anche lo spirito muto che ci impedisce di comunicare, ci fa diffidenti e ci divide da Dio Padre e dai fratelli.
Acquisire dei criteri per distinguere i due spiriti non significa essere arrivati. Noi, ad ogni momento della nostra giornata, siamo soggetti alla tentazione di diventare uno spirito muto. Ogni nostra azione è nuova e dunque impone una scelta di spirito perché ogni nostro atto può essere compiuto con uno spirito oppure con l'altro, anche se l'azione è intrinsecamente buona: ricordiamo che Gesù fu tentato a fin di bene: per la sussistenza materiale e per manifestare Dio.
La luce significa sapienza, amore, vita; la luce dà colore e calore alle cose ossia le fa esistere, le rende evidenti, le rende utilizzabili.
Barabba (Antony Quinn nel film del 1961) interpreta l'incendio di Roma come il modo in cui dovrà manifestarsi il Regno di Dio facendo così ingenuamente il gioco di Nerone. Un film meraviglioso sulla storia di un'anima che protesta tutta la vita che "il vostro Dio dovrebbe essere più chiaro e spiegarsi meglio".
Gesù ci paragona a una lampada che lui, Luce del mondo, ha acceso. Se siamo lampade accese noi possiamo far luce agli altri. Entra qui il tema dell'identità cristiana e della sua rilevanza e testimonianza: i cristiani non devono ritenersi una setta di illuminati che abbandonano il resto del mondo dicendo "affari loro!". I figli sono figli se si considerano responsabili dei fratelli.
Vi sono vari modi di manifestare la propria identità cristiana. Ci sono innanzi tutto coloro che nascondono la loro fede, la considerano un affare privato fra loro e Dio e costruiscono, in genere, una religione fondata su buone pratiche di pietà. Potremmo chiamarli i "cristiani dell'assenza". Dall'altra parte ci sono i "cristiani della presenza" ossia coloro che cercano, in concorrenza col mondo, di clonarne le istituzioni dando loro una veste cristiana: creano scuole cristiane, partiti cristiani, giornali cristiani, circoli culturali cristiani, costumi e usanze cristiane, ospedali cristiani, aziende cristiane e magari anche eserciti cristiani. Queste istituzioni, al di là della lodevole intenzione, pretendono di giocare con le stesse regole (di mercato, di legislazione, di organizzazione interna) delle strutture non-cristiane e rischiano continuamente di creare contrapposizione e separazione sia con il mondo sia, addirittura, con gli altri cristiani che hanno abitudini, culture, tradizione diversi. Ma Gesù Cristo non è una cultura o una norma morale: è una notizia che dovrebbe inserirsi in ogni cultura, dato che la morale naturale è inscritta nella natura di ciascuno. Il Cristo proposto dai cristiani della presenza tende a diventare spesso l'Anticristo ossia il Divisore e l'Accusatore. Quelli che potremmo definire i "cristiani dell'irrilevanza" invece soffrono di un complesso di inferiorità rispetto a quello che propone il mercato delle ideologie e interpretano il "non giudicare" evangelico come il dovere di astenersi da ogni valutazione morale. Tutto e il contrario di tutto può essere benedetto e accettato perché qualsiasi cosa, purché "spontanea" è vista come intrinsecamente positiva. In realtà, man mano che la storia procede, ci sono invece richieste sempre più decisioni che sono sottratte agli eventi naturali e ricadono sulla nostra responsabilità. Si pensi solo alla considerazione della vita, come sia diversa rispetto a un tempo in cui si viveva 40 anni e la mortalità infantile era all'80%. Ci sono anche i "cristiani del lamento" che, invece di proporre e testimoniare la luce, passano il tempo a lamentarsi rimproverando il mondo perché è nelle tenebre. Ma le tenebre sono il dato di partenza, il luogo di lavoro dei cristiani: un taglialegna non si può lamentare del tronco che è ancora intero ma deve darsi da fare per trasformarlo in legna. Alcuni tra i cristiani del lamento passano dalla difesa all'offesa e diventano i "cristiani delle crociate", con armi che variano secondo il tempo e il luogo. Sarà questo quel che cercherà di fare Pietro nell'orto degli ulivi tirando fuori il suo spadino. La loro speranza, vero tradimento del cristianesimo, è imporre con la forza una societas christiana reprimendo tutti quelli che non si adattano. In uno o più d'uno di questi "tipi cristiani" dovremmo riconoscere ciascuno di noi, che oscilliamo continuamente tra l'idea secondo cui la luce deve essere nascosta e quella secondo cui la luce deve essere imposta. Queste due tentazioni sono sempre davanti a noi e hanno l'effetto di porre la luce di Gesù, la lampada, sotto il moggio [1]. Sotto il moggio la lampada non illumina e, soprattutto, poco dopo si spegne.
Il cristiano invece è chiamato a essere testimone ossia a manifestare, col suo comportamento quotidiano, che lui sa di essere un figlio di Dio, un salvato dalla morte. L'identità cristiana non è dunque un "modello culturale" e sta tutta nel vivere secondo le beatitudini ossia la povertà, il servizio, l'umiltà, il dono, il perdono, la misericordia. Questa è la luce che gli altri possono vedere, la luce che poi questi altri cominciano a desiderare perché capiscono che è bello vivere così. Alla fine a questa nostra luce essi accendono la loro luce come viene simboleggiato nella liturgia della notte di Pasqua. Questi pochi versetti contengono 9 volte la parola lampada o luce e i loro derivati.
In Matteo 5,13-14, subito dopo le beatitudini, troviamo che Gesù dice: «Voi siete il sale della terra ... voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte». La luce non si vede, noi vediamo solo gli oggetti illuminati dalla luce. Similmente il sale non si vede ma dà il sapore al cibo che lo contiene. Il cristianesimo si propaga per attrazione: la fede che abbiamo dipende dalla luce diffusa dalle persone che ce l'hanno testimoniata, tipicamente la mamma o la nonna.
Il candelabro simboleggia la croce di Gesù, verso la quale tutti guardano. Simboleggia la gloria di Dio ossia il suo essere Padre. Luca è molto preoccupato di coloro che sono ancora fuori dalla casa ossia i non-credenti. E ci tiene a sottolineare che se la casa, dentro, è illuminata allora quelli che sono fuori sono più propensi ad entrare perché vedono che non ci sono rischi. Dobbiamo immaginarci le case di un tempo, con poche e piccole finestre, per apprezzare questa similitudine. Ogni cristiano nella Chiesa (cioè la casa) è chiamato alla testimonianza, che non consiste nell'andare a tampinare la gente suonando al campanello.
Col v. 34 ci si domanda se davvero si sia accesi e con questa espressione Gesù introduce il tema dell'occhio che rivela il contenuto del cuore (sede della ragione e della volontà secondo l'interpretazione semitica). Attraverso l'occhio noi vediamo e interpretiamo la realtà nel modo in cui il nostro cuore vuole intenderla. Chi ama vede tutto in luce positiva. Invece chi ha tensioni, invidie e insoddisfazioni vede tutto in modo negativo e criticabile. Con l'occhio si accoglie oppure si giudica, si valorizza una persona o la si intrappola in uno stereotipo.
Il nostro occhio è quello dell'ape o della mosca? abbiamo mai pensato che, in un immondezzaio, l'ape va a posarsi sull'unico fiore mentre la mosca, in un campo di fiori, va probabilmente a posarsi sull'unica cacca? L'occhio semplice vede il poco bene che c'è e del male fa oggetto di amore e misericordia, come ha fatto Cristo nella sua vita e nella sua passione. L'occhio semplice è quello che riconosce il bisogno di tutti di essere voluti bene. E' l'occhio di Dio, che è accoglienza, amore, misericordia. Su questa base potremmo fare l'esame della nostra giornata: con quale occhio abbiamo guardato il nostro prossimo oggi? Noi siamo un po' come vediamo il mondo fuori di noi perché proiettiamo nella realtà ciò che abbiamo dentro: se dentro di noi abbiamo tenebre, noi vediamo tenebre e con le nostre azioni produciamo purtroppo tenebre.
Per purificare il cuore occorre innanzitutto "vedere la nostra tenebra" ossia prendere coscienza della situazione. Infatti il versetto 35 ci avverte che esiste anche un tipo di "luce tenebrosa", ossia la condizione di chi si ritiene buono e perfetto così da condannare gli altri. Nella Bibbia vi sono molti esempi. In Filippesi 3,4b-11 troviamo Paolo che elenca quelli che potrebbero essere i suoi vanti come giudeo osservante e che potrebbero condurlo, come avveniva prima della conversione, a giudicare e disprezzare gli altri. Confrontando queste qualità con la fede nel Dio-Misericordia manifestato da Gesù, Paolo considera la sua precedente fiducia nella carne, cioè nelle proprie doti, come spazzatura. Invece Giona, nel suo libro, misura la distanza fra la propria giustizia e il peccato di Ninive e manifesta tutto il suo dispiacere per la misericordia di Dio che non punisce i niniviti. O, ancora, Giacomo e Giovanni che chiedono a Gesù un fuoco dal cielo che distrugga il villaggio di Samaritani che non ha voluto riceverli. A quel punto Gesù li apostrofa: non sapete di che spirito siete. Infine, in Giovanni al cap. 9, dopo la guarigione del cieco, sono gli stessi Farisei che chiedono stizziti a Gesù se sono ciechi anche loro e ricevono la risposta: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato rimane». Rendiamoci conto che può accaderci di amare Gesù e di avere lo spirito opposto al suo, uno spirito che è tenebra e dunque impedisce a chi è fuori di entrare nella casa. Satana è espertissimo a travestirsi da angelo della luce, come afferma Paolo in 2Corinzi 11,14 ("... anche Satana si maschera da angelo di luce").
L'esame della nostra coscienza deve portarci a trovare i punti oscuri della nostra fede e del nostro amore per Gesù per arrivare ad avere il corpo tutto luminoso. E' sufficiente una sola zona oscura per alterare e rovinare completamente il bene, come accadeva ai discepoli Giacomo e Giovanni citati più sopra che amavano sì il Signore ma di un amore che era, alla fin fine, interesse per se stessi. La lampada che illumina col suo fulgore ci richiama la trasfigurazione dove si dice che la veste di Gesù divenne sfolgorante (9,29).
Tutto il vangelo è un esorcismo che scaccia via la luce delle Tenebre per portarci la Luce di Cristo. A questo serve leggere il vangelo. E per questo, quando dimentichiamo il vangelo, cadiamo nelle tenebre cioè non sappiamo più quel che facciamo come le persone religiose che hanno crocifisso Gesù (cfr. Luca 23,33). Il testo può apparire un po' pessimista con questa insistenza a non coprire la luce, a verificare che sia vera luce, a sforzarsi di togliere ogni lato oscuro. In realtà dobbiamo considerare che le tentazioni (ossia il pericolo di fare il male a fin di bene) è proprio una caratteristica dei figli della luce. Chi è già nelle tenebre il Nemico lo lascia stare, perché è un cliente già acquisito. Sembra paradossale ma proprio se siamo figli della luce notiamo la fatica del fare bene e la necessità di discernimento perché i nostri mezzi e il nostro fine siano entrambi buoni: questo brano di vangelo (come sempre del resto) è dedicato a noi credenti di oggi.
[1] Il moggio è una specie di secchiello che si usava nell'epoca romana come unità di misura per le granaglie, con capacità di circa 8-9 litri. Le dimensioni sono poi molto cambiate nel corso dei secoli.