18Diceva dunque: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? 19È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». 20E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? 21È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Il tema Due parabole in tre versetti per mostrare che il regno di Dio (ossia il modo in cui Dio regna) è l'opposto del modo di regnare umano: Dio è piccolo (perché chi ama si fa piccolo) e non appariscente (perché chi ama non domina). Come dovrebbe essere intesa l'identità cristiana.
Arbusto fiorito di senape.
Come si è già visto nei passi precedenti (Pilato, la torre, il fico sterile, la donna curva) Gesù sta esponendo una teologia della storia ossia sta spiegando quale relazione ci sia tra la nostra fede e la nostra storia, tra l'immagine che abbiamo di Dio e i fondamenti delle nostre azioni.
Dai fatti che sono stati raccontati emerge che i nostri problemi esistenziali di base sono il male e la morte. Dato che non possiamo evitare nessuno dei due, l'unico modo positivo di affrontarli è cambiare i nostri criteri di vita, cambiare le motivazioni per cui viviamo, sollevandoci così dalla condizione d'essere curvi verso il terreno. Dio, nell'attesa della nostra conversione attende, in croce, ancora un altro anno e nel frattempo zappa e concima.
Lo stile di Dio nella storia è rappresentato da queste due brevissime parabole complementari. Si tratta di tre soli versetti, un discorso breve, appunto, per mostrare un qualcosa di piccolo e di nascosto: sarebbe stato inappropriato un discorso lungo e difficile per introdurre qualcosa che è piccolo come un seme e nascosto come il lievito nella pasta. Il Regno di Dio - dice Gesù con queste parabole - sta tutto qui: sembra poco ma è tutto quello di cui tu uomo hai bisogno. Questo Regno di Dio permette all'uomo di drizzarsi, di stare davanti a Dio e di vivere dell'essere simile a lui.
Di Dio e del suo regno non è possibile parlare direttamente perché Dio nessuno lo ha mai visto. Quindi, perché si possa capire, Gesù usa dei paragoni e delle similitudini con fatti e oggetti della vita quotidiana (un seme, il lievito, la porta, il banchetto...). Usare una parabola comporta anche il vantaggio di non fare affermazioni troppo dirette, di lasciare a chi ascolta il tempo per pensare, di evitare la polemica immediata.
Gesù inizia le due parabole parlando del Regno di Dio come di due eventi ormai passati: "un granello di senape, che un uomo prese e gettò" e il "lievito, che una donna prese e mescolò". Dunque Gesù ci sta parlando di cose che sono già accadute e ci sta indicando che il Regno di Dio è già presente nel mondo: va solo capito. Gesù paragona il Regno di Dio prima a una cosa piccola (il granello di senape) e poi a una cosa nascosta (il lievito): sono le caratteristiche di Dio, il quale si fa piccolo e non si impone. Il lievito, farina andata a male, rappresenta addirittura un elemento negativo: tra i preparativi per la Pasqua ebraica era prescritta la pulizia della casa da ogni cosa marcita o fermentata, ossia da tutto il lievito. E anche Gesù sarà fatto scomparire prima di Pasqua proprio come immondo.
Cos'è il Regno di Dio? Innanzitutto è il contrario del regno dell'uomo: dall'Antico Testamento sappiamo che gli Ebrei, da Samuele in poi, chiedono insistentemente un re per sentirsi "normali" come gli altri popoli. Inutilmente Dio spiega che il re è colui che domina e che limita la libertà: "... prenderà i vostri figli... le vostre figlie... i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli... le vostre sementi... sulle vostre vigne prenderà le decime... vi prenderà i servi e le serve, i vostri armenti migliori e i vostri asini... metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi. Allora griderete..., ma il Signore non vi ascolterà" (1Samuele 8,11-18). La Bibbia svolge questo stesso tema anche nell'apologo del re degli alberi in Giudici 9, in cui le piante che veramente svolgono un servizio non vogliono diventare re e solo il rovo, spinoso e che non dà frutti commestibili, si propone come re: l'apologo è una rappresentazione figurata del potere dell'uomo sull'uomo. La durezza di questi giudizi di Dio sia verso il potere civile che quello religioso, sparsi lungo tutta la Bibbia, spiega come mai, spesso, giudici e profeti venissero perseguitati e uccisi.
Il re, in questo mondo, è colui che rappresenta ciò che tutti noi vorremmo essere, la proiezione dei nostri desideri. Ogni uomo tenta di essere potente e dominatore per cui cerca un re potente che lo dominerà. Quando poi applichiamo questa visione a Dio otteniamo l'immagine distorta di un Dio potente e giustiziere come in tutte le religioni. In realtà Dio non è potente: Dio è amore. E l'amore, per definizione, non domina: amare è mettersi nelle mani dell'altro.
L'Antico Testamento, dopo l'istituzione della monarchia, annota, quasi di ogni re, che fece peggio dei suoi predecessori [1] fino a introdurre, un po' alla volta, la promessa di un re, discendente di Davide, che avrebbe riportato la giustizia. La promessa cresce fino a delinearsi come Dio stesso che avrebbe regnato direttamente.
Arriviamo così al Vangelo, in particolare alle beatitudini, dove Gesù annuncia: "Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio" e, si noti, è detto "vostro è" e non "vostro sarà". Dunque il povero è, oggi, "il re" del regno di Dio. I poveri - cioè quelli che soffrono a causa del male degli altri - sono quelli che ci danno l'immagine autentica di Dio, che soffre per il male che facciamo.
Il Regno di Dio è la liberazione da un falso modello di uomo, nostra fotocopia di un falso modello di Dio. Il Regno di Dio è Dio che regna... alla sua maniera. Il Regno di Dio è quello in cui sono re i poveri, gli affamati, gli assetati, gli ignudi, gli infermi, i prigionieri.
La senape (Brassica Nigra) è una pianta annuale che diventa in qualche mese un arbusto alto fino a 2-3 metri. La sua vitalità è simbolo dell'amore di Dio che all'apparenza è cosa insignificante ma sostiene tutto il mondo.
Il chicco di senape "è il più piccolo di tutti i semi" (Marco 4,31) ed è lungo circa 1 mm. Questo piccolissimo seme è il Regno di Dio, piccolo come il bambino che viene annunciato ai pastori e giace nella mangiatoia che è già anticipazione del sepolcro. Quando i discepoli discutono su chi sia il più grande Gesù risponde che "chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande" (Luca 9,48). L'amore non è ingombrante, non occupa spazio, non tenta di affermare se stesso e il proprio io ma si restringe per fare posto all'altro (vedi l'inno alla carità in 1Corinti 13). Dio è colui che ci lascia infinitamente spazio perché ci salviamo. Dio non solo è piccolo ma è anche escluso: Dio è l'affamato, l'assetato,... colui che nella storia non conta.
Il Regno di Dio è paragonato al seme anche perché il seme sviluppa tutta la sua forza vitale morendo (Giovanni 12,24 [2]). La scena del chicco preso e poi gettato nel giardino riecheggia la Passione di Gesù, un rabbi della Palestina, che gli uomini hanno preso, crocifisso e sepolto nel giardino fuori dalle mura della città (Giovanni 19,41 [3]). La croce è per noi l'albero della vita, in cui tutti gli uccelli del cielo (cioè tutti i popoli [4]) trovano il loro nido, il luogo dove sono nati, dove hanno ricevuto la vita. Il testo greco dice che gli uccelli "fecero la tenda" una espressione che ha assonanza con shekinah ossia la presenza di Dio. A Gesù veniva rimproverato (anche dagli stessi discepoli) che la sua "strategia" era ininfluente cioè che lui era "piccolo". Anche oggi noi cristiani facciamo fatica a capire che "il bambino di Betlemme" e "il crocifisso" siano il Salvatore. Come gli ebrei di allora anche noi uomini d'oggi siamo continuamente tentati di attendere un condottiero, uno che ha la forza, il potere. Tutta la letteratura e la cinematografia non sono forse pieni di super-eroi? Invece il Regno di Dio è una cosa piccolissima: è l'annuncio per tutti dell'amore di Dio che si manifesta nel crocifisso, il "re", come è scritto nel cartiglio sopra la croce. I santi comprendono questo. Se facciamo attenzione alle fotografie di Madre Teresa di Calcutta mentre guarda i poveri intuiamo che per lei essi sono realmente Cristo, sono i suoi salvatori, essi sono il suo re.
Poi Gesù paragona il Regno di Dio al lievito. Fuori dall'ambito ebraico, il lievito è considerato semplicemente un componente utile nella preparazione alimentare ed è così che solitamente si interpreta la parabola. Per gli ebrei osservanti invece il lievito ha una connotazione negativa e molti precetti richiedono che ogni prodotto di fermentazione sia accuratamente evitato nei riti e, soprattutto, venga eliminato dalla casa prima della Pasqua. A Gesù veniva rimproverato di essere un bestemmiatore (Luca 5,21), un indemoniato (Giovanni 7,20 [5]; 8,48 [6]; 10,20 [7]), un pazzo (Marco 3,21, da parte dei parenti [8]; Giovanni 10,20 [7]), un samaritano (cioè: un delinquente eretico e sovversivo, Giovanni 8,48 [6]), amico dei pubblicani e dei peccatori (Luca 7,34-39). C'è un aspetto di vero in tutto questo: S.Paolo ci dice che Gesù si è fatto maledizione e peccato per noi (2Corinzi 5,21; Galati 3,13 [9]): veramente lui è l'Agnello di Dio che porta tutto il male del mondo, l'immondizia del mondo.
In questa seconda similitudine il Regno di Dio, cioè Gesù, è quindi descritto come un qualcosa di non-buono, di fuori dalla legge e dalle regole. Anche in questo caso Dio non è come lo pensiamo noi. Noi lo immaginiamo come un legislatore e non come un improbabile pastore che cerca la pecora smarrita a prezzo della sua vita. Questo Dio... magari non ci piace perché noi in fondo pensiamo di essere almeno abbastanza buoni da essere "promossi" e meritarci la salvezza.
Come il lievito anche Dio viene preso e sepolto, mescolato, nella pasta, che è il mondo, perché il mondo cresca. Il lievito-Gesù è disperso nella massa della farina, non si distingue, non è direttamente visibile. Il lievito è un po' la figura di come dovrebbe essere il cristianesimo: non una setta di perfetti ma un lievito che feconda la pasta che è il mondo.
Il lievito-regno-di-Dio è in contrapposizione con il "lievito dei Farisei" di cui Gesù parla all'inizio del cap. 12. Il lievito è dunque quel germe vitale che fa sviluppare un certo modo di vivere. Nel caso del lievito dei Farisei si tratta dell'ipocrisia ossia fingersi chi non si è perché non si accetta di essere creature di Dio, figli di Dio.
Queste due parabolette presentano in una luce del tutto diversa la questione della difesa dell'identità cristiana: l'identità dei cristiani è essere piccoli ed essere lievito e non, invece, essere rilevanti socialmente, economicamente o culturalmente. Quando la Chiesa diventa rilevante o addirittura predominante tende purtroppo a tradire proprio la sua identità.
[1] Ad esempio:
in 1Re 14,9 di Geroboamo Dio dice: "hai agito peggio di tutti quelli che furono prima di te";
in 1Re 16,25 è scritto che "Omri fece ciò che è male agli occhi del Signore, fece peggio di tutti quelli prima di lui";
in 2Re 21, 9 è scritto che "Manasse li spinse a fare peggio...";
in Geremia 16,12 al popolo viene detto che "voi avete agito peggio dei vostri padri".
[2] Giovanni 12,24: In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
[3] Giovanni 19,41: Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto.
[4] Come nel sogno di Nabucodònosor in Daniele 4 e nella parabola del cedro in Ezechiele 31.
[5] Giovanni 7,20: Rispose la folla: «Tu hai un demonio!...».
[6] Giovanni 8,48: Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?».
[7] Giovanni 10,20: Molti di essi dicevano: «Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?».
[8] Marco 3,21: Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «E' fuori di sé».
[9] 2Corinzi 5,21: Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore. Galati 3,13: Maledetto colui che pende dal legno.