Gerusalemme al tempo di Gesù.
41Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: 42«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. 43Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; 44abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Il tema Dio - come un genitore - soffre molto della incomprensione dei suoi figli. Soffre perché, per quanti sforzi abbia fatto e faccia, non è riuscito a farci capire che lui è padre e che noi siamo figli. Perché così ci facciamo del gran male, come vediamo dai notiziari ogni giorno.
Abbiamo visto che il Regno di Dio viene quando noi accettiamo il modo in cui esso viene. In questo brano ci viene dipinto il volto di Dio che piange per noi appunto perché noi non accettiamo il modo in cui lui viene. Se non ci si converte il male che facciamo ci cade addosso. Nel libro di Giona si racconta che Giona provò grande dispiacere perché i Niniviti si erano convertiti e dunque Dio non aveva distrutto la città. Era convinto che la giustizia di Dio consistesse nell'uccidere i cattivi e lasciare vivo lui, che si riteneva buono: se Dio è misericordioso e clemente, longanime, di grande amore, se Dio si lascia impietosire riguardo al male minacciato allora per Giona è meglio morire che vivere. Giona è figura di noi.
Gesù annuncia la conversione ma Gerusalemme non si converte e lui ne piange e poi ne muore: la distruzione che sarebbe toccata al legno secco (Gerusalemme) colpisce lui, il legno verde (vedi Luca 23,31).
Questo pianto ci rivela l'abissale differenza fra il modo di pensare di Dio e il modo di pensare nostro. Dio non punisce il malfattore, come già in Osea (11,1-2.9):
Quando Israele era giovinetto,
io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi...
Non darò sfogo all'ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Efraim,
perché sono Dio e non uomo;
sono il Santo in mezzo a te
e non verrò nella mia ira.
Questo Dio misericordioso, presentato profeticamente nell'Antico Testamento, si realizza in Gesù, nel suo pianto. Il pianto rappresenta una ammissione di impotenza davanti al male da parte dell'onnipotenza di Dio. Una impotenza dovuta al rispetto della nostra libertà. Dio è amore e se non è amato... muore. Dio è com-passione ossia sente il nostro male, non ci abbandona nel nostro male, resta con noi nel nostro male e muore lui del nostro male (come infatti sta per accadere a Gesù). Questo significa che noi non siamo mai abbandonati, anche se moriamo da abbandonati. Gesù è l'immagine del Padre, è uguale al Padre e qui rende visibile la misericordia (uterinità) del Padre col suo pianto. Come davanti alla tomba di Lazzaro (Giovanni 11): anche lì il pianto di Gesù ci manifesta la vicinanza di Dio che non abbandona la nostra vita nel sepolcro e, soprattutto, non vuole abbandonare la nostra vita alla non-conoscenza di Dio. Questo pianto contrasta fortemente col contesto di esultanza che caratterizza l'ingresso di Gesù in Gerusalemme. Questo pianto è un estremo tentativo di ottenere la conversione. In un passo commovente di Isaia (54,8-17) Dio si scusa per essersi allontanato, mentre in realtà sappiamo che è il popolo ad aver abbandonato il Signore.
Gesù piange perché Gerusalemme, simbolo dell'umanità intera, non ha riconosciuto, in questo giorno, cioè in ogni giorno, cioè anche oggi, il Signore che fa visita. Non riconosciamo Dio quando viene con l'asinello, segno di servizio, segno di pace. Per tutti viene il giorno in cui apriamo finalmente gli occhi... ma sarebbe meglio arrivarci prima. Gerusalemme non ha riconosciuto il tempo in cui è stata visitata (v. 44). Questo maniera di venire di Gesù è stata nascosta ai nostri occhi. Non è che Dio non ce l'abbia rivelata: siamo noi che non siamo capaci di riconoscerla.
Purtroppo questo linguaggio è per noi oscuro come lo era per i discepoli in 9,44-45 e in 18,31-34. Chi ha riconosciuto la visita di Dio? Chi ha ascoltato lo Spirito. Come Elisabetta, che lo sente nelle viscere (1,41ss). Come Zaccaria, che recupera la parola quando riconosce che il Signore, Dio d'Israele, ha visitato e redento il suo popolo (1,68). Come Simeone cui lo Spirito Santo aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore (2,26). Come Anna che si mette a lodare Dio (2,38).
Quando non abbiamo questo spirito viviamo i giorni delle nostre guerre, lotte e angosce, i giorni che leggiamo nelle notizie di ogni giorno. Questi nostri giorni tristi sono il motivo del pianto di Gesù. I vv. 43-44 sono una minaccia profetica, di quelle che ritroviamo anche in altri contesti della Bibbia magari in modo ancora più esplicito. Ma queste minacce profetiche non sono mai pronunciate come fato ineluttabile o, peggio, come speranza di infliggere una punizione [1]. Le minacce profetiche, nella Bibbia, semplicemente descrivono cosa succederà se non ci si converte, se non si comprende. Purtroppo anche nella Chiesa si insiste un po' troppo sulle minacce e sulle punizioni divine, per ottenere sottomissione oppure, dopo che il peccato è fatto, espiazione. Ma non è una buona cosa. E` un metodo per dominare le persone (quando funziona) che però, quando non funziona, provoca la reazione contraria ossia l'ateismo come rivolta all'immagine di un dio giustiziere. Questo schema è alla base del commercio delle indulgenze, la causa scatenante della peggior crisi nella storia del cristianesimo: lo scisma protestante. Questo modo di pensare è diabolico: è il Male che ci punisce, Dio invece ci salva.
Se non riconosciamo "il giorno" allora vengono "i giorni" che ben conosciamo dalle notizie e dalla storia. Tutto il male della storia proviene dalla non-conoscenza di Dio. Gesù lo spiega sulla croce: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (23,34). Il peccato è dunque l'incoscienza, il non sapere, il disconoscere l'amore paterno di Dio. Lo spiega anche S.Paolo in 1Corinzi 2,6-8 [2]. La Chiesa è formata da coloro che hanno compreso che Gesù è morto per loro, quando ancora non lo sapevano e che anche adesso, peccatori, vivono di grazia. Dove abbonda il peccato (ossia dove si riconosce che il peccato è grande) lì abbonda la grazia (cfr. Romani 5,20-21 [3]). Invece noi siamo ancorati all'idea di dover espiare. Questa mentalità diabolica è radicatissima in certe religioni dove è previsto addirittura il suicidio quando il peccato appare irrimediabile. Pietro si salva perché comprende la grazia, Giuda invece decide di espiare il suo peccato. Non è che non esista l'inferno: l'inferno è il luogo della lontananza da Dio e dunque il luogo dove abita il Male. Una descrizione che calza a pennello con molti luoghi di questo nostro mondo. L'Inferno è una vita senza Dio.
Come già spiegato in altre parti il tempo propizio, il tempo della visita di Dio, non è necessariamente un tempo tranquillo. E` spesso invece un tempo di lotta come indica S.Paolo in Efesini 5,15-16: Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. Si vedano anche i capitoli di Luca riguardanti la teologia della storia (capp. 12 e 13).
Alcuni commentatori (particolarmente geniali...) spostano la data di composizione dei vangeli sinottici oltre l'anno 70 per giustificare questo testo come profezia della distruzione di Gerusalemme. Analogamente attribuiscono ad una elaborazione della comunità cristiana le profezie di Gesù riguardo alla propria passione. Ma è una grave forzatura e anche una palese irriverenza nei confronti di nostro Signore. Non occorreva essere Dio per prevedere che prima o poi i Romani avrebbero raso al suolo quella città turbolenta e ancora più facile era, per Gesù, prevedere che, a causa della propria predicazione, sarebbe stato ucciso. Infatti gli apostoli (Pietro in primis) ne erano estremamente preoccupati.
[1] per confronto si consideri lo stile delle profezie nei poemi omerici. Ad esempio Achille sapeva che comunque non sarebbe tornato vivo da Troia perché lui stesso spiega a Priamo - padre di Ettore che gli richiedeva il corpo del figlio - che presto avrebbe raggiunto Ettore nell'Ade, così come voleva il Fato. Anche Ettore aveva saputo dalla sorella Cassandra che sarebbe stato ucciso. Anche Ulisse sapeva che se partiva per la guerra avrebbe peregrinato per molti anni. Nell'Ebraismo e tanto meno nel Cristianesimo il Fato non esiste e questo è un notevole progresso. Purtroppo la convinzione di un fato ineluttabile esiste in molte altre religioni e in particolare in quelle animiste.
[2] 1Corinzi 2,6-8: Noi parliamo di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, ... Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.
[3] Romani 5,20-21: La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.