39Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». 41Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: 42«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». 43Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. 44In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. 45Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. 46E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
Il tema La preghiera nell'orto degli ulivi è uno squarcio che ci è concesso nell'intimità di Dio, nella relazione Padre-Figlio. E` solo contemplando la passione di Dio per noi che noi comprendiamo finalmente chi è Dio, colui che ci ama con una passione più forte della morte. Questa è la notte felice della salvezza di tutto l'universo perché per la prima volta dal punto più lontano da Dio, che è quello della morte da maledetto, si alza la voce "Abbà, papà".
Il nome Getsemani significa torchio ed è indicato nel testo di Matteo e di Marco mentre Giovanni 18,1 riporta: un giardino al di là del torrente Cedron. Nell'immaginario degli Ebrei, come troviamo ad es. in Isaia 63,1-6 (vedi riquadro qui sotto), si pensava a Dio come ad uno che stritola con la sua vendetta i popoli che minacciano Israele. Il vangelo ci riporta invece un Dio che scarica su di sé il nostro male. Un Dio che si dona a noi che lo tradiamo, che non lo comprendiamo, che litighiamo per prendere il suo posto, che lo rinneghiamo e che fuggiamo.
Il pensiero del Signore in agonia che suda sangue, ha paura e geme, ha impressionato moltissimo la Chiesa primitiva: la sua umanità torchiata manifesta la sua essenza divina. Questo brano è una finestra sull'intimità di Dio, sulla relazione fra Padre e Figlio. Entrare in questo brano significa capire chi è Dio. Dopo questa notte non c'è più notte nella Bibbia: la luce del Signore entra in tutte le nostre notti illuminandole di speranza.
Rispetto a Luca gli altri vangeli sono molto più dettagliati e più preoccupati di mostrare che i discepoli erano presenti a questa scena "indecente": il Signore schiacciato dal male e in agonia per salvare un mondo perduto. In questa notte comprendiamo che Dio non è colui che manda il mondo alla perdizione ma si perde e va nel punto più lontano da sé, nell'angoscia e nella morte violenta. Noi abbiamo abbandonato Dio e l'abbandono lo sente chi ama, non chi abbandona. Dio sente il nostro abbandono e muore di questo abbandono. E` solo contemplando la passione di Dio per noi che noi comprendiamo finalmente chi è Dio, colui che ci ama con una passione più forte della morte (cfr. Cantico dei Cantici). E` solo contemplando la passione di Dio per noi che noi comprendiamo chi siamo noi: figli amati assolutamente.
Isaia 63,1-6
Questa è la notte felice della salvezza di tutto l'universo perché per la prima volta, in questa notte, dal punto più lontano da Dio che è quello della morte da maledetto, come sarà Gesù che ha portato su di sé il peccato del mondo, si alza la voce "Abbà, papà". Questa scena dell'orto del Getsemani fa da contrappunto a quella della trasfigurazione. Nella trasfigurazione Gesù è chiamato figlio dal Padre, qui Gesù si rivolge a Dio invocandolo come proprio padre [1]. In entrambi i casi Gesù è in preghiera. Nella trasfigurazione i discepoli riescono con sforzo a restare svegli vedendo così la gloria di Dio in Gesù, qui invece, i sinottici sono concordi, si addormentano. Giovanni invece omette l'intero episodio avendo già raccontato estesamente il discorso d'addio durante la cena.
La scena si svolge nella notte di giovedì 2 aprile 33 d.C. (calendario Giuliano) e prepara un giorno di tenebre di cui sono scandite tutte le ore fino a che il sole si oscurerà al momento della morte in croce e poi, mentre arriverà sera, Gesù verrà posto nel buio del sepolcro. E` quasi luna piena (sorgerà piena domani pomeriggio, venerdì 14 Nisan 3793 ossia venerdì 3 aprile 33 d.C.). Sono parecchi giorni che Gesù è a Gerusalemme e ultimamente passa la notte o in preghiera in quest'orto di ulivi o a Betania di Gerusalemme, distante meno di due miglia (cfr. Giovanni 11,17-18), in casa di Marta, Maria e Lazzaro (sabato sera 28 marzo, come riferisce Giovanni 12,1) o di Simone il lebbroso (mercoledì 1 aprile, come riferiscono Matteo 26,1-6 e Marco 14,1-3). Di questo orto, chiamato Getsemani ossia "Torchio", Luca non dice il nome ma vi fa riferimento parlando del suo sudore che diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. La parola "luogo" nella tradizione ebraica fa riferimento al Tempio (l'unico luogo, il resto è non-luogo), luogo della preghiera, della presenza, della comunione con Dio. La tradizione cristiana comincerà invece ad associare alla parola "luogo" il Calvario, come vedremo poi.
Luca ha un'ottica particolare, rivolgendosi alla terza generazione di cristiani, che già conoscono la vicenda. Presenta Gesù che ci esorta a pregare per non entrare in tentazione: lo ripete due volte, all'inizio e alla fine. Mostra Gesù preoccupato per i discepoli, per noi che leggiamo, che ci troviamo davanti alle difficoltà della vita quotidiana ed eventualmente della tentazione. Noi, quando siamo tentati, cadiamo perché non preghiamo. Luca ci presenta Gesù che lotta e vince con la preghiera espressa nella parte centrale del brano.
La preghiera fondamentale di Cristo, e cristiana, è "Abbà, padre": la richiesta fondamentale, che realizza l'essere figli, è che sia fatta non la mia ma la tua volontà. Ce lo spiega l'ultima delle lettere della Chiesa primitiva (Lettera agli Ebrei 5,7-9): nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. La parola "pietà" traduce un termine greco che significa "prenderla bene", "accettare": Gesù accettò il male che gli veniva fatto dagli uomini. Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono: il Figlio è colui che ha la stessa volontà del Padre. Avrebbe potuto fuggire e invece resiste con lo stesso amore, la stessa compassione che ha il Padre verso tutti i figli. In questa notte Gesù realizza il suo essere figlio e chiama Dio papà.
La preghiera è un tratto più volte sottolineato da Luca: la preghiera è comunione col Padre, ci realizza come figli, ci permette di invocare e ricevere lo Spirito (cfr. Luca 11,5-13). E` importante nella preghiera chiedere ciò che non voglio ma so che è bene (non sia fatta la mia, ma la tua volontà). Occorre pregare per non entrare in tentazione: il potere sulle cose, sulle persone, su Dio stesso come abbiamo visto in Luca 4,1-13. Quindi la prima preghiera è di non cadere in tentazione e pretendere di possedere il mondo (1Giovanni 2,1ss).
L'espressione "quasi un tiro di sasso" sembra richiamare Davide, figura del Messia, che, inseguito dal figlio Assalonne che lo voleva uccidere si rifugia proprio sul monte degli ulivi, mentre tutti gli gettano sassi (2Samuele 16,5). Gesù si allontana quel tanto da pregare in solitudine ma non abbastanza da non essere colpito dai "sassi" dei suoi discepoli e cioè di Giuda che tradisce, Pietro che rinnega, tutti gli altri che litigano e infine fuggono. Gesù, per i discepoli, per noi è diventato maledizione (Galati 3,13) e peccato (2Corinzi 5,21). Il peso dell'abbandono di Dio lo porta Dio, che è abbandonato da noi, lo porta il Figlio, che è in sintonia con il Padre. Gli altri vangeli riportano che Gesù provò paura e angoscia (cfr. Marco 14,33), tristezza fino a morirne (Matteo 26,37-38): è la tentazione del suicidio per disperazione.
Normalmente si prega in piedi perché siamo figli e non servi: qui Gesù si inginocchia, si getta a terra (Marco 14,35), con la faccia a terra (Matteo 26,39). La Bibbia dà al calice un doppio significato: segno di vittoria (Salmo 23(22),5 [2]) e di condanna e ira divina (Isaia 51,17 [3]). Dio non vuole la sofferenza e non desidera la croce: siamo noi ad abbandonarlo e a metterlo in croce (oltre a metterci in croce tra di noi).
L'essenza del male consiste nel non fidarsi di Dio e nel seguire la nostra volontà contraria alla sua. Noi nemmeno ce ne accorgiamo, di solito. Gesù percepisce questa divisione tra le volontà, in questo sta la tentazione: non desidera affatto andare in croce e sa di essere innocente. Il peccato sta nell'assecondare questa divisione. Nel resistere a questa tentazione sta invece la nostra libertà. Noi infatti non siamo liberi di non avere tentazioni: le tentazioni ci sono, ci sono per tutti, le ha avute anche il Figlio di Dio. La nostra libertà sta tutta nel riuscire a dire non sia fatta la mia, ma la tua volontà. E` l'essenza di ogni preghiera, l'invocazione che ritroviamo nel Padre nostro: sia fatta la tua volontà. Di solito la nostra volontà ci induce invece a preghiere sbagliate che vogliono far prevalere alcuni su altri (passare gli esami senza merito ad esempio! oppure, peggio, che siano uccisi i nemici).
Normalmente, leggendo le pagine della passione, si è tentati di operare una sorta di scissione nella persona di Gesù che, si dice, soffre ed è tentato come uomo ma è misteriosamente immune come Dio. Ma in questo modo la doppia natura umana e divina di Gesù diventa una sorta di finzione e diventa ancora più incomprensibile. In realtà tutto Gesù entra nella passione, come tutto Gesù è presente nell'eucarestia [4].
L'angelo, presente nell'annunciazione a Zaccaria e a Maria e che appare ai pastori è colui che porta la promessa di Dio. Il conforto dell'angelo è dunque il rinnovo della promessa di Dio che non lo abbandonerà nel sepolcro (Salmo 16(15),10). Gesù non cade nella tentazione ma lotta (entra in agonia) e in questa lotta, sottolinea ancora Luca, la forza viene dalla preghiera. La vita di Gesù (il sangue) esce e nutre la terra. Dopo questa notte nessuno di noi è più solo: prima di noi è passato per questa notte Gesù che è con noi.
La preghiera è già resurrezione. E Gesù si rialza e va a svegliare i discepoli che sono in preda a un sonno che rappresenta la loro morte. Essi non lottano, non hanno speranza, percepiscono un dramma inevitabile: dormono per la tristezza. Noi, discepoli come loro, dobbiamo cercare di restare svegli e contemplare la passione per capire la gloria, l'importanza di Dio per noi.
[1] Gesù si rivolge a Dio indicandolo come padre anche in 10,21-22: In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». Poi sulla croce: Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»... Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». (Luca 23,34a.46a). E` anche molto significativo il fatto che Gesù parli di Dio come suo padre già da ragazzo, nell'episodio di Gesù tra i dottori dove a Maria e Giuseppe spiega: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Luca 2,49). Gesù infine parla di Dio come del padre di tutti in molte altre occasioni (ad es. 6,36, 12,30-32 e 19,45).
[2] Salmo 23(22),5: Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici. Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca.
[3] Isaia 51,17: Svégliati, svégliati, àlzati, Gerusalemme, che hai bevuto dalla mano del Signore il calice della sua ira; la coppa, il calice della vertigine, hai bevuto, l’hai vuotata.
[4] Il Catechismo della Chiesa Cattolica riporta, al n. 1374: Nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l'anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero.