39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Il tema Antico e Nuovo Testamento si incontrano in queste due donne. Senza il Messia la Promessa sarebbe una triste illusione. Senza la Promessa il Messia sarebbe una "nuova ideologia" come tante. Nessuno si spiega senza l'altro.
In questo brano, molto delicato, si intrecciano le storie di due donne che rappresentano il culmine dell'attesa e il principio del compimento: l'Antico e il Nuovo Testamento che si incontrano e si abbracciano.
Questa visita va ben oltre il significato di affetto umano tra le due cugine. L'anziana Elisabetta porta in sé l'attesa di tutta l'umanità. La giovane Maria porta in sé l'atteso di tutta l'umanità.
Maria porta in sé il Figlio di Dio, piccolissimo, di pochi giorni, che va a visitare il suo popolo che lo attende. E Giovanni, che lo riconosce, prefigura ciò che avverrà alla fine dei tempi: il riconoscimento del Signore da parte di tutto Israele (Romani 11,26).
Osserviamo come sia Elisabetta quella che dice a Maria il significato di ciò che lei porta in se stessa: dunque è l'Antico Testamento che spiega a noi Chi è venuto a visitarci.
Nessuno dei due, Giovanni e Gesù, ha significato senza l'altro: l'attesa dell'atteso e l'atteso dall'attesa.
Israele attende il messia e il significato di tutta la storia è che Israele riconosca il suo Signore che viene per tutta l'umanità ("in te saranno benedette tutte le genti", promette Dio ad Abramo in Genesi 28,14 come ricorda S. Paolo in Galati 3,8).
Gesù è un inviato, caso unico in tutta la storia, che si inserisce in una storia millenaria di attesa. Non esiste nessun altro caso di atteso nella storia dell'umanità.
Maria si reca da Elisabetta in Giudea per comprendere il dono e la missione ricevuta. E questo viaggio ci mostra che anche noi, per capire l'opera di Dio, dobbiamo ripercorrere l'Antico Testamento, il luogo della promessa. Il cristianesimo non può fare a meno dell'Antico Testamento: senza approfondire l'attesa e la promessa noi non possiamo capire chi sia l'atteso. Questo spiega perché i cristiani abbiano sempre letto e pregato l'intera Bibbia, non il solo Nuovo Testamento. Se isoliamo Gesù dal resto della Scrittura ne facciamo un "eroe isolato", buono per qualsiasi ideologia.
La località dove vivevano Zaccaria ed Elisabetta è stata identificata come Ein Kerem, 8 Km fuori Gerusalemme, circa 130 Km in linea d'aria a sud di Nazareth.
Maria ed Elisabetta sono parenti, come Gesù e Giovanni. Dunque promessa e realizzazione sono della stessa carne. Anche ebrei e cristiani sono tra loro "parenti" e il loro destino è questo abbraccio, la pace, lo shalòm, il saluto ebraico, che Maria porta ad Elisabetta. I passi della Chiesa verso il mondo ebraico hanno questo fondamento teologico e non sono una semplice questione diplomatica.
Varie altre interpretazioni figurate sono state date di questo incontro. Ma quella principale resta quella consegnata dalla scrittura: le due donne che si abbracciano rappresentano Israele che riconosce il suo Signore, il fine di tutta la storia.
Due volte viene ripetuto che il bambino sussultò di gioia: è dunque l'elemento fondamentale di tutto questo racconto. Il fatto, in sé, poteva anche non essere rilevato. Per Elisabetta è stato invece occasione per comprendere la promessa di Dio. Questo capita continuamente a ciascuno di noi: tanti avvenimenti piccoli e grandi che noi siamo chiamati a interpretare. Quelli che ci portano una gioia profonda, non scalfita dal male, sono segno della visita di Dio.
L'unica altra volta in cui compare questo "esultare" nel Nuovo Testamento è nelle beatitudini (Luca 6,22-23) quando Gesù dice "Beati voi quando gli uomini vi odieranno... a causa del Figlio dell'uomo: rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli".
Questo riconoscimento riempie Elisabetta della vita di Dio ossia la rende piena di Spirito Santo. E' così in grado di proclamare Maria benedetta tra le donne. Questa espressione ricorre in Giudici 5, 24 - quando Giaele uccide Sisara - e in Giudici 13,18 - quando Giuditta, decapita Oloferne. Maria non fa nulla di tutto questo ma è la discendente di quella Eva alla quale fu promesso che la sua stirpe schiaccerà la testa al Nemico (Genesi 3,15). Maria ha ascoltato la parola, al contrario di Eva, ed in essa Elisabetta riconosce l'umanità perfetta che ha vinto Satana. Schiaccia il serpente e porta la benedizione di Dio perché è colei che ascolta Dio.
Ma non è solo Maria a essere benedetta: Elisabetta aggiunge "benedetto il frutto del tuo grembo" intuendo che il dono di Dio per l'uomo (il messia) è Dio stesso.
A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? ricorda quello che esclama Davide davanti all'Arca dell'alleanza (2Sam 6,9): l'Arca conteneva le tavole della legge, la parola, che è presente quando viene ascoltata. Maria è la nuova Arca dell'Alleanza dove abita la "parola da lei ascoltata" che dunque diventa carne.
Dio ci visita attraverso chi lo ascolta e che dunque gli dà carne e diventa tempio dello Spirito ossia luogo della presenza di Dio, nuovo santuario non fatto da mani d'uomo.
"A che cosa devo" significa anche che nessuno è giusto a sufficienza per meritare la vicinanza di Dio: la visita di Dio è puro dono.
Elisabetta proclama la prima beatitudine del vangelo: beata colei che ha creduto. L'origine nella felicità è credere alla parola del Padre (Luca 8,21), radice di ogni altra beatitudine.