1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». 3Allora egli disse loro questa parabola: 4«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 7Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. 8O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. 10Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Il tema Finché pensiamo di essere figli solo perché siamo bravi non riusciamo a capire il mistero della Pasqua in cui il pastore diventa agnello e muore lui per noi. La conversione non è uno sforzo morale di diventare giusti ma capire la gioia grande che prova Dio nel ritrovarci.
Il Salmo 119-118, il più lungo del Salterio, è dedicato alla contemplazione della Legge che Dio ha dato al suo popolo. E` quello che inizia con: "Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore...". Leggendolo tutto fino alla fine scopriamo che il salmista, dopo aver mostrato in tutti i modi possibili il suo amore per la Legge del Signore, nell'ultimo versetto ci sorprende concludendo: "Come pecora smarrita vado errando; cerca il tuo servo, perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti". Ci suona strano che questo pio ebreo sia perduto mentre non ha dimenticato i comandamenti. Dunque l'osservanza non serve a niente se Dio non ci cerca: noi veniamo salvati, non ci salviamo. Dopo la teologia della storia, che Gesù ha svolto nei capitoli 12-13 mostrando come il discepolo debba interpretare il mondo; dopo il capitolo 14 sulla "porta stretta", questi testi del capitolo 15 di Luca svolgono il tema della misericordia.
Luca ci ha appena raccontato come Gesù abbia alzato il tiro proponendo requisiti difficilissimi per essere suo discepolo. Accade allora qui un fatto strano: tutti i pubblicani e i peccatori lo seguono e Gesù sta con loro. E` come se, avendo perso ogni speranza di salvarsi per proprio merito, fossero nelle condizioni migliori per accettare la grazia che Gesù offre loro. Invece le persone giuste, che hanno una distanza da marcare rispetto ai peccatori, mormorano e - come avverrà del fratello maggiore nella prossima parabola - non partecipano al banchetto.
Queste parabole servono a farci capire che il vero peccato dell'uomo non consiste nei "peccati" ossia nelle singole cadute che costellano la nostra giornata. Come vedremo il vero peccato dell'uomo è, paradossalmente, la sua giustizia. Queste parabole ci parlano di una pecora smarrita, che richiama l'agnello Gesù che sarà sacrificato, di una dracma - un tesoro - che è stata perduta, e infine di un figlio perduto. Il centro di tutte e tre le parabole è nella gioia, la gioia di Dio, per ciò che è stato ritrovato.
I pubblicani erano la categoria universalmente odiata e disprezzata, i peccatori per eccellenza: riscuotevano le tasse per conto degli invasori (i Romani), frequentavano i pagani e spesso facevano la cresta su quanto dovuto imbrogliando quelli del proprio popolo. Dopo di loro sono elencati genericamente i peccatori, tutti gli altri. Luca non dice "molti" o "alcuni" ma ci sorprende specificando "tutti". Essi si avvicinano a Gesù per ascoltarlo e non per fare domande, interrogare, magari con secondi fini come fanno gli scribi (quelli che sanno quel che è giusto) e i farisei (quelli che fanno quel che è giusto). Scribi e farisei sono scandalizzati che un giusto come Gesù si dedichi a ricevere i peccatori e a mangiare con loro, come facessero parte della sua famiglia.
Mentre riceve e mangia assieme ai peccatori Gesù non sembra preoccupato che essi si convertano e si rivolge invece ai giusti cercando quella loro di conversione, raccontando a loro e per loro le parabole, rammaricandosi che non partecipino al banchetto. In sostanza si realizza qui la scena che sarà rappresentata nella seconda parte della parabola del figlio perduto (15 quando il padre uscirà a parlare al figlio maggiore che non vuole entrare.
Chi di voi se ha cento pecore...
Diciamo subito che, nella vita reale, nessun pastore si sognerebbe mai di abbandonare novantanove sue pecore, da sole nel deserto, rischiando la propria pelle per cercarne una, magari col buio, tra i predatori e ogni altro pericolo. Questa parabola circolava già in una forma ben diversa in cui si raccontava che il pastore andava con calma il giorno dopo e, trovata la pecora fuggitiva, come prima cosa, le spezzava una gamba così non sarebbe andata più in giro; poi valutava se mangiarla subito o aspettare che crescesse. Gesù invece evidenzia l'"insensatezza" dell'amore di Dio, il suo dramma per cui un solo figlio perso significa aver perso la propria vita. Cerca di farci capire che ciascuno di noi vale infinitamente agli occhi di Dio. Questa è la nostra dignità. Per Dio noi abbiamo più valore di lui: ha dato la sua vita per noi, come questo pastore anomalo mette a repentaglio la sua vita per la pecora. In questa parabola vediamo il mistero della Pasqua in cui il pastore diventa agnello e muore lui per noi.
Finché pensiamo di essere figli solo perché siamo bravi non riusciamo a capire questo. Tutta la Bibbia è, in sostanza, il racconto di Dio che cerca Adamo finché lo ritroverà stando sulla croce. Tutta la parabola è percorsa dalla preposizione "con" (con-mangia, con-gioisce, con-chiama, com-pagnia) a sottolineare il desiderio di Dio di stare con l'uomo. In ogni figlio perduto Dio Padre vede il suo Figlio che si è fatto ultimo di tutti, si è fatto maledizione e peccato per ogni uomo. Gesù conclude svelando il parallelo tra la storia raccontata e il cielo: come il pastore fa festa perché ha ritrovato la sua pecora così Dio prova gioia infinita per un solo peccatore che si converte. Notiamo però che non è che la pecora si converta (e nemmeno la dracma, più avanti...): la sua caratteristica è di essere stata ritrovata. Anche dei pubblicani e dei peccatori non si dice, nel testo, se si convertono o no: si dice solo che Gesù stava con loro. Dunque la conversione non è uno sforzo morale di diventare giusti ma capire la gioia grande che prova Dio nel ritrovarci.
Questa parabola è detta per i novantanove giusti perché partecipino a questa gioia ossia, ancora una volta, essi si convertano. Essi pensano di non aver bisogno di conversione e per questo peccano contro lo Spirito: negano di aver bisogno di grazia e misericordia da parte di Dio. Gesù usa verso di loro l'ironia: non hanno bisogno di conversione. Come in altri casi Gesù non ha scelto un paragone simpatico: i pastori (come si è detto a proposito del Natale) erano una categoria malvista e l'espressione "buon pastore", che ci deriva da questa parabola, è un vero e proprio ossimoro. Questa parabola si completa con la seconda in cui Gesù, dopo essersi paragonato al pastore che si sacrifica, si paragona a una donna, una massaia. E anche il padre, nella parabola successiva, avrà più tratti materni che paterni.
La dracma o dramma era una moneta greca diffusa in tutto il medio oriente e, al tempo di Gesù, corrispondeva più o meno al salario d'un giorno (alcuni grammi d'argento). Valeva 1/100 di mina e 1/6.000 di talento. Dunque, in una economia di sussistenza, 10 dracme davano un margine di sopravvivenza di 10 giorni: un piccolo tesoro. Come nella parabola precedente ne viene perduta una sola. Questa donna mette a soqquadro la casa (figura del mondo) e si dà da fare in tutti i modi pur di ritrovarla. Mentre nella parabola precedente l'accento è nella follia del pastore che rischia la vita e le altre pecore, qui si sottolinea la cura - la donna cerca attentamente - la costanza e la meticolosità per ritrovare ciò che si è perduto. Queste parabole sottolineano la necessità che ha Dio di incontrare l'uomo: era necessario che il Cristo patisse (Luca 24,26) per poter trovare l'uomo. Il Signore vuole che tutti gli uomini siano salvi (cfr. 1Timoteo 2,4). Entrambe le parabole, e anche la prossima, terminano con la festa. E` la festa di Dio che ci ha ritrovato. Ed è la festa cui siamo chiamati noi quando entreremo in questa logica della misericordia rapportandoci ai fratelli.
La prima parola che l'angelo rivolge a Maria è "gioisci". Questa parola - gioia - nelle sue varianti è la parola dominante in tutto il NT e definisce Dio: altri sinonimi sono bontà, bellezza, dono, gratuità, amore, ... Il comando di Dio è "gioisci" perché Dio è amore. L'amore riamato è gioia e questa è la buona notizia. Nella condivisione la gioia si moltiplica e il dolore si suddivide. Il tema della gioia è molto ricorrente in Luca (1,14; 1,44; 2,10; 8,13; 10,17; 15, 7.10; 19,6; 24,41; 24,52) e in queste tre parabole esplode in modo evidente.