31Poi prese con sé i Dodici e disse loro: «Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo si compirà. 32Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi 33e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà». 34Ma non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto. 35Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. 36Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 37Gli risposero: «Passa Gesù il Nazareno!». 38Allora incominciò a gridare: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». 39Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 40Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: 41«Che vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io riabbia la vista». 42E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». 43Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.
Il tema Due anni, nove capitoli di vangelo, dedicati da Gesù alla catechesi per i discepoli. Risultato: zero, come Gerico che è imprendibile. L'uomo non crede all'amore di Dio, questo linguaggio resta oscuro. Occorrerà la croce per guarire la nostra cecità, come occorre un miracolo per guarire questo cieco.
In questo brano e nel successivo, brani carichi, come vedremo, di segni natalizi e pasquali, Gesù sta per completare il viaggio verso Gerusalemme. E` un viaggio che era iniziato in Luca 9,51 dopo i primi due annunci della passione quando Gesù aveva detto ai discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Natale significa "venire alla luce", Pasqua significa "passaggio" e in questi due brani vedremo alcuni riferimenti a questi eventi. Si nasce veramente quando si vede la luce ossia quando ci si sente amati realizzando così se stessi, realizzando la vita piena. Si nasce veramente quando comprendiamo il significato e le conseguenze del fatto che il Figlio dell'uomo si sia consegnato nelle nostre mani.
Luca scrive (2° annuncio, in 9,45) che, quando Gesù parlava della sua passione, i discepoli non ne coglievano il senso ma capivano solo che era meglio non interrogarlo su questo argomento. Gli altri sinottici raccontano che Pietro, quando aveva tentato di distogliere Gesù dal suo proposito, aveva ricevuto da lui un pesante rimprovero (Matteo 16,23 e Marco 8,33).
In questo brano possiamo vedere il risultato di ben due anni e 9 capitoli di catechesi insegnata dal Figlio di Dio in persona e riservata ai discepoli: zero. Sono completamente ciechi. I discepoli non riescono a credere all'amore di Dio che Gesù ha annunciato. Essi comunque non costituiscono un'eccezione rispetto al resto dell'umanità e rispetto a noi: già Adamo, nell'Eden, dice: «mi sono nascosto perché ho avuto paura». Fin da allora, e per ciascun uomo, è difficilissimo credere di essere amato da Dio. Ci consideriamo suoi sudditi e da lui giudicati. Dio è percepito al più come un sovrano illuminato. Non ci è per nulla facile pensare a un Dio che dà la vita per noi. Il percorso di questi due anni dei discepoli mostra che noi siamo tutti ciechi davanti alla passione di Dio per noi. Non crediamo al fatto di avere un Padre. Si può dire che noi non siamo nati cioè non ci consideriamo figli di Dio: ci riteniamo figli del caso e servi d'un signore. Siamo nelle tenebre, nella paura, nella morte e per questo, con le nostre azioni, produciamo morte. In questo consiste, dall'alba dei tempi, il peccato originale, la cecità, figlia dell'inganno del Maligno, che ci impedisce di vedere la luce, ci impedisce di nascere.
Gesù sta per entrare in Gerico, che dista un giorno di cammino da Gerusalemme. Spiega ai discepoli che quel che sta per accadere non sarà un imprevisto: semplicemente tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo si compirà. La parola consegnare ha più significati in greco: può significare dare qualcosa a qualcuno, tramandare un messaggio e anche tradire una persona. Il testo ci vuole dunque indicare che Gesù si consegna a chi lo tradisce: trasforma un tradimento in un atto d'amore.
Le Scritture hanno anticipato che Gesù sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi... flagellato, ... ucciso. Vengono elencate sei azioni: sei è il numero dell'uomo. Perché sta per succedere tutto questo? perché l'egoismo non capisce l'amore. Amare, per l'uomo egoista, è una azione stupida. Durante la passione Dio ci farà conoscere che più forte che la morte è l'amore e Gesù il terzo giorno risorgerà rendendo manifesta la nostra destinazione finale: quel Dio che ha un amore infinito per noi. Vedendo questo, credendo alla testimonianza di chi ha visto, noi possiamo vedere la luce, nascere come figli. Le parole dell'annuncio che Gesù fa ai suoi discepoli (e a noi) e la loro rappresentazione col miracolo del cieco sono una sorta di indice di quello che sarà mostrato nei capitoli successivi. Saranno mostrati i fatti che ci guariranno dalla cecità, i fatti che ci mostreranno Dio quale egli è.
Gerico è ai confini della terra promessa, una città espugnata solo da Dio, questo il significato dell'episodio delle trombe di Gerico che fanno crollare le mura (Giosuè 6). Di questa città si salva solo una prostituta, Raab, antenata di Gesù (Matteo 1,5: «Salmon generò Booz da Racab...»). Gerico (che sembra significhi "città della Luna") si trova a -260 m, cioè sotto il livello del mare, mentre Gerusalemme è a +750. La Luna, nella tradizione, è un po' la cifra della caducità dell'uomo: prima non c'è (luna nuova), poi cresce, poi decresce e infine scompare. Gerico è ritenuta la città più antica del mondo: i primi insediamenti sono del 10.000 a.C., ed era già una città nell'anno 7.000. Di essa Giosuè dice «maledetto l'uomo che ricostruirà Gerico» (Giosuè 6,26) ed è stata puntualmente ricostruita, molte volte, come la nostra ostinata cecità. E` anche imprendibile, sempre come la nostra cecità. Gerico fu abbattuta solo dall'intervento di Dio, come la cecità umana viene vinta solo dalla croce. Solo la passione di un Dio, che se lo si uccide dà la vita, può abbattere la cecità.
Il cieco, fuori dalla città, rappresenta il discepolo che non ha capito nulla nei due anni di catechesi che Gesù gli ha dedicato. Il cieco, che l'unica cosa che sa bene è di essere cieco, potrebbe rappresentare anche noi che, forse, a questo punto, abbiamo capito d'essere pure noi ciechi sulle cose essenziali della vita.
Tutte le religioni cercano "l'illuminazione", come il cieco cerca la luce. Ma in cosa può consistere la luce, l'illuminazione? forse può trattarsi di conoscenze strane, accessibili solo a pochi privilegiati selezionati? Non gioverebbe. Quel che ci serve è capire la semplice realtà: la vera illuminazione di cui abbiamo bisogno consiste nell'apprendere la nostra situazione. Per noi cristiani questa luce è conoscere l'amore di Dio per noi, quell'amore di cui abbiamo estremo bisogno (come il cieco ha bisogno della luce) e che nessun altro ci dà. Solo questo amore mi permette di accettare me stesso come sono e dunque di accettare gli altri come essi sono. Se non si arriva a capire questo, significa che non si è nati, non si è persone realizzate, si è mendicanti che si abbassano a tutte le umiliazioni e a tutti i sotterfugi per carpire un effimero vantaggio, un affetto incerto. Questa non è vita.
Questo cieco è seduto, mentre tutto il vangelo è un cammino, e sta fuori dalla strada. A differenza di noi è ben cosciente d'essere cieco e domanda. Invece la nostra tragedia, simboleggiata dall'atteggiamento di scribi e farisei, è di non essere coscienti della nostra cecità. In quest'ultimo tratto del cammino di Gesù verso Gerusalemme alcuni commentatori ipotizzano che l'insieme dei discepoli e dei simpatizzanti si sia via via organizzato in una specie di corteo che attira l'attenzione. Siamo anche vicini alla Pasqua. Possiamo immaginare il corteo che recita i salmi delle ascensioni (caratteristici degli ultimi 1000 metri di salita da Gerico a Gerusalemme), i discepoli che sgridano le mamme che portano i bambini e litigano per la spartizione del potere nel nuovo regno che Gesù inaugurerà (vedi Marco 10,35-45).
Nel descrivere la scena Luca usa molti termini pasquali (oltre che natalizi): gli annunciarono (gli risposero), il Nazoreo (Nazareno, ossia il germoglio), passa oltre (come l'angelo nella prima pasqua ebraica che, passando oltre, graziò gli Ebrei).
Il cieco chiama Gesù per nome, come i lebbrosi (17,13) e come farà il malfattore in croce (23,42). Queste persone lo chiamano per nome non perché si considerano brave o meritevoli ma, semplicemente, perché sono nel bisogno: sono lebbrosi, sono ciechi, sono dei malfattori giustiziati. Anche noi abbiamo la possibilità di chiamare Dio per nome in quanto lebbrosi, ciechi, malfattori. Diverso è chiamare Dio per nome considerandolo come colui che retribuisce i miei meriti. Questo non è conoscere Dio. Dio lo conosce solo chi ne ha bisogno, come il bambino sa perfettamente cosa è la mamma: protezione, cibo, calore, affetto. E` un capovolgimento rispetto a quanto prospettato da tutte le religioni: Dio non si conosce nella sublimità del nostro sforzo di elevazione ma nella nostra miseria. Se Dio è misericordia io lo comprendo solo quando sono misero.
La preghiera del cieco è quella del pellegrino russo, è la preghiera fondamentale che contiene ogni altra preghiera. Contiene il nome di Dio (Gesù, che significa «Dio salva»), dichiara che è il Messia (figlio di Davide), lo invoca nella sua caratteristica fondamentale (la pietà, le viscere, l'amore materno) e infine confessa il proprio stato di bisogno (di me), il punto d'arrivo dell'amore di Dio. E inoltre grida, non sciorina lunghe preghiere. Dio non ama ascoltare le nostre lunghe e interminabili preghiere, è come una mamma che s'infastidisce per le lagne insistenti del bambino. Ma se il bambino grida allora la mamma corre. Si veda anche Esodo 2,23b-25 [1]. E ricordiamo che anche Gesù, sulla croce, alla fine, gridò. Il grido del cieco non è un grido qualsiasi: anche gli indemoniati e i demòni gridano. Il cieco grida il nome di Gesù e chiede misericordia. Il male invece grida perché vuole conservarsi. Anche noi, che in questi anni abbiamo sentito parlare di Gesù e siamo ciechi, seduti e fuori dalla strada, ora, possiamo deciderci a invocarlo. I presenti sgridavano il cieco (è usata la stessa parola di quando Gesù sgrida i demoni) perché disturbava. Ma lui gridava più forte. Questa scena ci richiama il salmo De profundis (Salmo 130-129: Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce...). Gesù si ferma e fa a lui e a noi la domanda fondamentale: «Che vuoi che io faccia per te?». Il cieco sa benissimo cosa rispondere mentre i discepoli, concentrati nei loro progetti di regno, assolutamente no. A questo punto chiediamoci: e noi sappiamo cosa rispondere?
Il cieco risponde «che io veda» [2], un termine che rimanda al guardare in alto, che ricorrerà nella passione fino alla visione della croce. Non è scontato che il cieco desiderasse vederci. Non sarebbe strano che, abituato alla cecità, desiderasse solo soldi. Anche noi, nella stragrande maggioranza dei casi, non chiediamo a Dio veramente quel che serve per una vita piena ma solo inutili palliativi. E Dio non può darci quello che non chiediamo. Questa fede, che ci permette di vedere che siamo amati, di vedere quanto valiamo agli occhi di Dio, è la nostra salvezza.
Si noti la progressione che descrive come nasce e cresce la fede, qui rappresentata dal senso della vista: il punto di partenza è la cecità e la coscienza di essere ciechi (cioè senza fede), fermi (seduti), fuori dalla strada. La fede inizia con l'ascoltare la realtà ("Sentendo passare la gente..."), prosegue con il chiedere aiuto ("incominciò a gridare"), diventa dialogo ("Che vuoi che io faccia per te?... Che io veda") che porta a vedere ("ed egli vide"). Da qui in poi, nel vangelo, l'udito e la parola lasciano spazio all'organo della vista, alla contemplazione. Lo vedremo già nel brano che segue, su Zaccheo. Il traguardo della fede è seguire Gesù ("cominciò a seguirlo") dando così gloria a Dio ("lodando Dio"). La gloria di Dio è l'uomo vivente, realizzato, salvo, nella luce. L'ultimo versetto è una sorta di anticipazione del fine dell'intera umanità: diventare popolo di Dio che vede e dà gloria a Dio. Qui il cieco e il popolo (cioè noi) si identificano: la nostra cecità viene guarita, Gerico cade, per l'intervento di Dio.
E` curioso che il cieco non arrivi da solo ma venga condotto da Gesù, e che a condurlo siano i discepoli, che sono poi i veri ciechi cui è diretto l'annuncio di Gesù, ossia i due anni di catechesi dei nove capitoli precedenti. I discepoli rappresentano un po' la Chiesa, la comunità: non aspettiamoci dunque pastori perfetti, Gesù ci serve di uomini che devono essere anch'essi guariti dalla cecità. Osserviamo infine che Matteo, nel brano parallelo (20,29-34), indica due ciechi, a significare che l'altro cieco siamo noi, noi che leggiamo il vangelo. Anche se il traguardo è la fede di tutto il popolo resta fermo che la fede è una guarigione individuale, chiesta e ottenuta da ciascuno singolarmente.
[1] Esodo 2,23b-25: Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero.
[2] Nel testo greco non è scritto «che io riabbia la vista» il che farebbe supporre che questo cieco in passato ci vedesse. Anche nel seguito del testo greco Gesù comanda «Vedi!» e Luca riporta «ed egli vide» senza riferimenti a un ipotetico recupero della vista precedente.