Le Cartoline di p. Silvano - 2021

p. Silvano Zoccarato

2021

Rendere missionarie le giovani Chiese - Prima cartolina dalla Tunisia - Sono in Sicilia - Religioni: Tunisia terra di pace e convivenza tra le fedi - Una catechesi vivente - Gafsa città fondata da un dio libico - Tozeur - Missionari come le dune - Missione di Tozeur: la missione nel deserto tunisino - La volontà di vivere di Abu l-Qasim al-Shabbi - Le chiese cattoliche della Tunisia - I treni di Tozeur - Visita alle radici cristiane - Il piccolo Gesù della Piccola Sorella Magdeleine - Il momento più commovente sulla terra dei Martiri

Collaborazione fra diocesi e Istituti missionari  (26)* -  Insieme per un'unica missione  (27)* -  Sacerdoti e laici in missione  (28)* -  Treviso, Gorizia, Belluno-Feltre in missione col PIME  (29)* -  Questi gli inizi. E oggi?  (30)*

Mons. Mistrorigo all’ inaugurazione del nuovo seminario di Preganziol  (21)*  -  Unione fra diocesi ed istituti  (22)* -  Il seminario non è solo dei missionari  (23)  -  Mons. Aristide Pirovano: Il lavoro apostolico del PIME (24)*  -  Le diocesi ci hanno donato a Dio (25)*

Devozione e affetto per Mons. Longhin (14)*  -  Piazza Rinaldi  (15)*  -  Trasformazioni interne  (16)*  -  La visita di Mons. Mantiero al seminario  (17)*  -  La guerra e i bombardamenti (18)*  -  Ritorno a Piazza Rinaldi  (19)*  -  Padre Gaetano Filippin, Rettore del seminario da Piazza Rinaldi a Preganziol  (20)*

Padre Gaetano Filippin inizia con don Vittorio D’Alessi  (7)*  -  Una perla nel cuore del Vescovo  (8)* - I primi mesi… sovrana la polenta  (9)* -  La visita in quel primo nido (10)* -  Nuova sede in via Zermanese  (11)* -  A Montebelluna  (12)*  -  Passo avanti nell’azione missionaria  (13)*

Centenario del carisma di una famiglia unita (3)*  -  Come un missionario trevigiano vede il centenario (4)*  -  Il Pime (5)*  -  Clima missionario del 900 (6)*

Un atto di gratitudine al beato Andrea Giacinto Longhin (2)*  

Centenario della presenza del PIME nel Triveneto (1)*

Preghiamo per i partenti per l'Algeria  -  Papa Francesco parla con i musulmani

Eid Mubarak! Che significa, che si fa  -  La Chiesa non è in crisi

Catechesi missionaria Perchè alla fine la data della canonizzazione di Charles de Foucauld non è stata annunciata

"L'Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore"La vitalità dell'Africa

Quelli che muoiono ci insegnano a vivere -  I 60 anni di Messa di Padre Carlo Scapin 

Dizionario Fulfulde di Padre Giuseppe Parietti PIME - Dialogo interreligioso a Maroua

Il coronavirus nella nostra Casa di Rancio di Lecco - La fraternità nell’Islam - In Africa forza e luce del Risorto

Visita in Camerun del Cardinale Segretario di Stato - Il cardinale Parolin in Camerun  

Percorrere la strada coi Fratelli Maggiori - Lo Spirito ci permette di incontrare le spiritualità di ogni religione

Epifania a Yaounde  - Come guardare il Centro EDIMAR senza credere al miracolo? 

* Per leggere le Cartoline "Centenario della presenza del Pime in Triveneto" in ordine cronologico cliccare il pulsante a destra

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Tozeur - Tunisia - dicembre 2021

   

Rendere missionarie le giovani Chiese 

4 dicembre 2021            

Il Pime si è sempre preoccupato di formare candidati italiani e di fondare la Chiesa nei territori nuovi che ha evangelizzato, escludendo di fondarvi l'Istituto e lavorare per la sua crescita. Negli ultimi 40-50 anni le condizioni delle giovani Chiese sono maturate; esse hanno più vocazioni che le Chiese d'antica cristianità e diventano a loro volta missionarie. Era il 31 agosto 1969 quando a Kampala (Uganda) Paolo VI gridò: "Voi africani siete ormai i missionari di voi stessi". Allora sembrava uno slogan azzardato ed invece era un'indicazione profetica: sono passati molti anni ed oggi nessuno più dubita, nella Chiesa, che l'iniziativa missionaria sta passando dalle antiche alle giovani Chiese. Meno di tutti ne dubita Giovanni Paolo II, che nella "Redemptoris Missio" (enciclica del 1990, nel XXV anniversario dell'"Ad Gentes") ha insistito più volte sul dovere missionario delle giovani Chiese, fino a dire: "Siete voi oggi, la speranza di questa nostra Chiesa che ha duemila anni: essendo giovani nella fede, dovete essere come i primi cristiani ed irradiare entusiasmo e coraggio..." (R.M., 90). 

Oggi gli istituti missionari vengono sempre più sollecitati ad aprire il loro carisma missionario alle giovani Chiese da essi fondate e di educare e inviare missionari membri di queste Chiese; le quali spesso non hanno personale sufficiente per le loro necessità pastorali di cura dei cristiani, ma si rendono conto, della verità di quanto ha detto Giovanni Paolo II nella "Redemptoris Missio” (n. 2): "La fede si rafforza donandola!" e mirano a rendere missionari i loro cristiani. Ecco perché hanno bisogno del carisma degli Istituti missionari. Il Pime è nato per fondare le nuove Chiese, ma anche per renderle missionarie. Tra le tante modalità con cui si potrebbe raggiungere questo scopo il Pime ha accettato anche questa: aggregarsi personale locale per educarlo e inviarlo altrove nella speranza che nel terzo millennio tutto il popolo di Dio diventi missionario.

             

 

Prima cartolina dalla Tunisia 

4 dicembre 2021 

Parto con fr. Marco Monti, pime. Malpensa (MI) ore 11, arrivo a Tunisi ore 13, accolti da Padre Anand, pime. Ospiti presso le Missionarie dell’Immacolata, pime, senza quarantena. 5 dicembre ore 9.30 Santa Messa nella cattedrale di Tunisi.

Mi sento a casa… ma non so come. Forse per la mia giovane età, forse il ricordo ancora vivo dell’Algeria, forse la vicinanza del Mediterraneo che ti porta l’aria e l’umidità del mare. È scoperta di una serie di novità. Giunto ad Algeri dicevo: “Dov’è l’Africa”? Stessa domanda a Tunisi. Ma ad Algeri più Francia… di lingua, gente, monumenti. A Tunisi, messa di domenica alle 9.30 secondo la tradizione in italiano con ancora alcuni, pochi italiani.

In casa mi piace ascoltare le particolarità e le avventure linguistiche delle Suore dell’Immacolata, una italiana, l‘altra indiana e del fr. Monti che fa confronti dei mondi da lui conosciuti in tante parti del mondo, di padre Anand, indiano, qui da cinque anni. Essi, qui a Tunisi e al sud a Tozeur, dove resterò per tre mesi (?), stanno inserendosi nelle iniziative della diocesi e con una presenza tra gente che, a differenza in altri luoghi, come in Algeria, non ha avuto tanti contatti personali con alcuni cristiani.

Ore 16, concerto di cinque corali nella parrocchia di Jeanne d’Arc. I componenti di quattro corali erano quasi tutti africani provenienti dal Sud Sahel, studenti, operai, migranti. Ne ho incontrati alcuni da Yaounde (Camerun) e mi hanno detto il nome di qualche nostro missionario. Tra i canti della corale della scuola nazionale di musica di Tunisi, uno era l’Ave Maria. Nei canti delle cinque corali unite ho sentito le parole No’el et Venite adoremus. 

Proveniente dall’Europa in parte ammalata e confusa, e trovandomi ora in un paese islamico, assisto con gioia a momenti pieni di vita di popolazione africana esuberante, credente e orante. Sarà l’Africa a portarci un po’ di vita, un po’ di fede? Ambiente, questo della Tunisia, dove la presenza di cristiani contribuirà a realizzare la fraternità di popoli, tanto desiderata da Papa Francesco. 

Sono solo impressioni, quelle che vivo. Ma mi resta viva la sorpresa e la domanda di Abramo: “Esci dalla tua terra e va’”. In quale esperienza nuova il Signore mi sta portando?

           

Cari amici, di molti di voi non ho notizie. Le mie cartoline vi interessano ancora? Presto è Natale, ci scambieremo auguri. 

            

   

Sono in Sicilia 

6 dicembre 2021, San Nicola. 

La Goulette a 15 Km da Tunisi. Sceso dalla macchina, saluto una persona anziana che se ne sta appoggiata al pilastro del portico di una casa. Saputo da padre Anand che sono italiano, subito afferma: “Sono siciliano, nato qui a Tunisi. Oggi San Nicola, aspetto una signora che mi porta qualcosa.”. Poi visito le suore di Madre Teresa e vedo in una stanza una vecchia cieca, seduta sul letto. La suora le dice che sono italiano. Mi vuole vicino e comincia a parlarmi. “Sono di Calabria, teste dure. Nata e rimasta qui”. Mi racconta la sua vita e vorrebbe continuare, ma la suora mi chiama. “Parlerebbe tutta la giornata, qui ci sono altre poche persone italiane così”, mi dice la suora. Nessuno si occupa di loro. Ricevono qualcosa dalla Caritas, vengono e restano con noi”. Poi entro in chiesa. Vedo l’altare nel fondo carico di candelabri, piccole statue, fiori e tovaglie ricamate, un pulpito in alto appoggiato a un muro come in chiese di una volta, poi attorno, altri altari e statue di San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio di Padova, Santa Teresa del Bambino Gesù, Santa Rita e Nostra Signora di Trapani sopra un altare di marmo di Carrara e all’entrata un bel battistero in marmo. Le suore mi raccontano della devozione degli italiani. Nel bel libro Les catholiques en Tunisie di François Dornier trovo altre notizie interessanti. Nella processione della Madonna di Trapani 12 uomini portavano attraverso la città l’insieme della statua. Tutta la gente partecipava, cristiani, musulmani, ebrei, italiani, maltesi. La banda musicale accompagnava… e poi in chiesa la messa pontificale del vescovo. Tutti restavano presenti. 

  

In una statistica del 1885 quando erano presenti le suore di San Giuseppe, leggo: cinque suore si occupano di 148 bambini, dei quali 18 francesi, 71 italiani, 42 maltesi, 16 ebrei e 1 tunisino. Mi limito ad aggiungere che il prete parroco ciadiano, lazzarista, testimonia che dai registri della parrocchia risulta che la zona era chiamata e ancor oggi Piccola Sicilia

Saluto il parroco e prima di partire mi fa attraversare una sala dove in un angolo rivedo l’italiano, il primo incontrato. Stava mangiando un bel piatto di spaghetti. Gli chiedo: “Sei ancora un bravo italiano?” – Sempre cristiano! – mi risponde con gioia.

        

Incomincio a vedere i volti di una Chiesa che, come il samaritano del Vangelo, si fa vicina e resta accanto ai resti di un popolo di un tempo che non esiste più. 

    

 

Religioni: Tunisia terra di pace e convivenza tra le fedi

8 dicembre 2021

Mercoledì 8 dicembre. Faccio visita all’arcivescovo di Tunisi, Ilario Antoniazzi. Incontro fraterno anche perché siamo conterranei. Respiro un’aria di attesa natalizia, di speranza in un avvenire di apertura. Lo colgo anche in un articolo del 27 ottobre.

    

"La Tunisia è una terra di pace e convivenza tra le religioni, con l'auspicio che il resto del mondo possa seguire il suo esempio". Lo hanno detto il rabbino capo di Tunisi, Haim Bittan, e l'arcivescovo di Tunisi, Ilario Antoniazzi, al Museo del Bardo durante una giornata di studi organizzata dal ministero tunisino degli Affari religiosi dal tema 'Religioni, simbolo della coesistenza e battaglia contro l'estremismo'. I lavori, che hanno interessato anche imam e vari esperti religiosi hanno toccato molte altre questioni come 'pluralismo e libertà religiosa: realtà e legislazione', 'diritto al pluralismo e al diritto di essere diversi', 'ruolo dei media, imam e persone religiose nella diffusione una cultura e diversità plurale' e 'religione e consapevolezza'. Nell'occasione, il rabbino capo di Tunisi ha detto di essere pienamente soddisfatto di vivere in un Paese in cui le religioni coesistono in un clima di tolleranza e fraternità. Bittan ha Colgo Tunisia, al massimo 1.500 persone, la maggior parte delle quali all'isola di Djerba. L'arcivescovo di Tunisi ha dichiarato di essere grato per lo spirito prevalente in Tunisia e incoraggiato la coesistenza tra le religioni, sottolineando che i cristiani in Tunisia riconoscono il rispetto che governo e popolazione nutrono nei confronti dei cristiani e della loro religione.

             

Il ministro tunisino degli Affari religiosi, Ahmed Adhoum, ha dichiarato che l'organizzazione di questa giornata di studio rientra nella strategia del governo nella lotta al terrorismo e all'estremismo. "Sebbene i musulmani rappresentino la grandissima maggioranza della popolazione in Tunisia, questo non impedisce al ministero degli Affari religiosi di proteggere le altre confessioni religiose in Tunisia, come quella cristiana e ebraica, come recita la Costituzione", ha dichiarato Ahmed Adhoum. (ANSAmed).

   

 

Una catechesi vivente 

9 dicembre 2021

Prima di scendere nel deserto, verso Tozeur, approfitto di ascoltare esperienze, leggere scritti, testimonianze, e visitare luoghi e volti della Tunisia. Prendo e traduco dalla presentazione del libro di Silvio Moreno UNE CATECHESE VIVANTE: “La Tunisia oggi è il deposito più importante di espressione artistica e la regione la più ricca di mosaici… L’archeologia e l’arte cristiana del Museo nazionale del Bardo gli danno certamente un prestigio particolare tra i capolavori del mondo cristiano. Abbiamo la fortuna di vivere in un paese carico di lunga e ricca tradizione cristiana e di appartenere a una Chiesa che risale alle origini perché si è piantata qui nei primi secoli della nostra era. Sono convinto che riscoprire la Tunisia cristiana… è pure compiere un esercizio di memoria sul passato per ritrovare le sue radici e mettere in evidenza la sua storia per poi preparare l’avvenire”. 

E prendo ancora dalla conclusione del libro: “La storia ci ha sempre ricordato che la Chiesa è ricorsa lungo i due millenni a numerose espressioni di bellezza e che ha sviluppato, ispirato, e accompagnato l’arte e gli artisti nell’architettura, scultura, pittura, letteratura, ecc. Il santo Giovanni Paolo II scrisse agli artisti nel 1999: “Oggi, l’umanità potrebbe disporre di un così vasto patrimonio artistico e culturale se la comunità cristiana non avesse sostenuto la creatività di numerosi artisti…?”

  

 

Gafsa città fondata da un dio libico 

11 dicembre 2021

A 90 Km a Nord-est di Tozeur che dista da Tunisi 450 Km ed è nel deserto, c’è Gafsa, una delle più antiche città della Tunisia, ricca di molte sorgenti che danno acqua potabile e rendono florida un’oasi. Del tempo romano si vedono i resti di un Tempio delle acque chiamato semplicemente Piscine Romane e nel museo vicino si vedono i mosaici riportati protetti e scritte latine. Ti impressiona il fatto di vedere dove erano arrivati i Romani e dove per un certo tempo la regione ha vissuto anche il cristianesimo. Ma il vero motivo del viaggio è stato di visitare l’unico cristiano della zona, ora ammalato. Ero commosso nel vedere come gli parlava il mio giovane confratello indiano, padre Anand, e la gioia del tunisino sentitosi per un momento accanto a cristiani e di poter anche pregare insieme. Emozione straordinaria per me è stata quando padre Anand gli ripeteva quello che il vescovo di Tunisi un giorno gli aveva detto: “Tu P. qui sei la Chiesa!”. Commovente anche il racconto della sua vita ricca di fede di preghiera e di serenità anche nella malattia.

Ho trovato in un articolo questa serie di intenzioni di preghiere che potremmo recitare anche noi. 

Vi sono molti credenti soli in Tunisia. Pregate perché possano conoscere altri credenti che vivono vicino a loro, al fine d’incontrarsi e pregare per una solida e fruttuosa amicizia.

Pregate che la luce, la pace e l’amore di Cristo superino lo spirito di intimidazione e di paura che molti credenti tunisini avvertono. Pregate che i cristiani tunisini continuino a pregare nello Spirito per mantenere le loro menti libere da paura, intimidazione e confusione.

Pregate perché le donne credenti in Tunisia lottino per superare i loro traumi. Pregate che Dio le benedica. Pregate che trovino in Cristo sicurezza e aiuto.

Pregate per il presidente della Tunisia, che è in carica solo da un anno. Pregate che porti nuova libertà per i cristiani mentre è in carica.

    

 

Tozeur

12 dicembre 2021

Domenica, Santa messa. Visto che le cartoline piacciono, e che qualcuno sta pensando di venire in Tunisia, in cha allah, descrivo un po’ di vissuto. Questa mattina il nostro salottino è diventato la cattedrale di noi tre fedeli senza pubblico. È bello, con festoni natalizi, lumini ed elementi decorativi arabi africani tailandesi indiani e canti in francese inglese arabo con omelia che padre Anand invia anche all’unico cristiano visto ieri. I testi liturgici sono rinnovati anche qui. Di tailandese vedo gli alberelli e soprammobili che fr. Marco ha imparato a fare in Tailandia, lavorando con disabili, e confezionando oggetti molto belli con ritagli di cartone. Di africano vedo le statuine nere del presepio. Di indiano c’è padre Anand ormai esperto in arabo. Di italiano, quello che sono io e che porto domande, curiosità e sorpresa per tutto quello che vedo e sento. Partecipo e concelebro attento senza distrazioni, forse perché vivendo in zona desertica anche se in una cittadina, nella preghiera sei più solo con te, essenziale, e libero da tante cose. Partecipo a questa celebrazione coi sentimenti avuti ieri. quando si è ricordata la frase del vescovo di Tunisi detta all’unico cristiano della zona: “Tu P. sei la Chiesa!” Papa Giovanni Paolo II ai vescovi del Magreb ricordava che non è importante il numero, ma essere segno. Anche qui. così, senza nulla, ma non vuoti nel cuore.

    

Ore 12 pranzo. Si è segno in Tunisia, ma anche con qualcosa nello stomaco. Questa volta il menu è indiano, straordinario, piccantino. Mancano le ‘ombre venete’ (a Treviso si direbbe ‘prosecco’) per ora, ma non manca la convivialità che è a un buon livello. Ero già abituato in Algeria.

  

 

Missionari come le dune

13 dicembre 2021

"Prendo dal libro NOTE SULLA STORIA DELLA CHIESA IN ALGERIA E TUNISIA scritto da padre Davide Carraro, missionario del PIME ad Algeri, uno stralcio della relazione che fratel Mussi scrisse il 4 aprile 2005, alla fine di un viaggio preparatorio in Algeria. Durante questo viaggio era accompagnato da padre Miguel Larburu, l'allora VG della diocesi del Sahara: "Padre Miguel dice che il Sahara è un buon fabbro, se ha in mano un materiale di buona qualità è capace di trasformarlo in un capolavoro, se invece gli capita in mano del ferro di cattiva qualità lo vede subito e lo getta via. I missionari del Sahara devono assomigliare alle dune di sabbia nel deserto: si adattano al posto, si spostano con il vento, sono sobrie e sono belle, proprio perché non hanno fronzoli inutili e sono sempre lì. In un ambiente duro e difficile, sia per il clima che per i rapporti religiosi, sociali e culturali, c’è bisogno di persone che siano capaci di sopravvivere alle tempeste" e alla scarsità di alcuni elementi che si reputano essenziali. Non è facile, ma si può fare, se si è convinti e preparati a questo. I Tuareg una volta per spostarsi nel deserto utilizzavano solo i cammelli. Ora preferiscono i fuori strada 4 X 4, perché sono più veloci e più comodi. Abbiamo bisogno di comunità che, avendo capito lo spirito e la tradizione della Chiesa algerina, sappiano percorrere altre piste con dei mezzi adatti al mondo d’oggi. Ecco la vera sfida per non essere né dei nostalgici né degli ingenui, ma solo realisti”. Stessa cosa per la Chiesa tunisina.

    

 

Missione di Tozeur: la missione nel deserto tunisino

15 dicembre 2021

La Chiesa in Tunisia, come del resto quella in Algeria e del Nord Africa in generale, è una Chiesa missionaria cioè composta da pochissimi cristiani locali e da un personale religioso straniero. Sono piccole realtà che fanno fatica ad aumentare sia nel numero sia nella rilevanza sociale, che vivono in un contesto religioso-culturale islamico. Malgrado questa situazione apparentemente negativa, la Chiesa in Tunisia decide di impegnarsi per ricominciare una presenza nel sud del Paese, dopo una lunga assenza che era cominciata alla fine del periodo coloniale. Decide di compiere questo passo con noi missionari del Pime.

Perché il Pime apre una missione nel sud della Tunisia?

La vicenda di padre Anand Talluri ci aiuta a spiegare e a capire perché si è avuta la forza (e anche un po' l’incoscienza) di "osare". Padre Talluri viene destinato alla missione Pime in Algeria nel 2015. Dopo lo studio del francese, non riesce a

ottenere il visto d’ingresso per questo Paese, per cui i responsabili locali del Pime decidono di fargli studiare arabo classico a Tunisi, sperando che dopo questi studi possa ottenere il visto richiesto, ma questo non accade.

Nel 2018, durante la nostra assemblea annuale, padre Talluri esprime il proprio disagio nel vivere nell’incertezza e chiede che la Direzione Generale (DG) dia indicazione circa il suo futuro impegno missionario. Durante la stessa assemblea, i membri della comunità Pime in Algeria decidono di "osare" e scrivono una lettera alla DG. L’assemblea generale 2019 decide che la missione in Tunisia è estensione della missione dell’Algeria.

Il 16 gennaio 2020 il SG del Pime, d’accordo col Vescovo locale, invia padre Anand Talluri e fratel Marco Monti nella città di Tozeur.

         

 

La volontà di vivere di Abu l-Qasim al-Shabbi

15 dicembre 2021

Tozeur, 14 dicembre, visito la sua tomba. Un edificio ben curato con corridoi attorno alla tomba che diventano una mostra con foto e documenti del poeta. I giovani frequentano la sua tomba e trovano nella sua poesia l’ispirazione per un avvenire migliore.

Abu l-Qasim al-Shabbi (in arabo: أبو القاسم الشابي‎, Abū l-Qāsim al-Shābbī; Tozeur, 24 febbraio 1909 – Tunisi, 9 ottobre 1934) è stato un poeta e saggista tunisino. Oltre che il maggiore poeta tunisino del Novecento, è uno dei più noti scrittori arabi. Per le sue critiche severe, talvolta ai limiti dell'insulto, nei confronti del proprio paese (di cui gli echi risuonano anche nel saggio L'immaginario poetico presso gli Arabi), troppo spesso, a suo dire, acquiescente ai soprusi e alle tirannie politiche e culturali, è stato anche molto osteggiato.[X]

        

Biografia

Nacque in un sobborgo di Tozeur, città della Tunisia meridionale, e studiò nell'Università della Grande Moschea al-Zaytuna di Tunisi. Per la sua indole vivace e innovatrice, venne eletto presidente del Comitato studentesco per la riforma dell'insegnamento zaytuniana. Dopo avere conseguito, nel 1928, il baccelauréat, si iscrisse nella facoltà di Giurisprudenza. Suo padre era magistrato. 

Iniziò a comporre delle liriche nel 1923 e nel 1929 cominciò a progettare l'edizione completa del suo Dīwān (la silloge I canti della vita); riprenderà quest'idea, ma senza successo, nel 1930 e nel 1933. Il volume uscirà in versione integrale nel 1955, in Egitto. Dopo la morte del padre, nel 1929, il poeta manifestò i primi sintomi della propria malattia. 

Collaborò al supplemento letterario del quotidiano «al-Nahda» (la Rinascita), alla rivista «al-ʿĀlam al-adabī» (Il mondo letterario) e al periodico egiziano «Apollo» (Il Cairo). 

Nel 1930 sposò Shahla ben Amara ben Ibrahım Shabbī. Il 29 novembre 1931 nacque il loro primo figlio, Muhammad Sadok (Muhammad Sādiq). 

Morì a causa di una cardiopatia nell'Ospedale Italiano di Tunisi. 

     

Influenze nella società

Nel 1933 compose la sua poesia più celebre La volontà di vivere, i cui versi, per decenni, fino alle recenti rivolte della "Primavera Araba" (2011-2012), sono divenuti il "grido di battaglia" dei giovani dell'intero mondo arabo: 

«Se un giorno il popolo vorrà vivere

il destino deve assecondarlo,

la notte deve dissiparsi

e le catene devono spezzarsi»

I versi sono citati anche in chiusura dell'inno nazionale tunisino: Humat al-Hima (Difensori della Patria). 

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

    

Oh figlio di mia madre

di Abu-l-Qacem Chebbi, 1929 Poeta di Tozeur

    

Sei nato libero come il sospiro della brezza 

libero come la luce del mattino nel cielo,

per cinguettare come gli uccelli che volano 

e cantano ispirati dagli dei,

per allietarti tra le rose del mattino 

e gioire della sua luce ovunque la vedi,

per correre tra i prati 

e raccogliere rose sulle colline

   

Così dio ti ha plasmato o figlio dell'esistenza 

e così la vita ti ha gettato nell'universo.

E allora perché accetti l'umiliazione delle catene

e pieghi la fronte davanti a chi ti ha incatenato? 

     

Perché fai tacere la voce potente della vita 

quando risuona dentro di te la sua eco? 

Perché chiudi le tue palpebre illuminate dalla luce dell'alba 

quando la luce dell'alba è così dolce?

Perché ti accontenti di una vita tra le caverne?

Ma dove sono finiti il tuo canto e la tua fierezza?

Forse hai paura della bellezza del canto del cielo? 

O hai timore della luce dell'aurora nell'aria?

      

E allora alzati e percorri il sentiero della vita

che la vita non aspetta chi dorme 

E non avere paura di cosa ci sarà dietro le colline 

c'è soltanto la luce del mattino

e la primavera di una nuova esistenza 

che ricama con le rose il suo abito

e il profumo dei fiori del mattino 

e la danza dei raggi tra le acque

e i colombi eleganti nei prati 

che cinguettano il loro canto slanciati.

    

Alla luce! Che la luce è dolcezza e bellezza

Alla luce! Che la luce è l'ombra del divino

    

 

Le chiese cattoliche della Tunisia 

17 dicembre 2021

Prendo da Wikipedia. 

Le chiese cattoliche esistevano in Tunisia prima dell'istituzione del protettorato francese. Se la chiesa Sainte-Croix di Tunisi, costruita nel 1837, è la più antica, altre si uniscono a Sousse (1839), Sfax (1841), Djerba (1848), Biserta (1851), Porto Farina (1860), Mahdia (1861).), Monastir (1862) e La Goulette (1879). Con l'istituzione del protettorato, molti cristiani francesi, italiani e maltesi si stabilirono nel paese. Nel 1956 in Tunisia vivevano più di 250.000 persone, ovvero il 7% della popolazione totale. Per assicurare un sostegno spirituale a queste stesse famiglie religiose, le autorità ecclesiastiche inviano sacerdoti ovunque i fedeli ne facciano richiesta. Vengono creati comitati di sottoscrizione per raccogliere fondi per la costruzione di chiese. Anche le città operaie costruite dalle compagnie minerarie sono dotate di luoghi di culto finanziati dall'investitore. L'indipendenza della Tunisia nel 1956 segnò una svolta nello sviluppo della presenza cristiana in Tunisia. Dieci anni dopo, il 90% degli europei ha lasciato il Paese e le chiese sono deserte.

Un modus vivendi è stato quindi firmato tra la Tunisia e il Vaticano il 10 luglio 1964 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica di Tunisia il 243. Tale accordo prevede il trasferimento gratuito e definitivo allo Stato tunisino dei 107 luoghi di culto ad eccezione di quelli citati in allegato all'accordo (cattedrale di Tunisi, chiesa Sainte-Jeanne-d'Arc a Tunisi, de La Goulette, Chiesa di Grombalia e Chiesa di Saint-Félix de Sousse) con "l'assicurazione che saranno utilizzati solo per scopi di interesse pubblico compatibili con la loro precedente destinazione". L'idea guida è quella di far scomparire l'aspetto esteriore e visibile della Chiesa e di impossessarsi di tutto ciò che può essere utilizzato. Altri luoghi di culto furono trasferiti al dominio tunisino durante la nazionalizzazione delle società agricole europee il 12 maggio 1964 o delle società minerarie che possedevano edifici religiosi.

   

 

I treni di Tozeur 

18 dicembre 2021

Forti dei rispettivi successi, Franco Battiato e Alice coronano un periodo d’oro con la composizione del brano che li porterà all’Eurovision. I treni di Tozeur è, come di consueto, un brano straordinario che fonde l’avanguardia europea al pop italiano, ispirato dall’omonima cittadina tunisina in cui si verifica il particolare fenomeno denominato “Fata morgana“. Ovvero una sorta di miraggio che porta a vedere all’orizzonte cose che non esistono.

Posto ai margini del deserto del Sahara, Tozeur è circondata da un lago salato le cui esalazioni conducono i viandanti ad avere allucinazioni. 

         

Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni le strade deserte di Tozeur da una casa lontana tua madre mi vede si ricorda di me delle mie abitudini. E per un istante ritorna la voglia di vivere a un'altra velocità passano ancora lenti i treni per Tozeur. Nelle chiese abbandonate si preparano rifugi e nuove astronavi per viaggi interstellari in una vecchia miniera distese di sale e un ricordo di me come un incantesimo E per un istante ritorna la voglia di vivere a un'altra velocità... Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni per Tozeur 

     

Commento di un suo fan: “Io credo che il Maestro oggi se ne sia andato non solo per riposare, ma per prepararsi a rivivere nuove esistenze nella medesima condizione sublime, raggiunta in questa vita. Un viaggio lungo 76 anni e assaporato con la gioia del distacco da ogni meschinità umana. Un viaggio narrato in ognuna delle sue strofe e messo in musica con l'inestimabile talento della sua arte”. ( Deezer )

     

 

Visita alle radici cristiane 

19 dicembre 2021

Mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi afferma: «Molti pensano che la Tunisia sia un paese musulmano instabile, dove la Chiesa non è presente. Ma la situazione è molto diversa: la Chiesa c’è, è operosa e dà speranza. Ci farebbe piacere stringere rapporti con diocesi o parrocchie italiane e saremo lieti di accogliere quanti vorranno venire qui, magari in pellegrinaggio sulle orme di sant’Agostino. Questo paese, che sta pazientemente costruendo il proprio futuro democratico, ha molto da offrire e vorrei invitare tutti a visitarlo, aiutando questo popolo e i suoi giovani che purtroppo, per mancanza di lavoro, sono spesso costretti a lasciare la loro patria».

Mons. Ilario Antoniazzi ha ricevuto con gioia la visita di Mons. Pizziolo vescovo di Vittorio Veneto con un gruppo di pellegrini dal 20 dicembre al 2 gennaio 2015 per incontrare i luoghi di Sant’Agostino, contenti anche di rivedere il vescovo Antoniazzi loro conterraneo.

Anche don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana di Cagliari, promovendo “Un ‘pellegrinaggio-studio’ alle radici della nostra cultura e storia cristiana e mediterranea”, afferma che “In Tunisia si cammina sulle orme dei santi. Per secoli il Mediterraneo ha costituito una ‘autostrada’ che permetteva ai popoli diversi di incontrarsi, conoscersi, scambiare e condividere i propri saperi. La dimensione mediterranea, più che mai attuale, è da riscoprire e rilanciare, in una prospettiva di pace, bene comune, e nuovo sviluppo economico e sociale per l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente”. 

I pellegrini visiteranno alcuni luoghi simbolo dell’antica Tunisia cristiana, caratterizzati dalla presenza dei Santi del Nord Africa che hanno avuto contatti, in modi diversi, con la Sardegna durante il periodo vandalico del V e VI secolo: il luogo del martirio delle Sante Felicita e Perpetua, la città dei martiri di Abitene; Telepta, città di origine di San Fulgenzio, grande autorità morale, dottrinale e teologica, esiliato e accolto nella regione. Infine, i luoghi dove si è recato Sant’Agostino, le cui reliquie prima della traslazione a Pavia erano conservate a Cagliari.

Un percorso di conoscenza e preghiera guidato da padre Silvio Moreno, missionario dell’Istituto del Verbo Incarnato, archeologo, teologo e rettore della Cattedrale di Tunisi. (…) 

Il pellegrinaggio si inserisce nell’ambito del rapporto di collaborazione tra le due Chiese locali. In un’intervista al settimanale diocesano “Il Portico”, padre Moreno ha parlato del legame tra le due diocesi sulle sponde opposte del Mediterraneo, definendolo “forte, strutturato, duraturo”. (…) “Ciò ci fa crescere sia perché ci permette di guardare verso altre realtà ecclesiali, quelle dell’altra sponda del Mediterraneo, da cui possiamo ricevere aiuto e vicinanza, sia perché ci rende consapevoli di ciò che noi possiamo far scoprire loro. Il senso dell’iniziativa è anche quello di “far conoscere la nostra ‘ricchezza cristiana’, spesso dimenticata in un paese musulmano, importante perché costituisce una riscoperta delle proprie radici e storia”. 

Una riscoperta che negli ultimi anni si è tradotta nell’organizzazione di visite archeologiche e storiche ai siti cristiani della Tunisia, aperte a tutti, “grazie al clima di maggiore libertà e interesse, frutto della rivoluzione. Talvolta sono le stesse Università, o altre realtà tunisine, che ci chiedono di organizzare visite ai siti archeologici cristiani presenti nel Paese”. ( Mattia Pittau14 Maggio 2019 ) 

 

Il piccolo Gesù della Piccola Sorella Magdeleine

20 dicembre 2021

Cari amici, vi saluto da Tozeur (Tunisia). Un mondo nuovo per me da incontrare e amare come facevo in Algeria. Vi mando un pensiero della PS Magdeleine che aveva fondato la famiglia delle Piccole Sorelle a Touggourt dove ho vissuto 10 anni e che sarà beatificata.

         

Che il piccolo Gesù ti dia un riflesso della sua gioia d'infanzia quando lui giace così fiducioso tra le braccia della Vergine Maria, sua madre.

A volte è meno difficile di quanto pensi rendere felici le persone, se si ha il cuore pieno dell'amore del Signore, un amore concreto, vivo.

Ma per questo bisogna guardare Gesù nella mangiatoia Gesù è cresciuto lì perché nessuno abbia paura di lui, che tutti possano avvicinarsi a lui, prenderlo in braccio.

Dai un'occhiata a questo piccolo della scuola materna: ti grida tenerezza! Tenerezza per tutti gli esseri umani. Apre le sue braccia a tutto l’universo, ma prima di tutto ai piccoli, agli umili.

Il mondo di oggi ha grande bisogno di Gesù 

C'è la gentilezza come risposta alla violenza che travolge tutti i paesi del mondo.

La stella di Betlemme illumini il cammino di chi è disperato che lo porti a Colui che lo consiglierà perché è lui la fonte di ogni speranza!

     

Buon Natale da Padre Silvano

    

 

Il momento più commovente sulla terra dei Martiri

22 dicembre 2021

È prima di tutto attraverso i suoi martiri che questa Chiesa di Cartagine occupa un posto importante nella storia del cristianesimo. 

Mgr Gourlot scrive nel libro Saints d’Afrique, p.42, : “Non credo che ci sia in tutta l’Africa del Nord un luogo più santo dell’anfiteatro di Cartagine, dove sono caduti tanti martiri. Le loro reliquie sono state disperse e non sappiamo più dove riposano, ma sappiamo che in questa arena il suolo ha bevuto il loro sangue. Si potrebbe, come faceva un papa nel Colosseo raccogliere un pugno di questa terra e dire: Ecco le reliquie!”

E M.V. Guérin nel libro Voyage archéologique dans la Régence de Tunis, p 37-38 afferma : « Oggi questa arena insanguinata e rivolta dall’aratro; gli antri dove erano richiuse le bestie feroci sono distrutti e chiusi; le gradinate dove si stringevano le migliaia di spettatori sono scomparse totalmente e il solo ricordo di tutti drammi sanguinanti che vi si giocavano ha sopravvissuto a questo monumento distrutto”.

Nell’anfiteatro fu ricavato un angolo dove è stata costruita un cappella che porta la scritta : “QUI FURONO MARTIRIZZATE, IL 7 MARZO DELL’ANNO 203, LE SANTE PERPETUA E FELICITA, ESPOSTE AI DENTI DELLE BESTIE CON I SANTI REVOCATUS, SATURUS E SATURNINUS”.

San Agostino nel discorso 280 descrive le disposizioni di spirito per celebrare le solennità dei martiri: “I martiri hanno pietà di noi e pregano per noi. Perciò si celebrino con la massima devozione le solennità dei martiri, in allegria moderata, in adunanza onesta, in riflessione pia, in coraggioso annunzio. Non costituisce una forma di imitazione di poco conto felicitarsi insieme delle virtù dei migliori”. 

Il santo Giovanni Paolo II visitò l’anfiteatro e la cappella il 14 aprile 1996 e disse ai vescovi del Maghreb nel suo viaggio in Tunisia che il raccoglimento a Cartagine sul luogo delle martiri felicita e Perpetua fu il momento più commovente di tutto il suo viaggio”.

Buon Natale amici

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novembre 2021


Collaborazione fra diocesi e Istituti missionari  (26)

Mons. Pirovano continua. Il P.I.M.E. dunque è qui per aiutare le diocesi nella formazione dei missionari, mettendo a frutto il capitale d'una esperienza e d'una tradizione che hanno più d'un secolo di vita: non solo nella formazione dei giovani durante gli anni di seminario, ma formazione ed assistenza sul campo del lavoro, inserendo i novelli missionari in un sistema di vita comunitario che li aiuterà a superare ogni tentazione di scoraggiamento e d'abbandono; che deve loro permettere di diventare - indiani con gli indiani, africani con gli africani, brasiliani con i brasiliani. (…) II desiderio nostro, di noi missionari del P.I.M.E., è di esprimere ancora meglio la dipendenza che ci lega alle diocesi italiane, come sempre in passato, ma oggi secondo forme adeguate alla sensibilità post-conciliare; rendere più chiaro che noi esprimiamo, con il lavoro missionario, non qualcosa di nostro, ma semplicemente la missionarietà delle diocesi italiane che ci hanno mandati. (…) E mi pare che la partenza, oggi, da questa città missionaria di Treviso, dei primi quattro missionari per il Camerun, voglia significare proprio questo: che nel risveglio missionari, che sta vivificando la nostra Italia, si apre una nuova e luminosa via da percorrere assieme, quella della collaborazione sempre più stretta fra diocesi e Istituti missionari, della fusione anche sotto la guida dei vescovi per una maggior efficacia dell'apostolato missionario nel mondo.

 


Insieme per un'unica missione  (27)

P. Severino Crivella Assistente Generale del P.I.M.E. sviluppa il tema della fraternità sacerdotale. “Fin dagli inizi, tra i sacerdoti diocesani di Treviso e i missionari del PIME, sono stati vissuti i valori della fraternità sacerdotale, dell’aiuto reciproco, e di una fruttuosa collaborazione per l’annuncio del Vangelo in Diocesi e nei Paesi di missione. (…)

Il Concilio, del resto, tra i compiti che gli istituti missionari sono chiamati ad assolvere, ha affidato pure questo: «Essi devono essere pronti a formare e ad aiutare con la loro esperienza coloro che si consacrano all’attività missionaria solo temporaneamente» (AG 27). Il PIME, accogliendo questo invito del Concilio, ha offerto la propria disponibilità a cooperare con quelle diocesi italiane pronte ad usufruire della sua esperienza per inviare, fianco a fianco ai suoi missionari, i loro sacerdoti e laici in terra di missione. Sia pure in tempi successivi, tre diocesi, Treviso, Gorizia e Belluno-Feltre hanno così chiesto di poter iniziare un «gemellaggio» con il PIME in vista di un impegno comune di evangelizzazione ad gentes. Mi piace sottolineare il fatto che queste tre diocesi sono tutte del Triveneto. (…)

     


Sacerdoti e laici in missione  (28)

“L’opera di evangelizzazione dei non cristiani incombe alla chiesa intera e in particolare al Collegio Episcopale e ai singoli Vescovi” (AG 29,38). Anche i sacerdoti e i laici sono chiamati dal Concilio Vaticano Il a dare il loro aiuto alle Chiese di missione. Infatti: «Il dono spirituale che i Presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza» (PO 10). «I Laici cooperano all’opera evangelizzatrice della Chiesa, partecipando insieme come testimoni e come vivi strumenti alla sua missione salvifica soprattutto quando, chiamati da Dio, vengono dai Vescovi destinati a quest’opera» (AG 41). Sulla spinta di queste indicazioni del Concilio, veramente innovatrici per l’impegno missionario della Chiesa, in questi anni il numero dei sacerdoti e dei laici che hanno sentito l’esigenza di dedicarsi, sia pure temporaneamente, all’opera di evangelizzazione nelle Chiese di missione o in quelle dell’America Latina dove mancano forze sufficienti per quest’opera fondamentale, è andato sempre più aumentando. Sono sorti così organismi, come il CEIAL (Centro Ecclesiale Italiano per l’America Latina), il CEIAS (Centro Ecclesiale Italiano per l’Africa e l’Asia), la FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario) che si propongono di favorire la preparazione, l’invio e l’assistenza di questi sacerdoti e laici.

     


Treviso, Gorizia, Belluno-Feltre in missione col PIME  (29)

Ancora Padre Severino Crimella. I Vescovi vogliono stimolare una pastorale sempre più missionaria, sempre più aperta, sempre più universale. Noi missionari, figli di questa Chiesa, siamo felici di poter offrire ancora il nostro servizio affinché il suo impegno missionario non conosca limiti e frontiere. Il 29 giugno 1967 il Vescovo di Treviso, Mons. Antonio Mistrorigo consegnava il crocifisso a quattro missionari, due sacerdoti diocesani, don Mario Bortoletto e don Angelo Santinon, e due padri del PIME, P. Giovanni Belotti e P. Giorgio Granziero destinati alla stessa missione di Ambam nella diocesi di Sangmelina in Cameroun. Il 12 dicembre 1972 il Superiore Generale del PIME, Mons. Aristide Pirovano firmava il contratto con il Vescovo di Gorizia, Mons. Pietro Cocolin, con il quale l’Istituto si impegnava ad assicurare la presenza di un suo missionario nel gruppo diocesano, sacerdoti, suore e laici, che partivano per la Costa d’Avorio nella missione a loro affidata dal Vescovo di Bouakè. Dopo qualche tempo in questo gruppo si inserivano anche due fratelli missionari laici del PIME. Nel giugno 1980, mandato dal Vescovo di Belluno-Feltre, Mons. Maffeo Ducoli, Don Claudio Sacco raggiungeva un’altra missione della diocesi di Bouakè, Sakasso affiancandosi al P. Giovanni De Franceschi del PIME già presente sul posto”.

  


Questi gli inizi. E oggi?  (30)

Ai primi missionari diocesani e dell’Istituto sono succeduti altri, alcune situazioni sono cambiate, ma l’esperienza continua, nonostante i problemi più che comprensibili per questo tipo di collaborazione. Paolo VI durante l’incontro con i missionari del PIME al termine della loro Assemblea Generale del 1972, commentando la prima esperienza di questa cooperazione tra l’Istituto e le Diocesi, così si esprimeva: «Ottima questa iniziativa. Anche in questo siete stati dei pionieri. Continuate in questo senso poiché è proprio questo il servizio che dovete rendere alla Chiesa Italiana». È una consegna questa a cui il PIME vuoi rimanere fedele, tanto più oggi. La Chiesa Italiana - scrive Don Sergio Marcazzani, già direttore del Centro Missionario Diocesano di Verona, su «Mondo e Missione» (dicembre 1986) -sta vivendo un momento privilegiato e significativo: il passaggio da una missionarietà intesa come attività ad una «dimensione missionaria» posta nel cuore stesso dell’esperienza di ogni comunità». Ne è prova il documento della C.E.I. «Comunione e comunità missionaria».   


Fine.

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novembre 2021

Mons. Mistrorigo all’ inaugurazione del nuovo seminario di Preganziol   (21)

Ecco il discorso che il vescovo di Treviso, mons. Antonio Místrorigo, pronunciò inaugurando il nuovo seminario del P.I.M.E. alla periferia della città, il 29 giugno 1967. È un testo che ci pare altamente significativo per avviare una più stretta collaborazione fra diocesi e istituti missionari, al di là del caso particolare rappresentato dalla diocesi di Treviso e dal P.I.M.E.  

  

Unione fra diocesi ed istituti  (22)  

È una giornata indimenticabile, questa: per i bravi missionari del P.I.M.E., che vedono coronati di successo tanti loro sforzi e speranze, e per la diocesi, che partecipa a questo avvenimento dell'inaugurazione d'un nuovo seminario missionario come ad una cosa sua. È con questo spirito che noi oggi siamo qui presenti, per sentire con i missionari i grandi problemi della Chiesa, per realizzare con loro un migliore lavoro nella Chiesa ed al servizio dell'umanità.  Noi tutti lo sappiamo: i missionari da soli non bastano più e le diocesi da sole non possono dare un impulso sufficiente all'evangelizzazione del mondo non cristiano. Bisogna quindi mettere assieme le forze, sentirci uniti senza alcuna distinzione e lavorare uniti per l'unico scopo, che è di portare Cristo a tutte le genti e di fondare la Chiesa presso tutti i popoli. Convinti di questa necessità d'unione fra diocesi ed istituti, abbiamo voluto dare l'esempio nella nostra diocesi di Treviso. 

Il seminario missionario che oggi inauguriamo, noi lo consideriamo come nostro, pur nel rispetto dell'autonomia di vita interna di cui esso deve godere. L'esempio più bello di questa nostra unione e collaborazione l'abbiamo dato questa mattina, consegnando il crocifisso a quattro missionari partenti per la lontana terra africana del Camerun: due di essi sono del P.I.M.E. e due sono nostri sacerdoti diocesani. Sono missionari di due famiglie, ma che sono diventati d'una sola famiglia, perché avviati ad un'unica impresa apostolica, indivisibile, da compiere assieme aiutandosi a vicenda e mettendo ciascuno a servizio dell'altro quanto di meglio ha da offrire. L'unico crocifisso che abbiamo consegnato ai quattro missionari è il segno della loro unione per un unico servizio.  

    

Il seminario non è solo dei missionari   (23)

La vita di un seminario è anche vita di una diocesi e oltre. Essendo il nostro un seminario missionario si sentiva attorno ad esso una passione diffusa, vissuta, una disponibilità a sentirsi uniti con chi donava la vita per l’annuncio del Vangelo.  Lo afferma bene Mons. Mistrorigo nel discorso d’inaugurazione: “Ecco perché oggi è la festa della diocesi intera, oltre che dei missionari del P.I.M.E. Noi non saremo cattolici se non saremo missionari. Lo spirito missionario è il termometro infallibile della nostra vita cristiana. Il Signore benedica di più, oggi, per questo, tanto la diocesi che i missionari, che cercano assieme, con buona volontà, un modo nuovo di servire la Chiesa e l'umanità, un modo nuovo per sommare, per moltiplicare le forze, affinché non restino divise. (…) Il seminario non è solo dei missionari, è anche della diocesi, è per tutta la diocesi: per questo è qui il Vescovo ad inaugurarlo e per questo anche sono qui molti sacerdoti e fedeli e molte autorità cittadine, che ringraziamo della loro presenza. (…) Il Vescovo è dunque qui per prospettare alla diocesi una nuova dimensione missionaria, che ci fa abbracciare tutto il mondo, che crea in noi interessamento per tutti gli uomini. Una dimensione missionaria nuova che ci farà camminare fianco a fianco, in unione di forze e di intenti, con il Pontificio Istituto Missioni Estere, questo antico e glorioso istituto missionario che ci aiuta ad esprimere ed a realizzare la nostra missionarietà diocesana. Il seminario missionario che oggi inauguriamo sia benvoluto da tutti, visitato, aiutato da tutti. Per questo spirito missionario, la diocesi nostra è più completa, più funzionante; tutte le cellule della sua vitalità, tutte le organizzazioni cattoliche saranno così rinnovate da questo spirito nuovo. Sia questo seminario come la semente feconda, che fruttifichi e dia frutti abbondanti per la diocesi, per i missionari del P.I.M.E., per tutta la Chiesa”.     

    

Mons. Aristide Pirovano: Il lavoro apostolico del PIME (24)

Leggiamo il discorso che mons. Aristide Pirovano, superiore generale del P.I.M.E., aveva preparato per l'inaugurazione del seminario missionario di Treviso e che poi non poté leggere perché degente in quel giorno in ospedale. Mons. Pirovano era da poco tornato da un lungo viaggio in Estremo Oriente. Ci pare che questo testo completi bene quanto dice il Vescovo di Treviso nel discorso pubblicato nella stessa celebrazione. 

Eccellenza reverendissima, autorità qui presenti, cari sacerdoti e amici, sono appena tornato da un lungo viaggio attraverso il mondo, durato in tutto, a varie riprese, quasi- due anni. Sono potuto venire a contatto diretto con tutti. i missionari del P.I.M.E. sparsi in tre continenti, impegnati a fondare la Chiesa ed a servire le Chiese locali in sviluppo. Vedendo sul posto le realizzazioni compiute in più d'un secolo di lavoro apostolico, il mio pensiero è andato spesso alle diocesi italiane che hanno dato al P.I.M.E. la possibilità concreta, in uomini, in mezzi, in preghiere ed appoggi d'ogni genere, di rispondere positivamente e generosamente agli inviti di Dio e della Santa Sede. Ho ancora negli occhi e nel cuore, in questo momento, la visione di tante missioni che anche per me sono state una scoperta: in Giappone, ad Hong-Kong, nelle Filippine, in Birmania, nel Pakistan, in India, in Africa, negli Stati Uniti, nel Brasile e nella cara e mai dimenticata Amazzonia: passando di paese in paese, di diocesi in diocesi, di missionario in missionario, si è venuto formando in me un sentimento profondo e commosso di riconoscenza a Dio anzitutto e poi alle diocesi italiane. 

   

Le diocesi ci hanno donato a Dio (25)

Mons. Pirovano continua. Un sentimento che desidero esprimere qui, a Treviso, da cui il P.I.M.E. ha tanto ricevuto, ma che vale per tutte le diocesi, per tutti i Vescovi d'Italia: quello che abbiamo fatto, amici, quello che Dio ci ha permesso di fare, ed è tanto, veramente tanto come nemmeno io immaginavo, lo dobbiamo a voi dopo che a Dio, a voi che ci avete aiutati, che avete mandato i vostri giovani ad arruolarsi nelle nostre file, che ci avete accompagnati con le vostre preghiere ed il vostro affetto. Grazie a tutte le diocesi italiane e grazie soprattutto a Treviso che, dopo Milano, dove il P.I.M.E. è stato fondato, è la diocesi che conta più missionari nel nostro Istituto, quella dove il P.I.M.E. ha maggiori tradizioni e ricordi. E vorrei dire di più: quello che abbiamo fatto è vostro, l'avete fatto voi per mezzo nostro, poiché noi missionari del P.I.M.E. non abbiamo altra ambizione che quella di rappresentare, ovunque andiamo, le diocesi che ci hanno donato a Dio ed all'opera di evangelizzazione del mondo non cristiano. Il  nuovo seminario missionario che Lei inaugura oggi, Eccellenza, mi pare che riassuma in sé tutto il discorso che sono venuto facendo. Il seminario è vostro, della diocesi di Treviso, perché voi l'avete costruito con i vostri aiuti, perché voi lo riempite di ragazzi, di futuri missionari, perché voi della diocesi di Treviso, e delle diocesi vicine, lo sostenete con aiuti spirituali e materiali, con l'affetto e la comprensione. Non è un corpo estraneo nel tessuto connettivo della diocesi, questo seminario: è invece, ed io voglio che, per quanto da noi dipende, esso sia sempre più, una cellula viva, una cellula missionaria della diocesi di Treviso e delle diocesi vicine.  Ed allora, che cosa fa il P.I.M.E. in questo seminario? II P.I.M.E. è qui per formare i missionari, per aiutare le diocesi in questa delicatissima opera da cui dipenderà domani l'efficienza dell'apostolato missionario.  (…)  

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novembre 2021


Devozione e affetto per Mons. Longhin (14)

Al vescovo, in occasione del suo venticinquesimo di episcopato (1904-29) dal seminario missionario furono inviate queste parole di gratitudine: “La Pasqua gloriosa del vostro venticinquesimo vuol essere celebrata dai superiori ed apostolini della Vostra Treviso con maggior gaudio e solennità quale si addice all’imminente solennità. Con gioia. ed amore questo Istituto missionario del Papa gode di trovare nel cuore pastorale e paterno di V. Eccellenza Ill.ma e Rev.ma l’affetto e la sollecitudine che l’ha fatto nascere e crescere, si raccoglie attorno a Voi per augurare le più elette benedizioni e per dirvi che da tutti si è pregato e si prega secondo le Vostre intenzioni. Dal principio della Quaresima i Padri hanno fatto un memento speciale per V. Eccellenza, e gli apostolici offrono S.S. Comunioni, assistono a S.S. Messe, e spigolano tanti fiori per offrire a V. Eccellenza in occasione del Giubileo Episcopale. Si degni Vostra Eccellenza di accogliere questo florilegio spirituale quale espressione sincera della gratitudine, venerazione ed ossequio di tutti noi e favorirci una speciale benedizione caparra di copiosi frutti spirituali per i S.S. Esercizi che incominceranno lunedì sera e per lo sviluppo del nostro Seminario che vuol essere vostro gaudio e Vostra corona. Prostrati al bacio del S. Anello di V. Eccellenza dev.mi ed ubb.mi Superiori e alunni.”


 

Piazza Rinaldi  (15)

Benché sistemati nella villa del vescovo, a Montebelluna, era desiderio di tutti ritornare in città. Ben presto si rese disponibile la sede del Collegio Vescovile “Pio X”, che da piazza Rinaldi venne spostata in borgo Cavour, dove tuttora si trova.

P. Piero Bonaldo, che all’epoca, a 11 anni, era appena entrato in seminario, così ricorda quel trasloco: “Il 3 ottobre 1926 gli Apostolini fecero il loro ingresso in Piazza Rinaldi, arrivandovi su un camion al canto di «Gesù, lo sguardo amabile». L’attrezzatura era molto povera, ma nessuno di noi badava a sacrifici che oggi potrebbero sembrare impossibili. Eravamo ormai in casa nostra e sapevamo che tutto serviva per allenarci ad affrontare le privazioni che la vita missionaria ci avrebbe riservato. Mi ricordo ancora la prima cena: una scodella di minestra di verze, una manata di fichi secchi ed una fetta di polenta abbrustolita... distribuita personalmente ai singoli dal vecchio domestico Federico che condiva tutto con belle frasi trevisane suscitando la più schietta ilarità. Poi, un po’ alla volta, le cose migliorarono. Qualche settimana dopo eravamo già in grado di ricevere trionfalmente un folto numero di Apostolini, provenienti dalla Lombardia, portando così il nostro numero a più di 90 aspiranti missionari. P. Salvi era Economo e Confessore. Nuovo Rettore era P. lsidoro Pagani che, col suo fervido zelo apostolico, sostenne e guidò la nostra vocazione missionaria ed attirò verso la nostra Opera le simpatie del Clero e dei Fedeli di tutta la Diocesi. Eravamo ancora in fase di assestamento quando, nel mese di ottobre del 1926, passarono da Treviso alcuni nostri Missionari, che dovevano imbarcarsi a Venezia, diretti in India e Birmania. In Duomo ebbe luogo una funzione solenne di addio, alla quale prese parte tutta la cittadinanza. Mi ricordo che i partenti furono ospitati in un dormitorio adiacente al nostro. Un’ora prima della cena, P. Pagani si accorse che i piatti non bastavano e che non c’era frutta... Ebbi proprio io l’incarico di fiducia di andare da Fontebasso ad acquistare stoviglie e poi in Piazza S. Vito a comperare un po’ di «pomi» profumati. Ero appena un ragazzo, ma mi sembrava di essere «el paron de casa!». Con quanto entusiasmo salutammo i Padri... e come avremmo voluto seguirli verso le terre lontane.

 

Nota

Ottobre del 1926. Partivano per la Birmania: Antonio Farronato, di Ezelino da Romano (PD), vi mori nel ’31; Angelo Cassia di Bergamo, vi morì nel ’32; Ferdinando Guercilena di Montodine (Crema), vi divenne vescovo e dopo 46 anni di Birmania, morì a Lecco nel ’73. Partivano per l’India: p. Faustino Lenti di Milano che rientrerà nel ’31 e p. Emilio Pigoni, entrato nel seminario di Roma da Parma, morirà 2 anni dopo. Il 1926 è l’anno in cui i 2 seminari missionari, di Milano e di Roma, confluiscono nel PIME.


 

Trasformazioni interne  (16)

L’anno scolastico 1926 ebbe inizio nel tardo autunno. Venne l’inverno e del riscaldamento non c’era neanche il fumo! P. Pagani andava mendicando per noi patate, fagioli, salami e «musetti», e noi gli facevamo gran festa, quando arrivava a casa stanco e felice. Alle preghiere della sera aspettavamo la sua parola calda e paterna: ci raccontava i fatti più importanti della giornata, alle volte ci rimproverava ed allora la sua voce si velava di tristezza. Negli anni 1928 e 1929, la casa subì alcune trasformazioni interne, che furono possibili grazie all’aiuto dei benefattori e del fedelissimo nostro tecnico Comm. Celestino Valz Brenta. In quegli anni venivamo istruiti da un corpo insegnante composto in gran parte da Sacerdoti trevigiani esemplari e competenti: mentre alla nostra formazione spirituale collaborarono efficacemente il sempre presente Mons. Valentino Spigariol, don Giuseppe Bollato, confessore di suor Bertilla, e don Giuseppe Sommavilla, che era intimo di P. Salvi e lo volle festeggiare in occasione del 50° di Messa. I Chierici prefetti, gli assistenti dei ragazzi, frequentarono per diversi anni i corsi teologici nel Seminario diocesano. Nei giorni stabiliti per le Confessioni, mentre noi eravamo in attesa alla porta di P. Salvi, ci capitava di tanto in tanto di vedere il Vescovo di Treviso arrivare vicino a noi, per mettersi in coda ad attendere il suo turno ed entrare a fare anche lui la Confessione. Noi volevamo cedergli il postò, ma Mons. Longhin non accettava e voleva attendere in raccoglimento. Avevamo sotto gli occhi un esempio vivente di fede, di pietà e di umiltà.  Nel 1935 P. Pagani lasciò Treviso e fu sostituito prima da P. Guglielmo Sinelli e poi da P. Amato Maquignaz. Nell’anno scolastico 1938-39, venne P. Emilio Terruzzi, che, alla fine dell’anno, ritornò ad Hong Kong e, dopo poco tempo, morì trucidato. L’opera nostra si era intanto consolidata e gli anni si susseguirono con ritmo normale fino al 1940“quando in giugno scoppiò la guerra.


 

La visita di Mons. Mantiero al seminario  (17)

Mons. Longhin era morto il 26 giugno 1936. Leggiamo ora il testo della cronaca.

“Giorno di festa è stato il 17 dicembre 1936 per il Seminario dell’Immacolata perché ha avuto l’onore di avere una delle prime visite di S.E. Mons. Mantiero, il nostro pastore della diocesi di Treviso. Ricevuto in forma solenne dai Padri e dagli Apostolini al portone di casa, S.E. si recava subito all’altare dove offriva il S. Sacrificio mentre la Schola Cantorum eseguiva magistralmente scelti e appropriati mottetti.  Dopo la Santa Messa, S.E. rivolse calde e infuocate parole agli Apostolini incitandoli a conoscere sempre meglio Gesù, a prepararsi a essere santi missionari. Dopo il caffè, Padri e Apostolini si radunarono attorno a S.E. Uno dei Padri lesse un indirizzo augurando a S.E. i “dies pleni” della Scrittura e la gioia di poter celebrare la beatificazione del gran Papa trevisano, Pio X e di suor Bertilla. L’indirizzo diceva inoltre che gli Apostolini di questa specie, se trevisani, una volta in missione si glorieranno sempre di essere missionari trevisani e si sforzeranno di tenere alto nelle lontane terre il nome della Chiesa di Treviso. S.E. sì compiacque di rispondere e fra l’altro affermò che la vocazione missionaria è la più grande, la più elevata, la più sublime di tutte, quasi anche quella del vescovo che pure ha la pienezza del sacerdozio, a causa dei grandi sacrifici che comporta la corrispondenza a si eccelsa vocazione. Terminava promettendo di venire ancora e di fermarsi di più a lungo. Gli Apostolini fecero ottima impressione a S.E. “Che bei occhi hanno! diceva. Ne ho visti tanti diventare rossi e coprirsi di lagrime mentre parlavo loro: avrei parlato loro ancora per un’ora”.  Il vescovo lasciava il nostro seminario accompagnato dalle vibranti acclamazioni degli alunni e della folla che, frattanto, si era radunata in Piazza Rinaldi”.               

La guerra e i bombardamenti (18)

L’attività del seminario proseguì tra le ristrettezze imposte per il tempo di guerra iniziata 1º settembre 1939. Ma il 7 aprile del ’44, Venerdì Santo, Treviso, nodo ferroviario importante sulla linea Italia-Germania e nel cui “Palazzo della Borsa” si era allora insediato il comando tedesco, fu bombardata dagli alleati provocando grossi danni e un migliaio di morti. Il palazzo di Piazza Rinaldi allora non fu toccato, ma si decise di sfollare. Il parroco di S. Michele di Piave, don Luigi Malvestio, offri un rustico in cui si poté completare l’anno scolastico. Il posto era pericoloso per il passaggio di molti tedeschi in ritirata; prima dell’apertura del nuovo anno scolastico si accettò il soccorso di mons. Tognana che a S. Cristina, un paese a una decina di Km. a ovest della città, mise a disposizione del seminario buona parte della sua casa-canonica. Il bombardamento del 7 marzo ’45 colpì anche il palazzo del seminario, ma già dal 25 aprile vi si poté mettere mano per renderlo nuovamente agibile. Da allora e per tutti gli anni 50 ospitò ogni anno un centinaio di alunni che vi facevano le medie.

Scrive p. Pietro Bonaldo: “Ben ottanta Apostolini erano in casa quella mattina (il giorno del bombardamento) e fu un vero miracolo se, in mezzo a tanta distruzione, non ci fu tra noi nessuna vittima. Gli Apostolini tornarono in famiglia interrompendo gli studi e privi di assistenza. Mons. Antonio Mantiero offri ai più grandi la possibilità di frequentare i corsi nel Seminario Vescovile, sfollato a Vedelago e per i minori la Provvidenza preparò una casa colonica a S. Michele di Piave, dove fummo accolti con grande simpatia da don Luigi Malvestio, che, assieme agli ottimi parrocchiani, fu generoso dl assistenza materiale e morale. Ma neppure lì la guerra ci lasciò tranquilli.

Finalmente il Signore ci fece incontrare Mons. Lorenzo Tognana a Santa Cristina. Quel santo Sacerdote ci offrì la sua casa, riservando per sé lo spazio strettamente necessario.

Ai primi di novembre arrivammo alla spicciolata. Molte famiglie del luogo si erano offerte spontaneamente a trasportare le nostre masserizie coi carri, arrischiando incontri poco graditi e mitragliamenti, mentre don Luigi Spolaore sudava assieme a noi per avviare gli orari di Seminario, in modo che la comunità potesse partecipare in pieno alla vita religiosa della parrocchia. Intanto la guerra si avvicinava a Treviso.

La sera del 13 marzo 1945, alle ore 20,15 Treviso fu nuovamente bombardata, mentre noi atterriti assistevamo alla tremenda distruzione dal campanile di S. Cristina. Anche il nostro Seminario fu duramente colpito e P. Santinon, P. Frare e Giuseppe Bonolo, si salvarono fuggendo. Da Santa Cristina partirono subito carri e volontari, che ci aiutarono con slancio a salvare il salvabile...

Finita la guerra, cominciammo a sistemare il fabbricato fino a renderlo ancora abitabile.  


 

Ritorno a Piazza Rinaldi  (19)

Demmo l’addio a S. Cristina ai primi di luglio, ringraziando il Signore di poter rientrare tutti sani e salvi a Piazza Rinaldi, che andava rinascendo dalle rovine.

P. Maquignaz, ormai vecchio e provato dalle tribolazioni della guerra, lasciò Treviso, consegnando gli Apostolini a P. Umberto Galbiati, che un anno e mezzo dopo partì col primo scaglione di Missionari del P.I.M.E. destinati al Brasile.

Gli successe P. Narciso Santinon il 17 febbraio 1948. Alla sua partenza per Hong Kong nell’Agosto del ’53 venne sostituito da P. Celso Caugig. Dopo di lui la direzione passò a P. Floriano Forestan. Si cominciò allora a pensare ad una nuova sistemazione del vecchio seminario. Ricostruire nello stesso luogo o portare tutto in ambiente più ampio, presentando ai Superiori Maggiori il terreno acquistato lungo il Terraglio. P. Gaetano Filippin, Rettore dal 1961, dopo 25 anni di Cina e 10 di Brasile, era pronto a ricominciare da capo con entusiasmo giovanile.


 

Padre Gaetano Filippin, Rettore del seminario da Piazza Rinaldi a Preganziol  (20)

Espulso dalla Cina nel ’48, da Mao-Tse-Tung, p. Filippin riprende in mano le sorti del Seminario.  Ripartì per il Brasile nel ’51 e dieci anni dopo venne richiamato e nominato Rettore a Treviso. Viste le ristrettezze a Piazza Rinaldi incominciò a darsi da fare per una nuova sede in via Terraglio. Il “Terraglio” è un viale che in pochi chilometri, da nord a sud, quasi in linea retta, collega Treviso con Mestre-Venezia. Vicino alla città è fiancheggiata da abitazioni che man mano si diradano e vi appaiono, separati da terreni messi a coltivazione, parchi e “Ville Venete”. Là, nelle vicinanze della città, con buoni collegamenti pubblici col centro, era stato individuato un ampio terreno che fu ritenuto adatto per il nuovo seminario. P. Filippin interessò al progetto i missionari reduci perché vi contribuissero con la loro esperienza; sapeva infatti che il missionario è spesso costretto a divenire ingegnere, architetto, impresario e…manovale nella costruzione di chiese, ospedali, seminari... L’elaborazione dell’architetto Roberto Fontana risultò di comune gradimento e se ne decise la costruzione.

La cerimonia ufficiale della posa della prima pietra del nuovo Seminario avvenne il 7 giugno 1966 alle ore 18. Erano presenti l'Ecc.mo Vescovo della Diocesi, S. E. Mons. Antonio Mistrorigo, che compì la cerimonia, il Superiore Generale del P.I.M.E., S. E. Mons. Aristide Pirovano, P. Pietro Bonaldo, Superiore Provinciale della Provincia settentrionale e varie altre personalità. Si dava così inizio ad una nuova epoca della storia del P.I.M.E. in terra trevigiana.  Il nuovo Seminario sarà grande, capace di circa centocinquanta seminaristi, di linee architettoniche semplici e che favoriscono la sua piena funzionalità. La zona è veramente bene indovinata: pochissime costruzioni, così che si è potuto isolare il Seminario in un vasto terreno, dove trovano posto ampi ed ariosi cortili, campi da gioco e tutto ciò che può favorire e garantire una vita sana e serena ai ragazzi.

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novembre 2021

 

Padre Gaetano Filippin inizia con don Vittorio D’Alessi  (7) 

Il giovane di Castelcucco (TV), Gaetano Filippin (1895-1972), entrato nel seminario diocesano di Treviso, conobbe la possibilità di passare al “Seminario per le missioni” di Milano nel 1914. Dovette attendere e sormontare vari ostacoli da parte dell’ambiente e degli stessi superiori: una volta fu perfino rimproverato per aver parlato di “missioni” coi suoi compagni; ma finalmente gli fu concesso di lasciare il seminario di Treviso per quell’altro. Giunto il momento dell’ordinazione sacerdotale, essendoci anche le difficoltà giuridiche sopra accennate, pensò di rivolgersi al vescovo della sua diocesi di origine. Ecco come egli ne parla.

“Durante le vacanze autunnali del 1921, desideravo tanto d’essere ordinato Diacono. Ero suddiacono dal sabato santo. Mi presentai a Mons. Longhin e gli apersi il cuore. —Si, caro, ben volentieri? — mi rispose. — L’ultima domenica di luglio, festa del Redentore, celebrerò la Messa a S. Agnese e là ti ordinerò diacono. — - E per gli esercizi spirituali? - — Va’ in seminario, sta tranquillo, mettiti sotto la direzione del padre spirituale, don Vittorio D’Alessi. — Fu in quella occasione che, con don Vittorio, si maturò l’idea di aprire una casa apostolica a Treviso. Vi ritornai a Natale per la prima Messa solenne. Fui ospite del seminario vescovile, ove celebrai così una delle prime Sante Messe, dove avevo frequentato il ginnasio e il liceo. Intanto si concretava l’idea di aprire in città un focolare, ove si preparassero i futuri missionari trevigiani. Un giorno, don Vittorio, tutto raggiante, mi disse: —Sai che il Vescovo è contento e mi incaricò di vedere un po’ dove e come si potrebbe aprire il nuovo seminario? —

L’ormai “Padre Filippin”, aiutato da vari sacerdoti tra cui mons. Valentino Spigariol, fondatore degli Oblati, potè avviare la sua ricerca di un luogo in città per il nuovo seminario. Dopo “lunghi e laboriosi sondaggi” gli fu offerta la chiesa e annessa casa canonica di S: Martino, sulla riva sinistra del fiume Sile. Poté quindi presentarsi al vescovo: — E dunque? — -Tutto combinato, Eccellenza! - — Deo gratias! Vieni subito con me in Curia e ti firmerò il decreto di nomina a Vicario di S. Martino Urbano; così potrai iniziare l’opera benedetta, che sta tanto a cuore anche a me. All’inaugurazione della casa, Monsignore disse ”Questo Seminario, come il mio diocesano, sarà la pupilla dei miei occhi”.

    

Una perla nel cuore del Vescovo  (8)

Nel Duomo di Treviso il giorno di Pasqua del ’28, Mons Longhin disse: ”Tre cose mi stanno sommamente a cuore: il Seminario diocesano, il Seminario dell’Immacolata e il Collegio Pio X”. Infatti nel settembre 1922, p. Filippin iniziava ad allestire la casa-seminario, con la benedizione del vescovo e coadiuvato da un chierico inviato da Milano, Giuseppe Zanini di S. Daniele del Friuli (UD).

Ai primi di ottobre di quel 1922 il Superiore di Milano p. Armanasco, nominò come primo Rettore p. Francesco Boldrini, un reduce dalla Birmania, e p. Filippin come Vicerettore. Inviò pure 10 seminaristi lombardi a cui si aggiunsero pochi altri locali. Essi venivano chiamati “apostolini” perché, nel linguaggio euforico ed enfatico di quegli anni, erano destinati a diventare ”veri Apostoli, faro di luce confortatrice in mezzo alle paurose tenebre del paganesimo” e, sono le parole di un assistente “piomberanno in fulminea picchiata, rombanti, sulle fortezze di Satana”. Il 17 ottobre arriva da Roma il telegramma del Papa: “Particolarmente lieto vedere la nuova Scuola Apostolica Immacolata Concezione inaugurata Treviso consolante promessa felice incremento missioni estere Augusto Pontefice invia di cuore implorata benedizione. Augurando spirituale prosperità. Card. Gasparri.”

Mons. Longhin invia la seguente lettera al Rettore del nascente seminario: “Rev.mo Padre, siamo grandemente lieti che nella nostra città sia stato aperto un seminario per le Missioni Estere sotto gli auspici di Maria SS.ma Immacolata, destinato ad accogliere i giovanetti della regione veneta che dimostrano vocazione apostolica. Esprimiamo tutto il nostro compiacimento per questa nuova istituzione, che fu ripetutamente benedetta e incoraggiata dal S. Padre, sicuri che attirerà abbondanti benedizioni sulla città e Diocesi tutta. Facciamo vivo appello ai Rev. di Sacerdoti e a tutti i nostri figli di aiutare colla preghiera e colle offerte il nuovo seminario che prendiamo sotto la nostra protezione, mentre impartiamo con particolare affetto al Rettore, ai Superiori ed agli apostolini la nostra Pastorale Benedizione”.

        

I primi mesi… sovrana la polenta   (9)

Come avviene spesso nella Chiesa, anche se le benedizioni erano larghe, le condizioni materiali iniziali furono davvero ristrette. Così le descrive il chierico Zanini: “C’erano tre camere e due corridoi, compreso quello di ingresso, che serviva da ricreazione coperta. Una camera per il Rettore, p. Francesco Boldrini che sapeva raccontare tante storielle di animali e di uomini, perfino in tempo di studio; un’altra per il Vicerettore p. Filippin, quasi sempre fuori a predicare, ed una terza che serviva da studio per i ragazzi che dormivano e studiavano parte in corridoio e parte in cucina. Non c’erano servizi interni, né acqua corrente, ma in compenso, scorreva lì vicino, lambendo l’orticello della canonica, il limpido Sile un poco più a monte di dove “a Cagnan s’accompagna” (Dante, Paradiso IX, v. 49). In quell’acqua si lavava la biancheria, si riempiva la tinozza che serviva da lavabo per tutti i ragazzi e si riforniva la cucina. I pasti consistevano, la mattina in caffè-latte con polenta, a mezzogiorno un minestrone di fagioli e patate e rimasugli di pasta avuti in dono da qualche caserma, e la sera polenta a volontà con 6/8 fichi secchi in umido a seconda dell’età. Sovrana era la polenta.”

   

Nota

Per chi non conoscesse la geografia di Treviso: Il Sile, fiume di risorgiva che nasce a pochi km. A ovest della città, ha una portata costante e notevole, tanto nel giro di neppure 2 Km alimenta 3 centrali idroelettriche. Entra in città da ovest procedendo parallelo al lato sud del quadrilatero irregolare che racchiude con le sue mura la vecchia Treviso. La chiesa di S. Marino di cui qui si parla si trova a metà di questo percorso; poco dopo la chiesa vi è la prima centrale. Da nord entra in città un altro fiume di risorgiva, il Botteniga, che passando sotto le mura, si divide in vari rivoli, tanto che qualche scorcio di Treviso può richiamare Venezia; uno di questi canali è il Cagnan, ricordato da Dante. Tutti si gettano nel Sile prima che esca all’angolo sud-est delle mura, dove vi è pure la seconda centrale; la terza si trova non molto più avanti.

     


La visita in quel primo nido (10)

Il chierico Zanini così racconta una visita di mon. Longhin, scenetta che, egli afferma, si è ripetuta più di una volta: “Cosa gavìo da magnar per stasera, fioi? chiedeva il vescovo Mons Longhin affacciandosi alla porta della povera canonica di san Martino, di ritorno da una sua passeggiata quotidiana per i rioni della città di Treviso, in compagnia del suo segretario. -Polenta e fichi secchi, Eccellenza- rispondeva l’assistente dei ragazzi che era accorso alla porta per accogliere il vescovo. Quanti seu in casa? domandava ancora il buon vescovo. -Quindici ragazzi e tre superiori, eccellenza. - Va ben, doman che è la festa del vostro patrono, S. Francesco Saverio, penserò mi a mandarve un po’ de pan e de vin. - Grazie, eccellenza, di questa carità. Dio ve ne renda il merito. - E don Gaetano dov’elo? -A predicar a Possagno, per poter portare a casa qualcosa da tirar avanti. - Saludemelo tanto; ma vegnì da mi, quando no gavé niente da magnar. S’é boni e ve benedigo tuti.

    


Nuova sede in via Zermanese  (11)

Il numero dei seminaristi stava aumentando, ma le ristrettezze erano tali che l’anno successivo si trovò una nuova sede appena fuori città, a sud, oltre la linea ferroviaria, in via Zermanese. P. Eugenio Salvi, un veronese reduce dall’India, successore di P. Boldrini, dovette darsi un bel da fare per sistemare nella nuova sede aule scolastiche, dormitori, cappella, refettorio. Intanto la rivista “Le Missioni Cattoliche” faceva appello ai fedeli della Diocesi per il sostentamento dei Padri e dei seminaristi e la chiesa di Treviso prendeva coscienza che deve essere missionaria e si apriva alla collaborazione a tutti i livelli: vocazionale, spirituale ed economico. Da parte loro anche i seminaristi fin dagli inizi si sentirono impegnati a tessere e mantenere collegamenti con amici e benefattori con qualche foglio di informazione. Mons. Longhin visitava di frequente il seminario, incoraggiando tutti, Superiori e seminaristi. Nel maggio del 1924 P. Filippin si preparava alla partenza per la Cina. Celebrò la Messa nella chiesa di S. Martino e ricevette il Crocifisso dalle mani del Vescovo mons. Longhin che nel Duomo disse:” Io ti benedico, o figlio. Tu parti, e forse non ci rivedremo più qui in terra. Ma ci rivedremo certo in Paradiso, dove ci narreremo le meraviglie che la Provvidenza e la Misericordia di Dio avranno operato in mezzo e per mezzo di noi, suoi umili strumenti.”

Il 3 dicembre 1924, il Vescovo visitò il Seminario per la festa di S. Francesco Saverio, ed il 20 per l’ordinazione sacerdotale del diacono Giuseppe Zanini.

 

A Montebelluna  (12)

Mons. Longhin a conoscenza delle difficoltà che anche la casa in via Zermanese comportava, in quell’anno offrì al PIME la sua villa di Montebelluna. Egli fu sempre vicino ai missionari e anche per suo merito il giornale diocesano “La vita del Popolo” divenne un centro animatore e coordinatore di una catena di simpatia e generosità di tutti i trevigiani. E così l’avvenimento assunse proporzioni insperate. Stralciamo dal numero del 7 ottobre 1922: “Treviso ebbe la bella sorte di essere scelta come sede del nuovo seminario. Ora incombe a noi l’obbligo sacro-santo di aiutare i giovani che entrano, con le nostre preghiere e col nostro obolo. Siamo certi che la gentile cittadinanza di Treviso e tutta la diocesi faranno buona accoglienza al nuovo seminario e vorranno dar prova del loro amore ed interessarsi per tanti fratelli, che non partecipano e non godono i frutti della Cristiana Civiltà. È interessante notare che proprio nel numero successivo del giornale, viene riportato un ordine del vescovo che dà il via a tutta l’organizzazione missionaria in diocesi. L’ordine contiene due novità: la nomina di Don Pietro Boldrin alla direzione dell’ufficio missionario. Il 9 novembre si sarebbe tenuta la prima giornata sacerdotale missionaria. Alla conclusione di quella giornata che ebbe un successo insperato, fu steso un ordine del giorno contenente un programma dettagliato di quanto si doveva fare in tutte le parrocchie per le missioni. L’ultimo numero riguarda anche il seminario delle missioni: “E poiché in diocesi è sorto in questi giorni la Casa Apostolica di S. Martino, tutte le commissioni parrocchiali, senza nulla derogare, ai deliberati sopraesposti, ricordino qualche volta quest’opera che è destinata ad attirare tante benedizioni sul nostro popolo e sulla nostra diocesi.

     


Passo avanti nell’azione missionaria  (13)

Appena tre anni dopo gli inizi, il 14 marzo 1925, Don Daniele Bortoletto, segretario della commissione missionaria, così presentò il resoconto dell’anno missionario 1924: “L’anno 1924 segna un altro passo avanti nell’azione missionaria della diocesi di Treviso. Tre anni fa era nullo e in questi tre anni, per volere e la protezione incondizionata di S. E. Mons. Vescovo, con un lavoro assiduo ininterrotto, mercé lo zelo del clero, lo spirito missionario ha fatto breccia; è penetrato largamente suscitando gli entusiasmi del popolo, portando la nostra diocesi non ultima tra le diocesi d’Italia in questo campo.” Nel resoconto la cifra più bella, era: 40 vocazioni missionarie. Mons. Longhin mentre all’inizio, assillato da altri problemi, sembrava ostacolare questa sensibilità missionaria, superati i primi indugi, divenne l’animatore più entusiasta dei frutti che la diocesi stessa avrebbe ricavato. Potremmo ricordare i suoi calorosi appelli per le Giornate Missionarie Mondiali, i chiari rimproveri per chi ancora non lavorava bene per le missioni, gli incoraggiamenti per ogni nuova iniziativa. Lui stesso descrive la sua evoluzione il 2 febbraio 1926: “Pareva prima che la nostra diocesi non dovesse interessarsi a questo soccorso: invece fu così fervido lo slancio, così generoso il contributo, che fin dai primi anni raggiunse uno dei principali posti nella classifica delle offerte. Nell’ottobre del 1926 alla “Madonna Grande” vi fu un altro invio di missionari con il discorso tenuto dal vescovo.  La promozione della coscienza missionaria era divenuta un suo preciso impegno di pastorale diocesana. 

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novembre 2021

Centenario del carisma di una famiglia unita  (3)

Celebrare il centenario del seminario missionario di Treviso significa mantenere viva la memoria non solo dei missionari del Triveneto, ma anche di quanti hanno accolto e condiviso il carisma missionario restando là dove il Signore li aveva chiamati. Come è nato frutto di cammino di Chiesa così è stato albero o meglio Famiglia missionaria i cui membri sono a giusto titolo missionari.

Lo affermò bene Mons. Antonio Mistrorigo, vescovo di Treviso, il 29 giugno 1967: “L'esempio più bello di questa nostra unione e collaborazione l'abbiamo dato questa mattina, consegnando il crocifisso a quattro missionari partenti per la lontana terra africana del Camerun: due di essi sono del P.I.M.E. e due sono nostri sacerdoti diocesani. Sono missionari di due famiglie, ma che sono diventati d'una sola famiglia, perché avviati ad un'unica impresa apostolica, indivisibile, da compiere assieme aiutandosi a vicenda e mettendo ciascuno a servizio dell'altro quanto di meglio ha da offrire. L'unico crocifisso che abbiamo consegnato ai quattro missionari è il segno della loro unione per un unico servizio. Ecco perché oggi è la festa della diocesi intera…” 

Papa Francesco, all’udienza generale del 1° ottobre 2014 in Piazza San Pietro a Roma, ha detto: «I carismi nella Chiesa sono un dono di Dio per il bene di tutti. All’interno della comunità sbocciano e fioriscono i doni di cui ci ricolma il Padre”.

Come Il PIME non nacque dall’idea di una sola persona, ma da una convergenza di ideali che stavano concretizzandosi nel cuore della Chiesa italiana prima e dopo il famoso 1850, così nacque e visse il Seminario Missionario dell’Immacolata di Treviso all’interno della famiglia diocesana e in cammino dentro una comunione di carismi. 


Come un missionario trevigiano vede il centenario (4)

Nel 2022 ricorre il centenario della presenza del P.I.M.E.  in diocesi di Treviso.  Con questo scritto io desidererei cogliere l’occasione per ricordare l’impegno missionario del passato come stimolo ad un impegno sempre più largo e condiviso.

Fare memoria di ciò che il Pime ha vissuto nel triveneto dal 1922 rinserra i legami di famiglia; mette insieme i tanti parenti, amici, ex alunni che aiutati dal Pime hanno la passione per la missione e sono testimoni di Gesù nel loro ambiente, seguendo l'esempio di missionari che a volte hanno dato la vita per testimoniare Cristi in ogni ambiente umano.  

Non è certo stato un caso, ma un disegno provvidenziale, che come vescovo ci sia stato a Treviso quel santo frate cappuccino di Mons. Andrea Giacinto Longhin (1863-1936), ora Beato, che in tempi di ristrettezze ha sostenuto l’apertura di una presenza del Pime in diocesi; da quegli anni in poi il movimento missionario, incoraggiato dai vescovi che gli sono succeduti, ha avuto una sempre più larga risonanza tra il clero e i fedeli; e si è allargato alle altre diocesi del Triveneto: nel solo Pime, per non parlare di altri Istituti missionari , sono entrati  e poi partiti più di 150 missionari. Poi sacerdoti di Treviso, Chioggia, Gorizia, Feltre-Belluno, Como si sono associati ai missionari del Pime in Africa, in Asia e in America latina; i laici stessi, giovani e non più giovani, da un iniziale contributo con la preghiera, la simpatia, il sostegno economico, sono passati ad un impegno personale andando nelle missioni.

Col Concilio Vaticano II si è avuto un ulteriore stimolo a questo impegno missionario di tutta la chiesa. Alcuni anni dopo il Concilio, i sacerdoti diocesani in missione nel mondo erano circa 20.000.

Tutti conosciamo il momento di difficoltà che la Chiesa italiana sta attraversando; celebrare il centenario mentre ricorda l’entusiasmo del passato, vorrebbe contribuire a rinnovare l’impegno missionario delle nostre Chiese.


Il Pime (5)

E’ nato come "Seminario lombardo per le missioni estere" il 30 luglio 1850 a Saronno (Milano) dal grande cuore di Pio IX, che diede una vigorosa spinta alle "missioni estere". Nonostante le enormi difficoltà del suo pontificato, Pio IX desiderava che anche in Italia nascesse un Istituto di clero secolare e di laici sul modello delle "Missioni Estere" di Parigi, braccio destro di Propaganda Fide per l'Asia; nel 1847 comunica all'Arcivescovo di Milano mons. Romilli che nella metropoli lombarda doveva nascere il seminario missionario italiano.

La proposta cade in un terreno fertile. La nascita della "Propagazione della Fede" a Lione (1822) e le sue iniziative e riviste popolari avevano già infiammato il giovane clero ambrosiano. Padre Angelo Ramazzotti, superiore degli Oblati di Rho, fin da ragazzo sentiva un forte amore per le missioni e aveva orientato alcuni giovani chierici e sacerdoti all'apostolato missionario, inviandoli ad ordini e congregazioni religiose: si propone quindi a mons. Romilli per la nascente opera e fonda il "Seminario lombardo per le missioni estere" nella sua casa paterna di Saronno, con i primi cinque sacerdoti milanesi e due laici (nel 1851 si trasferisce a Milano).

Il "Seminario missionario" venne tenuto a battesimo dalla conferenza episcopale di Lombardia: i Vescovi firmano l'atto di fondazione il 1° dicembre 1850, con un testo che, secondo il Card. Carlo Maria Martini, "esprime la teologia della Chiesa locale e la sua missionarietà in termini che precorrono il Vaticano II". Infatti, quei Vescovi affermano di non essere "trattenuti dal timore di perdere qualche soggetto ai bisogni della Diocesi"; ma che anzi "è interesse di ogni Chiesa particolare la dilatazione della Chiesa universale, e ciascuna Diocesi è in qualche modo tenuta a fornire per questo intento il suo contingente di milizia apostolica": così istituiscono il loro "Seminario provinciale" per le missioni, augurandosi che "anche altrove, massime dove abbonda il clero, aprano i Vescovi ai loro giovani ecclesiastici con favore questa carriera... formino di siffatti Istituti provinciali per la prova, l'educazione e l'assistenza degli aspiranti alle Missioni Estere".     

Come Pontificio Istituto Missioni Estere, il Pime è nato per volontà di un altro Papa, Pio XI, che nel 1926 unì il “Seminario lombardo per le Missioni Estere” con il "Pontificio Seminario dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Roma per le Missioni Estere”, fondato a Roma nel 1871 da mons. Pietro Avanzini con caratteristiche simili a quello di Milano e approvato da Pio IX nel 1874: ha inviato i suoi membri in Cina, Messico, Australia, Sudan, Egitto, Stati Uniti a servizio delle Chiese locali. (Piero Gheddo)

 

Clima missionario del 900 (6)  

Padre Gaetano Filippin lasciava il seminario diocesano di Treviso per entrare nel seminario missionario di Milano quando Padre Paolo Manna (1872-1952), ora Beato, ritornato per malattia dalla Birmania, (l’attuale Myanmar), si prodigava con tutte le forze a diffondere in Italia l’ideale missionario. Con il motto “Tutta la Chiesa per tutto il mondo”, animava anzitutto il Clero, fondando “L’Unione Missionaria del Clero” (1916). Nacque l’Enciclica “Maximum illud”, la lettera apostolica che nel 1919 Benedetto XV inviava all’indomani del primo conflitto mondiale per imprimere nuovo vigore alla spinta missionaria della Chiesa. 

Paolo Manna da Milano con i suoi scritti cercava di scuotere le coscienze; egli nel 1912 incontrò a Treviso il compianto mons. Luigi Saretta, direttore del settimanale diocesano “La vita del Popolo” che da allora iniziò a presentare ai lettori il problema missionario.  Missionari reduci dalle missioni presentavano le loro testimonianze. Così un giovane, Piero Bonaldo, racconta gli inizi della sua vocazione: “Mi ricordo ancora la nobile figura di Mons. Giovanni Menicatti, rimpatriato dalla Cina per malattia ed instancabile nel predicare la idea missionaria nelle città e nelle campagne. Rimasi incantato, nella Chiesa parrocchiale di Scorzè, alla vista delle scene di vita missionaria che il simpatico Vescovo proiettava con la lanterna magica e spiegava con calore, mettendo in tutti un grande fervore e suscitando nel cuore i primi germi della vocazione alle Missioni. 

Anche Angelo Roncalli, giovane prete bergamasco divenuto Giovanni XIII aveva conosciuto padre Paolo Manna.  Patriarca di Venezia, nel discorso tenuto a Milano l’8 marzo 1958 in occasione del trasporto da Venezia a Milano della salma di un suo predecessore, mons. Angelo Ramazzotti, disse del Pime: “La creazione missionaria più insigne in terra d’Italia in quest’ultimo secolo.”

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Un atto di gratitudine al beato Andrea Giacinto Longhin (2)

novembre 2021

      

Ricordando la figura di mons. Longhin, pochissimi mettono in risalto il merito di aver contribuito a far sorgere e a dare un ottimo sviluppo missionario alla diocesi di Treviso.

Questo è tra i primi meriti di un santo e non poteva mancare nel nostro vescovo che aveva un cuore innamorato di Dio e quindi preoccupato anche della salvezza dei suoi figli.

Membro di una famiglia religiosa che annovera tra i propri figli molti e generosi missionari, certamente non era digiuno di notizie d’oltremare e della misera situazione di tanti popoli.

Nei suoi discorsi infuocati ne accennava spesso, e sua preoccupazione pastorale fu di infervorare i cuori dei suoi figli fino alla commozione, perché si sentissero solidali con le sofferenze dei popoli del “terzo mondo” e con la generosità e il sacrificio dei missionari.

Il Signore benedì l’ardore missionario del suo docile servo e lo rese strumento di opere missionarie, che a distanza di tempo, si rivelarono sempre più promettenti. Dio è presente dove lavorano i santi.

Durante i primi anni dell’episcopato di mons. Longhin, il contributo missionario in diocesi era quasi nullo. Scorrendo le cronache del tempo troviamo notizia di qualche conferenza di missionari di ritorno dalle missioni, o di collette in favore di missioni particolari o in occasione di partenze di missionari.

C’era in curia qualche sacerdote che tra i vari incarichi aveva anche quello di raccogliere offerte per le missioni, ma non vi era ancora una precisa direttiva e tanto meno la coscienza di un vero dovere missionario. Inutilmente nel sinodo del 1911, tenuto dallo stesso mons. Longhin, si cercherebbe la parola “missioni”, lacuna colmata dal vescovo mons. Mistrorigo. Allora il problema missionario non era ancora considerato come una delle principali preoccupazioni di una diocesi e di un pastore.

Ciò che fece esplodere lo spirito missionario in diocesi, fu una scintilla scoccata da un insieme di circostanze e di persone, sempre fecondate da semplicità e docilità ai disegni divini. 

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Centenario della presenza del PIME nel Triveneto (1)

Treviso, 30 ottobre 2021

   

Cari amici riprendo a mandarvi ‘la cartolina’ dopo alcuni mesi dal mio rientro dal Camerun nel giugno scorso. Sto rivivendo contatti con Treviso, diocesi che ha visto i miei primi passi di giovane prete animatore vocazionale e rettore del seminario missionario, e diocesi che mi ha sempre seguito con affetto e passione missionaria quando ero in Camerun e in Algeria. Ora riaccendo il mio arabo perché il 3 dicembre, festa di San Franceso Saverio, partirò per la Tunisia per un servizio di tre mesi chiestomi da padre Ferruccio Brambillasca, superiore generale del PIME. 

Desidero anche informarvi che stiamo organizzando la celebrazione del centenario della nostra presenza nel Triveneto, prima nel seminario missionario a Treviso, poi coi gemellaggi condivisi in terra africana con le diocesi di Treviso, Belluno e Gorizia e con l’animazione missionaria in alcune zone del Triveneto. Lo spirito della missione ci ha acceso, ci ha mantenuti uniti e continua a soffiare fino a una nuova comunione apostolica in Asia (Tailandia). Speriamo e preghiamo che la celebrazione del centenario sia un riaccendere la passione missionaria vissuta, in modo da realizzarsi ancora col motto ‘Esci dalla tua terra e va’’ perché Cristo sia conosciuto e amato, diventi la vita dei popoli.

Eccovi un ricordo di come P. Gaetano Filippin, ci racconta i “natali “del PIME a Treviso. 

      

“Durante le vacanze autunnali del 1921, desideravo tanto d’essere ordinato Diacono. Ero suddiacono dal sabato santo. Mi presentai a Mons. Longhin e gli apersi il cuore.  -Si, caro, ben volentieri, mi rispose. L’ultima domenica di luglio, festa del Redentore, celebrerò la Messa a S. Agnese e là ti ordinerò diacono-. E per gli esercizi spirituali? – -Va’ in seminario, sta tranquillo, mettiti sotto la direzione del padre spirituale, don Vittorio D’Alessi. Fu in quella occasione che, con don Vittorio, si maturò l’idea di aprire una casa apostolica a Treviso. Vi ritornai a Natale per la prima Messa solenne. Fui ospite del seminario vescovile, ove celebrai così una delle prime Sante Messe, dove avevo frequentato il ginnasio e il liceo. Intanto si concretava l’idea di aprire in città un focolare, ove si preparassero i futuri missionari trevigiani. Un giorno, don Vittorio, tutto raggiante, mi disse: -Sai che il Vescovo è contento e mi incaricò di vedere un po’ dove e come si potrebbe aprire il nuovo seminario. Fu così che cercai a lungo in città e il mio sguardo si posò sulla chiesa di S. Martino e sull’annessa canonica. Dopo lunghi e laboriosi sondaggi, finalmente mi ritrovai con Mons. Longhin. E dunque? -Tutto combinato, Eccellenza! - Deo gratias! Vieni subito con me in Curia e ti firmerò il decreto di nomina a Vicario di S. Martino Urbano; così potrai iniziare l’opera benedetta, che sta tanto a cuore anche a me”. 

Il piccolo seminario iniziò nell’ottobre ’22.


Cari amici, continuerò a tenervi informati della storia del cammino vissuto e del centenario per farvi partecipare e mantenere vivo il fuoco missionario.

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Preghiamo per i partenti per l’Algeria 

19 luglio 2021

   

La rivista diocesana En Chemin في الطريق della diocesi di Laghouat-Ghardaia (Algeria) dell’aprile scorso, presenta questa bella notizia: “Le autorità algerine hanno permesso preghiere e celebrazioni pubbliche in cinque nuovi luoghi di culto nella nostra diocesi: cappella dei Padri Bianchi a Ouargla, chiese di El Meniaa, Touggourt, Hassi Messaud e Beni Abbes. Oltre a questo, tutte le comunità possono in ogni modo pregare privatamente nelle loro cappelle e nei loro oratorii”. Nei dieci anni vissuti in Algeria non potevo celebrare nella chiesa di Touggourt dove abitavo, ma in una sala privata. La chiesa era stata affidata a una associazione musulmana. Fra alcuni giorni fratel Ottorino Zanatta, missionario del Pime, partirà per Touggourt e potrà entrare nella chiesa, ora riconosciuta, e assistere alla celebrazione delle Messe, assieme alle Piccole Sorelle di Gesù che vivono a Touggourt e a qualche cristiano di passaggio. Come quotidianamente avviene nella basilica di Algeri, Notre Dame d’Afrique, forse anche a Touggourt e a Hassi Messaud, qualche fedele musulmano/a, ora potrà portare dei fiori a Lalla Maria, chiamata anche Notre Dame des Sables (Nostra Signora delle sabbie). Altra notizia importante. Assieme a fratel Ottorino, partiranno per l’Algeria padre Maurizio Bezzi, Pime, e due Discepole del Vangelo di Castelfranco. Queste notizie sono segno di apertura. Papa Francesco vi crede e ne è impegnato. Anche noi apriamo il cuore e facciamolo pregare per partenti e per chi li accoglierà.



 

Papa Francesco parla con i musulmani

21 luglio 2021

     

La rivista La Civiltà Cattolica del 3/17/ 2021 presenta un articolo di Felix Korner S.I. sul significato del viaggio del Papa in Irak che si comprende solo se contestualizzato. Proveniente dal continente con la percentuale più bassa di musulmani, Papa Francesco ha portato con sé l’amicizia con un importante musulmano argentino, Omar Abboud. Già dalla Lettera post-sinodale Evangelii Gaudium emerge una convincente familiarità islamo-cristiana. Papa Francesco scrive e parla con “franchezza apostolica” e vive gli incontri come occasioni di “purificazione e arricchimento” reciproco e coglie la visione del mondo comune. Aveva annunciato: “Vengo come pellegrino, come pellegrino penitente per implorare dal Signore perdono e riconciliazione dopo anni di guerre e di terrorismo”.

Colgo dall’articolo frasi conclusive delle tappe del cammino verso i musulmani.


Gerusalemme 2014. Sguardo alle ferite. “Impariamo a comprendere il dolore dell’altro”.

Sarajevo 2015. “Le dolorose lacerazioni e sanguinose guerre possono diventare un messaggio, anzi una testimonianza interreligiosa costruttiva nella dimensione ‘fianco a fianco’ della nostra collaborazione”.

Baku 2016. Sguardo dalla finestra. Visitando per la prima volta un paese prevalentemente sciita, l’Arzerbaigian, osserva superfici murali come vetrate colorate fatte solo da due materiali, vetro tenuto insieme dal legno. Le vetrate permettono alla luce di risplendere nella stanza. Papa Francesco esclama: “Questo è anche il compito delle religioni: lasciar entrare la luce indispensabile per vivere… cosi la società civile deve dare sostegno e spazio alla religione”.

Il Cairo 2017. Il papa ha ricordato che le differenze religiose arricchiscono reciprocamente persone e comunità… e fondamentale nel dialogo tra religioni è la sincerità degli intenti.

Abu Dhabi 2019. Il grande imam Ahmad at-Tayiib aveva fatto visita a Francesco in Vaticano nel 2016. Al Cairo sono insieme alla Conferenza internazionale per la Pace e firmano un documento. Nonostante le critiche al documento, l’idea dell’intera umanità come famiglia di fratelli e sorelle è stata adottata da tempo nei documenti papali e conciliari.

Ur 2021. Il Papa e l’Ayatollah dell’Iran si sono incontrati nella patria di Abramo, a Ur. All’inizio della preghiera, il Papa ha incluso nel “noi” i figli di Abramo, gli ebrei, i cristiani e i musulmani, i sabei-mandei, e gli aizidi. Il papa ha parlato di una fede che non mette le persone l’una contro l’altra, una fede in cui l’amore per il prossimo nasce dall’amore per Dio. L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello.

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Eid Mubarak! Che significa, che si fa 

11 maggio 2021

Aprendo i giornali e internet, constatiamo la bella gara di messaggi di auguri ai Musulmani per la loro festa ’Eid ul-Fitr da parte anzitutto delle autorità religiose, accompagnate dalle autorità civili di ogni grado a incominciare dal presidente della Repubblica. A Milano, mons. Delpini per la fine del Ramadan, agli auguri aggiunge “Cerchiamo insieme le energie spirituali per un nuovo cammino”. Stiamo riconoscendo e comunicandoci la gioia crescente quando da avversari, diversi, ci avviciniamo come dice Papa Francesco Fratelli Tutti.

Positano news scrive: Eid Mubarak! Che significa, che si fa

Quando tra gli amici internazionali su Facebook vedi circolare questo post, ti chiedi che significa e che si fa. O anche scambiarsi tra persone extracomunitari nelle nostre strade, segni di affettuosità. È un augurio per la conclusione benedetta del Ramadan, che il sacrificio del digiuno giovi a chi l’ha fatto e alla sua famiglia.  Ma vediamo Wikipedia che dice;

Nell’Islam, l’espressione Eid Mubarak (in arabo: عيد مبارك‎; in persiano/urdu عید مُبارک), comunemente ‘buona festa’, è un augurio usato per le festività dell’Eid al-Adha e l’Eid ul-Fitr.

«Colui che digiuna avrà la gioia e la felicità in due occasioni: quando interrompe il digiuno e quando incontrerà il suo Signore il Giorno del Giudizio. (Maometto)»

Il primo giorno del mese di Shawwal, dopo l’interruzione del digiuno di Ramadan, si celebra l’Eid-ul-fitr: la festa per la fine del digiuno. Interamente dedicato ai festeggiamenti, l’Eid è un giorno di gioia, in cui si rende grazie ad Allah per aver concluso il digiuno, e per la partecipazione ai doni e alle grazie da Lui promesse (a patto di aver rispettato con fede il suo comandamento). Dopo questa preghiera, i musulmani si augurano l’un l’altro Eid Mubarak. Nel 2001 gli Stati Uniti dedicarono un francobollo all’Eid, poi ristampato negli anni seguenti.

Accompagniamo gli auguri con la preghiera che il Signore apra il cuore di tutti gli uomini per vivere come Fratelli Tutti.


La Chiesa non è in crisi

21 giugno 2021

Rientrato in Italia dal Camerun dopo sette mesi, incontrando la gente, il discorso cade sulle sofferenze e sui vuoti. L’impressione è di crisi di ordine familiare sociale politico religioso. La presenza in chiesa è ridotta, la confessione difficile.

Invece in Camerun a Yaounde, dove davo dei corsi nel nostro seminario missionario e la domenica celebravo in due parrocchie, non si respirava aria di crisi, cioè quella prodotta dal covid. In realtà, anche lì nelle ultime settimane, alcuni parroci chiedevano la mascherina perché si erano riscontrati casi di decessi per covid.

Ieri domenica 20 giugno ho concelebrato con mons. Cesare Bonivento vescovo del PIME emerito, missionario in Papua Nuova Guinea. Era stato invitato a San Bartolomeo del Piave (TV) per celebrare in suffragio della morte di suor Andreilla, sorella di Padre Giuseppe Panizzo missionario aviatore del PIME deceduto in Papua Nuova Guinea. Ho passato quindi una bella giornata con la numerosa famiglia Panizzo (erano 14 fratelli) tanto affezionata al PIME e alle missioni. Commentando il Vangelo della burrasca sul mare, mons. Cesare ricordava il dono della vita di padre Giuseppe e come vedeva ora la Chiesa in alcuni luoghi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.  Continuava ad affermare con forza: “La Chiesa non è in crisi”! 

Ne sono d’accordo anch’io pensando alla vitalità della Chiesa in Camerun. Vi ero giunto la prima volta nel 1968. Ora dopo 50 anni, vivendo e celebrando a Yaounde, ho visto che la Chiesa si sta formando e può offrire missionari e missionarie, consacrati e laici sposati, che partiranno per alcuni paesi occidentali, Italia compresa, che Papa Francesco oggi chiama “paesi di missione”. 

Rientrato in Italia, vivo ora il servizio del sacramento della Confessione. I santi Giovanni Vianney e Pio di Pietrelcina, confessando, hanno sofferto e lottato contro il demonio. Io, prete nel ministero del perdono dei peccati non mi illudo…e non sarà facile restare accanto a Gesù ‘portatore dei peccati’ del mondo.  Per questo vi chiedo di aiutarmi con le vostre preghiere. Ma oggi Gesù nel Vangelo dice: “Perché avete paura”?  E con mons. Bonivento dico anch’io: “La Chiesa non è in crisi”!

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Catechesi missionaria 

Yaoundé - 26 aprile 2021

Sabato 17 aprile 2021, alla presenza di mons. Michele Tomasi Vescovo di Treviso e di don Alberto Zanetti Direttore dell’Ufficio diocesano per l’Annuncio e la Catechesi, mons. Stefano Chioatto ha presentato il tema “50 ANNI FA... IN ITALIA E A TREVISO, seguito poi da mons. Valentino Bulgarelli sul tema “LA FORMAZIONE DEI CATECHISTI IN ITALIA”.

Rivedendo nel video don Gerardo Giacometti, mi sono ricordato che un giorno mi aveva chiamato a parlare sulla formazione dei catechisti in Camerun, e il pensiero ora si estende al contributo che i missionari e i Fidei Donum di Treviso hanno apportato alla catechesi in diocesi di Treviso con le loro testimonianze.

Don Luigi Toffolo primo assistente ACR di Treviso, in un intervista racconta: “Il 1° novembre 1969 nasceva ufficialmente l’A.C.R., un’articolazione pensata per i ragazzi da un’Azione Cattolica alle prese con un profondo rinnovamento. Collaborarono diversi preti anche non diocesani, fra cui un missionario che ho potuto poi intervistare in veste di giornalista nella sua attività in Amazzonia. Era un’A.C.R. molto attenta ma anche molto vivace, fatta anche di incontri di spiritualità per gli educatori spesso tenuti da missionari”.

Nell’intervista sul distacco e la gioia che don Adriano Cevolotto ha rilasciato alla giornalista Alessandra Cecchin per dire come lasciava la diocesi di Treviso, diventando vescovo di Piacenza e Bobbio, ha volato col pensiero sui suoi 37 anni di sacerdozio e ha detto: “Mi piacerebbe riuscire a convincere che ci si può fidare del Signore. Dovremmo suscitare desideri belli, grandi, come fece con me padre Vittorio, del PIME, che venne a parlarci dell’Amazzonia. Sarei partito il giorno dopo, anche se avevo 10 anni! Poi invece che nel seminario del PIME, sono entrato in quello diocesano. E direi anche ai genitori e agli educatori di sostenere i giovani nella fatica di raggiungere queste mete importanti”.

Va ricordato l’intenso e profondo senso missionario della diocesi di Treviso sorto col Gemellaggio col PIME e con la diocesi di Sangmelima nell’anno 1967. I primi Fidei Donum partiti, Don Angelo Santinon, Don Mario Bortoletto e gli altri dopo di loro, erano seguiti nella loro vita missionaria, e vivevano in continua relazione con la diocesi, richiesti di testimonianze. Anche i Vescovi Mistrorigo, Magnani, Daniel, i numerosi preti come Bordin, Marcuzzo, ecc, i laici come l’on.  DAL CANTON Maria Pia, e don Giuliano Brugnotto, rettore del seminario di Treviso e i cinque diaconi, in visita ad Ambam e in preghiera sulla tomba di padre Mario Bortoletto, rientrando dalle loro visite, continuavano e continuano a raccontare… facendo anche catechesi missionaria che accende i cuori di fede, amore per Dio e l’umanità.

11 marzo 2021, celebrazione a San Trovaso del 12° anniversario della morte di don Mario Bortoletto. Mons. Tomasi, vescovo di Treviso, nell’omelia ha messo in luce due caratteristiche che l’hanno colpito, leggendo il libro di don Franco Marton dedicato a don Bortoletto: “E’ stato un grande camminatore, per arrivare ad annunciare il Vangelo anche a poche persone; in secondo luogo, don Mario è pienamente entrato in una cultura: annunciava il Vangelo prendendo dalla realtà ciò che c’era di buono e santo, per condurlo a un amore più grande. Ecco il suo lascito per noi oggi”. 

Mons. Valentino Bulgarelli a Treviso ha segnalato alcune sfide alla catechesi d’oggi. Eccone due: 

1. Il tema del linguaggio. Se non riusciamo a generare un linguaggio nuovo, attento alla vita quotidiana… faremo fatica.    

2. Il camminare insieme: la comunione dinamica. Sono le sfide che il vescovo di Treviso, ritrova vissute da don Mario, sfide di camminatore  per annunciare il Vangelo… entrato in una cultura … 

Possediamo dei libri di Proverbi Ntoumou raccolti da Don Mario e a Yaounde abbiamo pubblicato il libro La catéchèse di Père Mario Bortoletto, contextualisée et animée dans le culture Ntoumou. Nel libro vediamo che quando il missionario Don Mario arrivava in un villaggio, la catechesi era lui stesso col suo sguardo, il suo sorriso. Il vescovo di Ebolowa Jean Mbarga il 28.3.2009, davanti alla tomba di padre Mario a Ma’an ha detto: “Ha mostrato il cammino della santità. È stato modello di semplicità, d’amicizia, di povertà e di fedeltà… prete esemplare. Padre Mario, diventa ora per noi missionario dell’intercessione presso il Padre del cielo”. 

La missione camminata,  vissuta e  testimoniata  continua a essere vera catechesi.  Quella di Gesù, catechista del padre che dice : Chi vede me, vede il Padre. 

Come la catechesi della suora, di cui la vecchia pagana ha detto: “ Dio deve avere il volto della suora che mi cura”.


Perché alla fine la data della canonizzazione di Charles de Foucauld non è stata annunciata  

Yaoundé - 4 maggio 2021

Contro ogni aspettativa, la data della canonizzazione di Charles de Foucauld e di altri sei beati non è stata annunciata nel corso del Concistoro Ordinario Pubblico di lunedì 3 maggio. Per il postulatore della causa del Francese, interpellato da i.Media, questa non è una vera sorpresa.

Lo scorso 26 aprile papa Francesco aveva annunciato la convocazione di un Concistoro Ordinario Pubblico. I cardinali residenti in Roma sono stati dunque convocati per oggi, lunedì 3 maggio, al fine di approvare sette canonizzazioni – tra cui quelle dei francesi Charles de Foucauld e di César de Bus. Nel corso di questa celebrazione si sarebbe dovuta precisare anche la data della canonizzazione.

E invece non è andata così. Secondo l’uso, papa Francesco ha presieduto la celebrazione dell’ufficio di Terza subito prima del Concistoro. Durante la cerimonia (in latino) egli ha confermato ufficialmente, davanti al cardinale Semeraro (prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi), la canonizzazione dei sette beati, ma non ha indicato date, limitandosi invece a dire che esse sono da determinare. Un’anomalia, in un concistoro di questo tipo.

Questo scenario invece «non è una sorpresa», spiega padre Bernard Ardura, postulatore della causa dell’ex militare francese:

Le canonizzazioni non sono fatte per i santi ma per noi. È un evento di grande portata ecclesiale, ed è per questa ragione che la canonizzazione si fa alla presenza del popolo di Dio. Se non possono esserci fedeli, la cosa perde senso. 

In Algeria si comprende la scelta di attendere

«Papa Francesco – prosegue – attende che si diano possibilità concrete» di organizzare bene l’evento:

Di solito il concistoro ha luogo nel mese di giugno per annunciare le canonizzazioni di ottobre. Facendolo adesso, quando tutto è calmo, papa Francesco si lascia la possibilità di indicare una data in un secondo momento. La Sala Stampa comunicherà la data quando sarà il momento. 

Mons. John MacWilliam, vescovo di Laghouat, in Algeria, dichiara ad i-Media:

Qui in Algeria ci teniamo a partecipare in pienezza alla cerimonia di canonizzazione, ma attualmente le nostre frontiere restano chiuse, e dunque accogliamo con favore la decisione. (Vincenzo PINTO / AFP)

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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"L'Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore" 

Yaoundé - 29 marzo 2021

Ho seguito Papa Francesco tramite i social nel suo viaggio in Irak. Aiutato dai ricordi e dall’immaginazione, ho rivisto, risentito, rigustato, quanto avevo vissuto nei miei dieci anni in Algeria: la musica, i colori, i calori, i sapori, i profumi, i volti, i sentimenti di un mondo, dove pur diversi, ci si sente vicini e uguali, adoratori e figli del medesimo Dio e quindi fratelli. Mi ha commosso il presidente dell’Irak quando ha detto e ripetuto al Papa Schucran Jazilan (grazie molte). È lo stesso grazie sentito tante volte in Algeria. Col Papa ho rivissuto profondamente la gioia di quando entravo in un ambiente dove i cristiani si sentivano a casa loro, liberi di condividere e di cantare preghiera e amicizia. Col Papa ho visto, sentito la gioia dei cristiani.         

Colgo alcune espressioni di Papa Francesco durante il suo viaggio in Irak col cuore aperto.          

“Vengo come penitente che chiede perdono al cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà̀. Vengo come pellegrino di pace, in nome di Cristo, principe della pace. Quanto abbiamo pregato, in questi anni, per la pace in Iraq!    

“Sono venuto a ringraziarvi e confermarvi nella fede e nella testimonianza”.     

“Qui dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle. Gli occhi al cielo non distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra, a intraprendere un viaggio. Ma tutto cominciò da qui. Il suo fu dunque un cammino in uscita”.    

“Non siete soli!”. “Questo è il momento di risanare non solo gli edifici, ma prima ancora i legami che uniscono comunità e famiglie. Vi incoraggio a non dimenticare chi siete e da dove venite! A custodire i legami che vi tengono insieme, vi incoraggio a custodire le vostre radici!”.    

“In questi anni l’Iraq ha cercato di mettere le basi per una società̀ democratica…. Nessuno sia considerato cittadino di seconda classe. Incoraggio i passi compiuti finora in questo percorso e spero che rafforzino la serenità̀ e la concordia”.    

“Sopra questo Paese si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza… Chi ha fede rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione”.    

“Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace… ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace”.    

“Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze!”.    

“Mi sono sentito onorato. Il Grande Ayatollah Al-Sistani, la massima autorità sciita dell’Iraq, si è alzato per salutarmi, per due volte, un uomo umile e saggio, a me ha fatto bene all’anima questo incontro”.     

“Nel mondo di oggi, che spesso dimentica l’Altissimo, i credenti sono chiamati a testimoniare la sua bontà, a mostrare la sua paternità mediante la loro fraternità”.     

“L’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore”.




La vitalità dell'Africa

Yaoundé - 6 aprile 2021

Pasqua, aprile 2021. Ho confessato a lungo in alcune chiese di Yaounde e celebrato le feste pasquali. Soprattutto ho avuto la gioia di condividere la preghiera e l’entusiasmo della fede coi cristiani della parrocchia di Nostra Signora di Lourdes dove don Mario Bortoletto, Fidei Donum di Treviso, padre Fabio Bianchi del PIME, e ora padre Sleevah, indiano, hanno messo tutte le loro forze e passione di missionari. La realtà più forte è il senso della comunità che cresce tutti i giorni: gente di varie etnie del Camerun e di paesi vicini che si sentono unite dall’unica fede in Gesù.      

Senza descrivervi come gli africani esprimono i loro momenti festivi, liturgici, un po’ più calorosi che in Occidente, vi posso dire con gioia che ricordando i miei oltre 50 anni di Africa, Cristo è vivo e sta vivificando l’Africa. Nei mesi in seminario e nelle parrocchie di Yaounde mi son sentito ravvivare nella mia fede e nella mia realtà di missionario. Dopo la benedizione finale della messa di Pasqua, ho voluto toccare il battistero facendomi il segno della croce per rivivere in me la mia vita nuova col Risorto. I fedeli vedendomi, piccoli e grandi, continuarono dopo di me e ci sentivamo contenti: Gesù risorto e vivo in tutti noi. Il seme cristiano c’è e produrrà i suoi frutti.      

Un giovane vuol parlarmi. Fra pochi giorni terminerà gli studi presentando la sua tesi. Vuol fare un cammino vocazionale perché la vita di alcuni nostri seminaristi lo attira. È attivo in parrocchia, appartiene a una etnia di grande solidarietà sociale. La sua famiglia cattolica praticante, sa già che sta pensando a dedicarsi a un impegno di donazione e lo sostiene.       

So che è già seguito da un missionario incaricato delle vocazioni e non mi estendo a domande profonde, ma resto a dialogare sul campo familiare, quello che ritengo importante per la riuscita di una vocazione. Continuo a restare sorpreso nel vedere un giovane che si inoltra in un cammino così particolare e che potrebbe avere un avvenire sicuro, quello che tantissimi non hanno, perché in situazioni precarie. Negli incontri che tengo con ‘gruppi vocazionali’, accanto a giovani ancora a livello di liceo, ci sono anche alcuni universitari. Ora vanno accompagnati per la maturazione della loro chiamata, anche per un periodo prolungato.        

Il seminario nuovo del PIME preparerà sacerdoti e laici missionari che partiranno in paesi di missione, Italia compresa. Paesi che potranno beneficiare della loro fede e vita di donazione. Cari amici, sentitelo il vostro seminario africano.

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Quelli che muoiono ci insegnano a vivere 

Yaoundé - 17 marzo 2021

Il nuovo vescovo di Constantine et Hippone Nicolas LHERNOULD scrive: “Solo un anno da quando sono arrivato in Algeria. Scopro. Ogni giorno. Molto. E spero di non smettere mai di scoprire.        

Ventidue anni dopo, anche queste righe mi toccano molto. Attraverso questa miscela di sofferenza e speranza aperta all'universale, che dà forza e luce in questo tempo di pandemia globale. Perché senza la continua meraviglia della scoperta, si appassisce rapidamente come una pianta priva di luce.          

Al “Memoriale per la nostra preghiera nell'Islam”, ho scoperto la figura di Soumia LAMRI, morta di cancro alle ossa ad Ain Sefra il 25 marzo 1999, all'età di 17 anni e mezzo, dopo tre anni di lotta nella malattia. Padre François COMINARDI dei Padri Bianchi, che raggiunse Soumia nella luce sei anni dopo, ha scritto: “Nonostante tre operazioni, la malattia si sta diffondendo. Sa di essere condannata a breve termine e, sebbene credente, teme l'ascesa della sofferenza: "Piuttosto morire che soffrire così tanto". È ricoverata in ospedale e un intero team medico la circonda di cure amorevoli, sostenendo il suo coraggio e la sua fede, assicurandosi che non abbia carenza di antidolorifici per alleviare il suo dolore. A volte le cose migliorano, vuole ascoltare la musica, leggere Hayat, rivista Vita, fare le parole crociate, guardare la TV ... A volte la troviamo prostrata, insensibile [dalla droga] ... Spesso si lamenta e persino urla per il dolore. Stomaco, fegato, polmoni, il male è ovunque. Una mattina, la trovo nel peggiore dei casi. Si sente morire. La vedrò sempre pronunciare la sua professione di fede con tutte le sue labbra, senza che dalla sua bocca esca alcun suono, i suoi grandi occhi rivolti al cielo, con straordinaria concentrazione e solennità. Gli tengo la mano, accompagnando la sua preghiera: "Soumia, Dio, il Misericordioso, pieno di tenerezza, ti aspetta, è pronto ad accoglierti". Approva con il tocco delle sue dita. Il 25 marzo 1999, Soumia partì per il suo Creatore: un'enorme folla nel cimitero. Otto giorni dopo, sua madre mi diede il taccuino in cui aveva trascritto tre poesie, scritte da quando sapeva di essere condannata. http://www.peresblancs.org/soumia.htm 

Ecco un estratto dalla seconda di queste poesie: "Una malattia si è depositata sulla mia anima, il mio piede scivola via dal mio movimento. Una malattia che mi ha fatto perdere il respiro della mia giovinezza, e ha ucciso tutti i miei sogni dentro di me. I miei sogni da ragazza, sogni di pace e tranquillità. Una malattia che mi terrorizza durante il giorno, e tormenta le mie notti con i tormenti del giorno dopo. Potrebbe esserci qualche guarigione, Signore, una guarigione da Te, per me e per tutti i miei fratelli? Sei il Signore, il nostro pastore, il nostro Benefattore, colui che ci fa vivere e morire, Signore. Signore, rispondi alla mia preghiera, e alle preghiere di tutti i miei fratelli. O Signore dei mondi. O Creatore di tutta la creazione. "          

"L'impatto di queste lunghe settimane di sofferenza e del coraggio di Soumia è stato molto forte su tutti coloro, parenti, amici, personale ospedaliero che l'hanno accompagnata fino alla fine". “Soumia”, ha concluso padre François, “manterremo il ricordo del tuo sorriso doloroso durante il tuo calvario e la tua fede luminosa. Possano queste poche poesie che ci hai lasciato, aiutarci ad affrontare la vita con più coraggio… tanto è vero che quelli che muoiono ci insegnano a vivere. " 



I 60 anni di Messa di Padre Carlo Scapin  

Yaoundé - 22 marzo 2021      

Questa sera, veglia della festa di San Giuseppe, nella parrocchia di Mvog Ebanda di Yaounde, Padre Carlo Scapin del PIME, ordinato sacerdote nel 1961, festeggia i 60 anni di Messa. Era giunto in Camerun nel 1974 e fu direttore del collegio Saint Charles Lwanga ad Ambam. Alla fine degli anni 90, vive a Yaounde nella parrocchia di Etoudi dalla quale poi sorsero otto nuove parrocchie. Padre Carlo con altri missionari assiste alla nascita e alla formazione di tre di esse: Ngousso, Mvog Ebanda, Ntem-asi. Due chiese, quelle di Ngousso e Mvog Ebanda sono il frutto del suo lavoro nella progettazione, assistenza dei lavori e crescita spirituale delle parrocchie.  

Alla celebrazione, assieme ai parrocchiani, qualche prete e alcune suore della zona, noi missionari del PIME condividiamo con gioia il suo Grazie al Signore per la sua vita missionaria. 

Nella sua omelia, padre Carlo ricorda che quand’era in Italia a Treviso, dopo aver brillantemente concluso gli studi universitari, il defunto vescovo Celestin N’kou, di Sangmelima, l’aveva chiesto ai superiori per affidargli il collegio di Ambam. Poi dopo alcuni anni di servizio ad Ambam, quando arrivò a Yaounde, visse la sua passione nella progettazione e nella realizzazione delle due chiese con l’aiuto ricevuto dal parroco della sua parrocchia di Onara (PD). Durante una ventina d’anni, il suo accompagnamento delle persone affidategli dal Signore, era continuo e paterno.  

Nell’omelia ricorda anche quando ha sostituito me, padre Silvano, nella direzione del seminario del Pime di Treviso, e quando mi è succeduto ad Ambam, mentre partivo per il Nord Camerun.   

Belli questi ricordi che affermano la comunione missionaria vissuta. Sì, grazie allo spirito missionario di Celestin N’kou il PIME è venuto in Camerun e grazie allo Spirito Santo che ci ha tenuti insieme e incoraggiati. Insieme abbiamo amato tanto il nostro Istituto missionario, abbiamo amato la missione in Africa, la gente incontrata.      

Rivolgendomi a lui, gli ho ricordato che ora abbiamo a Yaounde, un seminario che prepara nuovi missionari, alcuni sono figli delle parrocchie dove siamo presenti. Quindi gioia profonda di avere chi continuerà non solo noi, ma la missione.            

Ai fedeli di Mvog Ebanda ho ricordato che quando un ragazzo aveva rubato le offerte nella chiesa, alcuni stavano picchiandolo duramente. Padre Carlo, informato subito, ordinò che il ragazzo fosse messo nelle mani di sua madre. Nell’omelia della domenica, Padre Carlo chiese: “Possiamo uccidere una persona se ruba una gallina?” 

Conclusi il mio piccolo intervento dicendo: “Padre Carlo vi ha tanto amato!”    

Appena padre Carlo riprese la parola, sempre col suo stile, aggiunse: “Io sto attento ai verbi, non vi ho amato, ma… vi amo!” 

Nel Bollettino parrocchiale, una catechista testimonia di lui: “Un uomo molto umile, disponibile e vuole vedere la gente lavorare. Ama il lavoro fatto bene”. 

Alcuni fedeli della parrocchia: «Padre Carlo è una persona amabile, comprensiva. È uomo di pace, uomo diretto. Alcuni vi vedono un difetto, ma per noi è una qualità, un esempio anche da copiare. È veramente un prete che noi stimiamo molto con affetto”. 

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Dizionario Fulfulde di Padre Giuseppe Parietti PIME

Maroua - 3 marzo 2021

Padre Giuseppe Parietti giunto in Camerun il 14 luglio 1977 a Guidiguis collaborò con missionari protestanti e cattolici alla traduzione della Bibbia e del messale in Fulfulde. Ora ha pubblicato dopo vari anni un dizionario.

Questa è la presentazione del dizionario Fulfulde di Giuseppe Parietti Maroua, fatta il 3 marzo 2021 a Maroua dal professore linguista Henry Tourneux durante il terzo colloquio regionale sul dialogo interreligioso, diretto da ACADIR, l’Associazione camerunese per il dialogo interreligioso.

Parietti Giuseppe, 2018, con la collaborazione di Henry Tourneux, Dizionario Francese-Fulfulde / Fulfulde-Francese (dialetto Fulbe del Diamaré, Camerun); illustrazioni di Christian Seignobos, Pessano con Bornago, Mimep-Docete, 1352 p. 

Il lavoro su due colonne, si compone di due parti principali: un dizionario Francese-Fulfulde e un dizionario Fulfulde-Francese. Queste due parti sono precedute da una grammatica sintetica e da un'ampia bibliografia. Va aggiunto che il tutto è impreziosito da magnifici disegni di Christian Seignobos. Padre Giuseppe ha avuto l'idea molto giudiziosa di raggruppare in gruppi tematici le parole appartenenti allo stesso campo lessicale. Questo è molto utile, non solo per quello la cui lingua madre non è il Fulfulde, ma anche per il nativo Fulbe, che è sicuro di scoprire lì parole che non conosce nella sua lingua. 

L’autore non ha solo reso più facile l'accesso alle parole del dizionario di base di P. Noye, (1989) ma l’ha arricchito inserendo elementi tratti da lavori recenti di tipo enciclopedico (Tourneux e Yaya, Eguchi ecc.). Inoltre ha aggiunto numerosi dati raccolti da lui stesso durante le sue ricerche personali.

Solo chi fa un dizionario, da solo può conoscere l'investimento che tale lavoro rappresenta. Padre Giuseppe ci ha messo da anni le sue forze e gran parte del suo tempo libero, senza lasciarsi scoraggiare dai problemi del computer. Per questo, merita tutto il nostro riconoscimento. Per noi, il modo migliore per rendergli omaggio ora sarà leggere i testi in Fulfulde - c'è già una bellissima traduzione della Bibbia e una traduzione del Corano, fatta a Yola (2011). Ora non si dovrebbe esitare a scrivere in Fulfulde: ci aspettiamo quindi romanzi, poesie e opere teatrali scritti direttamente in Fulfulde. Speriamo anche che le persone che scrivono annunci in Fulfulde (li vediamo regolarmente su striscioni o manifesti per le strade di Maroua) utilizzino anche questo dizionario e smetteranno di scrivere questa lingua in modo del tutto normale. Questi sono gli auguri che esprimo per chiudere il mio intervento. 

Maroua, le 3 mars 2021


Dialogo interreligioso a Maroua

Maroua - 15 marzo 2021

A Maroua (Nord Camerun) alla presenza di un nutrito numero di autorità civili e di rappresentanti dei vari gruppi religiosi, il 2-3 marzo scorso si è svolto un colloquio regionale sul dialogo interreligioso. Dirigeva ACADIR, l’associazione camerunese per il dialogo interreligioso. L’associazione iniziata nel 2007 ebbe un riavvio importante dal 2014 in poi, provocato da Boko Aram e con l’apporto dei Padri Juan Antonio Ayanz e Giuseppe Parietti, PIME. Nel 2015 è stata creata l’antenna dell’Estremo Nord con la Maison de la rencontre.

Uno dei documenti proposti al Dialogo era: LA FRATERNITE HUMAINE, testo della Santa Sede in occasione del Viaggio Apostolico di Papa Francesco negli Stati Emirati del 3-5 febbraio 2019.

 Il Tema: Dialogo interreligioso, Consolidazione della pace e dello sviluppo nella regione dell’Estremo Nord del Camerun: Sguardi e prospettive.

I lavori in gruppo erano su questi 4 assi: FARE nostro cammino comune IL DIALOGO, nostro oggettivo LA FRATERNITA, nostro metodo LA CONOSCENZA RECIPROCA, nostra condotta LA COLLABORAZIONE COMUNE.

Importante è il contesto che giustifica questo colloquio. La crisi prodotta da Boko Haram costituisce una delle situazioni contemporanee le più dolorose che perturbano la storia del Bacino del Lago Ciad. Questo movimento terrorista, nato in Nigeria, ha spinto i suoi tentacoli oltre la Nigeria per toccare il Camerun, il Niger e il Ciad con effetti devastanti in molti settori della vita sociale: spostamenti forzati di popolazioni, perdite in vite umane e danni materiali ingenti, disfunzionamento del tessuto socioeconomico, dentro una società già fragile e vulnerabile sotto vari aspetti.

La novità del colloquio regionale, già alla terza edizione, è il vedere vivere insieme durante giornate di dialogo, rappresentanti dei vari gruppi religiosi e autorità civili, su temi così importanti e che tale colloquio si estende a vari settori della diocesi e provincie del Nord Camerun. Altra cosa interessante è che il tutto avviene non solo dentro l’aspetto religioso, ma con attenzione ai vari ambiti della vita sociale. L’interreligioso si apre e diventa anche interculturale. Non è solo ecumenismo, ma diventa comune ricerca e conoscenza di tutto quanto può unire.

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Il coronavirus nella nostra Casa di Rancio di Lecco 

Yaoundè - 3 febbraio 2021

La Direzione Generale il 9 febbraio ci comunica: “Per il contagio per coronavirus nella nostra Casa di anziani di Rancio di Lecco nell’arco di un mese, oltre a p. Alfredo Di Landa, p. Bruno Mascarin e p. Mario Meda tornati alla Casa del Padre nei primi giorni di gennaio, abbiamo accompagnato in Cielo p. Severino Crimella, p. Sandro Schiattarella, p. Innocente Bentoglio, p. Giuseppe Filandia, p. Lino Zamperoni e p. Luigi Carlini. Ad eccezione del solo p. Filandia, tutti appartenevano alla Comunità di Rancio. Li abbiamo accompagnati senza poter presenziare ai loro funerali, senza stringer loro le mani, senza averli ringraziati per il bene fatto e l’esempio di vita che ci hanno lasciato. Tutti uniti spiritualmente attorno a Maria regina degli apostoli, abbiamo continuato a pregare il Padre di donare loro la pace eterna; tutti insieme continuiamo a chiedere di asciugare le lacrime di chi si trova nel dolore e di insegnare al nostro cuore a compiere anche in quest’ora difficile la volontà del Padre.

Sono stati dimessi dall’ospedale p. Lorenzo Chiesa, fr. Agostino Sacchi e speriamo che nei prossimi giorni anche p. Ilario Trobbiani e suor Samuela (Missionarie dell’Immacolata) possano lasciare l’ospedale e tornare in Comunità. In Casa tutti sono risultati negativi agli ultimi tamponi. Davvero una bella notizia.

Oltre alle buone notizie da Rancio di Lecco, comunichiamo la preoccupazione per la condizione dei nostri confratelli che sono in Brasile: p. Enrico Uggè (ricoverato a Parintins),  p. Sisto Magro (ricoverato a Macapà) e p. Gianfranco Vianello (ricoverato a Londrina). A Londrina sono ricoverati anche p. Ferruccio Brambillasca e p. Raffaele Manenti, risultati positivi al coronavirus durante la loro visita ai confratelli della Circoscrizione Brasile. Dall’ospedale di Londrina, tutti e tre dovrebbero essere dimessi giovedì 11.  

NdR: In Brasile ricoverati e poi deceduti  p. Toninho Nuñes il 14 febbraio e p. Vandanam Raju Koppula il 19 febbraio.

Nei prossimi giorni ricorre la Giornata Mondiale del Malato. Anche noi confratelli nell’Istituto andiamo spiritualmente alla Grotta di Lourdes chiedendo a Maria che sostenga la nostra fede e la nostra speranza, e ci aiuti a prenderci cura gli uni degli altri con amore fraterno.  


La fraternità nell’Islam

Yaoundè - 19 febbraio 2021

Papa Francesco nell’enciclica "Tutti fratelli” scrive: “Le diverse religioni… offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società”. 271 “Noi credenti crediamo che senza un'apertura al Padre di tutti, non ci sarà ragioni solide e stabili per la chiamata alla fraternità. Siamo convinti che "è solo con questa consapevolezza di essere bambini che non sono orfani in cui possiamo vivere pace con gli altri ". 272

Nel sito della Chiesa Cattolica dell’Algeria, il giovedì 18 febbraio 2021 leggiamo: Due giovani studenti algerini ci hanno dato la loro visione della fraternità basata sulla loro fede e sulla loro esperienza.

La fraternità nell'Islam è il fondamento dell'unità, aiuta a preservare la coesione della società e a renderla unita e unita. Attraverso il termine fraternità dobbiamo intendere amore, mutuo soccorso, compassione, aiuto e solidarietà. Secondo il teologo musulmano Yûsuf al-Qaradâwî, significa che "le persone nella società condividono relazioni basate sull'amore, l'unità e il sostegno reciproco, legate da un sentimento di appartenenza alla stessa famiglia amorevole e unita, dove la forza di alcuni fa la forza di altri come la debolezza di alcuni fa la debolezza degli altri, e dove la presenza dei suoi fratelli fa il potere dell'individuo. ". 

Il Sacro Corano descrive questa fraternità come una benedizione di Dio: Allah dice "Ricorda il favore di Dio nei tuoi confronti: eravate nemici, poi ha unito i vostri cuori, e grazie alla sua benedizione siete diventati fratelli. "S.3-v.103. Il Corano sottolinea la fratellanza spirituale che unisce i credenti: Allah dice "I credenti sono solo fratelli, Stabilisci l'armonia tra i tuoi fratelli. "S.49-v.10. Questo afferma che siamo fratelli davanti a Dio e dobbiamo essere uniti.

L'Islam enfatizza la fratellanza umana: il Profeta Muhammad ha detto: “O uomini! Il tuo Signore è uno e tuo padre è uno”. Per dire che veniamo tutti dallo stesso padre, si tratta del legame familiare tra tutti gli uomini. Siamo tutti esseri umani, con un'origine comune, da un'anima comune. È questo forte legame che ci unisce indipendentemente dalle differenze che ci caratterizzano. Allah dice: “O uomini! Ti abbiamo creato da un maschio e una femmina e ti abbiamo creato popoli e tribù, affinché tu possa conoscerti ". S.49-v.13. 

Conoscere l'altro induce alla nascita di legami fraterni, di mutuo soccorso. In altre parole, non siamo più un'unica comunità, indipendentemente dal colore, dalla lingua o dal paese. Le differenze vengono spazzate via dal vincolo della fraternità. Allah dice: "Se il tuo Signore avesse voluto, avrebbe reso le persone una comunità" S.11-v.118 Questa diversità nella nostra società oggi costituisce una ricchezza e una volontà divina. La giustizia è quindi il simbolo concreto della convivenza. Allah dice: "Dio ama i giusti”. S.60-v.8 Dice anche: "O credenti! Siate rigorosi osservatori della giustizia quando testimoniate davanti a Dio, sia che dobbiate testimoniare contro voi stessi, contro i vostri genitori, contro i vostri parenti, verso i ricchi o verso i poveri” S.4-v.134. A tal fine, la giustizia che l'Islam richiede perché ci sia pace è la giustizia assoluta, la legge giusta. 

Il profeta Muhammad ha detto: “Il legame che unisce il credente all'altro credente è paragonabile a quello che esiste tra le pietre di un edificio; sono mantenuti in relazione tra loro”. È l'amore tra di noi che genera fratellanza e unisce la comunità, altrimenti tutto si sgretola. Senza fraternità, senza amore, senza unione, non possiamo mantenerci a vicenda. E questo sostegno rimane forte grazie all'aiuto reciproco tra di noi, venire in aiuto del prossimo concede l'aiuto del suo Signore. Come dice il profeta "Allah viene in aiuto del servo fintanto che aiuta suo fratello". Ciò in totale coesione con il comandamento del mutuo soccorso dettato da Dio che dice: "Aiutatevi a vicenda nel compimento delle buone opere e della pietà" S.5-v.2 Ben oltre questo, la fraternità non si limita ad aiutare semplicemente tuo fratello, ma a desiderare per lui ciò che desideriamo per noi stessi come disse il Profeta, pace e benedizioni siano su di lui: "Nessuno di voi è un vero credente finché non ama per suo fratello ciò che ama per sé.” Mettendosi nei panni dell'altro e vedendolo come nostro fratello, da qui l'importanza dell'unione fraterna. L'Islam sostiene anche il perdono e la riconciliazione attraverso la fratellanza, Il Profeta ci incoraggia a fare questo: “La migliore carità è riconciliare le persone. ". E nel Corano, Allah dice: "Una parola piacevole e il perdono sono migliori dell'elemosina seguita dal male". S.2-v.263 In tutto, lo scopo della fraternità è l'amore per l'altro sapendo che amare il prossimo è amare Dio attraverso di lui. [webmaster@eglise-catholique-algerie.org]


In Africa forza e luce del Risorto

Yaoundè - 24 febbraio 2021

Ringrazio don Gianfranco, direttore del Centro missionario di Treviso, che mi dà l’occasione di unirmi a voi tutti “segnati da restrizioni e timori” ma anche incoraggiati dal Vescovo Michele e “chiamati ad un serio percorso di conversione, da vivere per poter accogliere la forza e la luce del Risorto… E tutto questo consapevoli che “non commemoriamo il rimpianto di un’assenza, ma ospitiamo tra noi il Vivente, il Dio della vita”. 

Dall’ottobre 2020 mi trovo nel seminario filosofico del PIME a Yaounde (Camerun) per dare dei corsi nell’anno di spiritualità. Dovevo rientrare a fine gennaio, ma mi è stato consigliato di restare. Ora aspetto ordini dai superiori per il mio rientro a Treviso. Oltre al servizio in seminario sto vivendo un momento interessante. La prima volta ero giunto in Camerun nel dicembre 1968 con Mons. Squizzato per vedere gli inizi del gemellaggio della diocesi di Treviso col PIME e la diocesi di Sangmelima e vi ero poi rimasto dal 1971 al 2006 quando partii per l’Algeria. Tra i ricordi più vivi ci sono i momenti vissuti con Don Mario Bortoletto che visse il suo ultimo periodo come Fidei Donum associato al PIME. E quindi mentre ho la gioia di essere ancora in Camerun, mi sto impegnando con gli scritti e con incontri a mantenere vivo il suo ricordo amato da tanti. 

Nel dialogo coi missionari e coi seminaristi mantengo vivo il ricordo degli oltre sessant’anni vissuti dal PIME e in parte con Treviso e desidero che il seminario sia sentito come il frutto migliore della missione vissuta. È l’oggi che il mio essere missionario di lungo corso mi fa vivere e quanto sto vedendo dentro la storia. E vorrei far rivivere quanto appartiene anche ai trevigiani per superare la malattia della dimenticanza, cioè come dice il Vescovo Michele ospitare tra noi il Vivente, il Dio della storia

Il seminario ha 18 studenti della Guinea Bissau, Costa d’Avorio, Camerun e Ciad. Nelle nostre due parrocchie dove vivono i Padri Rino Porcellato, Carlo Scapin e Sliiva (indiano), incontro studenti che si preparano a entrare nel nostro seminario. Altri giovani che pensano al seminario sono nelle nostre missioni del Nord Camerin e Ciad. 

Domenica ho celebrato nella cappella di San Lorenzo, iniziata da don Mario Bortoletto. È commovente ascoltare i cristiani nei racconti dei loro primi incontri con Don Mario e l’essere stati i primi della comunità che ora sta crescendo.

Nelle due parrocchie la vitalità e la gioia sono coinvolgenti. C’è solo qualche mascherina…mal messa. La vitalità dell’Africa e del seminario mi sta facendo vivere quello che dice il Vescovo Michele, accogliere la forza e la luce del Risorto.

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Visita in Camerun del Cardinale Segretario di Stato 

Yaoundè - 30 gennaio 2021

Il Card Pietro Parolin è dal 28 gennaio al 3 febbraio in Camerun. Il viaggio intende mostrare, una volta di più e nel contesto dell’attuale emergenza umanitaria da coronavirus, l’attenzione della Chiesa e del Santo Padre per il continente africano, terra ricca di umanità ma segnata da tante sofferenze. Inoltre, vuole essere un segno concreto di quell’ “impegno comune, solidale e partecipativo, per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti e per interessarsi alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto, all’accoglienza”, a cui il Papa ha chiamato nel messaggio per la 54ma Giornata Mondiale della Pace, del 1° gennaio 2021, dal titolo: “La cultura della cura come percorso di pace”. 

La giornalista Anna Pozzi scrive nella rivista Mondo e Missione: “Visiterà anche il Foyer de l’Esperance a Yaoundé e renderà omaggio a una figura che ha lasciato un ricordo grande e commosso nella Chiesa del Camerun: quella di frère Yves Lescanne, missionario francese dei Piccoli fratelli di Gesù, che per primo in Camerun si era reso conto del fenomeno dei bambini di strada e se ne era fatto carico. E che è stato ucciso barbaramente il 29 luglio 2002, proprio da uno dei “suoi” ragazzi. 

La sua morte così violenta, ingiusta e paradossale – che potrebbe assomigliare molto a una sconfitta – è stata, in un certo senso, il compimento della vita di frère Yves. Un uomo semplice, ma profondo, che aveva dedicato tutta la sua vita a questi bambini, prima nella capitale Yaoundé poi nel nord del Paese. E proprio uno dei suoi ragazzi, un giovane che seguiva da molti anni, che aveva mandato in Francia per una delicata operazione e che aveva cercato in tutti i modi di allontanare dalla strada, si è trasformato, in un momento di rabbia e di follia, nel suo assassino. (…) 

Indirettamente ha “germinato” anche altre esperienze. Una di questa ha visto protagonista padre Maurizio Bezzi, missionario del Pime, che aveva conosciuto frère Yves nel 1992 e che con lui aveva condiviso l’esperienza della strada, della prigione e del Foyer de l’Espérance, per poi dare vita al Centro Edimar, nei pressi della stazione di Yaoundé. 

«Idealmente – ricorda padre Maurizio – anche il Centro Edimar continua a fondarsi sulla visione e sullo stile di frère Yves in particolare nel modo di relazionarsi con i ragazzi di strada. La sua semplicità nello stare con loro è ancora oggi un segno distintivo della presenza e del lavoro dei nostri educatori. Non siamo “per”, ma “con” loro. Io stesso mi sono sempre sforzato di non presentarmi come un “grande” tra i “piccoli”, ma di stare in mezzo a questi ragazzi secondo la logica dell’incarnazione, per costruire un rapporto di dialogo e fiducia».


Il cardinale Parolin in Camerun  

Yaoundè - 2 febbraio 2021

Il meraviglioso dono della pace possa irradiarsi a tutti gli angoli di questa cara terra e ad ogni uomo che vi abita.               

Terminerà il prossimo 3 febbraio il viaggio del cardinale Parolin in Camerun.

Ecco parte del testo italiano dell’omelia pronunciata il 31 gennaio in inglese dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, in occasione della messa per l’imposizione del pallio a monsignor Andrew Nkea Fuanya, arcivescovo di Bamenda.              

“Gesù vuole il bene dell’uomo e per questo lo libera dal Male. (…) Il Male c’è e Cristo è in grado di sconfiggerlo. Sta a noi esercitarci, ogni giorno, in tale combattimento. Ci vengono in aiuto le pressanti esortazioni dell’apostolo Paolo che — nella lettera agli Efesini — così si esprime: «Rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6, 10-12). (…)     

Cari fratelli e sorelle, nella difficile situazione in cui vi trovate a vivere, potete sperimentare da vicino la potenza del Male che agisce nel mondo: sono, purtroppo, frequenti le notizie delle violenze, delle divisioni, delle lotte fratricide che affliggono questa cara terra. Il Vangelo di oggi ci insegna, anche, che la via per sconfiggere il Male passa, innanzitutto, dalla nostra interiorità, dalla purificazione del cuore di ciascuno. Chi lotta contro il male che alberga nel suo cuore, diventa portatore di bene e di pace nella sua famiglia, tra i suoi amici, nella sua comunità: e diviene, in questo modo, un seme di speranza per tutti”.       

Speriamo che molte cose cambino in Camerun

Nelle interviste di questi giorni la frase comune è: «Nous sommes fiers qu’il soit là, pour toute l’Église catholique romaine au Cameroun, en Afrique et dans le monde. Nous espérons que beaucoup de choses vont changer», ha dichiarato una fedele. (Siamo fieri che sia qui… Speriamo che molte cose cambino). 

Il porporato nell’incontro all’Università cattolica ha sottolineato che non è casuale il fatto che “colui che governa la Chiesa universale sia chiamato Pontefice”, ossia costruttore di ponti “tra Dio e l’uomo e di conseguenza ponti tra gli uomini”. Fine ultimo di questi ponti è “la concordia tra i popoli e le nazioni” che la Santa Sede promuove in ogni occasione ribadendo il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. (…) La Santa Sede propone una svolta culturale e un cambio di pensiero “che sappiano creare un’autentica società dell’amore fondata in Dio, perché quando l’uomo smarrisce Dio, smarrisce anche sé stesso”. Una missione portata avanti “attraverso tanti uomini e donne di buona volontà, giovani, laici, sacerdoti e persone consacrate” che difendono e promuovono “i diritti fondamentali dell’uomo, … e comprendere meglio il valore della dignità umana e il dovere sociale di difendere e proteggere ogni vita. La Santa Sede opera infatti per diffondere un umanesimo che sappia guardare alla vita come al dono più alto che Dio ha fatto all’uomo… e costruire un mondo che sappia assumersi la responsabilità concreta di proteggere la dignità di ogni persona”.

Una fedele : “Il Cardinale ha detto bene quello che potrà far cambiare e vivere il Camerun!”

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Percorrere la strada coi Fratelli Maggiori

Yaoundè - 11 gennaio 2021

Dopo la morte di Henry Teissier, arcivescovo emerito di Algeri e del piccolo fratello Antoine Chatelard, il più profondo studioso di Charles de Foucauld, mi scrive la piccola sorella di Gesù Virginia Romani: “Dei "Grandi" se ne sono andati......lasciandoci con il dolore della separazione ma con la gioia et la riconoscenza verso il Signore che ce li ha fatti incontrare, apprezzare, et imparare da loro a "essere Discepoli, Servitori di Gesù dei fratelli e delle sorelle! Sono i nostri "Padri Fondatori" che hanno modellato per noi tutti Il Volto della Fraternità! Il tuo "nemico Intimo " ti accompagna senz'altro in questa tua nuova tappa della vita! Con te ringrazio il Signore che ci ha dato di percorrere un tratto di strada con questi Fratelli Maggiori”. 

Grazie piccola sorella Virginia. È bello questo dialogo tra chi è sulla strada di De Foucault, Teissier, Chatelard.

Charles de Foucauld, mio santo in cammino, è il titolo del libro appena pubblicato. Riprendo quanto ho scritto nell’introduzione. “Sì, lo si può anche pregare come fratello universale, Charles Eugène de Foucauld visconte  di Pontbriand, in religione Fratel Carlo di Gesù (15 settembre  1858  – 1º dicembre  1916 ). Ma per me è soprattutto un santo in cammino… Un santo da seguire. E come vorrei che il libro accendesse nei lettori il suo stesso senso dell’umanità da incontrare per far sentire quanto Dio - Deus Caritas - continua ad amare.

Lo dice anche il Piccolo Fratello Antonio Chatelard, (defunto qualche giorno fa) grande studioso del santo che continua ancora ad approfondire, soprattutto sugli anni vissuti da Fratel Carlo nell’eremo sulla montagna dell’Assekrem: “De Foucauld va visto sempre in cammino. Charles infatti non aveva ancora raggiunto quello che continuamente desiderava, cioè «abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, ebrei e non credenti, a guardarmi come un loro fratello, il fratello universale».  

Per questo la canonizzazione, oltre alla gioia di saperlo in Paradiso con tutti i santi, è gioia ora in terra di quanti vivono seguendolo. 

La canonizzazione e la dichiarazione di santità di Charles de Foucauld dovrebbe essere l’occasione per far sentire la particolarità unica di un uomo che, pur dentro la Chiesa, non è solo membro della Chiesa: la sua persona esce dai confini ed è per il mondo. Come Papa Giovanni papa per il mondo. Come un Gandhi non solo per gli indiani. Come il missionario in Algeria e nel mondo, che non è solo cristiano per i cristiani ma uomo per e con tutti. La canonizzazione dovrebbe aprire la Chiesa a non restare solo per sé stessa e in sé stessa ma per tutti, riuscire a essere considerata a servizio e bene dell’umanità”.


Lo Spirito ci permette di incontrare le spiritualità di ogni religione

22 gennaio 2021

Colgo dall’Agenzia Fides una parte della lettera dell’Arcivescovo di Algeri di alcuni giorni fa.  

“L'Arcivescovo esprime la sua preoccupazione per “l'abrogazione dell'articolo relativo alla libertà di coscienza anche se il testo non è stato ancora promulgato dal Presidente il cui rientro è previsto dopo oltre due mesi di assenza per malattia. Si annunciano elezioni regionali e legislative ma permangono molte incertezze per l'anno 2021, con una congiuntura economica fragile ". La Chiesa in Algeria, piccola presenza numerica, continua a rappresentare una realtà molto significativa nel Paese. La sua testimonianza e il suo annuncio costituiscono un segno ormai riconoscibile in maniera stabile in termini di dialogo e pacifica convivenza, in particolare grazie alle esperienze di profonda condivisione dei 19 martiri e di grandi rappresentanti come il cardinale Duval e il vescovo Teissier”. 

Monsignor Desfarges ha concluso: “L'8 dicembre la Madonna, piena di grazia, ci ha accolto nella Basilica a lei dedicata, Notre-Dame d'Afrique, ad Algeri. Il vescovo Teissier ora riposa lì accanto al cardinale Duval. Notre-Dame, in compagnia del nostro fratello Henri (Teissier), del Cardinale Duval, del Beato Charles de Foucauld, dei nostri beati martiri d'Algeria e di tutti i santi, continuerà ad accogliere tutti coloro che, ogni giorno, affidano la loro gioie, ma soprattutto il loro dolore e la loro sofferenza. È la guida della nostra Chiesa e la Madre di tutti i suoi figli, cristiani, musulmani, in cerca di senso, suoi figli della ricerca interiore. Li aiuta a riconoscersi e ad amarsi come fratelli e sorelle. In questi giorni di grazia, i nostri fratelli e sorelle musulmani hanno potuto pregare insieme attraverso la recita della fatiha, cantata da una sorella della Tarîqa Alâwiyya (un ordine sufi NDR) e dai cristiani presenti. In questi giorni la Madonna, piena di Spirito Santo, ci ha guidati dolcemente a questo stesso Spirito che ci permette di incontrare, anche nella preghiera, le spiritualità di ogni religione ". (LA) (Agenzia Fides 16/01/2021)

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Epifania a Yaounde

Yaoundè - 4 gennaio 2021          

Tutti i popoli ti adoreranno, Signore !  

3 gennaio 2021, celebro a Nvog Ebanda assieme a padre Patience Kalkama Keuf Keuf. La chiesa è riempita di una popolazione di varie etnie. I canti animati dalla corale hanno melodie del Sud e del Nord. I movimenti-danza che accompagnano i canti dicono la gioia di un Camerun plurietnico, in gran parte giovanile, e generoso abbondante nei gesti. I colori dei vestiti della gente portano in chiesa la vitalità della foresta, della savana, dell’oceano, delle montagne. I più belli sono sempre loro, i bambini. Solo qualche adulto porta la maschera anti covid, anche se ogni sera alla TV appare il presidente che la raccomanda. Oggi Epifania, festa della manifestazione del Signore a tutti i popoli. Ascolto l’omelia di padre Patience. Sono commosso. La prima volta che lo vidi ero a Mokolo nel Nord. Stavo insegnando a dei catechisti che si preparavano per diventare diaconi permanenti. Si presentò un ragazzo di 15 anni per dirmi che voleva diventare missionario. Ora è vicerettore nel nostro seminario del PIME di Yaounde e celebra l’Eucaristia con me.

Alla fine della messa volli dire qualcosa: “Quando lasciai Ambam (Sud Camerun) nel 1974 e raggiunsi il Nord, quella zona era considerata musulmana. Quasi nessuno tra gli abitanti era cristiano e c’era solo qualche missionario. Anch’io incominciai una missione, a Guidiguis. Ora accanto a me, qui davanti a voi celebra Padre Patience, un figlio del Nord”.

Nel mio breve discorso, i fedeli mi applaudirono gioiosamente due volte. Quando dissi: “Oggi, festa dell’Epifania, anche al Nord ci sono molti cristiani”… E quando aggiunsi sorridendo: “Con voi cristiani di varie etnie e con preti belli come Patience, il Camerun sarà cristiano”…

Ripensando alla cristianizzazione del Camerun, mi piace ritornare nei miei ricordi al primo vero missionario del Nord, un camerunese che incontrai varie volte. Nel 1959, Simon Mpecke diventato Baba Simon, nome datogli dalla gente, a cinquant’anni chiese al suo vescovo mons. Mongo di poter lasciare la parrocchia di New Bell di Douala per partire missionario tra i Kirdi nel Nord Camerun. È stato il nuovo passo della Chiesa del Camerun a essere missionaria. «Tu domandi sempre di andare nel Nord Camerun – dice finalmente mons. Mongo, vescovo di Douala -. Io non ti permetto di andarci, amico mio. Sono io che t’invio. Se laggiù ti domandano perché tu sei venuto, tu dirai che è mons. Mongo che ti ha inviato, perché io penso che il nostro cristianesimo in Camerun non sarà solido fino a quando non poggerà su due piedi: il Nord e il Sud. Per me è una missione che io comincio».

Oggi Epifania del Signore alle genti, la profezia del vescovo Mongo si è realizzata. La missione in Camerun è solida e poggia su due piedi: il Nord e il Sud.

Mi diverto a raccontarvi questo, perché la mia gioia è anche la vostra!


Come guardare il Centro EDIMAR senza credere al miracolo?

Yaoundè - 6 gennaio 2021        

Oggi 6 gennaio 2021 con padre Giuseppe Parietti e padre Graziano Michielan visito  Edimar ( Yaounde ), centro di accoglienza e di formazione per “i ragazzi della strada” dove ha lavorato tanti anni Padre Maurizio Bezzi, Pime, ora residente a Sotto il Monte e bisognoso di cure mediche. Il centro è diretto dalla signora Mireille YOGA N. Anche se ho ormai una lunga esperienza di missione, non vi nascondo l’emozione sentita oggi per quanto si vede e si ascolta in questo centro. Lo capirete anche voi leggendo alcuni tratti del messaggio che la signora Mireille ha mandato agli amici del centro.

“Vi inviamo questo messaggio che da 17 anni vi è sempre stato rivolto da padre Maurizio BEZZI. Per quasi due anni, per motivi di salute, non ha potuto tornare in Camerun. Bambini, giovani, educatori, manifestano visibilmente la nostalgia di un padre, la nostalgia di padre Maurizio. L'intensità di questo desiderio e la qualità della vita che è emersa da allora ci porta a credere con certezza che la presenza spirituale di padre Maurizio accompagna ogni momento della vita al Centro. Come possiamo capire queste cose se gli eventi che stiamo vivendo non portano il marchio del Mistero? (…)

Come si può parlare del Centro EDIMAR, guardare il Centro EDIMAR oggi senza credere al miracolo, senza ripensare alle parole di padre Maurizio che ci ha detto: "La Provvidenza non ci abbandona mai". Come possiamo capire che tra gli anziani della strada e del carcere che accompagniamo nel programma di Educazione alla vita e all'amore, un giovane si alza per dirci: "Ci sono troppe bambine che vivono per strada oggi. È così che la maggior parte di loro si ritrova incinta e si droga tutto il giorno. Voglio venire con voi in strada per poter lottare insieme contro questo fenomeno. Sono stato salvato da padre Maurizio. Sono stato picchiato e lasciato come morto. Padre Maurizio è venuto a prendermi perché non ero più cosciente e mi ha fatto diventare quello che sono. Non conoscevo mio padre. Mio padre è padre Maurizio e voi siete la mia famiglia. Voglio dare agli altri quello che ho ricevuto!». (…)

All'annuncio della presenza di questa pandemia sul suolo camerunese, ci siamo tutti preparati a morire. Noi, "bambini di strada", avremo la morte di sicuro, perché niente e nessuno potrebbe proteggerci! Otto mesi dopo, tra i bambini di strada non è morto nessuno a causa del COVID-19. Cari amici, la Provvidenza ha un volto, la Provvidenza ha un nome. L'urgenza della situazione ci ha imposto un'ardua sensibilizzazione e una feroce azione di advocacy tra i più giovani, e quindi i più fragili nelle situazioni di strada per un ritorno alle loro famiglie. Questo ci ha portato a sostenere spese significative non previste in questa tempistica per riportare alle loro famiglie un centinaio di giovani. Purtroppo, molto rapidamente (solo poche settimane), abbiamo visto alcuni di loro tornare in strada, insieme ad altri, nuovi. (…)

Ogni giorno, tranne il venerdì, gli educatori accompagnati dai nostri giovani volontari, camminano per le strade della città, offrendo saponi, palloncini e un orecchio attento. Guardano anche alla quantità di lesioni corporali che la maggior parte di loro porta con sé. L'accento è attualmente posto sulle attività scolastiche, dato che l'inizio ufficiale dell'anno scolastico si è svolto in Camerun il 5 ottobre. (…)

Ho conosciuto Padre Maurizio negli anni del seminario e l’ho seguito in Camerun e a Sotto il Monte. Un’amicizia così è un grande dono del Signore. Anche Edimar è dono, miracolo del Signore.